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andavano a scuola sempre dalla stessa maestra che era rimasta uguale negli anni: stessa pettinatura, stessi occhiali, stessa camicetta a fiorellini rosa e stesso neo peloso al lato del naso. Da cento anni insegnava a leggere, scrivere e far di conto a intere generazioni di scolaretti.

Tutti gli abitanti lavoravano nella fabbrica del paese che produceva saponette e nel tempo libero vi collab-oravano anche la maestra, il sindaco, il farmacista (quello del baobab) e l’ingegnere elettronico che era disoccupato perché aveva una laurea troppo avanti coi tempi. Per essere precisi, Ronchiolino è il paese che inventò le saponette. Alcuni storici del costume sostengono che la classica saponetta profumata sia frutto della ricerca francese nella cosmesi: niente di più sbagliato! Le saponette di Ronchiolino partivano su carretti tirati da muli in direzione di Parigi già dai tempi di Napoleone e ancor prima erano arrivate sulle tolette di re, imperatori, sultani e faraoni.

Con l’avanzare della tecnologia anche gli ingredi-enti venivano sostituiti e perfezionati. Le nuove sa-ponette erano fatte con l’uso della soda caustica che ne rendeva migliore la qualità. La creatività dei ron-chiolini non conosceva limiti: saponette trasparenti con fiori e conchiglie incastonate, contenenti pietre preziose o anelli di fidanzamento, colorate, sfumate, a righe, di ogni forma e grandezza, come quella di dimensioni reali che volle fabbricare zio Patroclo a immagine e somiglianza della bella croceros-sina che tanti anni prima gli curò le ferite in guerra.

Saponette al profumo di colonia, ai fiori, alla cioc-colata e persino

al baccalà (versione poco richiesta per la verità). I bambini si erano divertiti a creare minuscole sfere di sapone tanto richieste ed apprezzate all’estero dove venivano chiamate ‘perle’ ma che in realtà erano ispirate alla forma del porro della maestra.

Ogni domenica la collettività si riuniva tutta in chiesa per pregare e ritrovarsi tra parenti e amici. I ron-chiolini erano molto religiosi e affidavano alla bontà celeste la protezione di tutta la comunità. Le funzioni religiose della domenica erano officiate a turno dai tre fraticelli del convento, il cui ordine originario era andato perso nel trascorrere degli eventi storici. Una vecchia targa di marmo murata su un lato del con-vento e parzialmente ricoperta di piselli rampicanti recava la scritta ‘ora et labora’. Era stata scolpita tanti anni prima da un precedente insediamento di monaci cistercensi ma rappresentava ancora bene lo spirito del convento e di tutto il paese.

La chiesa del convento era gremita ogni domenica di gente proveniente da ogni angolo del paese, non mancavano i bambini e tutti gli animali domestici considerati parte della famiglia, compreso il pap-pagallo esotico del farmacista e l’asino di nonno Geppo. Le funzioni si svolgevano nel pieno raccogli-mento religioso e in gran rispettoso silenzio eccetto qualche sporadico raglio e qualche ‘bella culona’

proveniente dal pappagallo parlante.

Tuttavia da qualche mese ormai, il rituale veniva dis-turbato da sempre più frequenti colpi di tosse. Iniziò la bronchite di Reginaldo lo smilzo che ansimava afono e sfiatato, si unì la settimana successiva la tosse

canina della povera Giuditta, mamma dei gemelli Lino e Lana anche loro alle prese con colpettini di tosse sincronizzati. Zio Castaldo veniva scosso da prorompenti tremori toracici che finivano sempre col produrre viscide secrezioni. Tra tossi,fischi,raspi e affanni, in breve tempo la chiesa si trasformò in un auditorium di cori sconcertanti: un’orchestra di rantolii dai toni bassi alternati da colpetti di tosse soprana, il tutto accompagnato dal sottofondo dei sibili asmatici dei bambini. Padre Appio dall’altare cercava di dirigere i fragori polmonari coordinando un coro più strutturato e melodioso possibile, metten-do i sibili in fonmetten-do, le tossi stizzose al centro e quelle grasse a sinistra, vicino alle sputacchiere. Tuttavia più di un viandante forestiero, trovatosi a passare nei pressi della chiesa, si dileguò a gambe levate pensando ad un rito di esorcismo in atto.

I ronchiolini avevano perso la salute per cause da loro stessi definite misteriose e, avendo la farmacia da tempo esaurito gli sciroppi per la tosse, le cara-melle balsamiche e perfino le zigulì, dopo essersi scolati tutte le scorte di tantum verde e anche di tan-tum rosa, non restò che aggrapparsi alla preghiera, chiedendo un intervento divino che facesse ristabi-lire i poveri bronchi ansimanti.

Cominciò a girare la voce in paese, che l’albero del chiostro stava fiorendo di piccoli fiorellini rosa e tutti accorsero con binocoli e cannocchiali ad osservare il fenomeno che a tanti parve finalmente un segno del divino. Si formarono gruppi di preghiera intorno al’aiuola da dove partiva il lungo tronco. Ai fiori suc-cessero piccoli fruttini verdi che

crebbero maturando fino a diventare simili a ciliegie rosse. Dopo tante pene, finalmente una risposta alle preghiere, ovvio che quei frutti rappresentavano la cura miracolosa che tutti stavano trepidamente as-pettando!

Si decise di raccogliere i ciliegioni per farne infusi e decotti per tutti. Si levavano già laudi di ringrazia-mento, alla base della pianta si radunò tutto il paese a fare festa tra canti balli e sputazzi. Una fune lega-ta ad un arpione fu sparalega-ta in cielo, attraversò i rami dell’albero ricadendo in terra. dall’altro capo della corda una capiente cesta di vimini penzolava invi-tante, pronta all’ascesa. Si trattava soltanto di sceg-liere chi dovesse salire per il raccolto. Si fece avanti il vicesindaco che con i suoi centoventi chili di peso fece gemere la cesta già prima di salire, si presentò poi zio Castaldo, dall’espettorato facile e frequente, non gli fu consentito di salire perché nessuno aveva portato l’ombrello, infine fu scelto fra’ Golino, un giovane esile fraticello che , con l’approvazione dei presenti entrò festoso nel canestro grande ab-bastanza per accogliere lui e i frutti del prodigio.

Il farmacista e il barbiere fecero a gara per mos-trare davanti alle signore la propria forza nel tirare la fune,tanto era lo sforzo delle loro esibizioni che ad ogni strappo emettevano fragorose pernacchie, e non sempre di raucedine. Il risultato della disputa era che fra’ Golino riceveva repentini scossoni, la cesta saliva a scatti e lui rimbalzava sul fondo, si doveva aggrappare ai bordi del recipiente per non venire catapultato.

Improvvisamente il cielo si illuminò di una luce più

intensa e dorata. Dalle foglie dell’albero filtravano alcuni raggi luminosissimi e tutti smisero di tossire mentre a bocca aperta guardavano in alto. La cesta, fino a poco prima brutalmente strattonata, prese a salire dolcemente, senza che nessuno dei presenti issasse la fune. Lentamente e con leggerezza fra’

Golino si allontanava da terra diventando sempre più piccolo mentre con la mano salutava la folla sot-tostante. Il prescelto era ad un passo dalle prime foglie e già intravedeva i grossi frutti rossi anche se lo stupore che provava per la sorpresa gli sta-va facendo dimenticare lo scopo della missione.

Arrivato che fu tra le fronde cominciò a cogliere i frutti prodigiosi ma poco dopo fu tirato fino alla som-mità della chioma. L’intero paese che lo sosteneva da sotto ora non lo vedeva più e restò in trepida at-tesa col fiato sospeso. Nel frattempo, adagiato sulla chioma, il fraticello sbalordito, si mimetizzava tra i rossi ciliegioni appena colti raggomitolandosi nel fondo della cesta. Una luce accecante lo colpì per qualche secondo, fino a quando riuscì a distinguere sempre più nitida la figura famigliare di un religi-oso dall’aria bonaria e paterna. ‘Figghiu caru ap-perchè volessito ascendere cum scarsa comoditate fin su la guspide de l’ arborea criatura? Favellame de la cagione de siffatta visita’. Mentre l’anziano frate parlava, fra Golino riconosceva in lui i line-amenti di san Celestino, protettore dei lavoratori, ritratto nell’affresco della cappella del convento.

Balbettando con grande emozione, il fraticello rac-contò dei malanni polmonari dei fratelli ronchiolini e di come avessero riposto nei frutti

del gigantesco albero, la speranza di un rimedio portentoso ai loro malanni. ‘Ma fussi tu inerpicato fin su lo ceppo per profferirme ridicula facezzia? Volissi afferrar me per li posteriori?’ rise, san Celestino, e fra Golino appresso a lui, anche se non ne capiva il senso ‘Fratelli cari, curriggiete più tosto li loculi di laboro, protiggete le nari dai perigliosi effluvi della soda causticam che non solo fete tanto, ma arruvina et currode le visceri! Arricuordate :Per sanar li mali non abbasta invuocar provvidenza!

Finito che ebbe di parlare, il vecchio aureolato ac-carezzò affettuosamente la chierica di fra Golino prima di riprendere la fune ed iniziare la discesa del cesto. Quando apparve il prezioso fagotto spuntare dai rami da sotto si levò un boato festoso di urla gioiose: così come era salito, gradualmente il cesto ridiscese fino a toccare dolcemente terra. Una folla festante circondò il giovane trasognato, ci volle un bel po’ di tempo prima che si riuscisse a cavargli una parola di bocca. Ma il messaggio di Celestino era forte e chiaro e i ronchiolini furono presto avvertiti dei provvedimenti concreti da prendere per la salute di tutta la comunità. Frate Appio rispolverò la vec-chia targa di marmo ‘ora et labora’ ‘in sicurtà’ ag-giunse con lo scalpello. Tranne l’ostinato farmacista, sostenitore del rimedio miracoloso, che si preparò nel laboratorio una marmellata di frutti rossi, tutti gli altri confezionarono guanti, attrezzi e mascherine per evitare al massimo l’esposizione con gli agenti nocivi e quando finalmente la protezione cominciò a dare gli attesi risultati, i ronchiolini festeggiarono una domenica intera, imbandendo

un banchetto di prelibatezze proprio nel chiostro del convento, sotto l’albero gigante. Con voce di nuovo ferma e limpida cantarono e ballarono fino a notte fonda: c’erano tutti, ma proprio tutti, tranne il farma-cista, impossibilitato a partecipare perché l’effetto purgante dei ciliegioni lo aveva intrattenuto a casa!

LE FAVOLE VINCITRICI VERBALE DELLA GIURIA

In merito al concorso in oggetto, la Commissione ha deliberato la seg-uente classifica:

FAVOLE ILLUSTRATE

Prima : n. 72 Lucidastella il Galatticante di Tania Giacomello - Padova Seconda: n. 49 La Principessa che cuciva le borse di Roberta Masci - Roma

Terza: n. 130 L’albero di Fra’ Golino di Nadia Ceccarelli – Civitavecchia FAVOLE SOLO TESTO

Prima n.109 Cartuscella di Linda Di Giacomo - Salerno

Seconda n. 84 Mila e i lamponi di Francesca Zazzera – Avezzano Terza n. 34 Re Ben Fatto e Carolina di Stefania Liccardo - Orvieto RICONOSCIMENTO DELLA CRITICA

n.157 La bambina che sognava di salire sulle impalcature di Marianna Sauro-Verona

n. 19 Una favola per vivere. Il grillo parlante di Maria Graziella Comanducci-Arezzo

Le favole più votate e commentate via web sono state:

Favola illustrata: n° 78 “Le avventure di regolina”di Rosita Giulianelli - Perugia

Favola solo testo: n°172 “Sicurezza la vera regina sei tu” di Paola Gottardo – Padova.

Cordiali Saluti

Il Direttore della Sede Unica di Perugia D.ssa Alessandra Ligi

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