— Come fate a sapere che avrebbe potuto rispondere? — domandò Anhalt con un sospi¬
ro.
— Lo ha detto lui.
Anhalt depose la forchetta con un cetriolo già infilato e si piegò in avanti.
— Cos’altro ha detto? Il Vec¬
chio Martens, intendo. Stavate parlando di lui, vero?
Bob annuì e soggiunse, senza alcuna precisa intenzione, che per quella stessa informazione gli avevano già offerto cento dollari. Il volto di Anhalt di¬
venne paonazzo, e Stuart spa¬
lancò ancora di più i suoi gran¬
di occhi tondi.
— Chi ve li ha offerti? — chiesero insieme con un filo di voce, come fulminati.
Stuart fu il primo a ripren¬
dersi. Anhalt continuò a fissare Bob in silenzio e, a poco a poco, riprese il colore naturale.
— Bob, non si tratta di uno scherzo — disse Stuart. — Noi vi abbiamo dato questo appun¬
tamento perché c’è in ballo una gran quantità di denaro... per voi, per me, per Anhalt, per tutti. Proprio così, per tutti.
— Anche per T. Pettys Shad- well? — chiese Bob.
Di nuovo l’effetto, come si
usava dire nel periodo pre-ato- mico, fu elettrico. Stuart, emet¬
tendo un suono tra il gemito e il sibilo, afferrò una mano di Bob.
— Non avrete firmato qual¬
cosa? — domandò con voce tre¬
mante.
Anhalt, da paonazzo che era, divenne pallidissimo.
— È un furfante, signor Ro- sen. Uno. sporco individuo.
— Il più spregevole essere vi¬
vente — fece il signor Rosen.
— Esatto.
— Bob, non avrete firmato qualcosa? — tornò a ripetere Stuart.
— No, no. Comunque ne ho abbastanza di tutti questi mi¬
steri. E se non mi spiegate tutta la. faccenda, io non dirò più nemmeno una parola.
Il cameriere arrivò con le or¬
dinazioni e, seguendo il costu¬
me dell’Ordine dei camerieri, diede a ciascuno il piatto sba¬
gliato. Quando le cose furono sistemate, Stuart girò la testa.
— Certo, Bob. Le informa¬
zioni. Non c’è niente da nascon¬
dere. Non a voi. Cominciate pu¬
re a mangiare e ascoltatemi.
Così, mentre attaccava il suo piatto di fegato con cipolle, Bob ascoltò il racconto di Stuart, che giungeva da dietro il lieve ru- 26
more di una cotoletta di mon¬
tone masticata. Secondo Stuart, ogni generazione aveva avuto i suoi legislatori della moda, ar¬
bitri dello stile. Ai tempi di Ne¬
rone, c’era Petronio. In Inghil¬
terra c’era stato Lord Brummel.
Più tardi, la moda era stata det¬
tata dai figurinisti di Parigi.
— Nel campo letterario — continuò Stuart inghiottendo ra¬
pidamente per poter parlare con maggiore chiarezza — tutti san¬
no quali possano essere gli ef¬
fetti di una recensione pubbli¬
cata dal « Sunday Times » sul lavoro di uno scrittore anche completamente sconosciuto.
— Venite al punto.
Ma Stuart aveva addentato un altro grosso pezzo di coto¬
letta e potè rispondere soltan¬
to con un borbottio, un agitare della forchetta e un sollevare delle sopracciglia. Anhalt depo¬
se le posate per riprendere a parlare da dove Stuart si era interrotto.
— Il punto, signor Rosen, è che il vecchio Martens ha per¬
corso per anni la Madison Ave- nue, proclamando a tutti di a- vere trovato il modo di predire la moda e gli stili. Nessuno gli ha mai creduto e, francamente, neppure io. Oggi però gli cre¬
do. Ciò che mi ha fatto cam¬
biare idea è stato questo. Quan¬
do l’altro ieri ho appreso che era morto, improvvisamente mi sono ricordato di avere qualco¬
sa di suo, qualcosa che lui mi voleva sottoporre e che io presi soltanto per liberarmi di lui.
Devo confessare che mi sono sentito leggermente in colpa, e molto addolorato per la sua morte; così, ho incaricato la mia segretaria di cercarmi quel suo scritto. Voi sapete che la J.
Oscar Rutherford, come la Na¬
tura, non distrugge mai niente
— disse Anhalt sorridendo ti¬
midamente — e la mia segre¬
taria ha trovato ciò che cerca¬
vo. Ho dato un’occhiata alla cartella... e ho scoperto delle cose... — S’interruppe per cer¬
care la parola più adatta a de¬
finirle.
—• Sbalorditive.
In un dossier intitolato a Pe¬
ter Martens, e datato 10 novem¬
bre 1955, Anhalt aveva trovato una fotografia a colori di un uomo che indossava una vivace vestaglia di raso.
— Voi sapete, signor Rosen, che nel millenovecentocinquan- tacinque nessuno portava vesta¬
glie di questo genere. Sono com¬
parse diversi anni dopo. Come faceva Martens a sapere che la gente, in casa, si sarebbe poi 27
vestita a quel modo? Poi c’era la fotografìa di un giovanotto che portava un completo color antracite e una camicia rosa.
Nel millenovecentocinquanta- cinque! Ci pensate?
Bob ci pensò, e dovette am¬
mettere che il « boom » del completo antracite con camicia rosa era scoppiato nel milleno- vecentocinquantotto.
—• Però — disse — io per¬
sonalmente non ho portato mai né l’uno né l’altra.
— Oh — disse Stuart in to¬
no di rimprovero — non vi rendete ancora conto che si trat¬
ta di una cosa molto seria?
— Esatto — confermò An- halt. — Volete sapere cosa mi ha detto Mac, non appena ha saputo della faccenda? Mi ha detto : « Phil, non risparmiare i cavalli ».
Aveva parlato in tono solen¬
ne, come ispirato da una visio¬
ne dall’alto.
— Chi è Mac? — domandò Bob.
Gli altri due si fissarono stu¬
piti e gli spiegarono che Mac era Robert R. Mac Ian, vice- presidente della J. Oscar Ru- therford.
— Naturalmente — disse Stuart infilando la forchetta in una patata — non vi chiedo
perché abbiate aspettato fino a questa mattina per mettervi in contatto con me. Se si fosse trat¬
tato di qualche altra società, a- vrei avuto il sospetto che voles¬
sero scoprire da soli, per non di¬
videre la torta con altri. La Ru- therford non può aver pensato una cosa simile. È troppo gran¬
de, troppo seria per agire in questo modo.
Anhalt non rispose.
Dopo qualche secondo di si¬
lenzio, Stuart riprese a parlare.
— Sì, Bob, è una cosa vera¬
mente importante. Se si potran¬
no sviluppare le ultime idee del signor Martens... l’aiuto che ri¬
ceveranno i fabbricanti di stof¬
fe, i modellisti, le riviste di mo- daj i sarti, sarà incalcolabile. Si possono accumulare delle fortu¬
ne. Non mi meraviglio che quel porco di Shadwell abbia tenta¬
to di entrarne in possesso. Ora temo sia giunto il momento di terminare questa interessan¬
te conversazione. Bob deve tor¬
nare a casa per mettere in or¬
dine il materiale...
« Quale materiale? » si do¬
mandò Bob. Be’, fino a quel momento gli aveva procurato i 40 dollari di Shadwell e l’invi¬
to a pranzo di Anhalt.
— Noi due, Bill, possiamo fermarci a discutere le condi-
zioni. Discuteremo su quei ca¬
valli che Mac vi ha detto di non risparmiare.
Anhalt fece un cenno affer¬
mativo. Bob si sentiva molto in¬
felice. Infelice di non aver da-
*to ascolto ai consigli di Peter Martens vivo e infelice di esse¬
re circondato da avvoltoi, ora che Martens era morto. Seguen¬
do il corso di questo pensiero, Bob provò una certa vergogna.
Anche lui faceva parte dello stormo di avvoltoi.
Domandò dei funerali: si e- rano svolti a spese dell’Ordine Massonico. Ora il corpo di Pe¬
ter Martens stava viaggiando verso Manetta, la cittadina del- l’Ohio in cui era nato, dove i fratelli di loggia gli avrebbero dato una decorosa sepoltura se¬
condo il loro rito.
Bob si sentì molto più solle¬
vato.
Sull’autobus che lo riportava a casa, cercò di riordinare i pen¬
sieri. Cosa poteva ricordare di una conversazione fra ubriachi?
Cosa poteva ricordare, d’impor¬
tante? « Le sorgenti del Nilo » gli aveva detto il vecchio a un certo momento. Be’, anche Shad- well conosceva quella frase. For¬
se Shadwell ne conosceva il ve¬
ro significato. Lui, Bob Rosen, no di certo. Oppure sì?... Ma,
sì! Ecco!... Martens aveva im¬
piegato anni... chissà quanti...
alla ricerca delle sorgenti di quel Nilo particolare, del grande fiu¬
me della moda, come Mungo Park, Livingstone, Speke e al¬
tri ancora, avevano impiegato anni alla ricerca delle sorgenti del loro Nilo. Tutti avevano sof¬
ferto privazioni, sofferenze, osti¬
lità... e, alla fine, come le esplo¬
razioni avevano ucciso Mungo Park, Livingstone e Speke, al¬
tre esplorazioni avevano ucciso Peter Martens.
A parte però il fatto di aver¬
gli sentito dire che c’era una sorgente o delle sorgenti, e che lui sapeva dove si trovavano, cos’altro gli aveva detto? Per¬
ché non aveva bevuto di meno?
Forse la bionda che sedeva al tavolo accanto, quella che ce l’aveva con i figliastri, ricorda¬
va qualcosa della loro conver¬
sazione.
In quel momento, gli tornò alla mente la voce del came¬
riere che diceva: « Ve lo man¬
da la signora. La bionda ».
Bob si frugò in tasca e pre¬
se il foglietto. Sul foglio spie¬
gazzato, lui stesso, o una per¬
sona con la calligrafia maledet¬
tamente simile alla sua, aveva scritto: «Pdice v. Bemon Pchspl Bx ».
29
— Che diavolo significa? — borbottò Bob, e corrugò la fron¬
te, cercando di chiarire quelle parole dovute forse più al « Bu- shmill » che alla sua matita « E- verhard Faber ». Alla fine deci¬
sa che quelle parole significava¬
no: « Peter dice di vedere Ben- son. Abita in Purchase Place, nel Bronx ».
— Deve pure significare qual¬
cosa — disse a mezza voce, fis¬
sando distrattamente il Central Park. — Deve voler dire qual¬
cosa.
— Una cosa davvero triste
— disse il signor Benson. — Siete stato molto gentile nel ve¬
nirci a informare.
Benson portava i capelli gri¬
gi tagliati con la sfumatura mol¬
to alta sulla nuca, la pelle era abbronzata. Evidentemente por¬
tava quel tipo di pettinatura da molto tempo.
— Volete un bicchiere di tè freddo? — chiese poi.
— Credo che sia finito — disse la signora Benson. — Vi piace la limonata in ghiaccio?
— Ho visto Kitty che stava scolando il boccale. I Massoni fanno dei bei funerali. Vera¬
mente belli. Una volta pensavo di unirmi a loro, ma non mi sono mai deciso. Penso che ci
sia del gin. Ce n’è ancora, ve¬
ro? Potremmo bere un gin-and- cider. Va bene?
Bob disse di sì. Se ne stava sprofondato in una comoda pol¬
troncina della grande sala di soggiorno. Un quarto d’ora pri¬
ma, mentre cercava la casa dei Benson, aveva temuto di non trovare nessuno in casa.
Ma non era stato così.
— Kitty, vuoi preparare qualche bevanda fresca? — do¬
mandò la signora Benson. — Povero Pete. Veniva sempre a cena da noi, la domenica sera.
Da diversi anni a questa par¬
te. E ora è morto. Arriva Ben- tley?
Bob rimase seduto a godersi il fresco e la tranquillità della sala. Fissò Kitty, che stringeva un piccolo stampino a forma di stella e, con lo strano aggeg¬
gio, si andava stampando a smalto le unghie dei piedi.
Non poteva quasi credere che quella ragazza fosse una creatu¬
ra reale. « Eterea », era la pa¬
rola adatta alla sua bellezza. I capelli lunghissimi e d’un colo¬
re dorato le incorniciavano il volto chino verso le unghie de¬
gli alluci. E indossava un abito simile a quello dei bambini nel¬
le illustrazioni di un libro di Kate Greenaway.
— Oh, Bentley — disse B.
Senior — sai cos’è successo? Lo Zio Peter Martens è morto l’al¬
tro ieri. Questo signore, un suo amico, è venuto a informarci.
Bentley fece: — Ahhh! — Era un ragazzino sui dieci anni.
Portava un paio di jeans taglia¬
ti al ginocchio e un paio di scarpe di ginnastica senza pun¬
te e senza tallone. Era nudo fi¬
no alla cintola, e sul petto ab¬
bronzato aveva dipinto in ros¬
so la parola « Vipere », che do¬
veva essere il contrassegno del¬
la sua gang di ragazzini.
— Ahh! — ripetè Bentley Benson. — Niente dolci?
— Be’, avevo detto a te di portarli — disse la madre con dolcezza. — Ora prepara del gin-and-cider, prego. Nel tuo metti poco gin, e fallo in un bicchiere separato.
Bentley disse: — Ahhhi — e si allontanò grattandosi il pet¬
to sopra la lettera V.
Bob girò lo sguardo e osser¬
vò delle fotografie allineate sul¬
la mensola del camino. Si spor¬
se leggermente in avanti.
— Chi è? — domandò indi¬
cando la fotografia di un gio¬
vane che somigliava a Bentley e a Benson.
— È il nostro figlio maggiore, Barton junior — disse Mamma
Benson. — Vedete quel bel ve¬
stito che ha indosso? Be’, poco dopo la guerra, Bart era in ma¬
rina e comprò in Giappone un bellissimo pezzo di broccato, che mandò a casa. Ne volevo fare una vestaglia da camera, ma la stoffa era poca : così ne feci una giacca. Il povero zio Peter ado¬
rava quella giacca e volle scat¬
tare la fotografìa’ che vedete.
Dopo qualche anno, come ben sapete, quelle giacche sono di¬
ventate di moda, e Bart, che nel frattempo si era stancato di a- verla, riuscì a venderla a un tale che lavorava con lui da
« Little and Harpey’s ». Incas¬
sò venticinque dollari e quella sera andammo tutti a mangia¬
re in un ristorante.
Kitty si premette delicata¬
mente lo stampino su un’altra unghia del piede.
— Capisco — disse Bob do¬
po un attimo. — Dite che la¬
vorava da « Little and Har¬
pey’s >>?
— Sì, proprio lui, l’editore.
Anche suo fratello più giovane, Alton, aveva lavorato per « Lit¬
tle and Harpey’s », poi è pas¬
sato con « Scribbley’s Sons ».
— Hanno lavorato per tutte le più importanti Case Editri¬
ci —• concluse la madre con fie¬
rezza. — Oh, non sono tipi che 31
I GRANDI
DI TUTTI I TEMPI