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Natale Maria Cimaglia

4. Alcune conclusion

Il grande interesse manifestato da Cimaglia per le questioni antiquarie non dovette proseguire oltre gli anni giovanili. Versato negli incarichi forensi e amministrativi, non fece pubblicare più alcuno scritto dedicato ad argomenti di questo genere, se si escludono una lettera sulla vita di Pacuvio, con informazioni sull’antica Brundusium178, e la presenza di indagini diplomatiche nelle sue numerose allegazioni forensi. Dal sintetico spoglio dei suoi scritti emerge, anzitutto, che l’antiquaria di Cimaglia fosse invariabilmente legata ai moduli della storiografia municipale, senza che possa essere compresa fuori da queste coordinate; la testimonianza antica, sia essa letteraria, epigrafica o di altro tipo, non era generalmente impiegata per inferire su più ampie questioni storiografiche; essa gli interessava solo nei limiti di una prospettiva municipalistica o per la ricostruzione del tessuto urbano antico di un contesto regionale. Della tradizione storiografica municipale, perciò, ereditava anche l’impianto elogiativo di ascendenza umanistica179. Tuttavia, se il fine celebrativo giustificava, per così dire, l’operazione letteraria, esso non assorbiva tutta l’indagine del Nostro; è evidente, in altri termini, che almeno in alcuni aspetti della sua antiquaria Cimaglia avesse propositi eminentemente scientifici, indipendentemente dal fine della semplice laudatio; sarebbe anche a dire che le più urgenti esigenze di un riscatto locale e provinciale, che emersero con sempre maggiore evidenza nel Regno dopo l’acquisita indipendenza, imponevano risultati di ricerca accertabili, che esulassero dell’autoreferenzialità dell’epidittica umanistico-rinascimentale. Ciò emerge sufficientemente dalla sua Geographia, dove i confini della regione apulo-daunia coincidevano singolarmente con quelli della moderna provincia di Capitanata; d’altronde, lo stesso tentativo, decisamente originale, di trasferire gli schemi dei moderni repertori di topografia antica (si pensi ancora una volta al Cluverius o al

178 N.M.CIMAGLIA, Natalis Marii Cimaliae ad Hannibalem De leo metrop. eccl. Brundisi-

nae canonicum theologum epistula, s.l., 1763?.

179 Sulle applicazioni in età moderna del genus demonstrativum alle storie municipale del

Mezzogiorno, alcune note, con relativa bibliografia, in A. IURILLI, Storie di città pugliesi. Edi- zioni a stampa, secoli XVI-XVIII, Fasano 2011, pp. 15 ss.

Cellarius) alle aree di Capitanata andava nella stessa direzione di un aggiornamento scientifico dei risultati, oltre le informazioni ormai obsolete fornite da un Biondo o da un Alberti. Ancora, non si spiegherebbe altrimenti la scelta, presa ad esempio nelle Antiquitates Venusinae, di elaborare una silloge di epigrafi sepolcrali, che di per sé non erano in grado di fornire alcun lustro al passato della città. La stessa finalità scientifica emerge, altrove, nella decisione di pubblicare frammenti epigrafici, privi peraltro di proposte integrative.

La ricostruzione del passato cittadino o di alcuni suoi aspetti e la definizione di una geografia storica per un dato contesto regionale passavano, come è evidente, per la raccolta e l’interpretazione di fonti di genere composito. Indubbia risulta la priorità data alla testimonianza letteraria, ai lacerti che della produzione storiografica antica facevano riferimento ai luoghi indagati. Per altri aspetti, tuttavia, quando essa si rivelava insufficiente, l’ipotesi storiografica era supportata dalla lettura del materiale epigrafico: ciò accadeva, per esempio, quando si trattava di stabilire i riti praticati a Venusia o lo status sociale dei suoi cittadini. In effetti l’unico strumento impiegato storiograficamente, fuori dall’esegesi e dalla filologia letterarie, era quello epigrafico, insieme al tradizionale motivo etimologico e, solo parzialmente, a quello numismatico. Un discorso diverso meriterebbe il complesso delle testimonianze materiali, che pure facevano la loro comparsa tra gli scritti del Cimaglia; testimonianze quasi sempre riferibili a reperti di tipo edilizio, mentre praticamente nulla emerge di manufatti artistici e decorativi (che certamente aveva visto a Venusia e ad Ausculum180) o del ritrovamento instrumenta.

Anzitutto, nella totalità delle occorrenze in cui è riportata l’osservazione di ruderi antichi si registra l’assenza quasi completa di dettagli descrittivi; a stento era riconosciuta la funzione dell’edificio, come nel caso degli anfiteatri di Venusia e di Aeclanum; meno ancora potevano darsi analisi di contesto urbanistico. Quali funzioni, perciò, erano attribuite a questo genere di evidenze? Tra le Antiquitates Venusinae esse avevano la precipua funzione di supporto alle testimonianze letterarie o di corredo a quelle epigrafiche: «antiquae urbis rudera» e «villarum reliquiae»181 ancora visibili a Venosa testimoniavano la veridicità delle fonti letterarie che la volevano in antico popolosa; così i lastricati del sistema viario, dei quali era sottolineata l’admirabilis structura 182, confermavano la notizia del passaggio della via Appia; il già menzionato

180 Cfr. supra, pp. 87, 102.

181 CIMAGLIA, Antiquitates Venusinae, cit., p. 183. 182 Ivi, p. 139.

anfiteatro venosino, del quale – caso unico – era segnalata la forma ovale, introduceva alla trascrizione delle epigrafi gladiatorie, oggetto di commenti ben più articolati. L’esame autoptico di questi monumenti, in definitiva, non venne finalizzato all’indagine scientifica, del tutto assente per questo tipo di evidenze, alle quali era riconosciuto un valore soltanto probante, ma non di fonti autonome. Potrebbe dirsi che la mancanza di discernimento descrittivo per questo genere di scritti sia indice della loro funzionalità politica e non scientifica183. Se questo deve essere in parte vero anche per Cimaglia, è più che altro un differente dispositivo teorico impiegato a motivare un tale approccio alle vestigia cittadine: la ricostruzione storiografica semplicemente non prevedeva la critica per questo genere di fonti; la critica era epigrafica, numismatica, paleografica, ma non ancora archeologica; e questo almeno nella tradizione storiografica municipale cui il giovane Cimaglia poteva avere accesso.

Il discorso è parzialmente diverso per la sua Geographia; qui, infatti, le registrazioni di resti urbani si moltiplicano, assieme, ovviamente, al moltiplicarsi delle città antiche oggetto dell’indagine. Tuttavia, possiamo osservare che all’aumento delle indicazioni relative al paesaggio antico corrisponda una sensibile diminuzione dell’impiego di iscrizioni, che, per i centri considerati, riguardano solo il sito individuato in località Vaccarella e quello di Aeclanum (delle epigrafi trovate a Vico del Gargano non si dice null’altro). La finalità dello scritto, d’altronde, era diversa: «Haud quidem nobis Dauniorum historiae hic conscribendae sunt […], nunc eorum solum terram describentibus»184; qui non si trattava di ricostruire le storie delle singole cittadine, ma di descriverne l’antica disposizione. La documentazione epigrafica, pertanto, non era ritenuta appropriata o, quanto meno, indispensabile; ai fini della localizzazione dei centri antichi bastava il ricorso alle fonti letterarie, unitamente alla possibilità di scorgere ciò che macroscopicamente ancora rimaneva di quei siti, e segnarne così le distanze rispetto ai centri moderni.

Anche in questo caso, dunque, tale genere di evidenze serviva per lo più da supporto alle attestazioni letterarie; la loro funzione era di localizzare e, semmai, rettificare quanto tramandato. In funzione più originale, tuttavia, esse

183 Cfr. F.TATEO, Città e campagna: politica e poetica nella topografia, in Da Flavio

Biondo a Leandro Alberti. Corografia e antiquaria tra Quattro e Cinquecento, Atti del Conve- gno di Studi, Foggia, 2 febbraio 2006, D. Defilippis (a cura di), Bari 2009, pp. 17-18.

potevano anche veicolare nuove ipotesi, come nel caso di Collatia e Camerium, individuate presso Apricena solo sulla scorta dei ruderi ancora visibili; o nel caso dell’abitato individuato presso Vaccarella e localizzato con la città di Italium, attestata in Tolomeo. Al di fuori della funzione localizzatrice, pertanto, queste testimonianze non erano utilizzate: non deve perciò stupire che non ve ne fosse traccia per Luceria, che, nonostante potesse esibire estese tracce dell’antico, non poneva problemi di localizzazione.

Si è infine constatato che il recupero di testimonianze materiali non era quasi mai il frutto di indagini autoptiche: se si escludono i casi di Collatia e Camerium, di Aecae, di Aeclanum e forse dei ruderi avvistati nel lago Pantanus, si trattava di informazioni di seconda mano. L’attestazione delle rovine di una città, anche se derivata da altra fonte, era di per sé più che sufficiente per le funzioni che le venivano attribuite: la registrazione di ulteriori dettagli, che solo l’esame autoptico poteva garantire, non era prevista tra gli scopi dell’autore. Il paesaggio antico, in definitiva, serviva a localizzare, ma non era autonomamente caricato di informazioni storiografiche sulla vita dei popoli che lo abitarono.

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