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Emmanuele Mola

2. Le peregrinazioni antiquarie

Quando Emmanuele Mola, ormai all’apice della sua carriera antiquaria, si trovò a commentare alcune iscrizioni ascolane precedentemente edite dall’erudito Michele Torcia, incontrò inevitabilmente il grossolano errore commesso circa quarant’anni prima da Cimaglia nella lettura di una supposta epigrafe etrusca:

«Fa però maraviglia, come il Sig. Cimaglia non avesse presa la dirittura di questa sì chiara, e sì semplice lezione in vece di crederlo un monumento Etrusco con decisa sicurezza, solamente per averlo letto capovolto. […] Tanto è vero, che una mal concepita opinione oppone alte barriere allo scoprimento del vero!» 1.

Già da tempo Cimaglia, che all’altezza del commento del Mola era ormai forzatamente esiliato dalla vita pubblica, non si interessava più di certi argomenti, tanto meno degli acerbi risultati dei suoi studi giovanili. Mola, invece, aveva coerentemente perseguito il filone delle indagini antiquarie per tutto il corso della sua vita. È soprattutto a partire dagli anni Novanta che, nell’ambito della sua estesa produzione letteraria, le pubblicazioni di questo genere si infittirono, andando a sostituire la precedente poetica di stampo celebrativo. Fondamentale dovette essere per un deciso orientamento verso gli studi antiquari la data del 10 febbraio 1790, quando venne nominato soprintendente alle antichità per la provincia di Terra di Bari. Prima ancora, quando ormai il Mola aveva diviso la propria esistenza tra gli impegni forensi e quelli scolastici del Convitto barese, otteneva il 15 marzo 1786 regia licenza per eseguire scavi. Nel gennaio del 1788 fu eletto socio dell’Accademia Etrusca di Cortona e partecipò anche a quel grandioso – almeno sulla carta – progetto ferdinandeo che fu la Reale Accademia di Scienze e Belle Lettere, in qualità di socio onorario nella classe di alta antichità.

Da queste poche note già si comprende come la figura di Emmanuele Mola sia decisamente più articolata di quella emersa con Cimaglia. Esse servono a introdurre le coordinate di una pratica antiquaria che non rimase confinata alla sola sfera degli interessi privati, ma che si collocò, per quanto fosse allora possibile, in spazi definiti istituzionalmente; che partecipò pienamente anche di

1 E.MOLA, Sulle iscrizioni Ascolane dal ch. Sig. Torcia recentemente pubblicate nel pre-

sente Giornale vol. XXX pag. 86 e seqq. Riflessioni […], in «GLN», 44 (1 febbraio 1796), p. 91; cfr. supra, p. 104, n. 92.

quella dimensione divulgativa rappresentata dalle riviste napoletane degli anni Novanta; che, infine, associò all’erudizione da tavolo la pratica sul campo. Di lui Mommsen avrebbe detto: «Barinus vir integer et diligens, doctus praeterea et litteris et lapidum usu quae edidit ephemeridibus fere Italis in ipsa patria rarissimis inseruit»2; quella epigrafica, tuttavia, fu soltanto una delle sue applicazioni antiquarie, che, come si evince dalla produzione a stampa, spaziarono tra molteplici oggetti, dalla numismatica alla glittica, alla patria corografia.

Nelle venete «Memorie per servire alla storia letteraria e civile» furono ospitati due contributi del Mola, particolarmente interessanti per le questioni della percezione e dell’indagine del paesaggio antico3. A fungere da intermediario tra il Nostro e l’ambiente della rivista fu certamente il letterato veneziano Andrea Rubbi. Nel luglio del 1794, infatti, Mola dichiarava all’amico Forges Davanzati di voler mandare la sua memoria Sul cangiamento al Rubbi o, in alternativa, «al Libraio Turri editore di un Giornale Letterario di Napoli , da ambi i quali – continuava l’autore – mi si fanno continue, e forti premure per aver miei Articoli antiquari da inserirsi nel Giornale Veneto intitolato Memorie, ed in quello suddetto di Napoli»4. Nel frangente chiedeva al Forges di riottenere copia di quella memoria, che era presso di lui perché fosse pubblicata: «Se dunque aveste deposto il pensiero di pubblicarla, e si trovasse costì presso di voi, mi fareste particolar finezza di farmela pervenire»5. Nell’ottobre dello stesso anno comunicava ancora al Forges di voler inviare al corrispondente veneziano l’«Apula Peregrinazione, che prima avea destinata – dichiarava il Nostro – alla nostra Regale Accademia ormai spirante, ed obbliata; e con essa risolvo anche di unirvi l’altra mia Memorietta sul Cangiamento di

2 CIL IX, p. 27.

3 Ci si riferisce a E. MOLA, Sul cangiamento del lido Apulo. Memoria istorico-filologica, in

«Memorie per servire alla storia letteraria e civile», gennaio 1796, pp. 1-12, e a I D., Peregrina- zione letteraria per una parte dell’Apulia con la descrizione delle sue sopravanzanti Antichità, ivi, luglio 1796, pp. 1-16, agosto 1796, pp. 1-27, novembre-dicembre 1796, pp. 1-6; queste le edizioni degli scritti che saranno di seguito impiegate.

4 Mola a D. Forges Davanzati, Bari, 19 luglio 1794, in APC, Curialia, Corrispondenza

Prevosti, b. 1791-1799, nr. 36b, c. 1v (corsivo del Mola); il fondo cartaceo in APC è in fase di riordino e, pertanto, si impiega l’attuale segnatura delle buste e del nr. dei pezzi (per il prece- dente inventario cfr. M. PORRO, Inventario fondo cartaceo, in San Sabino. Uomo di dialogo e di pace tra Oriente e Occidente. Anno Domini 2002, Atti del Convegno di studi in occasione del 12° centenario della traslazione del corpo di san Sabino e per i 900 anni di dedicazione della Chiesa Cattedrale di Canosa , Canosa, 26-27-28 ottobre 2001, L. Bertoldi Lenoci (a cura di), Trieste 2002, pp. 167-181).

questo Apulo Litorale»6. Da questa lettera non apprendiamo soltanto che sia il Cangiamento che la Peregrinazione furono dirottate dal loro originario contesto redazionale, ma che entrambi gli scritti nascevano, in qualche modo, strettamente connessi tra loro: più nello specifico fu la «Memorietta sul Cangiamento» ad essere redatta in funzione dell’altra dissertazione7; sebbene gli ambiti corografici dei due contributi coincidessero solo marginalmente, tra essi sussisteva un rapporto di integrazione, sintomatico, come vedremo, della nuova temperie assunta dall’antiquaria nel tardo Settecento.

Il seguito della vicenda editoriale che coinvolse Rubbi e gli scritti del Mola è noto. Questi, rivolgendosi alla redazione della rivista veneta, si dichiarò «onorato […] di una cortese ed obbligante richiesta per la communicazione di Articoli riguardanti la scienza antiquaria»8; in tal modo egli sperava di ottenere «nuovo incoraggiamento […] nel rischiarare questa non facile, ma dilettevole provincia dell’util filologia» e di rendersi pertanto non indegno di una «pregevole amicizia, e corrispondenza»9.

2.1. Il litorale pugliese da Salpi a Egnazia

Il primo contributo Sul cangiamento del lido Apulo è uno scritto di corografia antica, redatto nei moduli dell’iter letterario; il suo oggetto di indagine è la costa pugliese, nel tratto che si estendeva dal lago di Salpi fino alle rovine di Egnazia. L’ambito di riferimento, perciò, tranne che per l’antica Salapia, coincideva con la provincia di Terra di Bari, secondo l’uso, già visto per Cimaglia, di applicare i moderni limiti regionali alla ricerca corografico- antiquaria.

Obiettivo precipuo non era tanto delineare una topografia antica di quei luoghi, quanto individuare le «mutazioni, che il lido della mia Apulia – affermava l’autore – ha dovuto soffrire in varie epoche, e che difficile

6 Mola a Forges Davanzati, Bari, 14 ottobre 1794, in APC, Curialia, Corrispondenza Pre-

vosti, b. 1791-1799, nr. 41b (la lettera è pubblicata anche in P ARADISO, Canosa nel ’700, cit., p. 156).

7 «Giacché credo di essersi perduta ogni speranza di vederla pubblicata [scil. la memoria

Sul cangiamento] insieme con la sua inedita dissertazione, per cui fu scritta» (ibid.).

8 La lettera, diretta ai «sigg. Estensori delle Venete Memorie» e datata 28 maggio 1796,

accompagnava il secondo dei contributi inviati alla rivista e veniva stampata in nota a M OLA, Peregrinazione letteraria, cit., luglio 1796, pp. 1-2, n.

sommamente sembra, e quasi impossibile a rintracciare, e a descrivere»10. La prospettiva diacronica assunta dal Mola è doppiamente significativa: essa, infatti, da un lato presupponeva la stratificazione dei risultati emersi e la loro disposizione sulla linea del tempo (che spaziava delle origini preromane alle fasi tardomedievali); dall’altro supportava, come si vedrà, un’idea complessa di paesaggio antico, esito di mutazioni fisiche e antropiche. Il metodo impiegato, poi, era rigorosamente autoptico:

«E perciocché a me non piace di ragionare se non delle cose, che ocularmente ho viste, ed esaminate: prenderò cominciamento da una parte del suddetto litorale, ch’è a me più vicina, e che io ho spesso visitata e frequentata» 11.

Si riferiva nel frangente l’autore al sito dell’antica Salapia. La localizzazione avveniva grazie a passi di Strabone (6, 3, 9) e Licofrone (Alex., v. 1129); il primo la chiamava anche «navale di Arpi». La selezione delle fonti letterarie operata dall’autore è significativa, giacché funzionale ad assegnare una posizione marittima al centro, prima della sua rifondazione in età romana12. La questione doveva essere già discussa in sede storiografica: anche Cimaglia aveva riportato la testimonianza di Strabone, argomento sufficiente per supporre Salapia colonia di Argyrippa; egli, inoltre, segnava sulla sua carta topografica Salapia vetus presso il mare e la nova nell’entroterra13. Al Mola interessava supportare questo schema insediativo attraverso la raccolta delle evidenze materiali:

10 ID., Sul cangiamento del lido Apulo, cit., p. 1. 11 Ibid.

12 Da Licofrone in particolar modo, prendeva l’ubicazione marittima: «Apud Salpes ripas:

il che certamente non avrebbe avuto luogo, se non fosse stata quella una città marittima» (ivi, p. 2).

13 Cfr. supra, pp. 112-113. La questione, in filigrana, era già emersa in C. KELLER, Notitia

orbis antiqui, sive Geographia plenior, ab ortu rerumpublicarum ad Costantinorum tempora orbis terrarum faciem declarans […], vol. I, Lipsia 1701, pp. 886-887, che, riprendendo la te- stimonianza vitruviana su Salapia, a sua volta attestata in L. HOLSTE, Annotationes in Italiam

Antiquam Cluverii, in Id., Annotationes in geographiam sacram Caroli a S. Paulo; Italiam An- tiquam Cluverii; et Thesaurum Geographicum Ortelii, Roma 1666, p. 277, sembra ricavasse lo spostamento dall’interno lacustre verso il Mare. Nessuna di queste fonti, tuttavia, è citata dal Nostro, che verosimilmente non deve averle impiegate; dalle Tabulae del Mazzocchi, che Mola dichiarava di leggere, poteva ricavare l’origine greco-tirrenica del centro (cfr. infra, p. 145, n. 16).

«Anche oggi in quel sito confinante alla palude se ne veggon le rovine sepolte sotto l’onde del mare, ed in quel lido non è insolito di trovarsi monete, ed altre vetustissime anticaglie, come ultimamente una ben disegnata tabella votiva di basso rilievo eseguita in pietra indigena cenericcia di alto, e difficile intendimento, in cui presso a poco vedesi ricopiato il soggetto del famoso quadro di Parrasio rappresentante Meleagro ed Atalanta»14.

Ad attestare la posizione del centro greco e più antico è indicata una medaglia «in cui evvi per lo più da un lato il cavallo saltante, simbolo non equivoco di città marittima»15; per le altre testimonianze numismatiche semplicemente si rimandava alla Miscellanea del Magnan16. Altre indagini relative al sito salapino si trovano in uno scritto verosimilmente composto prima del 1782, ma pubblicato solo nel 1810, una Spiegazione del menzionato bassorilievo rinvenuto a Salpi. Qui apprendiamo con maggior chiarezza che il modello da cui Mola prendeva l’ipotesi del trasferimento di Salapia dal mare verso l’interno era l’Italia sacra dell’Ughelli.Questi, attraverso la personale rilettura di un passo vitruviano (1, 4, 12) di cui non citava direttamente l’autore, affermava: «Hanc vetustam civitatem M. Ostilianus Senatu Rom. permittente ab ora maritima ob coeli gravitatem in mediterraneis transtulit ad 4 milliarum»17. Mola, che citava esplicitamente l’Ughelli, ma non la fonte latina che probabilmente ignorava, parimenti ribadiva di Salapia: «trasferita quasi miglia quattro lungi dal mare su di una collina»18. Rimane che da questa originaria lettura derivava l’interpretazione delle altre testimonianze raccolte dal Nostro. Nella Spiegazione la registrazione dei reperti avvistati presso la costa era anche più dettagliata:

14 MOLA, Sul cangiamento del lido Apulo, cit., p. 2. 15 Ibid.

16 D.MAGNAN, Miscellanea numismatica in quibus exhibentur populorum insigniumque

virorum numismata omnia […], vol. III, Roma 1774, tavv. 40-41; simile indicazione numisma- tica si ricava anche in A.S. MAZZOCCHI, Commentariorum in regii Herculanensis musei aeneas tabulas Heracleenses, Napoli 1754, p. 36.

17 F.UGHELLI, Italia sacra sive de episcopis Italiae et insularum adiacentium, vol. VII,

Venezia 1721 (1659), col. 917; non si esclude che, secondo una tradizione ormai consolidata, l’Ughelli confondesse Vitruvio con Varrone; a quest’ultimo, infatti, riferiva la notizia della fon- dazione diomedea di Salpi, che, invece, è attestata nel primo.

18 E.MOLA, Spiegazione di un piccolo bassorilievo rinvenuto nel lido della greca Salpi, in

Atti dell’Accademia italiana di Scienze, Lettere, ed Arti, vol. I, t. 2, Livorno 1810, p. 214; per i problemi di datazione cfr. supra, p. 134, n. 41.

«In quel lido intanto, ove la prima e Greca Salpi era situata, non è difficile di osservar finoggi le reliquie di una città magnifica, vedendosi nel mare, allorch’è tranquillo, ruderi di colonne, di fabbriche laterizie, e simili cose, che additano un luogo di coltura, e di magnificenza»19.

Questa indicazione, per quanto generica, non è ininfluente, giacché sottende la capacità di attribuire i resti alla specifica cultura che li aveva prodotti: infatti, quando Mola attesta la «magnificenza» delle rovine è invariabilmente per ascriverle alla civiltà classica.

La città rifondata dai Romani «sotto la scorta di un tal M. Ostiliano» era localizzata: «Su di un colle assai piano, dove tuttavia se ne veggon le vestigia, e le divisioni delle mura, e de’ ripartimenti delle case, e ’l circuito dell’intera città occupato, come con mio piacere ho io più volte osservato» 20. Sembra evidente che le convinzioni del Mola riguardo allo sviluppo del centro salapino prendevano solo le mosse dall’autorità dell’Ughelli, per poi definirsi tra le conferme che l’autore cercava direttamente sul terreno. Il centro più interno, però, esulava dalle finalità precipue del Cangiamento, che nelle intenzioni dell’autore doveva esaminare soltanto la fascia costiera dell’Apulia. Nella successiva Peregrinazione letteraria l’indagine attraversò nuovamente il sito salapino; vi era riportato il medesimo schema insediativo ripreso dall’Ughelli, corroborato nuovamente dal passo di Licofrone e dalla medaglia «col cavallo, e col bue cadente, e l’epigrafe ΣΑΛΑΠΙΝΩΝ»21; della città marittima, cui si aggiungevano, ancora prese dall’Ughelli, la notizia della fondazione diomedea22 e quella pliniana dell’amante di Annibale (3, 103), era ancora registrata la presenza di rovine sommerse; con maggior precisione, tuttavia, esse erano localizzate «vicino la torre detta di Salpi»23. Più attenzione veniva posta sul

19 MOLA, Spiegazione di un piccolo bassorilievo, cit., p. 214. 20 ID., Sul cangiamento del lido Apulo, cit., p. 2.

21 ID., Peregrinazione letteraria, cit., luglio 1796, p. 12. 22 Cfr. supra, p. 145, n. 17.

23 Ivi, p. 13; sui problemi connessi al sito, alla storia e ai ritrovamenti di Salapia si rimanda

ai più recenti: G. DE VENUTO et al., Salapia. Storia e archeologia di una città tra mare e lagu- na, in «Mèlanges de l’École française de Rome. Antiquité», 127 (2015), 1; F. TINÉ BERTOCCHI

et al., Il sito, la storia e la riscoperta, in Salpia vetus. Archeologia di una città lagunare, E. Lippolis – T. Giammatteo (a cura di), Venosa 2008, pp. 43-76; per un raffronto con i moderni riscontri archeologici, cfr. il quadro d’insieme sull’area del porto offerto in G. VOLPE, La Dau-

nia nell’età della romanizzazione. Paesaggio agrario, produzione, scambi, Bari 1990, pp. 97- 98, e relativa bibliografia, insieme al fondamentale M. MARIN, Il problema delle tre «Salapia», in «Archivio storico Pugliese», 26 (1973), 3-4, pp. 365-388. Ponendo che la «torre detta di Sal- pi» coincida con località Torre Pietra, sembra doversi facilmente desumere che le rovine som-

centro interno di epoca romana, posto «miglia quindici presso a poco al ponente di Barletta», su di «una picciola, e spaziosa collina»24:

«Oggi altro non vedesi su la mentovata altura, che lo scheletro, per così dire, di una città coverta più di Canne dalle spine, e dai rovi. Scopresi tra que’ dirupi il giro delle sue mura, che quantunque interrate, son chiaramente arguite dai fossi corrispondenti, che vi si ravvisano. Distinguonsi le strade, i siti delle porte, e tutta la disposizione degli edifici. Veggonsi di parte in parte finanche i pozzi, e gli altri sotterranei luoghi comparire in mezzo a quelle vaste macerie; dappertutto sparsi si mirano mattoni, tegole, e sassi quadrati, dal tempo stritolati, e dispersi; oggetto di dolore per l’animo sensibile di un amatore delle antiche memorie; di contemplazione profonda per l’occhio sagace del Filosofo, il quale considera, come tacitamente si volgano in perpetuo circolo le grandezze de’ regni, e delle città, succedendosi vicendevolmente con eterna mutazione, e vertiginoso movimento di fortuna»25.

La chiosa finale d’ispirazione filosofica, che ricalcava un motivo topico dell’antiquaria moderna, nulla toglie a quello che rimane un abbozzo di topografia urbana antica; della città erano individuati almeno alcuni degli elementi essenziali, dalle mura alla rete viaria, agli edifici abitativi, fino a strutture identificate come pozzi e al materiale laterizio sparso.

Seguiva nel litorale la città di Barletta, identificata con l’emporio dei vicini Canosini ricordato da Strabone (6, 3, 9), poi ulteriormente popolata dagli stessi e dai fuoriusciti di Canne dopo la vittoria dei Cartaginesi; una deduzione etimologica, che voleva Barletta recante il significato di portus in litore – ma verso la quale l’autore non mostrava piena fiducia – avvalorava ulteriormente tale ipotesi26. Mola non prendeva posizione sulla fondazione diomedea di Canusium; piuttosto riportava quanto poteva dei resti di due antichi porti che si vedevano sul lido di Barletta. Va detto che tutte le informazioni, insieme alle

merse avvistate presso il lido e attribuite dal Mola a Salapia vetus corrispondano, in realtà, al nuovo porto, fatto costruire dai Romani dopo la ricostruzione della città, e non a quello menzio- nato da Strabone; mentre il «colle assai piano» con i ritrovamenti descritti dal Mola deve coin- cidere con la zona del Monte Salpi. Sulla rifondazione del centro, oltre ai testi già citati, cfr. an- che i fondamentali E. GABBA, La rifondazione di Salapia, in «Athenaeum», 61 (1983), 1-2, pp. 514-516, e M. MAZZEI –E.LIPPOLIS, Dall’ellenizzazione all’età tardorepubblicana, in La Dau-

nia antica. Dalla Preistoria all’Altomedioevo, M. Mazzei (a cura di), Milano1984, pp. 258-259.

24 MOLA, Peregrinazione letteraria, cit., luglio 1796, p. 12. 25 Ivi, p. 13.

ipotesi di insediamento, erano integralmente prese dalle note redatte un venticinquennio prima da Francesco Paolo De Leon27.

«Di questo porto antico, che serba ancora il nome di Caricatoio, si veggon tuttavia le orme sotto le mura della presente Città a destra della nuova magnifica porta di mare, che mena al suo molo. Si pretende, che sia stato lungo canne XLVI, e largo più di II, vedendosi cominciare sotto la chiesa di S. Cataldo, e finire al primo ponte del detto nuovo molo. Di esso canne XXIII sono tutte sotterra, e delle altre XXIII se ne veggon le rovine spuntare in parte fuori dell’arena. Dal che rilevasi, che ivi il mare siasi ritirato, soprattutto per le continue limose deposizioni dell’Ofanto […]»28.

Ai dati forniti dal De Leon Mola aggiungeva una plausibile spiegazione del fatto che alcune rovine si trovassero fuori della superficie marina, ancora inferendo sulle cause naturali della modificazione del paesaggio antico. Non passa inosservato che, pur aderendo generalmente alla cronologia adottata dal De Leon, l’autore evitasse di definire come greci i resti di quel molo, tantomeno azzardava, come invece faceva il suo modello, a datarne la fondazione al 1031 a.C.29 Di quello che era ritenuto il porto di età posteriore:

«Si ammirano anche oggi gli smisurati sassi collegati insieme senza calce col solo mezzo del vicendevole incuneamento, e de’ ferri, che gli stringevano. È un peccato, che colla restaurazione ultimamente fattavi siasi nascosta, o distrutta quella maravigliosa fabbrica destinata a riscuotere l’ammirazione de’ secoli futuri […]. È un tenimento di fabbriche in acqua lungo canne CXXII, di cui LXII dal 27 Cfr. F.P.DE LEON, Delle obligazioni della confratellanza del real Monte di Pietà di

Barletta […], Napoli 1772: per la testimonianza di Strabone, insieme al rilievo dell’antico porto ‘greco’, ivi, p. XIV, n. y; per l’identificazione tra questo porto e quello citato nel passo strabo- niano, («situato il Fiume nel mezzo, e di là Salpi, le di cui rovine belle, ed intatte si ammirano ancora oggidì, necessariamente il Porto de’ Canosini dovea esser qui»), l’anno di fondazione del centro e di costruzione del porto, posto al 1031 a.C., ivi, pp. XVI-XVII, n. y 4; per una sto- ria antica del centro e ripopolamento dei Romani nel IV e V sec. d.C., ivi, pp. CXCI-CXCII; ancora una storia antica del centro, con etimologia greca del nome di Barletta, ripopolamento dei Romani di Canusium dopo la vittoria di Annibale, costruzione del nuovo porto tra III e IV sec. d.C., ivi, pp. CXCVII-CCIX; per la descrizione dei due porti, ivi, pp. CXCVII-CXCVIII, n. 118; per la descrizione dell’‘isola’, ivi, pp. CCVI-CCVII, n. 130.

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