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Alcune lettere inedite della legazione di Baldassarre Carducci alla corte

di Francesco I (1529-1530)

Alessandro Monti Università di Pisa

La legazione di Baldassarre Carducci in terra di Francia (1529-1530) è sufficientemente conosciuta, nelle sue linee principali, attraverso i rapporti da lui inviati alla Signoria di Firenze, pubblicati nell’Otto-

cento da Desjardins e Canestrini 1. È altrettanto noto, tuttavia, come

le Négociations diplomatiques non siano esenti da lacune. In partico- lare, per quanto riguarda la legazione del Carducci, mancano comple- tamente le lettere inviate a Firenze nel trimestre marzo-maggio 1529; e tutte quelle scritte nei dieci mesi successivi alla pace di Cambrai – tra gli inizi di settembre 1529 e la morte dello stesso Carducci, ai primi di agosto dell’anno successivo – un periodo in realtà assai interessante (perché coincidente con i mesi dell’assedio di Firenze da parte delle truppe di Carlo V), per ricostruire il quale occorre necessariamente far

ricorso a documentazione archivistica inedita 2.

L’ultrasettantenne Carducci, celebrato dottore in legge e tra i massimi rappresentanti della fazione popolare degli Arrabbiati, era

1 A. Desjardins e G. Canestrini (a cura di), Négociations diplomatiques de la France

avec la Toscane, Paris, Imprimerie impériale, 1859-1865, vol. II.

2 Per il primo periodo si veda il registro copialettere (purtroppo pesantemente dan- neggiato) che si conserva in Archivio di Stato di Firenze (di qui in poi ASF), Signori Dieci di Balìa Otto di Pratica. Legazioni e commissarie missive e responsive, 27, cc. 173r-224v, che copre il periodo dall’8 aprile al 12 giugno 1529. Per i mesi succes- sivi alla pace di Cambrai si vedano invece ASF, Signori Dieci di Balìa Otto di Pratica. Missive, 12; e ASF, Dieci di Balìa. Responsive (da qui in avanti Resp.), 135 e 151.

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stato da sempre un convinto sostenitore dell’alleanza di Firenze con la Francia, con una partigianeria che certo non aiutava l’obiettività di analisi. Fin dai primi giorni della sua legazione nei suoi dispacci dalla Francia venivano così riferite, avvalorandole con enfasi, le numerose boutade di Francesco I, che – mentre a Cambrai già si trattava la pace – continuava a dirsi disposto a passare lui stesso in Italia per affrontare l’imperatore, e poi dichiarava la propria intenzione di guidare perso- nalmente una crociata contro i Turchi alla testa di un grande esercito cristiano; il tutto garantendo che mai avrebbe abbandonato gli alleati italiani (e fiorentini), e che anzi era piuttosto disposto a rinunciare ai

propri figli prigionieri 3. Di fatto, in presenza dell’ambasciatore fioren-

tino, il re francese aveva più volte espresso il proprio attaccamento alla città toscana, dichiarandosi assolutamente obbligato a intervenire in sua difesa. Tuttavia il rischio che la Maestà Cristianissima abbando- nasse le cose d’Italia era ben presente ai vertici politici fiorentini, che seguirono con preoccupazione, nel corso del 1529, gli avvisi sempre più insistenti di una prossima composizione tra il monarca francese e Carlo V; d’altra parte, l’ambasciatore fiorentino puntualmente regi- strava (e riportava nei suoi dispacci alla Signoria) le dichiarazioni dei gentiluomini del consiglio regio, e dello stesso sovrano, circa l’inten- zione di proseguire le ostilità o comunque di comprendere anche gli alleati italiani nella pace con l’imperatore.

Stupisce constatare come gran parte della dirigenza repubblicana –  nel valutare la situazione  – tenesse in quei mesi in seria conside- razione la prospettiva di una rinnovata attività militare francese, a

dispetto dei molteplici indizi in contrario 4. In questo errore di valuta-

zione aveva un suo ruolo anche la credulità dell’ambasciatore Carducci, il quale – convintamente filofrancese – se continuamente protestava la debolezza delle forze fiorentine e la necessità di un soccorso per salvare Firenze, «fortezza d’Italia», d’altra parte sembrava lui stesso

3 A.  Desjardins e G.  Canestrini, pp. 1053-1056 (26  marzo 1529); 1058-1063 (17 giugno); 1064-1068 (23 giugno).

4 A questo proposito cfr. la lettera dei Dieci a Ceccotto Tosinghi, 8 luglio 1529, in ASF, Dieci di Balìa. Missive, 102, c. 46rv; quella dell’oratore veneziano Cappello al doge Andrea Gritti, 8 luglio 1529, in ASF, Carte Strozziane. Seconda serie, 31, cc. 56r- 57v; e i rapporti di Piero Vettori dalla Lombardia del 27 e 31 luglio e 2 agosto 1529, pubblicati in S. Lo Re, La crisi della libertà fiorentina. Alle origini della formazione

politica e intellettuale di Benedetto Varchi e Piero Vettori, Roma, Edizioni di storia e

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volersi persuadere che la Maestà del Re non avrebbe abbandonato la tanto fedele città toscana, e in tale convincimento era disposto a dare

orecchio al canto di qualsiasi sirena 5.

Ai primi di agosto, con la pace di Cambrai, Francesco I abbandonava i suoi alleati italiani al proprio destino. Notizie della conclusione di una pace arrivarono a Firenze già il 7 agosto, ma una conferma certa e infor- mazioni dettagliate giunsero soltanto il 20: dalle lettere del Carducci e da altri avvisi arrivati dalla Francia si venne così a sapere che l’accordo era stato «publicato solennemente, del quale sono exclusi li venetiani

et noi» 6. Un’esclusione, quella dei collegati, che «sarà una perpetua

memoria a tutta Italia di quanto sia a prestar fede alle loro collegazioni, promesse e giuramenti», commentò l’amareggiato ambasciatore.

Le Négociations diplomatiques si interrompono poco dopo, con la lettera del Carducci ai Dieci del 2 settembre 1529. Nei mesi successivi – mentre Firenze affrontava l’assedio portatole dalla coalizione delle truppe imperial-papaline – il Carducci continuò insistentemente, pur senza alcun successo, a cercare da Francesco I aiuti finanziari per la Repubblica, e i suoi rapporti dalla corte avrebbero contribuito ad ali- mentare nei fiorentini le speranze di un imminente soccorso francese. Già da agosto – quando l’assedio di Firenze ancora non era iniziato ma già sembrava inevitabile  – l’attività del Carducci si orientò alla

ricerca di un “subsidio” per la difesa della città 7: un aiuto, sostanzial-

mente economico, che avrebbe dovuto essere elargito nella massima segretezza per non infrangere le condizioni della pace e non mettere in pericolo la vita dei due figli del re, ancora prigionieri di Carlo V.

Continuamente promessa, la “subsidione” ai fiorentini veniva altrettanto continuamente rimandata, proprio nel «timor che Cesare non prendesse occasione di denigargli li figlioli». Il re aveva comunque affidato la questione nelle mani di Philippe Chabot, l’ammiraglio di Brion, ai quali i fiorentini avrebbero dovuto inviare un agente fidu-

ciario per accordarsi 8. La realtà era che il monarca francese, che aveva

5 A. Desjardins e G. Canestrini, pp. 1081-1087 (10 luglio 1529), 1087-1094 (22 luglio) e 1098-1102 (3 agosto).

6 ASF, Dieci di Balìa. Missive, 102, cc. 104v-105r, 21 agosto 1529. 7 A. Desjardins e G. Canestrini, pp. 1106-1111 (16 agosto 1529).

8 Cfr le lettere di Carducci ai Dieci in ASF, Resp. 151, cc. 4r-5r; 6rv (9 ottobre) e c. 1r (11 ottobre). In quegli stessi giorni l’Ammiraglio si trasferiva a Piacenza per giu- rare, in rappresentanza del suo re, la pace stabilita alcuni mesi prima a Cambrai.

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già perso due guerre contro l’imperatore, non aveva nessuna inten- zione di tornare a sfidarlo, almeno finché questi avesse mantenuto prigionieri i suoi figli. Per questo, come riconosceva lo stesso Carducci, nelle discussioni con i francesi occorre accettare «la excusatione dello interesse potentissimo, della affectione paterna avida della reden-

tione de’ figliuoli» 9; e tuttavia questo non impediva ai gentiluomini

del consiglio del re di lusingare l’ambasciatore, garantendogli la «vit- toria manifesta» di Firenze. L’alleanza imperial-papalina non era fatta per durare, si dicevano certi i consiglieri del re, e il papa non aveva sufficienti risorse per finanziare a lungo la guerra: per questo la città doveva sforzarsi di «sostenere più che si può questa impresa», nell’at- tesa che un cambiamento nella situazione permettesse l’arrivo di aiuti

francesi 10. Alla fine di novembre 1529, nessuna decisione si era concre-

tizzata, e al Carducci appariva chiaro che un eventuale soccorso dalla Francia doveva attuarsi «sanza alteratione delle conventioni fatte con Cesare», onde evitare «cosa alcuna che havvesse a impedire la tanto

desiderata redemptione de’ figli» 11.

Una soluzione sembrò trovarsi soltanto intorno alla metà del marzo successivo (1530), quando si ipotizzò che un “subsidio” si potesse ottenere attraverso una “assegnazione” ai mercanti della comunità fiorentina di Lione, saldando a questi ultimi crediti per oltre 55 000 scudi che vantavano verso la Corona – parte dei quali sarebbero stati girati in beneficio della difesa della città. In tal modo, si sarebbe raggiunto l’effetto sperato senza che Francesco I potesse essere accu- sato di tradire gli accordi di Cambrai. Tra dimostrazioni di ottimismo e false speranze – continuamente alimentate dal re e dagli uomini del suo consiglio (in particolare dal cancelliere Duprat, dall’ammiraglio di Brion e dal Gran Maestro, il Montmorency) – su questa ipotesi il Car- ducci continuò a lavorare fino all’ultimo, senza in realtà che si conclu-

desse alcunché 12. La positiva soluzione dell’accordo per la «provvisione

de danarj» veniva ogni volta confermata ma comunque rimandata 13, in

9 ASF, Resp. 151, cc. 8r-9r, 21 ottobre 1529.

10 ASF, Resp. 151, cc. 10r-11v, 24 ottobre 1529. 11 ASF, Resp. 151, cc. 85r-87r, 25 novembre 1529. 12 ASF, Resp. 151, c. 367rv, 27 aprile 1530. 13 ASF, Resp. 151, cc. 478r-480r, 11 maggio 1530.

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attesa della «recuperatione dei figliuoli» 14, mentre da parte francese si

prospettava anche una possibile iniziativa di mediazione nei confronti

di Clemente VII 15.

Contemporaneamente, i fiorentini giocavano anche un’altra par- tita diplomatica, cercando aiuto anche presso Enrico  VIII: anche di questa trattativa ci resta traccia nelle lettere che pubblichiamo in appendice. Di un possibile aiuto economico inglese si parlava fin dal novembre 1527, quando ambasciatore a Enrico VIII era stato nominato

per un breve periodo Pier Francesco Portinari 16. Enrico, che doveva

cercare la benevolenza di Clemente VII per ottenere l’assenso al pro- prio divorzio da Caterina d’Aragona, non voleva irritare la Santa Sede appoggiando i fiorentini. Per questo, il suo atteggiamento verso la Repubblica era stato fino allora altalenante, finché il Portinari non fu

richiamato in patria e i rapporti interrotti nell’autunno 1528 17.

Nel frattempo però lo scontento di Enrico VIII verso quel papa che non voleva acconsentire al suo divorzio era cresciuto: e le relazioni diplomatiche con Firenze vennero così sostanzialmente riallacciate attraverso la mediazione di Francesco Bardi, il più influente mercante fiorentino tra quelli di base a Londra, che poi sul finire di maggio 1530 sarebbe stato ufficialmente incaricato di riattivare la missione diplo-

matica londinese 18.

Oltre che alla corte di Enrico VIII, trattative si svolgevano anche a quella di Francesco I, tra l’ambasciatore Carducci e il conte di Wiltshire, Thomas Boleyn, che si era fermato in Francia di ritorno da un’inutile ambasciata a Clemente VII. Al Carducci l’inviato inglese aveva più volte riferito la volontà del suo re perché la libertà di Firenze non fosse can- cellata, e il Boleyn si era fatto mediatore con Francesco I per ottenere

14 Archivo General de Simancas (AGS), Estado, foll.  173 (originale in cifra) e 175 (decifrato), 4 giugno 1530.

15 ASF, Resp.  151, cc.  494r-495r, 11  giugno 1530; c.  497r, 15  giugno; cc.  492r-493v, 27 giugno; e cc. 490r-491v, 30 giugno.

16 Si riferisce a questo periodo anche il Libretto giallo segnato F del partito fatto con la

Maestà del Re e chomunità di Firenze, conservato in Firenze, Archivio Ginori, 217.

Ringrazio la professoressa Cinzia M. Sicca per la cortese segnalazione.

17 Sui rapporti tra la Firenze repubblicana e l’Inghilterra di Enrico VIII, cfr. C. Roth,

England and the Last Florentine Republic, 1527-1530, «The English Historical Review»,

vol. XL, n. 158, aprile 1925, pp. 174-195.

18 ASF, Dieci di Balìa. Legazioni e commissarìe, 48, cc. 141v-142r (10 maggio 1530) e 144r-145r (30 maggio 1530).

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un finanziamento congiunto anglo-francese che era stato stabilito in

ventimila scudi 19: qualche settimana dopo, forse a causa della scarsa

propensione del Cristianissimo a contribuire all’impresa, all’amba- sciatore fiorentino era stata poi comunque prospettata – come riferì nel suo dispaccio del 15 giugno – la possibilità di un finanziamento inglese alla causa repubblicana, per un importo che fu concordato in

trentamila ducati da pagarsi in due tranche 20. La somma, insieme a

quella che sarebbe stata raccolta dalle colonie mercantili fiorentine in Francia e in Inghilterra (che avevano raccolto poco più di 5 000 ducati), sarebbe dovuta servire ad arruolare nuove truppe mercenarie da con-

centrare in Pisa 21: un esercito di soccorso che avrebbe dovuto marciare

su Firenze, per liberare la città assediata, secondo un piano elaborato già tra febbraio e marzo.

Sul finire di luglio, gravemente malato, l’oratore fiorentino scrisse al Montmorency, per segnalare l’arrivo di un inviato straordinario della Repubblica, Luigi Alamanni, che l’avrebbe affiancato da quel

momento in poi 22. Per poco tempo, in realtà: Baldassarre Carducci

sarebbe morto ad Angoulême di lì a una settimana, il 6 agosto 1530, pochi giorni prima della resa di Firenze.

19 AGS, Estado, 1438, foll. 172 (originale in cifra) e 174 (decifrato), 2 giugno 1530. 20 ASF, Resp. 151, cc. 497r (originale) e cc. 495rv (decifrato), 15 giugno 1530. La somma

di trentamila ducati, in lettere di cambio, viene ricordata anche nella lettera scritta da Miçer Mai a Carlo V, in AGS, Estado, 851, ff. 32-33, 26 maggio 1530, secondo la quale i re di Francia e d’Inghilterra avevano dato ai fiorentini nuove speranze di aiuto dopo la restituzione dei Delfini.

21 AGS, Estado, 851, fol. 11 (altra copia in Estado, 850, fol. 16).

22 G. Molini, Documenti di storia italiana copiati su gli originali autentici e per lo più

autografi esistenti in Parigi, 2 voll., Firenze, All’insegna di Dante, 1836-1837: vol. II,

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