Alcuni temi decisivi della «nova filosofia»
neLa cena de le Ceneri
L’universo infinito omogeneo
La cosmologia di Bruno prende le distanze dall’astronomia copernicana, presentando una nuova concezione fisica dell’universo sostenuta da principi metafisici: se Copernico aveva dimostrato la validità del proprio sistema eliocentrico attraverso un ragionamento di tipo matematico, Bruno cerca di fondare la realtà fisica del nuovo universo attraverso il ricorso a temi metafisici. La visione cosmologica bruniana scaturisce dunque da una corrispondenza tra i nuovi principi fisici e i concetti ontologici della propria filosofia: questi due aspetti sono profondamente legati nella riflessione del filosofo e hanno creato le premesse per lo sviluppo della «nova filosofia». Solo a partire da una profonda me- ditazione di matrice filosofica, Bruno arriverà a sostenere l’idea di un infinito fisico in natura. La teoria dell’infinito – che rappresenta uno degli aspetti fondanti della sua filo- sofia – deriva dal nesso tra fisica e metafisica, e da un nuova riformulazione dei concetti di spazio, vuoto, materia, in contrapposizione alla tradizione aristotelica. Una nuova considerazione del concetto di infinito consente a Bruno di istituire anche una diversa interazione tra il finito e l’infinito, le difficoltà nel concepire il corretto rapporto tra i due concetti, dovute a un’errata concezione da parte di filosofi e teologi, i quali avevano finito per attribuire le due nozioni ad un unico soggetto. Si pensi al dogma dell’Incarnazione, che aveva annullato le differenze fondamentali tra il finito (uomo) e l’infinito (Dio); e alla
spazio. Tali credenze saranno contestate da Bruno nel corso di tutta la sua trattazione: la «nova filosofia» si propone il compito di istituire un nuovo ordine di rapporti tra Dio, uomo e natura225. L’idea di universo infinito è presentata fin dall’inizio del primo dialogo
dellaCena, come l’effetto dell’infinita potenza di Dio:
«conoscemo che non è ch’un cielo, un’eterea reggione inmensa, dove questi magnifici lumi serbano le proprie distanze, per comodità de la partecipazione de la perpetua vita. Questi fiam- meggiamenti corpi son que’ ambasciatori, che annunziano l’eccellenza de la gloria e maestà de Dio. Cossì siamo promossi a scuoprire l’infinito effetto dell’infinita causa, il vero e il vivo vestigio de l’infinito vigore».226.
Con questa visione filosofico-cosmologica Bruno intende superare la concezione aristo- telica dell’universo e i limiti dell’astronomia copernicana, collegandosi alla concezione dell’infinità che ebbe origine presso i greci, dai Pitagorici agli atomisti, ripresa e ampliata da Epicuro e Lucrezio nei secoli successivi227. Il Nolano vuole restituire agli uomini la
vera immagine della natura, cercando di risolvere il problema dell’infinità dell’universo, lasciato in sospeso da Copernico: «sia dunque finito o infinito il mondo, lasciamolo alle dispute dei naturalisti, avendo per certo che la Terra, conclusa nei suoi poli, è limitata da una superficie sferica»228. Nel capitolo sesto del primo libro del De revolutionibus,
intitolato significativamente Dell’immensità del cielo in rapporto con la grandezza della Terra, l’astronomo sostiene che «questa massa così grande della Terra sia ben poco con la grandezza del cielo (. . . ). Il cielo, in confronto con la Terra, è immenso e offre l’aspet- to di una grandezza infinita, ma per la valutazione del senso la Terra è per rapporto al cielo come un punto rispetto a un corpo e il finito all’infinito»229. Pur avendo ampliato
le dimensioni della sfera stellare, l’astronomo polacco si rifiuta di considerare l’univer-
225Cfr. E. FANTECHI, Tra Aristotele e Lucrezio. La concezione dello spazio nella teoria cosmologica di
Giordano Bruno, «Rinascimento», 2008, p. 557 e p. 574.
226G. BRUNO,La cena de le Ceneri, cit., p. 29.
227Cfr. A. KOYRÈ,Dal mondo chiuso all’universo infinito, p. 13. 228N. COPERNICO,De revolutionibus, cit., p. 73.
so infinito. Egli non dice mai che il mondo visibile, la sfera delle stelle fisse, è infinito, ma soltanto che è talmente grande che la Terra, se paragonata al cielo, appare come un punto. Infatti, l’aggettivo «immenso» indica piuttosto ciò che è «incomparabile per il senso», ovvero incommensurabile e indefinito, dato che «fino a dove si estenda questa immensità non si sa affatto»230. Sarà Bruno ad attribuire un diverso significato al termi- ne «inmenso», facendone uno dei punti chiave della sua filosofia: a partire daLa cena de le Ceneri questo lemma definirà la sua idea di universo infinito omogeneo e verrà im- piegato sia in forma di endiadi insieme all’aggettivo ‘infinito’, per designare un universo illimitato, sia in forma di sostantivo, per definire l’universo nel suo complesso231.
Bisogna quindi riconoscere che l’universo copernicano è finito, chiuso dalla sfera mate- riale delle stelle fisse: l’insegnamento dell’astronomo riflette, per certi versi, l’idea del cosmo tramandata dalla tradizione aristotelico-tolemaica. Bruno è consapevole che per istituire una nuova concezione dell’universo è necessario prima di tutto confutarne la versione fondata sulla dottrina aristotelica. Proprio Aristotele nella Fisica e ne Il cielo aveva respinto l’idea di infinito sostenuta da alcuni filosofi antichi. Si pensi ad Anassi- mandro, Anassimene e Anassagora, i quali furono indotti dalla dottrina dell’infinità della materia a credere nell’esistenza di innumerevoli mondi. In particolare, lo Stagirita fa ri- ferimento ai fondatori dell’atomismo del V secolo a.C., Leucippo e Democrito232, i quali
supposero che la materia fosse composta da un numero infinito di corpuscoli (finiti e indivisibili), in continuo movimento in uno spazio infinito233. La concezione dell’infinito verrà confutata da Aristotele inFisica, III, 4-8, e Il cielo, I, 5-9. In quest’ultimo trattato il filosofo propone di accertare se possa esistere, di fatto, un corpo dotato di estensio- ne infinita. Attraverso una serie di prove fisico-matematiche, lo Stagirita mostra come nessun corpo possa essere infinito, e come l’infinito non possa compiere né subire alcun
230Ivi, pp. 59–63; A. KOYRÈ, Dal mondo chiuso all’universo infinito, p. 32.
231Cfr. I. RUSSO,Immenso, in Giordano Bruno. Parole, concetti, immagini, a cura di M. CILIBERTO, Edizio-
ni della Normale, 2014, pp. 929–933. Alcune dimostrazioni di questo primo orientamento si possono rintracciare nelDe l’infinito, universo e mondi, quando il filosofo definisce l’universo «infinito ed imm- neso» (p. 327), «immenso et infinito» (p. 375); mentre, la relazione tra il concetto di universo e infinito è presente nel secondo libro delDe immenso.
232Cfr. ARISTOTELE,Il cielo, I, 7, 276a, p. 173.
tipo di movimento. «Il cielo ruota e tutto intero si rivolge in circolo in un tempo fini- to, sicché percorre nella sua totalità la circonferenza interna, per esempio il segmento AB. Dunque, il corpo che si muove circolarmente non può essere infinito»234. Da ciò
ne consegue necessariamente la finitezza dell’universo sensibile, nonostante il carattere infinito ed eterno del primo motore.
La concezione aristotelica di un cosmo finito, creato da una una potenza infinita, venne assimilata dalla religione cristiana senza subire alcuna consistente alterazione. Infatti, nella tradizione teologica antica, la potenza infinita di Dio era considerata compatibile con una creazione divina finita e con un movimento del mondo finito. Secondo Bruno, invece, l’idea di una natura finita non è conforme alla potenza di Dio, in quanto impedi- sce di postulare l’infinitezza di Dio e della sua stessa potenza: infatti, un universo finito non può che essere stato creato da una potenza finita235. Il problema per Bruno è dunque
quello di conciliare l’infinità di Dio e della sua potenza con un universo corporeo finito. La realizzazione da parte di Dio di un cosmo limitato sembra essere impossibile per il filosofo, in quanto si verrebbe a creare una sproporzione radicale tra il potere divino e gli effetti della sua azione.
L’inadeguatezza della teoria aristotelico-cristiana divenne evidente, secondo Bruno, so- prattutto in seguito alla manifestazione di diversi fenomeni celesti, in particolare lanova del 1572 e le comete del 1577 e del 1580. Molti avevano interpretato la comparsa delle comete come un fenomeno riguardante la regione celeste, considerata da Aristotele im- mutabile e incorruttibile. Il problema fu quello di conciliare l’idea di una creazione finita con la presenza di nuovi corpi celesti mai visti prima. I teologi cercarono di giustificare la manifestazione di questi segni ricorrendo ad una distinzione tra potentia ordinata e potentia absoluta di Dio: la prima si manifesta nel corso di una creazione ordinaria, men- tre la seconda rappresenta unplus di potenza che eccede il corso ordinario e regolare della natura. I nuovi fenomeni celesti venivano quindi interpretati come miracoli divini,
234Cfr. ARISTOTELE,Il cielo, I, 5, 272a-272b, pp. 147-153.
235NelDe l’infinito l’autore si concentra su questo problema, sostenendo che «chi dice l’effetto finito, pone
l’operazione e la potenza finita (. . . ). Dumque chi nega l’effetto infinito nega la potenza infinita», cfr. G. BRUNO,De l’infinito, p. 337.
derivanti da un atto combinato tra le due potenze. Bruno rifiuta questa distinzione in quanto ritiene che la legge naturale-divina è immutabile e universale: l’effetto dell’azio- ne di Dio è unico e infinito236. Se si ammettesse il contrario, si verrebbe a verificare una
discrepanza tra l’infinità della causa e il carattere finito dell’effetto: per il Nolano non c’è ragione di affermare che Dio possiede una potenza infinita se poi lo si rende finito nella sua produzione. Questo ragionamento lo spinge ad affermare che la potenza infinita di Dio produce necessariamente un universo infinito nel tempo e nello spazio237. In questo modo viene a cadere anche la distinzione tra potenza infinitaestensiva e intensiva: se- condo la tradizione aristotelico-cristiana il moto del primo mobile (sfera della stelle fisse) è dotato di un vigore infinito, poiché potrebbe imprimere ai corpi un impulso infinito, muovendoli in un solo istante (infinità estensiva); l’esperienza mostra in realtà come tut- ti i movimenti non siano mai istantanei ma si sviluppino in un intervallo di tempo finito (infinità intensiva). Questo significa che il principio motore è infinito estensivamente, perché trasmette eternamente il moto alle sfere, ma non intensivamente, poiché il mo- vimento avviene in un arco temporale finito238.
Se Aristotele aveva ammesso solo l’esistenza di un infinito in potenza, Bruno sostiene che «la potenza coincide con l’atto e l’universo è tutto quello che può essere, quanto da altre raggioni, si conchiude ch’il tutto è uno»239. L’infinita potenza di Dio implica necessaria-
mente l’infinità dell’universo: il ragionamento di Bruno mira a dissolvere i presupposti teorici della gerarchia aristotelica. Tuttavia, questo non significa che il confine tra Dio e universo si dissolva, consumandosi del tutto grazie all”identificazione dell’uno e dell’al- tro: la differenza riguarda ora la nozione di infinito, in quanto Bruno pone due modi di
236Cfr. M. A. GRANADA, Il rifiuto della distinzione tra potentia absoluta e potentia ordinata di Dio e
l’affermazione dell’universo infinito in Giordano Bruno, pp. 495 - 532.
237Cfr. M. A. GRANADA,Blasphemia vero est facere Deum alium a Deo. La polemica di Bruno con l’aristote-
lismo a proposito della potenza di Dio, in Letture bruniane I-II del Lessico Intellettuale Europeo. 1996-1997, a cura di E. CANONE, 2002, pp. 151-162.
238Cfr.ivi, pp. 162-188; G. BRUNO, De l’infinito, pp. 338-339 e pp. 1126–1127.
239G. BRUNO,De la causa, principio et uno, a cura di M. CILIBERTO, in Dialoghi filosofici italiani, Milano,
intendere tale concetto, l’uno in relazione all’universo, l’altro in relazione a Dio240:
«Io dico l’universo “tutto infinito” perché non ha margine, termino, né superficie; dico l’uni- verso non essere “totalmente infinito” perché ciascuna parte che di quello possiamo prendere è finita, e de mondi innumerabili che contiene, ciascuno è finito. Io dico Dio “tutto infinito” perché da sé esclude ogni termine, et ogni suo attributo è uno et infinito; e dico Dio “totalmente infi- nito” perché tutto lui è in tutto il mondo, et in ciascuna sua parte infinitamente e totalmente; al contrario de l’infinità de l’universo, la quale è totalmente in tutto, e non in queste parti (. . . ) che noi possiamo comprendere in quello»241.
L’universo è infinito perché è composto da innumerevoli parti finite, mentre Dio è infini- to totalmente poiché nell’unità della sua sostanza tutti i suoi attributi sono ugualmente infiniti e coincidono in modo perfetto. Ricorrendo alla teoria dellacoincidentia opposito- rum di Cusano, Bruno crede che tutte le forme opposte di essere si integrino nell’unità divina, formando in tal modo un’unica identità con tutto ciò che è compreso tra gli op- posti. Da questa unità divina ha origine l’universo infinito, che discende dall’identità assoluta e presenta proprietà simili al principio onnipresente. Per queste ragioni, l’uni- verso è un infinito attuale, qualcosa di infinitamente grande, uno spazio fisico in cui il minimo e il massimo coincidono242. La coincidenza degli opposti nell’universo conduce
Bruno all’affermazione di quello che è stato definito “principio di indifferenza”: l’equiva- lenza formale di tutte le strutture, con la realizzazione dei medesimi fatti ovunque nello spazio indifferente. Nell’universo bruniano ogni gerarchia o elemento qualitativamente distinto viene eliminato: la materia si comporta in modo indifferente prima che si for- mino le sue differenze sensibili. Pertanto, non esiste alcuna distinzione tra la condizione materiale dei corpi terrestri e quella dei corpi celesti. Se la filosofia naturale di Aristo-
240Cfr. M. CILIBERTO,Infinito e tempo nel pensiero di Giordano Bruno, in Filosofia del tempo, a cura di L.
RUGGIU, Milano, Mondadori, 1998, p. 100.
241G. BRUNO,De l’infinito, cit., p. 335.
242Cfr. A. BONKER-VALLON,I paradossi dell’infinito nel pensiero filosofico-matematico di Giordano Bruno,
tele aveva affermato l’eterogeneità della materia, partendo dal presupposto delle qualità diverse dei corpi, da cui derivano proprietà fisiche diverse, con la sua concezione indif- ferenziata dello spazio Bruno rimuove il fondamento di tali distinzioni. In tal modo, si stabiliscono delle condizioni identiche per tutti i processi che hanno luogo nel cosmo243. L’universo infinito è dunque pensato come uno spazio corporeo continuo, in quanto è espressione della pienezza di Dio. La materia occupa interamente lo spazio, per cui l’u- niverso è tutto pieno: se la materia è quantitativamente infinita, anche lo spazio dovrà essere infinito. Prendendo ancora una volta le distanze dalla concezione aristotelica, il filosofo si richiama alla tradizione filosofica antica di Democrito, Epicuro e Lucrezio, secondo la quale l’infinità dello spazio implica necessariamente l’infinità della materia. Questa materia che pervade lo spazio accoglie l’esistenza del vuoto, inteso come un ente, cioè come un altro genere di materia: accanto allo ‘spazio pieno’ è necessario porre uno ‘spazio vuoto’ per consentire il movimento dei corpi. In questo modo si stabilisce anche l’identità tra materia e spazio244. In particolare, Bruno si ispira alDe rerum natura di Lucrezio, dove i concetti di spazio e vuoto sono profondamente connessi. La struttura dell’universo è costituita, per Lucrezio, da un’alternanza di materia e vuoto: la materia si identifica con gli atomi, mentre il vacuo coincide con lo spazio, e quindi con la dimensio- ne attraverso cui si svolge il movimento degli atomi. La visione aristotelica che riduce il vuoto a mera privazione è stata respinta da Lucrezio: il vuoto rappresenta il fondamento necessario per l’attività generativa della materia e si configura come la condizione che predispone lo spazio a ricevere la totalità dei corpi. Il termine utilizzato per designare propriamente il vuoto èinane, che esprime la sua alterità ontologica rispetto alla mate- ria245.
Tale concezione sarà accolta da Bruno nel proprio sistema e costituirà il presupposto
243Cfr. A. BONKER-VALLON,L’unità del metodo e lo sviluppo di una nuova fisica. Considerazioni sul
significato del De l’infinito, universo e mondi di Giordano Bruno per la scienza moderna, «Bruniana Campanelliana. Ricerche filosofiche e materiali storico-testuali», VI, 2000/I, pp. 39-44.
244Cfr. M. CAMPANINI,L’infinito e la filosofia naturale di Giordano Bruno, «Acme», XXXIII, 1980, pp.
352-354.
245Cfr. E. FANTECHI, Tra Aristotele e Lucrezio. La concezione dello spazio nella teoria cosmologica di
logico-fisico della sua infinità spaziale. Il vuoto costituisce l’essenza dello spazio, che in alcun modo deve essere concepito come un intervallo in atto privo di materia, ossia come un vuoto interstiziale posto tra i vari corpi o come una regione vuota al di fuori dell’u- niverso fisico. Il filosofo intende per vacuo «quello in cui può esser corpo, e che può contener qualche cosa, et in cui sono gli atomi et i corpi; e lui solo [Aristotele] definisce il vacuo per quello che è nulla, in cui è nulla e non può essere nulla»246. Egli respinge
dunque l’idea di vuoto separato dal corpo, che identificherebbe lo spazio con il nulla. Piuttosto, il «vacuo» può essere pensato come un’infinita figurabilità, cioè un’infinita capacità di assumere su di sé tutte le qualità naturali. La sua attitudine specifica consi- ste nella sua capacità di ricevere indifferentemente ogni natura corporea, senza subire alcuna alterazione, in modo da configurarsi come uno spazio vuoto-pieno247.
Da questo punto di vista, il vacuo è la pura dimensionalità dello spazio, capace di riceve- re, in virtù della sua incorporeità, il corpo sottile e il corpo solido. Negli articoli XXXIV, XXXV e XXXVI dell’Acrotismo cameracense Bruno definisce il vuoto come «lo spazio in cui è contenuta una molteplicità di corpi», necessario al movimento, «dato che ogni cosa si muove o dal vuoto o verso il vuoto o nel vuoto»; e infine il vuoto è detto come «un luogo senza corpo o uno spazio in cui è il corpo»248. Secondo questa concezione, il vuoto si intende separato dai corpi
«o in quanto consegue una natura distinta dai corpi, o in quanto è interposto tra gli stessi per distinguerli. Si dice anche incluso, assorbito, insito nei corpi a causa della coincidenza delle sue dimensioni con le dimensioni dei corpi. Infine, è detto un unico continuo infinito in quanto, oltre a prender forma dai corpi particolari, è esso stesso l’unico sostrato che li accoglie, contiene, termina e comprende tutti, altro dall’universo, dalla massa dei corpi particolari e termine di essi,
246G. BRUNO,De l’infinito, cit., p. 348.
247Cfr. B. AMATO,Spazio, in Enciclopedia bruniana e campanelliana, Giornate di studi 2001-2004, I, pp. 151-
154 eLa nozione di vuoto in Giordano Bruno, «Bruniana Campanelliana. Ricerche filosofiche e materiali storico-testuali», III, 1997/2, pp. 212-222. In quest’ultimo contributo, l’autrice individua due diverse accezioni di vuoto: «sotto un certo rispetto, dunque per vacuo si intende la natura corporea dell’etere (. . . ). Sotto un altro, vacuo è la pura dimensionalità dello spazio, capace di ricevere, in virtù della sua incorporeità, il corpo sottile e il corpo solido».
ed è esso stesso che assume diverse denominazioni»249.
Tale concezione dello spazio vuoto può esser compresa prendendo in analisi altri con- cetti ricorrenti nella cosmologia di Bruno, i quali sembrano essere direttamente correlati alla teoria del “vacuo”. In diversi luoghi delle sue opere, e forse per la prima volta nella Cena de le Ceneri, il filosofo definisce l’universo come un’«eterea reggione»250. Questo
significa che l’universo infinito non è semplicemente composto dai quattro elementi tra- dizionali, ma è tutto pieno di una sostanza definita «etere»: la sua natura è semplice e pura, omogenea e indeterminata rispetto a qualsiasi qualità corporea, e per questo in grado di accoglierle tutte indifferentemente. L’etere non è soltanto lo spazio universale su cui si dispongono i mondi e i corpi composti, ma è in grado di ricevere le qualità di tutti quei principi attivi che consentono la vita nell’universo: «non conosce determinata qualità, ma tutte porgiute da vicini corpi riceve e le medesime con suo moto alla lun- ghezza de l’orizzonte dell’efficacia di tali principi attivi transporta»251. A differenza del corpo solido, composto da un’aggregazione di elementi diversi, l’etere è formato da una struttura omogenea: la divisione operata dalle componenti che lo attraversano non de- termina la sua corruzione, in quanto con la separazione delle sue parti non viene meno la sua natura. L’etere è una sostanza spirituale priva di una natura determinata, che «con- tiene e penetra ogni cosa; il quale, in quanto che si trova dentro la composizione (. . . ), è comunemente nomato “aria”, quale è questo vaporoso circa l’acqui et entro il terrestre continente»252. NelDe l’infinito, quando Teofilo cerca di chiarire la differenza tra mondo