La concezione del sistema eliocentrico
di Giordano Bruno
Verso la «nova filosofia»
Nella primavera del 1583 Bruno decise di lasciare Parigi per intraprendere una nuova esperienza in Inghilterra, in cui sperava forse di ottenere maggior riconoscimento ver- so la propria filosofia. Non sono molto chiari i motivi che spinsero il filosofo a lasciare la corte di Enrico III, in cui aveva avuto esperienze molto importanti e risultati signi- ficativi: conseguì un notevole successo grazie alle sue lezioni sull’arte della memoria; ottenne il titolo di «lettore straordinario», entrando a far parte dei lettori reali al Collège di Cambrai; pubblicò alcune delle sue opere più importanti come ilDe umbris idearum e ilCandelaio. Se prendiamo in considerazione i temi politici e culturali di quest’ultima opera, in cui si contestava la superstizione della religione cattolica e si prendeva posi- zione contro il partito filospagnolo dei Guisa, si possono comprendere alcuni dei motivi che probabilmente spinsero Bruno a lasciare la Francia. Anche nelle dichiarazioni agli inquisitori veneti si allude al pericolo di una grave tensione politica, dove la riorganiz- zazione del partito dei Guisa era sfociata nella richiesta del riconoscimento dei decreti tridentini contro l’eresia. La situazione di crisi politica e religiosa sembrava preannun- ciare lo scoppio imminente di una guerra civile, che rischiava di coinvolgere lo stesso Bruno, già aspramente contestato in seguito alla pubblicazione delle sue opere. Furono
forse questi i principali motivi che lo spinsero a trasferirsi in Inghilterra68.
Nella primavera del 1583, fornito di lettere di raccomandazione da parte di Enrico III per il proprio ambasciatore a Londra Michel de Castelnau, Bruno giunse in Inghilterra. Proprio grazie all’aiuto di Castelnau, egli riuscì ad arrivare ad Oxford al seguito del prin- cipe polacco Laski tra il 10 e il 13 giugno del 1583. Durante questi giorni Bruno cercò di inserirsi nelle dispute filosofiche: la presenza di tanti illustri dottori lo spinse a parte- cipare ad una di queste discussioni, in modo da mettere in mostra la grandezza del suo ingegno e la potenza della propria dottrina. In questa occasione di grande festa decise di scendere in campo contro John Underhill, uno dei più autorevoli dottori inglesi, come è da lui stesso confermato in alcune battute dellaCena:
«E se non ci credete, andate in Oxonia e fatevi raccontar le cose intravenute al Nolano, quan- do publicamente disputò con que’ dottori in teologia in presenza del prencipe Alasco polacco, et altri della nobiltà inglesa; fatevi dire come si sapea rispondere a gli argomenti: come restò per quindeci sillogismi, quindeci volte qual pulcino entro la stoppa quel povero dottor (. . . ); fatevi dire con quanta inciviltà procedea quel porco, e con quanta pazienza et umanità quell’altro che in fatto mostrava essere napolitano nato et allevato sotto più benigno cielo».69
La sua irruzione sulla scena non fu molto gradita, come risulta dalla testimonianza di George Abbott, futuro arcivescovo di Canterbury. Il Nolano fu percepito come un corpo estraneo, come una persona arrivista, desiderosa di affermazione personale nell’univer- sità inglese; non mancava, inoltre, il pregiudizio verso la cultura italiana, una cultura della quale Bruno si sentiva erede ed era orgoglioso di far parte. Al termine delle ce- lebrazioni in onore del Laski, il filosofo ritornò a Londra, deluso e turbato dall’ostilità dei dottori di Oxford70. Ma nonostante lo spiacevole espisodio, sembra che l’elogio delle
traduzioni pronunciato di fronte al Laski e la disputa dialettica con Underhill abbiano avuto l’effetto desiderato, perchè nell’agosto del 1583 Bruno fu invitato ad Oxford per
68Cfr. M. CILIBERTO,Giordano Bruno. Il teatro della vita, pp. 126-130, pp. 148-152. 69G. BRUNO,La cena de le Ceneri, cit., p. 101.
tenere un ciclo di lezioni. L’iniziativa, purtroppo, si rivelò un insuccesso clamoroso, dal momento che il Nolano non fece che tre lezioni perché fu costretto ad abbandonare la città con l’accusa di plagio.
Le poche informazioni relative a questo episodio risalgono ad una testimonianza di Geor- ge Abbott, che nel 1583 era membro del Balliol College e ai principi del Seicento ricoprirà più volte la carica di vice-cancelliere ad Oxford, fino a diventare nel 1611 Arcivescovo di Canterbury. In un resoconto del 1604, Abbott rievoca lo svolgimento di quelle lezioni, tenute da un «omiciattolo, con un nome certamente più lungo del suo corpo», dichia- rando che Bruno si sarebbe reso colpevole di plagio nei confronti dell’opera di Marsilio Ficino e di aver sostenuto la realtà della cosmologia copernicana. Da questa testimo- nianza, sembra che Bruno nelle sue prime lezioni abbia citato “parola per parola” alcuni passi tratti dalle opere di Ficino, senza menzionare esplicitamente quest’ultimo. Le in- formazioni riferite da Abbott sembrano derivare dalle dichiarazioni del professor Martin Culpepper, colui che probabilmente aveva invitato Bruno ad Oxford e aveva ascoltato il suo ciclo di lezioni. La trattazione di temi neoplatonici, in particolare la concezione bruniana della Terra come grande animale, fa ricordare a Culpepper di aver letto qual- cosa di simile nelle opere di Ficino: la vicinanza delle posizioni di Bruno ai temi trattati nel De vita coelitus comparanda e nella Theologia platonica hanno indotto Culpepper a formulare l’accusa di plagio, poi fermamente sostenuta da Abbott71.
In realtà, si presume che il punto effettivo del contrasto fra Bruno e i dottori di Oxford non risieda nella discussione di temi tratti dalle opere di Ficino, ma nell’aver sostenuto le tesi di Copernico. Le parole di Abbott, secondo il quale Bruno «intraprese il tentativo, fra moltissime altre cose, di far stare in piedi l’opinione di Copernico, per cui la terra gira, e i cieli stanno fermi; mentre in verità era piuttosto la sua testa che girava, e il suo cervello che non stava fermo», inducono a pensare che l’adesione del Nolano alla cosmologia copernicana abbia avuto maggiore influenza rispetto alla ripresa di temi e
71Cfr. D. KNOX, Ficino, Copernicus and Bruno on the motion of the Earth, «Bruniana Campanelliana.
Ricerche filosofiche e materiali storico-testuali», V, 1999/2, pp. 360-363; E. MCMULLIN,Giordano Bruno at Oxford, «Isis. History of science society», 1986, Vol. 77, pp. 88-94.
motivi ficiniani72. Inoltre, la descrizione dell’episodio riportata da Bruno nellaCena non fa riferimento ai sospetti di plagio, ma sembra essere riferita ad un particolare intrec- cio tra gli scritti di Ficino e la dottrina di Copernico. Rivolgendosi ai suoi lettori scrive: «Informatevi come gli han fatte finire le sue pubbliche letture, e quellede immortalita- te animae, e quelle de quintuplici sphera»73. Il riferimento al terminequintuplici sphera
è stato oggetto di diverse discussioni. Secondo l’interpretazione proposta da Giovanni Aquilecchia, l’espressione avrebbe una chiara valenza astronomica: la quinta sfera nel sistema di Copernico potrebbe indicare la Terra, secondo la numerazione dall’esterno a partire dalla sfera delle stelle fisse, e con lo stesso criterio numerico è indicato il Sole nel sistema tolemaico74. Tenendo in considerazione la testimonianza di Abbott e le espres- sioni con cui Bruno si riferisce alle sue lezioni, sembra evidente che ad Oxford vi sia stata una trattazione della teoria copernicana, probabilmente legata a temi neoplatonici tratti dalle opere di Ficino.
L’ambiente accademico inglese era ancora fortemente legato alla cosmologia tolemaico- aristotelica, ed è altamente probabile che prima dell’arrivo di Bruno non vi sia stata alcu- na esplicita adesione alla teoria copernicana nell’università di Oxford. Anche se qualche decennio prima dell’arrivo del Nolano l’insegnamento del matematico Henry Savile te- stimonia l’utilizzazione del testo copernicano in un corso di lezioni, risulta evidente come non vi sia alcuna considerazione verso il sistema eliocentrico, vero elemento innovativo e rivoluzionario dell’astronomia di Copernico. Le lezioni tenute da Savile avrebbero dato semplicemente un’esposizione dell’astronomia calcolatoria di Copernico in alternativa alle soluzioni di Tolomeo, soprattutto per quanto riguarda alcuni aspetti dei moti plane- tari; e si sarebbero concentrate sul III e sul V libro delDe revolutionibus. Questo dimostra che la soluzione eliocentrica era considerata come una mera ipotesi, lontana dalla realtà fisica del sistema del mondo, e ciò che veniva preso in considerazione erano le teorie
72Cfr. M. CILIBERTO,La ruota del tempo. Interpretazione di Giordano Bruno, Roma, Editori Riuniti, 1992,
pp. 99-100.
73G. BRUNO,La cena de le Ceneri, cit., p. 101.
74Cfr. G. AQUILECCHIA,Giordano Bruno in Inghilterra (1583-1585). Documenti e testimonianze, «Bruniana
puramente matematiche e calcolatorie sul moto dei corpi celesti, che sembravano offrire migliori soluzioni rispetto ai modelli tolemaici. Se teniamo in considerazione il contesto ideologico dell’università inglese, si può ben comprendere per quale motivo la difesa del sistema copernicano presentata da Bruno abbia finito per scatenare la disapprovazione e l’ostilità dei dottori di Oxford, ai quali il filosofo riserverà diverse parole di disprezzo nellaCena75. Anche al di fuori del contesto universitario oxoniense, la teoria copernica-
na non ricevette ampia accoglienza. Sappiamo, infatti, che il più antico libro inglese in cui si trova un preciso riferimento a Copernico è ilCastle of Knowledge di Robert Recorde del 1556. Nello stesso anno John Dee e John Field aderirono alla teoria copernicana, ma la intesero piuttosto come nuovo metodo per i calcoli astronomici più che come effetti- va realtà fisica. Uno dei pochi sostenitori inglesi dell’astronomia copernicana è Thomas Digges, che collegò il concetto dell’infinità dell’universo al sistema copernicano. È evi- dente, dunque, come questi brevi riferimenti rappresentano dei casi isolati di studio del sistema copernicano in un contesto culturale ancora legato all’astronomia tradizionale76. Resta comunque da capire in che modo Bruno avrebbe discusso le opinioni di Copernico in lezioni tratte quasi parola per parola dalle opere di Ficino; bisognerebbe comprendere che tipo di intreccio vi sia tra questi due autori nelle lezioni tenute ad Oxford. Per tentare di risolvere tale questione, Hilary Gatti analizza alcuni aspetti essenziali di uno dei testi che Bruno avrebbe plagiato, ilDe vita coelitus comparanda, cercando di trovare un punto di contatto con la trattazione della cosmologia copernicana. La studiosa fa notare che potrebbe esserci una certa similarità tra la quinta essenza di Ficino e laquintuplici sphera di Bruno: la quinta essenza (o spirito) di Ficino, che media tra l’anima e il corpo sensibi- le, pervade tutte le cose del mondo, dal cielo alla terra, rendendole parte di un universo unitario. Bruno potrebbe aver reinterpretato la quinta essenza di Ficino, come elisir che scorre in tutte le cose del mondo, e averla utilizzata come fondamento di un’unica quin- tuplice sostanza che si identifica con il suo universo infinito77. Si tratta in ogni caso di
75Cfr. G. AQUILECCHIA,Tre schede su Bruno e Oxford, «Giornale critico della filosofia italiana», 1993, pp.
378-381.
76Cfr. G. AQUILECCHIA,Introduzione a "La cena de le Ceneri, in Schede bruniane, Roma, Vecchiarelli, 1993,
una congettura, in quanto i testi delle lezioni oxoniensi di Bruno non sono sopravvissuti. L’unico elemento certo sembra essere costituito dallo scontro causato dalla trattazione della cosmologia copernicana in chiave realista, tenecemente difesa per la prima volta neLa cena de le Ceneri.
Dopo aver subito questo duro scacco, Bruno ritorna a Londra, ospitato dall’ambasciatore Michel de Castelnau, entrando in contatto con un clima culturale profondamente avver- so al conformismo umanistico delle università, e caratterizzato dalla divulgazione della lingua e della letteratura inglesi a scapito del latino. La polemica oxoniense di Bruno era in linea con l’orientamento progressista degli scienziati inglesi, i quali già da tempo avevano abbandonato le accademie e si erano radunati a Londra per svolgere la propria attività, sotto la protezione della corte, anch’essa diffidente verso la retorica umanistica coltivata nei centri universitari. Gli scrittori e gli scienziati erano appoggiati dalla nobiltà cortigiana, al di la di ogni diffidenza d’indole dottrinaria e sotto l’influenza della cultura rinascimentale78. Bruno appartenne a quel gruppo di scrittori-scienziati che la nobiltà cortigiana cercava di appoggiare e di proteggere; il favore di cui il filosofo godette a cor- te è testimoniato da lui stesso in alcune pagine dellaCena, quando allude all’ospitalità e alla cortesia con la quale la regina Elisabetta «accoglie ogni sorte di forastiero, che non si rende al tutto incapace di grazia e favore» o quando elogia «la generosissima umanità de l’illustrissimo monsignor conte Roberto Dudleo, conte di Licestra» e «il molto illu- stre cavalliero, signor Filippo Sidneo: di cui il tersissimo ingegno (. . . ) difficilmente tra singolarissimi e rarissimi, tanto fuori quanto dentro l’Italia, ne trovarete un simile»79.
La crisi culturale e linguistica, seguita dalla diffusione della lingua italiana a Londra nella seconda metà del XVI secolo, e l’interesse dell’élite nobiliare verso nuovi circoli letterari e scientifici ci consentono di comprendere alcuni dei motivi che potrebbero aver influen- zato Bruno nella scelta del tema copernicano e nell’adozione del volgare come veicolo di espressione della sua nuova visione filosofico-cosmologica. L’attività londinese del
di critica filosofica», XVIII, 53, 2000, pp. 246-256.
78Cfr. G. AQUILECCHIA, L’adozione del volgare nei dialoghi londinesi di Giordano Bruno, in Schede
bruniane, pp. 58-59.
Nolano era quindi in linea con la produzione scientifica inglese e, soprattutto, con i gusti dell’élite nobiliare, che operava in contrapposizione alle università80. È quindi probabile che l’influenza del contesto culturale londinese abbia spinto il filosofo ad affrontare pub- blicamente, nelle sue opere, teorie filosofiche e cosmologiche già maturate da qualche anno.
Tra le opere più importanti e rivoluzionarie del soggiorno inglese di Bruno vi èLa cena de le Ceneri, pubblicata a Londra nel 1584 presso il tipografo John Charlewood81. Il testo, re- datto in volgare, è stato oggetto di varie revisioni da parte dell’autore, come è dimostrato dal ritrovamento di alcune redazioni primitive del primo, del secondo e del terzo dialo- go82. Attraverso la stesura dellaCena, Bruno intende, prima di tutto, esporre i capisaldi della «nova filosofia», rovesciando i fondamenti dell’immagine aristotelico-tolemaica dell’universo; in secondo luogo, cerca di fare affiorare con chiarezza l’immagine che ha di se stesso e della sua funzione mercuriale: la sua missione è quella di riscoprire, dopo secoli di decadenza, il vero volto della natura spingendo gli uomini a conoscerlo e ad ammirarlo. È per opera di Bruno-Mercurio se gli uomini ricominciano a vedere, a par- lare, a camminare sulle loro gambe; ridiventano se stessi, uscendo da una condizione di miseria e di inferiorità. Bruno li rialza dalla condizione di animalità in cui erano pre- cipitati, costringendoli a conoscere la verità, una verità che li rende liberi sia sul piano del sapere sia su quello dei comportamenti civili e religiosi83. Questa è la missione an-
80Cfr. G. AQUILECCHIA, L’adozione del volgare nei dialoghi londinesi di Giordano Bruno, in Schede
bruniane, pp. 60-63.
81I rilievi effettuati tra alcune testate dei volumi bruniani hanno permesso di individuare alcuni segni ti-
pografici distintivi di John Charlewood, come la rosa araldica e l’aquila tra due cervi, presenti anche in altre opere da lui stampate in quegli anni. Lo stampatore londinese di Bruno non ebbe, all’infuori delle produzioni bruniane, alcuna esperienza tipografica di testi italiani e una pratica editoriale molto lenta per le traduzioni di testi dall’italiano. Eppure l’edizione dellaCena risulta essere molto accurata, nono- stante l’inesperienza del tipografo; chiaro segno dell’intervento di Bruno sulla stampa dei propri scritti quale unico curatore della medesima. Per un approfondimento di questi temi cfr. G. AQUILECCHIA,Lo stampatore londinese di Giordano Bruno e altre note per l’edizione della Cena, in Schede bruniane (1950- 1991), pp. 157–207; S. BASSI, Editoria e Filosofia nella seconda metà del ‘500: Giordano Bruno e i tipografi londinesi, «Rinascimento», 1997, pp. 437-458.
82L’argomentazione scientifica resta inalterata tra una redazione e l’altra: non si nota alcuna attenuazione
della critica esercitata nei confronti degli accademici inglesi e i nomi di tutti i personaggi rimangono inalterati, tranne in una sola eccezione. Per un approfondimento sulle diverse redazioni dell’opera cfr. G. AQUILECCHIA,La lezione definitiva della “Cena de le Ceneri” di Giordano Bruno, in Schede bruniane, pp. 13–39.
gelica di Bruno, messaggero della luce e della verità che «ha disciolto l’animo umano e la cognizione, che era rinchiusa ne l’artissimo carcere de l’aria turbulento», cercando di liberare l’umanità da coloro che «con moltiforme impostura han ripieno il mondo tutto d’infinite pazzie, bestialità e vizii»84. Bruno era convinto di essere un Mercurio inviato dagli dèi, un Mercurio positivo contrapposto ai Mercuri negativi, che diffondono ovun- que un sapere falso e corrotto. Egli era sicuro di aver portato alla luce, con quelle sue scoperte, la verità dopo secoli di tenebre. Le parole con cui celebra se stesso e la sua natura “mercuriale” nelle prime pagine della Cena fanno riferimento al carattere rivo- luzionario dell’opera e alla sua missione salvifica: «Dopo tante battaglie e amarezze, il Mercurio inviato dagli dèi aveva cominciato a riportare la luce all’umanità: trascorso il tempo del veleno, era finalmente arrivato il tempo dell’antidoto»85. Bruno aveva sco- perto un “nuovo mondo”, che avrebbe cambiato per sempre il corso della storia; era colui
«ch’ha varcato l’aria, penetrato il cielo, discorse le stelle, trapassati gli margini del mondo, fatte svanir le fantastiche muraglia de le prime, ottave, none, decime, et altre che vi s’avesser potute aggiongere sfere per relazione de vani matematici e cieco veder di filosofi volgari»
e con il senso e la ragione ha «nudata la ricoperta e velata natura»86. Attraverso il re-
stauro dall’antica sapienza, Bruno voleva da “buon mercurio” condurre l’umanità alla salvezza. La “funzione mercuriale” di Bruno è dunque direttamente correlata al recu- pero di quel sapere antico rimasto nell’ombra per secoli: solo attraverso la scoperta di una nuova verità, un nuovo ordine di rapporti tra Dio, uomo e natura, l’umanità poteva essere salvata.
A differenza dei pedanti, sostenitori di una concezione elitaria ed erudita del sapere e di un culto superstizioso dell’antichità, Bruno scorge nel recupero dei testi dell’antica sa- pienza la possibilità di superare le teorie del passato, facendo in tal modo prosperare la scienza. La sua opera generava una riforma civile e sociale, non solo filosofica; ed è per
84G. BRUNO,La cena de le Ceneri, cit., pp. 27-28.
85M. CILIBERTO,Giordano Bruno. Il teatro della vita, cit., p. 204. 86G. BRUNO,La cena de le Ceneri, cit., p. 28.
questo che egli decise di rivolgersi a tutti gli uomini, senza distinzioni di ceto, di razza o di sesso. Per Bruno il sapere dell’antichità non doveva essere chiuso nello scrigno di pochi cultori, ma doveva aprirsi a nuovi ceti e a nuovi interlocutori, perché solo in que- sto modo poteva svilupparsi e fruttificare in maniera eccezionale. L’impulso a questa iniziativa fu dato anche dalla volontà di spezzare le barriere delle vecchie accademie e dei centri di potere religioso e politico, in modo tale da tradurre la “nuova” filosofia in un “nuovo” linguaggio per “nuovi” interlocutori87.
È proprio su questo terreno che Bruno si scontra con i dottori oxoniensi, tipici pedanti aristotelici e cultori di un sapere sterile, detentori di un patrimonio dell’antichità chiuso dentro se stesso, che non può in alcun modo prosperare. Non è un caso che laCena de le Ceneri si apra con un sonetto indirizzato «Al mal contento», in cui Bruno si rivolge ad un ipotetico accademico dalla mentalità gretta e invidiosa, ancorato a quelle verità tradizionali che verranno sovvertite nel corso della trattazione. Il filosofo avrà modo di sostenere le proprie tesi durante una cena organizzata da Fulke Greville, il quale per il primo giorno di Quaresima invita il Nolano «per intendere il suo Copernico et altri pa-