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La cosmologia di Giordano Bruno ne La cena de le Ceneri

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Academic year: 2021

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ORME DEL

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ORSO DI

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AUREA

FILOSOFIA E FORME DEL SAPERE

Tesi di laurea magistrale

La cosmologia di Giordano Bruno

ne La cena de le Ceneri

Relatore

Candidata

Prof.ssa Simonetta Bassi

Laura Laurini

Correlatore

Dott.ssa Ilenia Russo

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Indice

Introduzione… ... 3

CAPITOLO I. Giordano Bruno nel dibattito cosmologico del Cinquecento La rivoluzione copernicana ... 6

Il dibattito cosmologico nella seconda metà del Cinquecento… ... 21

La cosmologia di Giordano Bruno… ... 28

CAPITOLO II. La concezione del sistema eliocentrico di Giordano Bruno Verso la «nova filosofia» ... 40

Il sistema eliocentrico… ... 52

La luna ... 73

La Terra ... 82

CAPITOLO III. Alcuni temi decisivi della «nova filosofia» ne La cena de le Ceneri L’universo infinito omogeneo… ... 94

I sistemi planetari… ... 111

Il movimento degli astri ... 122

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Introduzione

«E cosa mai c’è di più bello del cielo, che contiene sicuramente tutte le cose belle?»1.

Così Niccolò Copernico apre il primo libro delDe revolutionibus orbium caelestium, un’o-pera destinata a trasformare l’idea dell’universo e ad inaugurare una nuova stagione del pensiero. A partire da questo momento l’uomo viene a perdere la propria posizione privilegiata al centro del cosmo, ed inizia ad allontanarsi gradualmente dalla tradizione teologica e filosofica del mondo antico. La concezione tradizionale dell’universo viene distrutta: l’astronomia geocentrica di Tolomeo e Aristotele fu gradualmente soppiantata dal nuovo sistema eliocentrico. Fu l’inizio di una grande rivoluzione che Copernico con la sua opera aveva appena delineato: negli anni successivi alla pubblicazione delDe revo-lutionibus nel 1543 si assistette ad una grande trasformazione, favorita dalla comparsa di vari fenomeni celesti, mai visti prima, e dalla conseguente introduzione di nuovi calcoli matematici per spiegare le apparenti irregolarità del movimento degli astri.

Il dibattito cosmologico del Cinquecento coinvolse non solo il mondo degli astronomi e dei matematici di professione, ma anche alcuni filosofi. Proprio Giordano Bruno in-tervenne attivamente sulle principali problematiche astronomiche del tempo. La dimen-sione rivoluzionaria del suo pensiero consiste non soltanto nell’aver affermato la realtà fisica del sistema copernicano, ma soprattutto nell’aver sostenuto la concezione di un universo infinito omogeneo. L’adesione al copernicanesimo si configura come un’inter-pretazione critica che intende superare i limiti ai quali era rimasto ancorato lo stesso

1N. COPERNICO,De revolutionibus orbium caelestium. Sulla costituzione generale dell’universo, a cura di

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Copernico e gran parte tradizione filosofico-scientifica dell’epoca. Con la pubblicazione dei dialoghi italiani nel 1584, Bruno introduce questioni che saranno al centro del dibat-tito cosmologico che si svilupperà negli anni immediatamente successivi.

Attraverso lo studio deLa cena de le Ceneri ho cercato di mettere in luce alcuni degli aspetti centrali della cosmologia di Bruno, tentando allo stesso tempo di inserirne la riflessione nel dibattito cosmologico del Cinquecento. La concezione dell’universo di Bruno è radicata all’interno di una precisa cornice filosofica: il suo interesse è quello di interpretare le nuove scoperte astronomiche in modo da ricostituire l’immagine del cosmo ed instaurare una nuova verità tra gli uomini. Egli si definisce «delineatore del campo della natura, sollecito circa la pastura de l’alma»2; è consapevole di svolgere un ruolo determinante «per amore della vera sapienza e studio della vera contemplazione»3. Soltanto superando i «vani principii» dei matematici e «il cieco veder di filosofi volga-ri»4è possibile riformare il mondo e stabilire un nuovo ordine di rapporti tra Dio, uomo

e natura. La visione cosmologica di Bruno rimane comunque distante da un’interpreta-zione matematica dei fenomeni celesti, ed il suo ampliamento della teoria copernicana in chiave infinitistica esula da un sapere rigoroso e dimostrabile. Nonostante ciò, egli giunge ad importanti intuizioni che gli consentono di anticipare le posizioni di diversi astronomi del proprio tempo.

Bruno opera una trasformazione dell’immagine tradizionale dell’universo: la Terra e i pianeti si muovono liberamente in uno spazio omogeneo; il cielo si estende infinitamen-te in tutinfinitamen-te le direzioni; nel cosmo sono presenti altri sisinfinitamen-temi planetari simili al nostro. Alla radice di queste teorie vi è la profonda convinzione che la natura è pervasa dall’infi-nita potenza di Dio: il cosmo è ontologicamente identico al suo creatore, ed è per questo che viene concepito come infinito e omogeneo in ogni sua parte. L’azione infinita di Dio è riconosciuta come «causa e principio d’uno inmenso universo che contiene mondi

in-2G. Bruno,De l’infinito, universo e mondi, in Dialoghi filosofici italiani, a cura di M. CILIBERTO, Milano,

Mondadori, 2000, cit., p. 301.

3Ivi, p. 302.

4G. Bruno,La cena de le Ceneri, in Dialoghi filosofici italiani, a cura di M. CILIBERTO, Milano, Mondadori,

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numerabili»5. Per Bruno risulta impossibile che nel momento della creazione Dio abbia posto un limite alla propria potenza: la distinzione trapotentia ordinata e potentia abso-luta viene respinta, poichè l’effetto dell’azione di Dio è unico e infinito. Il concetto più rivoluzionario e determinante è dunque quello di infinito, grazie al quale il filosofo riesce a postulare l’esistenza di uno spazio senza confini, composto da infiniti mondi simili al nostro. Nessuno fino a quel momento aveva osato compiere simili affermazioni, andan-do contro una tradizione teologica e scientifica radicata da secoli. Se con Copernico la Terra aveva perso la propria centralità, con Bruno anche l’uomo decade dalla propria natura di essere privilegiato: la composizione del nostro pianeta non differisce da quella degli altri corpi sparsi nel cosmo, così come la vita umana non si distingue da quella che si manifesta in altri punti dell’universo.

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Capitolo I

Giordano Bruno nel dibattito cosmologico

del Cinquecento

La rivoluzione copernicana

L’epoca in cui affiora il pensiero bruniano rappresenta uno dei momenti storici fon-damentali per lo sviluppo intellettuale dell’uomo. Il Cinquecento segna il principio di grandi rivoluzioni politiche, religiose e culturali, che muteranno per sempre quelle real-tà intorno alle quali l’uomo aveva fondato la propria esistenza. Uno dei più profondi cambiamenti è rappresentato dalla rivoluzione scientifica, una grande rivoluzione del pensiero che ha gettato le basi per la nascita della scienza moderna. L’aspetto più ra-dicale di questa rivoluzione emerge dalla grande traformazione della concezione che l’uomo aveva dell’universo: questo cambiamento nasce da una più attenta osservazione del cielo e dalla conseguente introduzione di nuovi calcoli matematici per spiegare le apparenti irregolarità dei fenomeni celesti.

Nel 1543 Copernico pubblica ilDe revolutionibus con l’intenzione di migliorare la preci-sione e la semplicità delle teorie matematiche elaborate dai suoi predecessori. La grande trasformazione del suo modello astronomico consiste nell’aver posto il Sole al cuore del-l’universo, facendo muovere la Terra e gli altri pianeti intorno al suo centro. Da questo momento in poi l’uomo prende coscienza di aver perso la propria posizione privilegiata nel cosmo e inizia a maturare una nuova visione della realtà. Per questo motivo, la rivolu-zione copernicana non è soltanto una riforma dei principi fondamentali dell’astronomia,

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la concezione dei valori dell’uomo. Come ha sottolineato Thomas S. Kuhn, «sebbene il sostantivo “rivoluzione” sia al singolare, si trattò in realtà di un complesso di eventi. Nella sostanza si trattò di una trasformazione dell’astronomia matematica, ma comportò mutamenti concettuali nel campo della cosmologia, della fisica, della filosofia ed anche della religione»6.

Prima dell’affermazione del modello eliocentrico proposto da Copernico e dai suoi suc-cessori esisteva un diverso sistema cosmologico in grado di spiegare i fenomeni celesti. Per comprendere il significato della rivoluzione copernicana e le principali innovazioni introdotte da Copernico è necessario prendere in esame alcune delle principali posizioni cosmologiche del mondo antico che il sistema eliocentrico finì per scardinare.

A partire dal IV secolo a.C. filosofi e astronomi credevano nell’esistenza di un universo a due sfere: la Terra era una piccola sfera immobile posta al centro di una sfera molto più grande e ruotante, che trasportava le stelle. Il Sole si muoveva nell’immenso spazio tra la Terra e le stelle fisse, al di là delle quali non c’era nulla, né spazio né materia7. L’universo a due sfere fu ideato per spiegare il moto quotidiano delle stelle e le irregolarità apparenti del moto del Sole. Tuttavia, l’osservazione ad occhio nudo permise di rilevare la presen-za di altri corpi celesti, definiti "stelle erranti" per distinguerli da quei corpi celesti le cui posizioni rimanevano fisse nel cielo. I corpi celesti conosciuti dai Greci erano il Sole, la Luna, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno. Il moto di questi pianeti era più com-plesso rispetto a quello del Sole o della Luna in quanto non era sempre diretto verso est, ma veniva interrotto da brevi tratti di moto diretto ad ovest. Questo moto, definito «re-trogrado», fu adottato dagli astronomi per spiegare le apparenti retrocessioni dei pianeti lungo le orbite circolari. La velocità del moto dei pianeti permise poi di stabilire l’ordine in cui essi erano sistemati: pianeti come Saturno, Giove e Marte (i pianeti superiori), il cui moto era lento e sembrava seguire il movimento delle stelle fisse, vennero collocati lontano dalla Terra e in prossimità della sfera stellare. Gli altri pianeti, compreso il Sole, ruotavano intorno alla Terra alla medesima velocità e per questo motivo fu difficile

sta-6T. S. KUHN,La rivoluzione copernicana. L’astronomia planetaria nello sviluppo del pensiero occidentale,

Torino, Einaudi, 2000, cit., p. XV.

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Figura 1:Il sistema cosmologico nell’antichità.

bilire le loro rispettive posizioni. Ad ogni modo, il modello che si affermò e che venne poi adottato dallo stesso Tolomeo seguiva questo ordine: Terra, Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove e Saturno8.

Uno dei primi tentativi per spiegare i moti apparenti dei pianeti attraverso un modello matematico fu compiuto da Eudosso di Cnido, allievo di Platone (408 - 355 a.C.). Eudosso ipotizzò l’esistenza per ciascun corpo celeste di diverse sfere concentriche, fra loro col-legate, la cui rotazione produceva il movimento dei pianeti. Queste sfere, definite omo-centriche perché avevano come centro comune la Terra, trasportavano i pianeti lungo le proprie orbite circolari e riproducevano gli apparenti fenomeni di retrocessione9. Il

mo-dello di Eudosso venne presto soppiantato dai sistemi di Apollonio, Ipparco e Tolomeo, ma nonostante ciò riveste un ruolo importante nello sviluppo del pensiero astronomico. L’idea fondamentale per Eudosso, secondo la quale i pianeti erano posti in sfere ruotanti concentriche alla Terra, fu accettata fino al XVII secolo, perfino da Copernico. Nel titolo della sua monumentale opera,De Revolutionibus Orbium Caelestium, le orbes

rappresen-8Cfr.ivi, pp. 59-70.

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tano proprio le sfere concentriche in cui sono racchiusi i pianeti e le stelle10. L’esistenza di queste sfere solide come causa del moto dei pianeti sarà ampiamente discussa negli anni della rivoluzione copernicana, coinvolgendo. Proprio Giordano Bruno fu uno dei primi a negare con fermezza l’esistenza degli orbi solidi. La veridicità delle sue affer-mazioni sarà dimostrata solo in seguito ai vari progressi della scienza astronomica, che riuscì a fornire delle prove certe a sostegno della tesi bruniana.

Il sistema di Eudosso ebbe una certa risonanza in quanto venne trasmesso dalle opere di Aristotele, considerato la massima autorità del mondo antico. La sua cosmologia eb-be una grande influenza fino al Medioevo e rappresentò uno dei principali ostacoli per gli sviluppi dell’astronomia nel Cinquecento. Per Aristotele l’universo era finito, con-tenuto all’interno dell’immensa sfera stellare, sede di un ordine immutabile che subiva l’influenza della causa divina. Al suo interno i corpi celesti e le stelle, composti da un solido cristallino definito etere, rimanevano in quiete nelle loro sfere (soltanto queste ultime erano in moto). Anche la Terra era immobile al centro del cosmo. Una delle concezioni più influenti di Aristotele, radicata nella cosmologia antica e medievale, fu la credenza per cui il cosmo sarebbe diviso in due differenti regioni: quella terrestre (o sublunare) in cui vive l’uomo, sottoposto al mutamento e alla corruzione e quella celeste (o sopralunare), eterna ed immutabile, da cui dipendono gli eventi che si verificano sulla Terra. Questa visione aristotelica del mondo si adattava bene alla credenza cristiana di una Terra creata esclusivamente per gli uomini, macchiati dal peccato e soggetti al mu-tamento, e di un cielo perfetto e incorruttibile, dimora di Dio e dei suoi eletti11.

La cosmologia aristotelica fu la principale fonte per la tradizione astronomica che si svi-lupperà a partire dai secoli successivi. I modelli matematici di diversi astronomi dell’an-tichità non alterarono le fondamenta del cosmo aristotelico e spesso acquisirono alcune delle sue teorie naturali sull’universo. Proprio Tolomeo (100 - 175 circa) fornì alcune argomentazioni a sostegno dell’immobilità della Terra tratte dalDe Caelo di Aristotele, rigettando l’idea di Eraclide di una Terra in movimento e le varie ipotesi astronomiche

10Cfr. T. S. KUHN,La rivoluzione copernicana, p. 77.

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dei pitagorici12.

Come apprendiamo dall’Almagesto, Tolomeo non si allontanò da alcune concezioni ge-nerali elaborate dai suoi predecessori in quanto mantenne la Terra immobile al centro del cosmo e non respinse l’esistenza delle sfere cristalline come causa del movimento dei corpi celesti. Ad egli spetta comunque il merito di aver perfezionato le teorie mate-matiche di Apollonio e Ipparco all’interno di un sistema apparentemente più coerente. Abbandonato il sistema delle sfere omocentriche, adottò un modello matematico molto complesso, il sistema epiciclo-deferente: i pianeti erano posti su un piccolo cerchio de-finito epiciclo, che gira intorno ad un punto della circonferenza di un secondo cerchio rotante detto deferente. L’adozione di un simile modello cosmologico riproduce il moto retrogrado dei pianeti: il movimento in direzione est del pianeta viene interrotto da brevi tratti di moto verso ovest. Questo fenomeno di retrocessione si verifica quando il corpo celeste si trova a distanza minima dalla Terra, sembrando di conseguenza più lumino-so. Attraverso questo sistema Tolomeo fu in grado di ordinare e prevedere il moto dei pianeti, credendo di aver trovato la causa delle apparenti anomalie del loro movimento13.

Figura 2: Il sistema epiciclo-deferente di Tolomeo.

12Si fa riferimento ad alcune teorie cosmologiche alternative teorizzate dai pitagorici, Filolao ed Iceta,

intorno al V secolo a.C. Filolao pose al centro del cosmo un fuoco, intorno a cui la Terra e gli altri corpi celesti si muovevano in orbite circolari. Il suo sistema venne soppiantato da quello di Iceta di Siracusa, filosofo che pare abbia teorizzato per primo l’idea della rotazione della Terra (cfr. J. L. E. DREYER, pp. 37-49).

13Cfr. T. S. KUHN,La rivoluzione copernicana, pp. 77-83 e J. L. E. DREYER, Storia dell’astronomia da Talete

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Il sistema aristotelico-tolemaico, integrato con la teologia cristiana, arrivò fino a Co-pernico (1473 - 1543), considerato l’erede diretto di questa tradizione dal momento che l’astronomia tolemaica raggiunse la nascente età moderna senza alcuna consistente alte-razione. Fino al Cinquecento vi fu un’intensa attività scientifica, ma pur sempre radicata nell’ambito della tradizione antica. A partire dal VII secolo, le teorie astronomiche de-gli antichi greci vennero riprese e analizzate da alcuni pensatori arabi, ai quali spetta il merito aver tradotto nella loro lingua le versioni in siriaco dei testi originali greci e di aver compiuto diverse osservazioni per il calcolo della posizione dei pianeti14. Questi

manoscritti arabi vennero acquisiti dalla cultura europea ed entrarono a far parte della tradizione scientifica e teologica del Medioevo, una tradizione che rimase a lungo anco-rata al cosmo aristotelico-tolemaico.

La situazione iniziò a mutare in Europa a partire dal XIV secolo. La profonda crisi che aveva nutrito i secoli del Medioevo venne scossa da un periodo di “rinascita” culturale, religiosa e intellettuale che preparò il terreno alla rivoluzione scientifica. Questo periodo segnò l’inizio di un grande rinnovamento nella vita dell’uomo e in diversi ambiti della cultura, come l’arte, la letteratura e la scienza. Uno dei tratti principali di questo movi-mento culturale è il ritorno al mondo antico e ai classici della letteratura greco-romana. La ricoperta dei classici fu determinata dall’emergere di nuove esigenze di fronte ad una situazione di crisi: gli antichi manoscritti diventano strumenti preziosi per rispondere a bisogni largamente diffusi e vengono interpretati in termini nuovi. Gli umanisti furono i primi a comprendere che «gli antichi ritrovati aprivano dal passato le vie del futuro»15.

Il ritorno al mondo classico, greco-romano, si concretizzò in una ricerca costante di codi-ci e manoscritti in lingua originaria e nello studio, sempre più diffuso, della lingua greca. Gli umanisti erano interessati al recupero e alla valorizzazione della letteratura greca e latina, per sostituire le traduzione corrotte del Medioevo. Infatti, la maggior parte delle

14Cfr.ivi, pp. 203-205. In particolare, si fa riferimento ad al-Fargh¯an¯ı (noto come Alfragano), i cui Elementi

di astronomia (circa 833) diedero un grande contributo alla di nascita della scienza in Europa e ad altri due rinomati astronomi di Siviglia, J¯abir ibn Afla e al-Bir¯uj¯ı, noto come Alpetragio.

15Questi temi sono stati ripresi da E. GARIN,La cultura del Rinascimento, Milano, il Saggiatore, 1988 e Il

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traduzioni riflettevano un latino barbaro, derivato da versioni arabe di manoscritti ori-ginali greci. Nel corso del tempo gli umanisti si dedicarono all’edizione e alla traduzione dei manoscritti in modo sempre più accurato, correggendo e definendo i testi corrotti e di difficile interpretazione. È proprio in questo generale clima di fervore intellettuale che si ebbe una riscoperta di Platone e della versione integrale delle sue opere direttamente in lingua originale. Il ritrovamento di opere sconosciute nel Medioevo, non solo di Platone ma anche di altri pensatori nel mondo antico, mise in discussione l’autorità e il primato della filosofia aristotelica.

Oltre alla revisione e traduzione di opere letterarie, iniziò a prendere sempre più piede la traduzione di testi scientifici greci rimasti nell’ombra durante il Medioevo. I mano-scritti scientifici composti tra il 300 e il 150 a.C. erano stati poco noti nel Medioevo o del tutto ignorati a causa della loro complessità. Si trattava di opere altamente matematiche (Euclide, Archimede, Apollonio) e per un’eventuale traduzione e comprensione del testo non bastava aver padronanza con la lingua greca, ma era necessario avere anche una certa preparazione in campo scientifico.

Gli umanisti ebbero il merito di rendere disponibili questi manoscritti, attraverso il lo-ro continuo lavolo-ro di recupelo-ro, e di aver trasmesso alcuni importanti ideali: traduzione dalle opere originali, restituzione delle parole esatte dell’autore, correzione degli errori e ricostruzione del senso delle parti di un testo. Matematici e astronomi compresero questi ideali umanistici e intrapresero un nuovo lavoro di revisione e traduzione di alcuni testi greci. Proprio la traduzione in latino dell’Almagesto, portata a termine da Regiomontano, permise agli astronomi di comprendere che Tolomeo era ormai inadeguato; l’unica parte del suo sistema da prendere in considerazione era l’elaborato modello matematico16. Questi fattori ci aiutano a comprendere perché la rivoluzione copernicana avvenne pro-prio in quel momento. Il processo di riscoperta dei classici, l’integrazione medievale tra scienza e teologia, le nuove correnti culturali e il grande spirito di rinascita avevano mu-tato l’atteggiamento degli uomini verso l’eredità scientifica. L’innovazione di Copernico nasce all’interno di un clima culturale alimentato dall’esigenza di fondare il sapere su

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basi nuove; proprio per questo egli decise di iniziare la propria indagine per risolvere alcuni problemi astronomici che Tolomeo aveva lasciato in sospeso. Se il clima culturale del Rinascimento ha avuto un importante ruolo in questa rivoluzione, altrettanto fon-damentale è stato lo sviluppo di nuove osservazioni astronomiche. I nuovi scienziati si resero conto che le teorie degli astronomi antichi non rispecchiavano la realtà: fu neces-sario trovare nuove leggi matematiche per spiegare i fenomeni celesti.

Con la pubblicazione delDe Revolutionibus Orbium Cealestium nel 1543 ha inizio la rivo-luzione copernicana. La stesura del libro potrebbe essere avvenuta già intorno al 1529, poiché alcune osservazioni di quell’anno sono inserite nel corpo dell’opera; e le linee di fondo dell’astronomia copernicana potrebbero risalire a molto tempo prima, in quanto lo stesso Copernico asserisce nella prefazione che l’opera «indugiava occulta presso di me non già da nove anni soltanto, ma ormai da quattro volte nove anni»17. Tenendo

in considerazione le parole dell’astronomo, la sua teoria dovrebbe essere stata abboz-zata già intorno al 1506, ma non vi è alcuna traccia di scritti astronomici copernicani in quel periodo. È probabile che solo intorno al 1530 le teorie planetarie di Copernico iniziarono a circolare sotto forma di breve sommario, definito Commentariolus, susci-tando l’ammirazione di diversi colleghi e amici, desiderosi di avere informazioni sempre più dettagliate sulle nuove teorie astronomiche. Tra questi colleghi emerge il nome di Retico, giovane professore di Wittemberg, che decise di recarsi a Frauenburg nel 1539 per procurarsi informazioni di prima mano sull’opera. Dopo aver letto il manoscritto di Copernico, il professore compilò una lunga relazione che venne pubblicata nel 1540. LaNarratio prima di Retico ricevette una notevole accoglienza da parte degli scienziati del tempo, che potrebbe aver spinto Copernico a pubblicare la propria opera qualche anno dopo. La stampa delDe Revolutionibus fu affidata in un primo momento allo stesso Retico, ma quando egli dovette lasciare Norimberga trasmise il suo incarico ad Andrea Osiander, teologo luterano che supervisionò l’edizione definitiva dell’opera. Osiander era preoccupato della nuova teoria del moto della Terra e per motivi teologici e di al-tro genere decise di aggiungere una prefazione anonima, intitolataAl lettore sulle ipotesi

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di quest’opera. In essa si difende il ruolo dell’astronomo come colui che ha il compi-to di osservare i movimenti celesti e di trovare le loro cause, escogitando e inventando «qualunque ipotesi». Osiander circoscrive il valore della teoria copernicana riducen-dola a mera ipotesi: «non è infatti necessario che queste ipotesi siano vere, e persino nemmeno verosimili, ma è sufficiente solo questo: che presentino un calcolo conforme alle osservazioni»18. Con l’aggiunta di questa prefazione, che ridimensionava la realtà

fisica del sistema eliocentrico, ilDe revolutionibus fu pubblicato a Norimberga nel 1543 e un copia pervenne a Copernico il giorno della sua morte19. In un primo momento, il fulcro della teoria copernicana, fondata sulla centralità del Sole, non venne considera-ta neppure dagli astronomi specialisti, i quali si concentrarono sugli aspetti puramente matematici e calcolatori della ricerca di Copernico. Solo dopo molti anni, l’astronomia copernicana nel suo complesso iniziò ad essere dibattuta e aspramente attaccata sia per motivi teologici, in quanto la Bibbia asseriva il moto del Sole e la centralità della Ter-ra, e non il contrario come credeva Copernico, e sia per motivi filosofici, in quanto la nuova astronomia andava a scardinare alcune teorie centrali della filosofia e della fisi-ca di Aristotele, pur rimanendo ancorata sotto diversi aspetti al cosmo della tradizione aristotelico-tolemaica20.

IlDe revolutionibus è un testo molto complesso. Le difficoltà principali riguardano l’appa-rente incompatibilità tra il testo e il ruolo che esso assume nello sviluppo dell’astronomia. L’opera, infatti, sembra molto conforme agli scritti degli astronomi antichi e medievali e gran parte delle innovazioni, eccetto il moto della Terra, vennero effettuate dai suc-cessori di Copernico. Per Thomas S. Kuhn «l’importanza delDe Revolutionibus consiste dunque meno in ciò che l’opera stessa afferma che in quello che fece affermare ad altri. Il libro costituì la miccia di una rivoluzione, che esso aveva a mala pena delineato. È un testo che provoca una rivoluzione più che un testo rivoluzionario». L’opera presenta una duplice natura. «È, ad un tempo, antico e moderno, conservatore e radicale. La sua

18Ivi, pp. 3-5.

19Cfr. J. L. E. DREYER,Storia dell’astronomia da Talete a Keplero, pp. 257-261.

20Cfr. L. DE BERNART,Bruno e i fondamenti filosofici della teoria copernicana, Nouvelles de la Republique

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importanza può esser quindi evidenziata soltanto se si considerano contemporaneamen-te il suo passato e il suo futuro, la tradizione da cui esso deriva e la tradizione che da esso scaturisce»21.

Copernico rimase ancorato alla tradizione aristotelico-tolemaica in quanto mantenne al-cuni elementi fondanti del modello geocentrico: un sistema di epicicli ed eccentrici più semplificato, gli orbi solidi come causa del moto dei pianeti e il cosmo finito, chiuso dall’ottava sfera delle stelle fisse. Nonostante ciò, egli si rese conto che la tradizione ma-tematica inaugurata da Tolomeo non aveva risolto in modo adeguato le irregolarità dei moti celesti. Le teorie di molti astronomi musulmani ed europei erano tutte modellate sul sistema dell’Almagesto ed erano quindi tutte "tolemaiche": nessuno di questi sistemi tolemaici noti a Copernico forniva risultati coerenti con le osservazioni ad occhio nudo. Copernico scrisse ilDe Revolutionibus per risolvere il problema delle apparenti irregola-rità dei corpi celesti e si propose di riformare le tecniche usate nel calcolo della posizione dei pianeti. Pur rimanendo all’interno di questa tradizione scientifica, egli avanzò una teoria straordinaria e di grande portata rivoluzionaria: l’idea del moto della Terra intor-no al Sole.

Nella prefazione alDe Revolutionibus, opera dedicata a papa Paolo III, Copernico dichiara di aver ricercato nelle opere di tutti i filosofi dell’antichità qualche teoria relativa ai moti celesti diversa da quella tradizionalmente insegnata nelle scuole. Egli trovò uno di questi primi risultati in una testimonianza di Cicerone, secondo il quale Iceta di Siracusa faceva muovere la Terra sul proprio asse in ventiquattr’ore. Anche in Plutarco trovò che altri filosofi, come Filolao, Eraclide ed Ecfanto, erano della medesima opinione. Richiaman-dosi all’autorità degli antichi pitagorici e prendendo spunto dalle loro ipotesi sul cosmo, Copernico cominciò a pensare all’ipotesi del moto della Terra per trovare dimostrazioni valide sulla rivoluzione delle sfere celesti. Si rese conto che l’impostazione classica della Terra centrale non aveva aperto la via a nessuna soluzione possibile, per questo adottò come soluzione più convincente il moto della Terra intorno ad un Sole centrale. Tuttavia egli non fu il primo ad aver proposto un sistema eliocentrico. Nella prefazione Copernico

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cita i pensatori che nell’antichità avevano creduto nel moto della Terra, ma non fa riferi-mento ad Aristarco22, il filosofo che nel III secolo a.C. ipotizzò l’esistenza di un universo centrato sul Sole23. John L. E. Dreyer ci informa che nel manoscritto originale, dopo il

capitolo undicesimo del I libro, c’è un lungo brano cancellato e che per questo non fu stampato. Si tratta della lettera di Liside a Ipparco scritta come conclusione al primo libro delDe Revolutionibus e soppressa nell’edizione del 1543, come nelle successive. In questo breve testo, facendo riferimento alla segretezza della scuola pitagorica, Coper-nico torna a parlare della mobilità della Terra e associa la teoria di Filolao a quella di Aristarco:

«Ora se riconosciamo che il corso del Sole e della Luna possono essere dimostrati anche con l’immobilità della Terra, meno ciò corrisponde agli altri pianeti. È perciò credibile che per que-ste e simili cause Filolao avesse pensato alla mobilità della Terra, e molti raccontano che anche Aristarco di Samo fosse della stessa opinione, senza essere mossi da quella ragione che allega e combatte Aristotele»24.

Anche in questo caso non c’è alcun riferimento ad un sistema eliocentrico25. Sembra stra-no che Copernico stra-non menzioni ustra-no dei suoi più diretti precursori e si sia semplicemente limitato a riportare la teoria del movimento della Terra intorno al proprio asse. Questo potrebbe esser dovuto, secondo Marie Boas, al fatto che le nostre conoscenze sul siste-ma eliocentrico di Aristarco derivano da alcune brevi citazioni contenute nell’Arenario di Archimede26. Probabilmente Copernico non aveva consultato alcune delle opere di

22Aristarco è nominato tre volte nell’opera, ma senza alcun riferimento alla teoria eliocentrica (cfr. J. L. E.

DREYER, p. 256).

23Cfr. T. S. KUHN,La rivoluzione copernicana, pp. 171-184. 24N. COPERNICO,De Revolutionibus, cit., pp. 113-115.

25Cfr. J. L. E. DREYER,Storia dell’astronomia da Talete a Keplero, pp. 256.

26Aristarco «suppone che le stelle fisse e il Sole siano immobili, e che la Terra si muova intorno al Sole in un

cerchio che è nel mezzo del suo corso (. . . )». Archimede non ci dice molto altro sul modello eliocentrico proposto da Aristarco, forse perché quest’ultimo non ha dedicato una vera e propria trattazione a questo problema, ma ha espresso semplicemente la propria ipotesi. Altre fonti secondarie su Aristarco sono Plutarco, Aezio, Stobeo e Galeno (cfr. J. L. E. DREYER, pp. 116-118).

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Archimede, pubblicate per la prima volta in latino nel 1544 a Basilea, un anno dopo la sua morte27.

Ad ogni modo Copernico andò ben oltre le semplici ipotesi teoriche di questi pensatori, elaborando un modello matematico del nuovo sistema planetario. Egli si convinse del moto della Terra analizzando i moti celesti: la Terra, essendo una sfera come gli altri corpi celesti, deve prendere parte ai moti circolari composti che sono propri delle sfere. La teoria del movimento della Terra consente di spiegare, senza l’uso di epicicli, i moti di retrocessione e i differenti periodi di tempo del moto dei pianeti lungo l’eclittica. Per Copernico le irregolarità dei moti planetari sono soltanto apparenti.

Copernico attribuì alla Terra tre moti circolari contemporanei: una rotazione assiale quotidiana, un moto orbitale annuale e un moto conico annuale dell’asse. La rotazio-ne quotidiana intorno al proprio asse è la causa apparente del sorgere e del tramontare del Sole e dei circoli tracciati dalle stelle e dai pianeti. Tutti i corpi celesti, osservati da una Terra in movimento, sembrano muoversi all’orizzonte, anche se in realtà stanno fermi. Il secondo moto attribuito alla Terra, la rivoluzione annua intorno al Sole, ebbe una maggiore portata rivoluzionaria: Copernico aveva spostato la Terra dal suo centro. Il movimento orbitale annuo della Terra è la causa del moto apparente annuo del Sole e della retrogradazione apparente di alcuni pianeti. Questa concezione della Terra non centrale sembrò essere inizialmente in contrasto con l’evidenza delle osservazioni astro-nomiche e per avvalorare la propria teoria, Copernico ebbe bisogno di analizzare anche i moti degli altri pianeti. L’osservazione del moto dei pianeti permise di arrivare ad im-portanti risultati: ogni pianeta completa il proprio moto orbitale intorno all’eclittica in un tempo diverso; essi retrocedono soltanto quando la Terra, nel suo più veloce moto or-bitale, sorpassa i pianeti superiori (Marte, Giove, Saturno) o viene sorpassata dai pianeti inferiori (Mercurio e Venere); la Luna ruota intorno alla Terra più che attorno al Sole centrale28.

27Cfr. M. BOAS,Il Rinascimento scientifico, pp. 61-62. 28Cfr. T. S. KUHN,La rivoluzione copernicana, pp. 186-219.

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Figura 3:Il sistema eliocentrico di Copernico.

Queste sono alcune delle innovazioni introdotte da Copernico rispetto ai suoi prede-cessori, innovazioni che andranno a scardinare uno dei fondamentali presupposti della ricerca scientifica basato sull’evidenza empirica: il moto della Terra, infatti, non è per-cepibile tramite l’esperienza immediata dei sensi. Questo concetto ebbe un’importanza straordinaria se si tiene in considerazione il fatto che Copernico rimosse una delle più valide obiezioni non solo contro il moto della Terra, ma anche contro l’estensione infi-nita dell’universo29. Anche se il metodo matematico da lui adottato non era più preciso

rispetto a quello di Tolomeo, il suo sistema costituì un grande successo dal punto di vista storico: ilDe Revolutionibus convinse alcuni tra i successori di Copernico della validità del modello eliocentrico, spingendo la ricerca scientifica in una nuova direzione. Biso-gna comunque precisare che l’idea del moto della Terra venne presa in considerazione molti anni dopo la pubblicazione delDe Revolutionibus e che in un primo tempo il siste-ma copernicano ebbe siste-maggior fortuna rispetto al modello tolesiste-maico semplicemente per la sua armonia geometrica e perchè offriva spiegazioni molto più semplici e naturali sul

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moto dei pianeti. In particolare, Copernico riuscì a calcolare il moto orbitale dei singoli pianeti, demolendo la teoria tolemaica che aveva attribuito a Mercurio, Sole e Venere lo stesso periodo orbitale di un anno. Egli aveva fornito, dunque, alcune esemplificazioni matematiche sul moto dei pianeti e aveva attribuito tre moti alla Terra, spostandola dal proprio centro: ma è solo per quest’ultimo aspetto che si allontanò nettamente dalla tra-dizione tolemaica.

Per questo suo rapporto ambivalente con il sapere tradizionale, egli è stato spesso consi-derato come l’ultimo grande astronomo tolemaico o come il primo astronomo moderno, ma è piuttosto «un astronomo rinascimentale nella cui opera le due tradizioni si fondo-no»30. L’innovazione di Copernico deriva, dunque, da quella tradizione scientifica che venne infine distrutta e ilDe Revolutionibus divenne il punto di partenza di una nuova astronomia e di una nuova cosmologia. Copernico sottopose agli studiosi del suo tempo una serie di problemi che l’astronomia non era riuscita a risolvere fino a quel momento. Solo quando i suoi successori risolsero le principali incongruenze del sistema la rivolu-zione copernicana fu completata31.

La rivoluzione copernicana fu un processo durato più di un secolo, processo in cui le sco-perte fondamentali si verificarono per gradi. L’evoluzione dell’astronomia non seguì un andamento lineare, dal momento che diverse personalità del tempo erano in disaccordo con la teoria eliocentrica e contribuirono a ritardare l’accettazione della nuova dottrina. Gli argomenti più convincenti contro il moto della Terra erano i seguenti: esso violava la prima regola del senso comune; era in contrasto con le leggi del moto sperimentate da lungo tempo; era stato proposto solo per giustificare l’apparenza della volta celeste. Tali argomenti, tuttavia, non furono così incisivi e di difficile risoluzione quanto quelli di natura religiosa sostenuti dalla Chiesa. L’opposizione del mondo religioso può risultare strana dal momento che la pubblicazione delDe Revolutionibus venne sollecitata anche da uomini di Chiesa: tra gli amici che spinsero Copernico a rendere pubblica la propria scoperta vi furono un vescovo cattolico e un cardinale.

30T. S. KUHN,La rivoluzione copernicana, cit., p. 233. 31Cfr.ivi, pp. 220-236.

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Anche il mondo protestante si oppose alla teoria copernicana, proponendo di adottare severe misure per limitare l’empietà dei copernicani. La Bibbia diventava una delle fon-ti privilegiate per combattere i sostenitori del moto della Terra, definifon-ti infedeli e atei. L’opposizione protestante si può comprendere tendendo in considerazione uno dei suoi fondamentali principi: il ritorno ad una cristianità originaria. Proprio questo principio fu uno dei motivi di scontro con la Chiesa cattolica, culminato nella Riforma protestante del 1517 e nella Controriforma cattolica a partire dagli anni immediatamente successivi. I protestanti si opponevano ad una lettura metaforica e allegorica dei testi sacri che già nei secoli precedenti avevano permesso alla Chiesa di adottare la cosmologia aristotelico-tolemaica. Per la Chiesa protestante era fondamentale rispettare la visione cosmologica rivelata nei testi sacri.

Il copernicanesimo venne coinvolto nella grande guerra di religione tra cattolici e testanti. La Chiesa cattolica per far fronte alle accuse e alle pressioni della rivolta pro-testante assunse una posizione rigida nei confronti degli stessi luterani e poi si scagliò energicamente anche contro il copernicanesimo. Questa opposizione divenne sempre più radicale con gli sviluppi della teoria eliocentrica portata avanti dai sostenitori di Co-pernico: se fino a quel momento la Chiesa evava tollerato coloro che avevano appoggiato una simile ipotesi all’interno di un universo finito, qualche tempo dopo non riuscì ad ac-cettare gli sviluppi più rivoluzionari di questa teoria, sviluppi di cui Giordano Bruno fu uno dei principali artefici. Le misure adottate dalla Chiesa sfociarono inizialmente nella riorganizzazione del tribunale dell’Inquisizione nel 1542 e nell’istituzione del primo In-dice dei libri proibiti nel 1559. Questi e altri provvedimenti culminarono nel 1616 con la messa al bando di tutti i libri che sostenevano la realtà del moto della Terra e nella ritrattazione imposta a Galilei nel 1633. L’opposizione della Chiesa non impedì i pro-gressi della scienza che riuscì proprio in quegli anni a trovare numerose prove a favore del copernicanesimo32.

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Il dibattito cosmologico nella seconda metà del Cinquecento

Nell’arco di tempo che intercorre tra il 1543 e il 1633 vennero formulate diverse teorie astronomiche. Le grandi scoperte scientifiche, compiute soprattutto grazie alle osser-vazioni telescopiche di Galilei, conferirono validità al sistema eliocentrico, portando a compimento quella rivoluzione astronomica che Copernico aveva appena delineato. La riforma operata da Copernico e dai suoi sostenitori rivoluzionò per sempre il rapporto dell’uomo con la natura e istituì un nuovo ordine di rapporti tra scienza e teologia. Molto tempo prima delle scoperte di Galilei, una forte scossa al dibattito cosmologico giunse intorno alla seconda metà del Cinquecento, in seguito alla comparsa di vari fe-nomeni celesti: lanova del 1572 nella costellazione di Cassiopea, la cometa celeste del 1577, le comete degli anni 1580, 1582 e 1585. L’apparizione dellenovae, interpretata come fenomeno che interessava il mondo celeste, mise in discussione la validità del principio aristotelico dell’incorruttibilità dei cieli e la presenza delle sfere cristalline come cau-sa del moto dei pianeti33. Proprio in questi anni, una nuova generazione di astronomi

come Christoph Rothmann, Thomas Digges, Tycho Brahe, Micheal Maestlin e Nicholas Reimarus Ursus, iniziò ad interpretare la manifestazione di tali fenomeni celesti, met-tendo in discussione alcune tra le principali teorie fisiche di Aristotele. Al dibattito co-smologico partecipò anche Giordano Bruno, che già diverso tempo prima di Christoph Rothmann, Tycho Brahe e altri astronomi a lui contemporanei, iniziò a rigettare alcuni principi fondanti dell’intera tradizione astronomica: esistenza delle sfere solide e distin-zione tra mondo celeste e mondo sublunare. In questo modo, anche diversi problemi lasciati in sospeso dalla teoria copernicana giunsero a nuove e inaspettate conclusioni: la prima di queste è da riferirsi alla negazione delle sfere solide e impenetrabili conte-nenti i pianeti, a cui lo stesso Copernico aveva fatto ricorso nel suo sistema cosmologico; la seconda riguarda l’omogeneità tra lo spazio che circonda il mondo terrestre e quello che delimita il mondo celeste: il cielo, in cui i pianeti si muovono, è composto da una materia fluida, che non è altro che l’aria.

33Cfr. M. A. GRANADA,Sfere solide e cielo fluido. Momenti del dibattito cosmologico nella seconda metà del

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Il primo sostenitore di questi principi all’interno di un’argomentazione astronomica fu Christoph Rothmann (1555-1610), astronomo tedesco nominato matematico alla corte del principe Guglielmo IV di Hessen-Kassel. Nel trattatoDescriptio accurata cometae an-ni 1585, rimasto indedito fino al 1619, egli stabilisce l’ubicazione della cometa, situandola nel cielo di Saturno, e arriva a importanti risultati, cui aderiscono anche Brahe e Ursus intorno al 1587: inesistenza delle sfere solide e fluidità della materia celeste. Rothmann sembra dipendere, tuttavia, dalle importanti argomentazioni di Jean Pena (1528 o 1531 -1558), collaboratore di Pietro Ramo e professore di matematica nel College Royal di Pari-gi che, nella prefazioneDe usu Optices alla sua edizione e traduzione latina dell’Ottica di Euclide, nel 1557 aveva sostenuto il carattere fluido della materia celeste e l’inesistenza delle sfere solide che sostengono i pianeti34.

Qualche anno più tardi, nel 1589 circa, Rothmann si pronuncia su un’altra importante questione: il moto della Terra. Secondo l’astronomo, il sistema copernicano non è in con-trasto con le Sacre Scritture, in quanto i testi biblici non forniscono alcuna indicazione a favore di una determinata teoria astronomica. Rothmann ricorre alla teoria dell’acco-modazione, che aveva già consentito a Retico di sostenere la cosmologia copernicana: le Scritture hanno un fine diverso dall’astronomia, e per questo non possono mettere in discussione le dimostrazioni matematiche. L’astronomo, tuttavia, non ha mai dichiarato esplicitamente il suo accordo con il sistema copernicano; soltanto nel suo carteggio pri-vato con Brahe rivela la sua adesione al moto della Terra35.

In questi anni gli astronomi erano ancora abbastanza reticenti circa la validità della teoria copernicana; si dedicavano, piuttosto, alla risoluzione di diversi problemi di calcolo ma-tematico o fisico, proponendo diverse alternative al sistema eliocentrico di Copernico. È il caso ad esempio dei modelli cosmologici ideati da Jean Pena: un sistema geoeliocentri-co, in cui Mercurio e Venere si muovono ognuno nel suo epiciclo intorno al Sole, accom-pagnandolo nel suo movimento annuale intorno alla Terra centrale; ossia un modello semicopernicano, in cui la Terra, Mercurio e Venere compiono un moto di rivoluzione

34Cfr.ivi, pp. 127 - 132. 35Cfr.ivi, pp. 87-113.

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intorno al Sole centrale36. Il sistema geoeliocentrico iniziò a svilupparsi con diverse va-rianti a partire dalla seconda metà del Cinquecento, incontrando l’approvazione di tutti quegli astronomi che, per motivi teologici o fisici, avevano rifiutato l’interpretazione realistica del modello copernicano. Si può far riferimento alla teoria geoeliocentrica di Nicolaus Raymarus Ursus (1551-1600), astronomo e matematico che presentò pubblica-mente la propria cosmologia a Guglielmo IV nel 1586, per poi esporla in un’opera del 1588 intitolataFundamentum astronomicum. In questo trattato, pubblicato nello stesso anno dell’opera di Brahe, sono presenti anche i risultati delle sue osservazioni astro-nomiche che, in sintonia con le posizioni di Bruno, Rothmann e Brahe, avanzano nella teoria dell’omogeneità della materia celeste: Ursus crede nella fluidità del cielo e nell’ine-sistenza delle sfere solide; ma a differenza di Rothmann e Brahe, egli sostiene la possibile estensione infinita dell’aria oltre Saturno e il conseguente numero infinito delle stelle; per Ursus l’universo può estendersi oltre il limite della nostra vista. Tuttavia, l’impoten-za della condizione umana, lontana dalla conoscenl’impoten-za del vero, impedisce all’astronomo di postulare un’infinità effettiva, come invece fanno Digges e Bruno, e lo spingono piut-tosto a presentare la sua argomentazione come una semplice congettura37.

Anche Tycho Brahe (1546-1601), protagonista indiscusso del nuovo scenario cosmolo-gico, rifiuta l’astronomia copernicana per diverse ragioni (incompatibilità con le Sacre Scritture, problema fisico del movimento di una Terra troppo pesante) e nel De mundi aetherei del 1588 propone un proprio modello cosmologico: il sistema geoeliocentrico o ticonico. Brahe prevede una Terra immobile e centrale, intorno alla quale ruotano i due corpi luminosi, il Sole e la Luna (in modo da trovare una certa concordia con quanto è affermato nella Bibbia) e la sfera finita delle stelle fisse, e cinque pianeti centrati sul Sole, trasportati nella sua orbita annuale intorno alla Terra centrale. Le sue prime inda-gini cosmologiche sono legate alla comparsa dellanova nel 1572, alla quale dedica una trattazione nella sua opera d’esordio: ilDe nova stella del 1573. L’apparizione della nova nella regione celeste rappresentava un forte ostacolo ai principi aristotelici, secondo i

36Cfr.ivi, pp. 14-19.

37Cfr. M. A. GRANADA, El debate cosmologico en 1588. Bruno, Brahe, Rothmann, Ursus, Röslin, Napoli,

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Figura 4:Il sistema geoeliocentrico di Tycho Brahe.

quali la regione celeste è composta da un’unica sostanza eterea e incorruttibile38. Per

questo motivo Brahe, che in un primo momento era legato alla tradizione aristotelica (sfere solide, perfezione immutabile del cielo), definisce la natura della nuova stella co-me un evento miracoloso ordinato da Dio. Il ricorso all’intervento divino respinge quel sistema di leggi naturali a cui potrebbe appartenere la comparsa dellanova, risolvendo in questo modo la questione di possibili mutazioni nella regione celeste. Nel corso de-gli anni Brahe muterà le posizioni assunte inizialmente: l’osservazione delle comete del 1577, 1580, 1582 e specialmente del 1585, consentì all’astronomo di confutare il princi-pio aristotelico dell’immutabilità dei cieli e di affermare la presenza nel mondo celeste dell’elemento del fuoco, in modo da spiegare la generazione e la corruzione di fenomeni celesti come le comete. Con la pubblicazione delDe mundi aetherei del 1588, Brahe pre-sentò non solo il suo sistema geoeliocentrico, ma anche le sue tesi sull’inesistenza delle

38Questa improvvisa apparizione nel cielo aveva fatto immediatamente pensare alla nascita di una nuova

stella. In realtà si trattò di unasupernova, una stella già esistente che esplode all’improvviso, con uno spettacolare aumento della luminosità, seguito da un graduale declino. Rispetto allanova, fenomeno celeste con simili caratteristiche, la luminosità dellasupernova può eguagliare quella di miliardi di stelle simili al Sole. (Cfr. M. BUCCIANTINI e M. TORRINI (a cura di),La diffusione del copernicanesimo in Italia (1543-1610), Firenze, Olschki, 1997, pp. 249-251.)

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sfere solide e sulla fluidità del cielo, che riteneva composto da una sostanza eterea nella quale i corpi celesti si muovono liberamente grazie all’impulso della divinità. È anche probabile che egli sia stato influenzato dalle teorie di Rothmann, il quale gli inviò il suo manoscritto inedito sulla cometa nel 1586: nella sua prima lettera a Rothmann del 1587, Brahe espresse la propria ammirazione verso le nuove ipotesi cosmologiche e dichiarò di aver messo in dubbio già da parecchio tempo l’esistenza degli orbi solidi39.

Quasi contemporaneamente all’opera di Brahe sullanova del 1572, venne pubblicato un altro importante trattato nel 1573, laDemonstratio astronomica loci stellae novae dell’a-stronomo copernicano Micheal Maestlin (1550-1631). Questa ricerca espone i risultati relativi all’osservazione dellanova del 1572, e conduce Maestlin a sostenere la posizio-ne celeste della nuova stella e la sua natura prodigiosa: il fenomeno celeste era situato nella sfera delle stelle fisse, sede della perfezione e dell’immutabilità, e per questo po-teva essere spiegato solo facendo ricorso alla volontà divina. In un primo tempo anche Maestlin, come Brahe, rimase fedele al dogma aristotelico dell’incorruttibilità; ma dopo l’osservazione di altre comete, in particolare quella del 1577, elaborò tesi più avanzate e mise in discussione il principio dell’immutabilità. La conclusione di Maestlin, Brahe e della maggior parte degli astronomi fu sostanzialmente questa: nel mondo celeste sono possibili generazione e corruzione come conseguenza dell’intervento divino40.

Il ricorso al miracolo per spiegare la manifestazione delle comete consentiva agli astro-nomi di conservare la costruzione cosmologica aristotelica. Gli esiti di queste indagini evidenziano un atteggiamento largamente diffuso tra gli astronomi, anche se non del tutto omogeneo. L’interpretazione dellanova come manifestazione dell’intervento divi-no venne completamente rigettata da Giordadivi-no Brudivi-no (1548-1600), che intervenne sulla comparsa dei nuovi fenomeni celesti nelDe l’infinito del 1584 e nel De immenso del 1591. Per Bruno la potenza infinita di Dio, priva di limitazioni, si esercita in accordo con la sua volontà, che si esprime nell’ordine naturale, immutabile e universale; un ordine naturale

39Cfr. M. A. GRANADA,El debate cosmologico en 1588. Bruno, Brahe, Rothmann, Ursus, Röslin, pp. 32-39 e

D. TESSICINI,I dintorni dell’infinito. Giordano Bruno e l’astronomia del Cinquecento, Pisa-Roma, Fabrizio Serra Editore, 2007, pp. 111-118.

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in cui non è ammesso il ricorso al miracolo per spiegare eventi che fanno parte della legge immutabile della natura.

I nuovi corpi celesti comparsi tra il 1572 e il 1585 non sembravano essere riconducibili all’ordine naturale, per questo dovevano essere interpretati come miracoli divini. Il cor-so regolare della natura, creata mediante un atto di potentia ordinata, sembrava essere alterato da fenomeni di generazione e corruzione. Soltanto attraverso il ricorso alla po-tentia absoluta fu possibile spiegare determinati eventi: l’esercizio della volontà divina poteva eccedere il ciclo ordinario della natura, dando luogo alla comparsa di nuovi se-gni nel cielo. Bruno rifiuta questa distinzione trapotentia ordinata e potentia absoluta di Dio, in quanto la potenza divina si manifesta in un unico atto di creazione che non am-mette alterazioni dell’ordine creato. I segni celesti mostrano la falsità della cosmologia aristotelico-cristiana e, di conseguenza, la necessità di elaborare una nuova cosmologia in grado di spiegare questi fenomeni facendo riferimento ad una legge naturale-divina immutabile e necessario41.

L’interpretazione dei nuovi fenomeni celesti rivela alcuni aspetti decisivi del dibattito cosmologico che si avviò a partire dalla seconda metà del Cinquecento. A questa discus-sione presero parte diversi astronomi, astrologi, medici e filosofi naturali, in costante dialogo e contesa sulle principali questioni astronomiche. Alcune di queste testimonian-ze ci consentono di seguire gli sviluppi della nuova astronomia e di capire quali furono i motivi che portarono all’abbandono della cosmologia aristotelica; ci permettono anche di verificare la ricezione della teoria eliocentrica e gli eventuali progressi del sistema astro-nomico delineato per la prima volta da Copernico. Dopo Retico e prima dell’intervento di Keplero e Galilei, furono pochi gli astronomi che si pronunciarono pubblicamente a favore del copernicanesimo.

Qualche anno prima dell’intervento di Rothmann, troviamo un’esplicita adesione al co-pernicanesimo da parte dell’astronomo inglese Thomas Digges (1546-1595), il quale ade-risce alla cosmologia copernicana, associandola alla concezione platonica della gerarchia

41Cfr. M. A. GRANADA,Il rifiuto della distinzione tra potentia absoluta e potentia ordinata di Dio e

l’af-fermazione dell’universo infinito in Giordano Bruno, «Rivista di storia della filosofia», 1994/3, XLIX, pp. 525-528.

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cosmo-ontologica. Nell’opuscoloA Perfit Description of Caelestiall Orbes, pubblicato nel 1576, Digges presenta la traduzione in inglese dei capitoli 7, 8 e 10 del primo libro del De Revolutionibus con importanti commenti aggiunti al testo, riferiti soprattutto al dia-gramma cosmologico. L’universo copernicano di Digges era caratterizzato da una sfera stellare che si estendeva infinitamente verso l’alto, all’interno della quale troviamo un numero infinito di stelle. L’infinito di Digges, tuttavia, non è riferito all’universo nel suo insieme, ma solo alla sfera delle stelle fisse, considerata come la sede di Dio, degli angeli e dei beati; per questo non rappresenta una realtà fisica o naturale, ma fondamentalmente teologico. Si viene quindi a definire una gerarchia cosmo-ontologica che prevede una sorta di eterogeneità fra un mondo celeste e un mondo terrestre. Inoltre, la concezione infinitistica implica un unico sistema planetario con il Sole al centro, attorno a cui ruo-tano i diversi pianeti trasportati dalle sfere solide42.

Lo sviluppo della cosmologia copernicana presentato da Digges sembra avere una cer-ta consonanza con la visione cosmologica infinitiscer-ta sostenucer-ta da Bruno a partire dal 1584 nellaCena de le ceneri e nel De l’infinito universo e mondi. In realtà, gli esiti a cui giunse l’interpretazione bruniana di Copernico si allontanano dall’universo infinito e teologico di Digges: l’infinito di Bruno rappresenta uno spazio corporeo, non teologico e immateriale; è omogeneo in ogni sua parte, senza lasciare posto ad alcuna distinzione gerarchica. Rispetto a Digges, e al resto della tradizione scientifica a lui contemporanea, Giordano Bruno fu uno dei primi a considerare la realtà fisica del sistema eliocentrico e a rigettare alcuni elementi caratteristici della cosmologia del suo tempo: 1) l’eteroge-neità tra mondo celeste e mondo sublunare, 2) la presenza delle sfere solide come causa del moto dei pianeti, 3) la concezione di un cosmo finito chiuso dell’ottava sfera delle stelle fisse e 4) l’esistenza di un unico sistema planetario. È evidente come queste teorie cosmologiche sostenute da Bruno delineano alcuni momenti decisivi del dibattito co-smologico che coinvolse alcuni tra i più grandi astronomi a partire dalla seconda metà

42Cfr. M. A. GRANADA,Thomas Digges, Giordano Bruno e il copernicanesimo in Inghilterra, in Giordano

Bruno (1583-1585). The English Experience / L’esperienza inglese, a cura di M. CILIBERTO e N. MANN, Fi-renze, Olschki, 1994, pp. 129-136 eBruno, Digges e Palingenio: omogeneità ed eterogeneità nella concezione dell’universo infinito, «Rivista di storia della filosofia», 1992/1, XLVII, pp. 54-60.

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del Cinquecento43.

La cosmologia di Giordano Bruno

Come si è avuto modo di accennare, anche Giordano Bruno intervenne nel dibattito cosmologico inaugurato dalla pubblicazione delDe revolutionibus. Al filosofo va ricono-sciuto il merito di aver sostenuto la realtà fisica del sistema eliocentrico e di aver presen-tato, nellaCena de le Ceneri, «la miglior disamina, e refutazione, delle obiezioni classiche – aristoteliche e tolemaiche – al moto della Terra che sia mai stata scritta prima di Ga-lileo»44. Nel primo dei dialoghi volgari, oltre alla difesa del sistema eliocentrico, Bruno

sviluppa il modello copernicano in chiave infinitistica, iniziando ad introdurre concetti che saranno al centro di altre due opere: ilDe l’infinito, universo et mondi (1584) e il De Immenso (1591). Fu proprio attraverso la concezione di un universo infinito e decentrato che Bruno riuscì a demolire alcuni dei principali fondamenti della tradizione, delineando temi che saranno al centro del dibattito cosmologico che si svilupperà nei secoli succes-sivi45.

Alla luce della pubblicazione di queste opere si potrebbe forse pensare che la riflessione cosmologica di Bruno abbia preso avvio nel 1584 in seguito alla scoperta del De Revo-lutionibus di Copernico. In realtà l’interesse per questioni di carattere cosmologico non risale alla discussione della teoria copernicana condotta in Inghilterra, ma costituisce un aspetto significativo della sua formazione giovanile. Già nel 1576 Bruno era in gra-do di affrontare temi e problemi di carattere cosmologico: questo è dimostrato dal ciclo di lezioni tenuto a Noli sulla Sphaera di Giovanni Sacrobosco. Questo testo, risalente al XIII secolo, dava un’esposizione del sistema tolemaico dei moti planetari e rimase per circa quattro secoli il principale trattato di astronomia elementare. LaSphaera ebbe un notevole successo editoriale nel Cinquecento, soprattutto in seguito alle problemati-che astronomiproblemati-che sollevate dalla pubblicazione delDe Revolutionibus. L’interesse verso

43Cfr.ivi, pp. 137-155.

44A. KOYRÈ,Dal mondo chiuso all’universo infinito, cit., p. 38. 45Cfr.ivi, pp. 37-48.

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tematiche fisico-cosmologiche sembra aver coinvolto anche l’ambiente domenicano: la presenza del manoscritto è ampiamente attestata in numerosi fondi antichi di biblioteche domenicane. È difficile stabilire se l’interpretazione bruniana del trattato di Sacrobosco fosse in linea con la lettura dei maestri domenicani, in quanto il testo delle sue lezioni, ammesso che ve ne fosse uno, è andato perduto. Resta comunque di grande importanza la presenza di questo testo negli ambienti frequentati da Bruno perché chiarisce, pri-ma di tutto, la posizione iniziale del filosofo su argomenti di carattere cosmologico, una posizione che non è “copernicana” fin dal principio; in secondo luogo, testimonia che l’interesse verso tematiche cosmologiche è presente già durante gli anni trascorsi a San Domenico Maggiore a Napoli, dove potrebbe aver intrapreso una prima lettura della Sphaera46.

Gli anni trascorsi a San Domenico, dal 1565 al 1576, furono decisivi per la formazione di Bruno. L’esperienza domenicana è segnata da due episodi molto importanti, che riflet-tono la profonda meditazione di Bruno su questioni di ordine teologico e l’emergere di punti centrali della sua filosofia. Il primo episodio risale all’incidente avuto in convento nel 1566, quando Bruno decise di sbarazzarsi delle immagini di due santi. Influenza-to dalla concezione cristiana di Erasmo, che attribuiva al tesInfluenza-to sacro la vera immagine di Cristo, Bruno decise di abbandonare il culto delle immagini per ispirarsi esclusiva-mente all’insegnamento di Cristo. Ma qualche tempo dopo, anche l’insegnamento di Cristo si rivelò inadeguato: l’ingiustizia che governava il mondo lo fece allontanare da quel modello cristiano cui inizialmente aveva guardato. Il comportamento della Chiesa nei confronti delle popolazioni del Nuovo Mondo, destinate all’estinzione in nome dei valori cristiani, e le continue guerre di religione che affliggevano l’Europa, segnarono profondamente l’esperienza di Bruno. La realtà sembrava esser segnata da un profondo rovesciamento: l’insegnamento di Cristo aveva sovvertito l’ordine del mondo. Da qui l’idea di intraprendere un’azione di riforma per conferire giustizia al mondo e istituire un nuovo ordine.

46Cfr. E. CANONE (a cura di),Giordano Bruno. Gli anni napoletani e la ’peregrinatio’ europea, Università

degli studi di Cassino, 1992, pp. 79-81; M. CILIBERTO,Giordano Bruno. Il teatro della vita, Milano, Mondadori, 2007, p. 109.

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L’allontanamento dal cristianesimo divenne più evidente con il secondo incidente avve-nuto nel 1576, che riguardava alcuni dogmi centrali del cristianesimo: l’Incarnazione e la Trinità. La lettura di Ario, secondo il quale il figlio non era della stessa sostanza del padre ed era a lui subordinato, consentì a Bruno di mettere a fuoco la radicale sproporzione tra il Figlio e il Padre, uomo e Dio, e dunque tra finito e infinito. Il dogma dell’Incarna-zione inventato dalla Chiesa doveva essere sostituito da una nuova religione capace di cogliere le differenze fondamentali tra uomo e Dio, senza ricorrere ad alcun tipo di me-diazione: l’infinito non può congiungersi al finito. La concezione antitrinitaria di Ario fece cogliere a Bruno uno dei punti centrali della sua filosofia: il concetto di infinito. È importante sottolineare il fatto che «alla scoperta dell’infinito Bruno arrivò dunque per via teologica, e senza speciali forzature; e ci arrivò prima di incontrare Copernico e il copernicanesimo». La riflessione teologica costituì il principio della nuova cosmologia, aprendo la strada all’interpretazione della teoria copernicana in chiave infinitistica47.

È difficile stabilire in che momento preciso della sua vita Bruno abbia incontrato Coper-nico; tuttavia prendendo in esame determinati momenti del suo itinerario filosofico è possibile ricostruire alcune tappe importanti del suo pensiero, cercando di individuare quando il Nolano iniziò a confrontarsi in maniera più approfondita con la cosmologia copernicana. Vale la precisazione che, in mancanza di documenti o testimonianze, alcuni punti di questa trattazione avranno un carattere esclusivamente ipotetico.

Dopo esser fuggito dal convento nel 1576 in seguito al profondo distacco da alcuni prin-cipi della dottrina cristiana, Bruno si fermò per qualche tempo in alcune città italiane: Roma, Napoli e Noli; come ho accennato precedentemente, a Noli tenne alcune lezioni di grammatica e astronomia, in particolare sullaSphaera di Sacrobosco, un trattato sull’a-stronomia tolemaica. Da qui intraprese una nuova peregrinazione per l’Italia, decidendo di fermarsi a Venezia, dove pubblicò l’opuscolo intitolatoDe’ segni de’ tempi, sparito dalla circolazione dopo un breve periodo. È Bruno stesso ad informarci della pubblicazione di questo testo: nel 1592 di fronte agli inquisitori veneziani dichiara di aver soggiornato un mese e mezzo a Venezia dando alle stampe l’operetta. Il testo è andato perduto, e Bruno

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non dà alcuna informazione significativa sul suo contenuto. Si può ipotizzare che non affrontasse argomenti molto impegnativi, dato che fu realizzato e stampato in un arco di tempo molto breve, e lo stesso Bruno durante il processo sostiene di averlo scritto semplicemente per procurarsi del denaro. Il titolo dell’opera rinvia alla tradizione legata alla trattatistica metereologica e alla poesia bucolica che aveva considerato i "segni del tempo" come chiari indizi dei cambiamenti metereologici. L’assonanza delDe’ segni de’ tempi con alcuni opuscoli pubblicati a Venezia in quel periodo, come il De verissimis tem-poris signis di Agostino Nifo stampato nel 1540, in cui vengono descritte le condizioni atmosferiche, e ilPrognostico o vero iudicio generale di Girolamo Cardano del 1550, che fornisce indicazioni sulle condizioni climatiche e sui principali eventi politico-religiosi sulla base delle posizioni celesti, ha indotto alcuni studiosi ad ipotizzare che si potesse trattare di un prognostico legato alla previsione di fenomeni atmosferici. La presenza di argomentazioni di carattere metereologico potrebbe essere confermata anche dal fatto che Bruno nel 1592 dichiarò di aver mostrato la sua operetta a padre Remigio, il quale aveva pubblicato a Venezia un’edizione deiMetereologica di Aristotele48.

Pur non escludendo la possibilità di una trattazione legata alla manifestazione di feno-meni atmosferici, Saverio Ricci crede che i "segni dei tempi" siano piuttosto riconducibili alla problematica profetico-astrologica affiorata nel Cinquecento in seguito alla manife-stazione di nuovi fenomeni celesti. L’opuscolo di Bruno potrebbe inserirsi in quelle di-scussioni astronomiche e astrologiche scaturite dalla comparsa dellanova del 1572 nella costellazione di Cassiopea e della cometa del 1577, interpretate come eventi straordinari che potevano annunciare la nascita di una nuova religione o un grande cambiamento politico. L’apertura di Bruno verso l’astronomia e l’astrologia divinatoria avvenne, se-condo Ricci, proprio a Venezia intorno alla metà degli anni Settanta, all’interno di un contesto culturale continuamente sollecitato dalle nuove problematiche astronomiche: bisogna tener presente che Venezia era il luogo in cui si sviluppò maggiormente il dibat-tito scientifico e, soprattutto, dove vennero pubblicate le principali opere di astronomia presso l’editore Aldo Manuzio: nel 1528 venne dato alle stampe l’Almagesto di Tolomeo

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e nel 1531 uscì una nuova edizione dellaSphaera di Sacrobosco, trattato sul quale Bruno fece lezione in più occasioni49.

Le diverse proposte interpretative sul De’ segni de’ tempi hanno un carattere esclusi-vamente ipotetico. In mancanza di testimonianze e documenti, gli unici dati certi di cui siamo a conoscenza sono quelli forniti da Bruno: l’opera venne stampata a Venezia, nella contrada della Frezzaria, dove esisteva un’intensa attività editoriale e tipografica; aveva un contenuto potenzialmente eterodosso, come attesta il fatto di averla mostrata a pa-dre Remigio; era stata scritta per mettere da parte qualche denaro in una situazione di difficoltà economica. Se questo era il vero intento di Bruno, si spiega anche l’uso della lingua volgare: voleva rivolgersi ad un pubblico molto ampio, che fosse in grado di ca-pire quello che c’era scritto e fosse indotto a comprarla50.

Solo dopo aver lasciato l’Italia per approdare in Francia nel 1578, Bruno intraprenderà un nuovo percorso intellettuale in cui verranno a svilupparsi i temi fondamentali della sua filosofia, insieme ad un tacito confronto con la teoria copernicana. Il periodo trascorso a Tolosa, città in cui Bruno restò per circa due anni, fu un periodo molto fruttuoso: tenne, in un primo momento, delle lezioni sullaSphaera di Giovanni Sacrobosco e poco dopo sulDe anima di Aristotele. Non si sa con certezza quali fossero gli argomenti trattati, ma è probabile che nelle lezioni tenute a Tolosa abbia affrontato anche temi inerenti all’inda-gine mnemotecnica, che costituirà l’argomento centrale delle opere pubblicate qualche anno dopo a Parigi, ilDe umbris idearum e il Cantus Circaeus; ed è inoltre possibile che proprio negli anni trascorsi in Francia, tra il 1579 e il 1583, Bruno abbia iniziato a con-frontarsi con le nuove tematiche cosmologiche51.

Nel 1581 decise di lasciare Tolosa per recarsi a Parigi, dove era presente un vivo inte-resse per il copernicanesimo: l’ipotesi eliocentrica venne dibattuta diverse volte prima dell’arrivo di Bruno, senza mai essere interpretata in senso fisico o senza mai aver assun-to assun-toni rivoluzionari, ma rappresentava piutassun-tosassun-to un esercizio matematico comparativo. A queste discussioni presero parte diversi intellettuali che gravitavano intorno alla corte

49Cfr. S. RICCI,Giordano Bruno nell’Europa del Cinquecento, Roma, Salerno editrice, 2000, pp. 117-119. 50Cfr. M. CILIBERTO,Giordano Bruno. Il teatro della vita, pp. 110-111.

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di Enrico III, tra i quali Pontus de Tyard che, pur rimanendo fedele all’idea dell’immobi-lità della Terra, nutriva una certa ammirazione per Copernico definendolo «restauratore dell’astronomia»52. Pontus possedeva una copia della prima edizione delDe

Revolutioni-bus, come è attestato dalla sua firma sul frontespizio dell’opera, e si presume abbia letto interamente il trattato di Copernico, in cui è presente qualche breve annotazione di sua mano53. In una delle sue opere,L’Univers del 1557, Pontus fa diverse considerazioni in

materia cosmologica e sembra reinterpretare alcuni passi delDe Revolutionibus; in parti-colare, egli sostiene che la Luna è situata sullo stesso epiciclo della Terra. Come avremo modo di approfondire nel prossimo capitolo, la presenza di una simile interpretazione nellaCena di Bruno ha indotto Frances Yates ad ipotizzare una possibile lettura o cono-scenza dell’opera di Pontus de Tyard da parte del Nolano54.

La discussione intorno alla teoria copernicana in Francia sembra assumere toni meno conflittuali rispetto al dibattito che si sviluppò in Italia dopo la pubblicazione del trattato astronomico. Già nel 1544, il domenicano Giovanni Maria Tolosani, esperto di matemati-ca e astronomia matemati-calcolatoria, si preoccupò di scrivere un breve opuscolo anticopenimatemati-cano per condannare l’evidente incoerenza tra la teoria copernicana e le Sacre Scritture e per ribadire la validità della fisica aristotelica contro ogni eventuale interpretazione in senso realistico del movimento della Terra. L’avversione di Tolosani alla teoria copernicana fu seguito da quello di altri esponenti del mondo cattolico, tra i quali Benito Pereira, Cri-stoforo Clavio e altri membri del Collegio Romano, che avanzarono diversi argomenti a sostegno del geocentrismo; anche i gesuiti del Collegio di Napoli finirono per scontrarsi con la teoria copernicana, cosa che emerse dalla condanna di Colantonio Stigliola, de-nunciato da un gesuita per aver sostenuto proposizioni ereticali: nella testimonianza di un personaggio che conosceva l’opera di Stigliola si fa riferimento ad un sistema cosmo-logico in cui «la terra si mova et il cielo stia fermo»55.

52Cfr. S. RICCI,Giordano Bruno nell’Europa del Cinquecento, p. 149.

53Cfr. O. GINGERICH,Alla ricerca del libro perduto. La storia dimenticata del trattato che cambiò il corso

della scienza, Milano, Rizzoli, 2004, p. 129.

54Cfr. D. TESSICINI,I dintorni dell’infinito. Giordano Bruno e l’astronomia del Cinquecento, pp. 38-39. 55Cfr. M. BUCCIANTINI e M. TORRINI (a cura di),La diffusione del copernicanesimo in Italia (1543-1610),

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Questi brevi esempi ci fanno comprendere che ilDe Revolutionibus fu recepito con una certa ostilità da parte della Chiesa fin dal primo momento della sua pubblicazione, ostilità che si tramutò dopo qualche decennio in una vera e propria condanna del copernicane-simo. Nel 1616 ilDe Revolutionibus venne inserito nell’Indice dei libri proibiti e nel 1620 furono censurate alcune parti del testo: dieci specifiche proposizioni vennero cancellate con dei semplici tratti di penna e poi corrette con diverse annotazioni volte a negare la realtà del moto della Terra. Molte copie dell’opera conservate in Italia riportano il segno di questa censura operata dall’Inquisizione, mentre le molte altre sparse per il mondo, anche in paesi cattolici come la Francia o la Spagna, presentano nella maggior parte dei casi un testo integro e non corrotto56.

Probabilmente al di fuori dell’Italia la teoria copernicana era letta con maggiore libertà: potrebbe essere il caso delle diverse discussioni nate alla corte di Enrico III a Parigi, in cui diversi intellettuali confrontavano il sistema tolemaico con quello copernicano, di-battendo sull’ipotesi eliocentrica e sulle principali innovazioni di calcolo introdotte da Copernico. Proprio negli anni in cui il sistema copernicano iniziava a costituire un vivo argomento di discussione, Bruno si trovava a Parigi: qui probabilmente potrebbe aver consultato in modo più accurato ilDe Revolutionibus di Copernico, come risulta da qual-che riferimento alla teoria eliocentrica contenuto nelDe umbris, e potrebbe anche aver avuto qualche contatto con l’opera di Pontus de Tyard. Sempre in questi anni, è probabi-le che Bruno abbia avuto modo di conoscere l’opera di Pietro Ramo e anche l’Optica e la Catoptrica di Euclide nella traduzione latina di Jean Pena del 1557; la conoscenza dell’o-pera di Euclide potrebbe emergere dalle diverse questioni di geometria ottica sollevate da Bruno nellaCena a sostegno del proprio modello cosmologico57.

La firma presente sulla copia della seconda edizione (Basilea 1566) delDe Revolutionibus nella Biblioteca Casanatense di Roma, recante sul frontespizio l’iscrizione "Brunus", è stata ritenuta da Ernan McMullin come un autentico autografo bruniano. Egli ritiene che Bruno fosse realmente in possesso di quella copia del De Revolutionibus, di cui si

56Cfr. O. GINGERICH,Alla ricerca del libro perduto, pp. 198-199.

57Cfr. E. CANONE (a cura di),Giordano Bruno (1548-1600). Mostra storico documentaria, Firenze, Olschki,

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