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di Alessandro Angelini

LA FONTE G A I A DI J A C O P O DELLA QUERCIA STORIA E RESTAURO DI UN CAPOLAVORO DELL'ARTE SENESE

a cura di Enrico Toti e Sara Dei

pp. 208, €36,

Polistampa, Firenze 2011

A

conclusione dei lavori di restauro dei frammenti del-la Fonte Gaia di Jacopo deldel-la Quercia, effettuati dall'Opificio di Firenze, e della conseguente collocazione di questi reperti ne-gli spazi espositivi dell'Ospedale di Santa Maria della Scala, è sta-to pubblicasta-to un volume di no-tevole interesse e di bella veste grafica, curato da Enrico Toti e Sara Dei. Questo libro, elegante senza essere vanamente sontuo-so, getta luce su molti aspetti della storia secolare

che riguarda la celebre fontana, incentrandosi soprattutto sulla fortu-na, e spesso sfortufortu-na, otto-novecentesca ri-servata al monumento.

La vicenda della fontana di piazza ha inizio ben prima che Jacopo mettesse mano

alla sua opera e nelle pagine di Duccio

Baie-stracci, poste all'inizio del libro, si ripercorre infatti la preistoria di questa magnifica suppelletti-le, fin dalle sue origini trecente-sche. Ma fu solo dopo la morte nel 1402 di Giangaleazzo Vi-sconti e in un periodo di relativa pacificazione con la vicina Fi-renze che la signoria di Siena de-cise, nel 1408, di affidare a Jaco-po della Quercia, suo maggiore scultore, l'impresa di una fonte marmorea di nuove forme mo-numentali. Sara Dei, autrice del-la maggior parte dei saggi di ap-profondimento, prende in esa-me la tipologia singolarissima della fontana, che non ha prece-denti e le cui inedite forme par-rebbero trovare analogie più con monumenti funebri trecenteschi che con analoghe strutture o ba-cini idrici. La giovane studiosa esamina anche l'iconografia dei rilievi scolpiti da Jacopo, che presentano motivi cari alla tradi-zione senese fin dall'epoca aurea del governo dei Nove. Alle tradi-zionali figurazioni trecentesche si univa però una nota più pro-priamente antichizzante, rappre-sentata dalle statue di Rea Silvia e da Acca Larenzia, accanto a quella della lupa che allatta i due gemelli. Questo aspetto icono-grafico intendeva rinviare alle mitiche origini della città, alla sua filiazione da Roma e alla conseguente autonomia da Fi-renze. Nessuno scultore più di Jacopo poteva assecondare, con il suo vigoroso plasticismo che sarebbe stato poi tanto caro a Michelangelo, l'ambizione anti-quaria di questa cultura umani-stica ai suoi esordi. L'analisi cul-turale e stilistica dell'opera nel contesto dell'attività di Jacopo appare forse quella più carente

La Fonte Gala C di Jacopo della Quercia

nel volume, anche se era già sta-ta affronsta-tasta-ta in modo diffuso nel catalogo della recentissima mo-stra Da Jacopo della Quercia a

Donatello. Le arti a Siena nel pri-mo Rinascimento (Siena, 2010),

dove la sezione dedicata allo scultore senese era curata da una specialista in materia come Lau-ra Cavazzini, che in questa occa-sione firma solo un asciutto pro-filo di Jacopo. Ma bisogna ricor-dare che siamo ancora in attesa di uno studio scientifico comple-to e moderno sull'artista, se escludiamo quello, per molti versi discutibile, di James Beck del 1991.

Come anticipato, l'interesse precipuo del volume concerne invece la fortuna successiva, so-prattutto quella ottocentesca. Fu nell'ambito della cultura purista che si decise di rimuovere l'anti-ca struttura e di sostituirla con una "copia" moderna. L'appello del 1844 di Gaetano Milanesi e Gasparo Pini per una "copia in marmo in tutto uguale" non eb-be riscontro se non molti anni più tardi quando, alla vigilia del-la presa di Roma, fu inaugurata del-la "copia" realizzata da Tito Sarroc-MUstfS— chi, allievo di Giovan-ni Duprè e spesso ese-cutore dei progetti ap-prontati dall'architetto Giuseppe Pattini. Dal principio partiniano del restauro integrati-vo, ben rispondente al gusto estetico contem-poraneo, si era poi passati a una libera co-pia: le molte parti or-mai lacunose dei mar-mi di Jacopo venivano rifatte di sana pianta, in uno stile che di-remmo - per riprendere il bel te-sto di Massimo Ferretti - più educato sui delicati modi proto-rinascimentali di Desiderio e di Rossellino che consono a quelli vigorosamente gotici, carichi, a tratti drammatici, di Jacopo. La nuova fonte veniva poi isolata nel suo spazio da una cancellata che avrebbe impedito il logorio del-l'uso ma che l'avrebbe trasforma-ta definitivamente in un monu-mento. Intanto i marmi originari venivano riparati nel Museo del-l'Opera del Duomo e sulla realiz-zazione del Sarrocchi, percepita sempre più come arbitraria e gla-ciale, iniziava a stendersi il velo impietoso del disinteresse.

Forme

N

el 1904, Corrado Ricci de-cise di collocare i marmi della fonte nella Loggia dei No-ve, sul retro del Palazzo Pubbli-co, disponendo intelligentemen-te i frammenti contro le pareti, a emulare la disposizione a U del-la fontana. Il semioblio in cui so-no caduti i calchi e i modelli in stucco del Sarrocchi è durato in sostanza fino ai nostri giorni, e si vedano nel volume le pagine di Fabio Gabbrielli. Al nuovo alle-stimento della fonte nei locali di Santa Maria della Scala si deve invece la piena rivalutazione dei modelli ottocenteschi che, acco-stati agli originali e alle copie tratte nel 1859 da quegli antichi marmi, permettono al visitatore di acquisire più dati di cono-scenza sul capolavoro del grande

maestro senese. •

a l e s s a n d r o . a n g e l i n i l @ t i n . i t A. Angelini insegna storia dell'arte moderna

all'Università di Siena

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