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La dinastia Argeade nella Suda

3.2 Alessandro e la Grecia

Il gruppo successivo di lemmi da prendere in considerazione comprende invece quattro voci (D 456, E 3953, O 245, P 1619) riguardanti le imprese che Alessandro ha compiuto in Grecia e il suo rapporto con i Greci stessi.

Il primo lemma da considerare, riguarda il rapporto tra Alessandro e Demostene e, in particolare, una vicenda precisa :

D 456 s.v. Dhmosqevnhç

[...]ejpoliteuvsato de; kai; kata; jAlexandrou tou' Filivppou. Ou{ “Arpaloç polla; nosfisavmenoç crhvmata wJç jAqhnaivouç katevfugen: w'n kai; Demosqevnhç eijlhfevnai mevroç e]doxe. Kai; e]fugen eijç Troizh'na. jAlexavndrou' de ejn Babulw'ni teleuthvsantoç, oJ Dhmosqevnhç kath'lqe klhqeivç. […]

[…] fu anche opposto politicamente ad Alessandro, figlio di Filippo. Avendo Arpalo rubato a costui una grande quantità di denaro, si rifugiò presso gli Ateniesi; (denaro) del quale sembrò che anche Demostene avesse ricevuto una parte. Andò anche in esilio a Trezene. Dopo la morte di Alessandro a Babilonia, Demostene, richiamato, tornò in patria. […]

I fatti cui fa riferimento il testo si svolsero nel 324 a.C., sul finire della vita di Alessandro, e coinvolsero una figura di rilievo tra i compagni del sovrano: Arpalo, dignitario macedone che era stato compagno del re fin dalla giovinezza e che aveva manifestato fin da subito una lealtà oscillante. Arriano racconta al riguardo:

Arr. An. 3.6.5-7: Ἅρπαλος γὰρ τὰ μὲν πρῶτα ἔφυγε, Φιλίππου ἔτι βασιλεύοντος, ὅτι πιστὸς ἦν [...]τελευτήσαντος δὲ Φιλίππου κατελθόντας ἀπὸ τῆς φυγῆς ὅσοι δι᾽ αὐτὸν ἔφευγον [...]Ἅρπαλον δὲ ἐπὶ τῶν χρημάτων, ὅτι αὐτῷ τὸ σῶμα ἐς τὰ πολέμια ἀχρεῖον ἦν [...] ὀλίγον δὲ πρόσθεν τῆς μάχης τῆς ἐν Ἰσσῷ γενομένης ἀναπεισθεὶς πρὸς Ταυρίσκου ἀνδρὸς κακοῦ Αρπαλος φεύγει ξὺν Ταυρίσκῳ. καὶ ὁ μὲν Ταυρίσκος παρ᾽ Ἀλέξανδρον τὸν Ἠπειρώτην ἐς Ιταλίαν σταλεὶς ἐκεῖ ἐτελεύτησεν, Ἁρπάλῳ δὲ ἐν τῇ Μεγαρίδι ἡ φυγὴ ἦν. ἀλλὰ Ἀλέξανδρος πείθει αὐτὸν κατελθεῖν πίστεις δοὺς οὐδέν οἱ μεῖον ἔσεσθαι ἐπὶ τῇ φυγῇ: οὐδὲ ἐγένετο ἐπανελθόντι, ἀλλὰ ἐπὶ τῶν χρημάτων αὖθις ἐτάχθη Ἅρπαλος.

una prima volta Arpalo era stato esiliato, quando regnava ancora Filippo, perché era fedele ad Alessandro […] morto Filippo e tornati in patria tutti quelli che erano stati esiliati a causa sua, Alessandro nominò […] Arpalo tesoriere poiché non aveva un fisico adatto alla guerra […] ma poco prima della battaglia di Isso, corrotto da Taurisco, un malfattore, era fuggito con lui. Taurisco si era recato in Italia presso Alessandro l'Epirota e lì era morto; Arpalo aveva trovato rifugio nella Megaride. Ma Alessandro lo persuase a tornare, rassicurandolo che non avrebbe avuto sanzioni per la fuga. E in verità ciò non accadde al suo ritorno, ma Arpalo ebbe di nuovo la carica di tesoriere. (trad. Sisti)

A questi primi tradimenti si aggiunse poi una vita sfrenata a Babilonia, permessa dal suo ruolo di tesoriere che, a seguito della presa di Ecbatana, comprendeva ormai la custodia di ingenti ricchezze. Ateneo racconta infatti che, durante l'assenza di Alessandro, impegnato nella campagna in India, Arpalo, convinto che il re non sarebbe più tornato, aveva vissuto nel lusso, aveva frequentato due etere, Pizionice e Glicera, e alla morte di entrambe aveva speso una quantità incredibile di denaro per far costruire loro monumenti funebri e per far accompagnare il loro corteo funebre dagli artisti e dai musicisti più famosi del tempo25. L'evento che la Suda riporta è una conseguenza di

tale atteggiamento. Un resoconto, breve ma preciso, è quello di Diodoro: Diod. 17.108.6 μετὰ δὲ ταῦτα ἄλλην ἑταίραν Ἀττικὴν ὄνομα Γλυκέραν μεταπεμψάμενος ἐν ὑπερβαλλούσῃ τρυφῇ καὶ πολυδαπάνῳ διαιτήματι διεξῆγεν: εἰς δὲ τὰ παράλογα τῆς τύχης καταφυγὰς ποριζόμενος εὐεργέτει τὸν τῶν Ἀθηναίων δῆμον. τοῦ δὲ Ἀλεξάνδρου μετὰ τὴν ἐξ Ἰνδῶν ἐπάνοδον πολλοὺς τῶν σατραπῶν κατηγορηθέντας ἀνελόντος φοβηθεὶς τὴν τιμωρίαν καὶ συσκευασάμενος ἀργυρίου μὲν τάλαντα πεντακισχίλια, μισθοφόρους δ᾽ ἀθροίσας ἑξακισχιλίους ἀπῆρεν ἐκ τῆς Ἀσίας καὶ κατέπλευσεν εἰς τὴν Ἀττικήν.

Dopo ciò, frequentò una seconda cortigiana di nome Glicera e la mantenne in un lusso sfrenato, procurandole uno stile di vita che era straordinariamente costoso. Allo stesso tempo, tenendo d'occhio i cambiamenti della fortuna, si procurò un rifugio tramite benefici agli Ateniesi. Quando Alessandro tornò dall'India e mise a morte molti dei satrapi che erano stati accusati di malversazione, Arpalo si allarmò all'idea della

punizione che avrebbe potuto ricevere. Mise insieme 5000 talenti d'argento, ingaggiò 6000 mercenari, partì dall'Asia verso l'Attica. (Trad. it. da Oldfather)

Con la fuga di Arpalo e il suo arrivo ad Atene ebbe inizio ciò che molti studiosi hanno definito “l'affare Arpalo26”: egli infatti si presentò nel Pireo con le navi armate e,

quando gli venne negato l'accesso, si recò al Tenaro dove lasciò i mercenari e una parte del denaro, per poi ripresentarsi al Pireo in veste di supplice. Venne così accolto in Atene, ma arrestato per ordine dell'Ecclesia dietro suggerimento di Demostene, e infine riuscì a fuggire per poi morire in circostanze poco chiare, ucciso presumibilmente da Tibrone, uno dei suoi compagni27. In Atene, però, la situazione si era fatta rovente:

Arpalo, al momento dell'arresto, aveva dichiarato di avere con sé 700 talenti ma, quando fuggì, ne vennero ritrovati sull'Acropoli solo 35028. Il sospetto fu immediato:

probabilmente la parte mancante era stata usata per corrompere alcuni politici; a seguito di questa deduzione, venne incriminato Demostene, che, secondo Iperide, sarebbe stato connivente alla fuga dell'accusato:

Hyp. Contro Demostene, fr. 3 col.12-13

σὺ δ᾽ ὁ τῷ ψηφίσματι τοῦ σώματος αὐτοῦ τὴν φυλακὴν καταστήσας καὶ οὔτ᾽ ἐκλειπομένην ἐπανορθῶν οὔτε καταλυθείσης τοὺς αἰτίους κρίνας, προῖκα δηλονότι τὸν καιρὸν τοῦτον τεταμίευσαι; καὶ τοῖς μὲν ἐλάττοσι ῥήτορσιν ἀπέτινεν ὁ Ἅρπαλος χρυσίον, τοῖς θορύβου μόνον καὶ κραυγῆς κυρίοις, σὲ δὲ τὸν τῶν ὅλων πραγμάτων ἐπιστάτην παρεῖδεν; καὶ τῷ τοῦτο πιστόν; τοσοῦτον δ᾽, ὦ ἄνδρες δικασταί, τοῦ πράγματος καταπεφρόνηκεν Δημοσθένης, μᾶλλον δέ, εἰ δεῖ μετὰ παρρησίας εἰπεῖν, ὑμῶν καὶ τῶν νόμων, ὥστε τὸ μὲν πρῶτον, ὡς ἔοικεν, ὁμολογεῖν μὲν εἰληφέναι τὰ χρήματα, ἀλλὰ κατακεχρῆσθαι αὐτὰ ὑμῖν προδεδανεισμένος δεδανεισμένος εἰς τὸ θεωρικόν:

26 Per la definizione di questa vicenda e i suoi risvolti si vedano Badian 1961: 16.43; Worthington 1994: 307-330; Landucci – Gattinoni 1996:93-106; Blackwell 1999.

27 Diod. 17.108. 7-8: οὐδενὸς δὲ αὐτῷ προσέχοντος τοὺς μὲν μισθοφόρους ἀπέλιπε περὶ Ταίναρον τῆς Λακωνικῆς, αὐτὸς δὲ μέρος τῶν χρημάτων ἀναλαβὼν ἱκέτης ἐγένετο τοῦ δήμου. ἐξαιτούμενος δὲ ὑπ᾽ Ἀντιπάτρου καὶ Ὀλυμπιάδος καὶ πολλὰ χρήματα διαδοὺς τοῖς ὑπὲρ αὐτοῦ δημηγοροῦσι ῥήτορσι διέδρα καὶ κατῆρεν εἰς Ταίναρον πρὸς τοὺς μισθοφόρους. [8] ἐκεῖθεν δὲ πλεύσας εἰς Κρήτην ὑπὸ Θίβρωνος ἑνὸς τῶν φίλων ἐδολοφονήθη. οἱ δ᾽ Ἀθηναῖοι τῶν τοῦ Ἁρπάλου χρημάτων λόγον ἀναζητοῦντες Δημοσθένην καὶ ἄλλους τινὰς τῶν ῥητόρων κατεδίκασαν ὡς εἰληφότας τῶν Ἁρπάλου χρημάτων. 28 Hyp. 5.3.: ὁ δ᾽ ἀπεκρίνατο ὅτι ἑπτακόσια τάλαντα τὰ χρήματα εἶναι τηλικαῦτα αὐτὸς ἐν τῷ δήμῳ πρὸς ὑμᾶς εἰπών, ἀναφερομένων τριακοσίων ταλάντων καὶ πεντήκοντα ἀνθ᾽ ἑπτακοσίων, λαβὼν τὰ εἴκοσι τάλαντα οὐδένα λόγον ἐποιήσατο ἐν τῷ δήμῳ ἑπτακόσια φήσας εἶναι τάλαντα, νῦν τὰ ἡμίση ἀναφέρεις, καὶ [...]

Fosti tu a decretare che una guardia doveva essere posta alla persona di Arpalo. E quando essa allentò la sua vigilanza tu non cercasti di richiamarla, e dopo che fu congedata non perseguisti i responsabili. Devo supporre che tu sia rimasto senza ricompensa per la tua avveduta gestione dell'emergenza? Se Arpalo distribuì il suo oro tra gli oratori di minore importanza, che non hanno niente da dare se non strepiti e urla, che cosa diede a te che controlli la nostra intera politica? Ti ha escluso? Questo è incredibile. Talmente grande, o giudici, è il disprezzo, con il quale Demostene ha trattato la questione, o per essere franchi, voi e le leggi, che fin dall'inizio, sembra, ha ammesso di aver preso il denaro, ma ha detto di averlo usato per vostro interesse [...] (trad. da Burtt)

Le parole di Iperide sono molto chiare: Demostene divenne il principale sospettato. Egli chiese però che venisse istruito un processo, sotto la giurisdizione dell'Areopago, e chiese inoltre che fosse decretata la pena di morte nel caso fosse stato ritrovato colpevole (Din.1.61); come fa notare Franca Landucci, una simile decisione probabilmente si basava sulla certezza che l'Areopago si sarebbe pronunciato favorevolmente29: nonostante ciò, e forse su pressione del demos, Demostene venne

incriminato relativamente all'appropriazione indebita di 20 talenti (Din.1.6.89). L'evento è diffusamente raccontato da Plutarco, sotto forma di aneddoto:

Plut. Dem. 25. 2-3: ἡμέραις δ᾽ ὀλίγαις ὕστερον ἐξεταζομένων τῶν χρημάτων ἰδὼν αὑτὸν ὁ Ἅρπαλος ἡσθέντα βαρβαρικῇ κύλικι καὶ καταμανθάνοντα τὴν τορείαν καὶ τὸ εἶδος, ἐκέλευσε διαβαστάσαντα τὴν ὁλκὴν τοῦ χρυσίου σκέψασθαι. θαυμάσαντος δὲ τοῦ Δημοσθένους τὸ βάρος καὶ πυθομένου πόσον ἄγει, μειδιάσας ὁ Ἅρπαλος, ‘ἄξει σοι,’ φησίν, ‘εἴκοσι τάλαντα’ καὶ γενομένης τάχιστα τῆς νυκτὸς ἔπεμψεν αὑτῷ τὴν κύλικα μετὰ τῶν εἴκοσι ταλάντων.

Pochi giorni dopo, però, mentre si stavano inventariando le sue ricchezze, Arpalo sorprese Demostene che contemplava una coppa di artigianato barbarico, soffermandosi sugli intagli e sulla forma. Lo invitò allora, a prenderla in mano e a calcolarne il peso dell'oro. L'oratore, meravigliato della sua pesantezza, chiese quanto potesse valere ed Arpalo con un sorrisetto gli rispose: «A te frutterà venti talenti». Quella notte, infatti, senza perdere tempo, gli fece recapitare a casa la coppa, insieme,

appunto, ai venti talenti.

Sebbene il racconto possa apparire troppo elaborato per essere veritiero, ha in ogni caso una curiosa coincidenza con quanto era stato deciso nei termini di pena pecuniaria per Demostene, così come resta veritiera la notizia della sua fuga dal carcere e dell'esilio a Trezene riportata dal lemma della Suda e confermata dalla continuazione del testo plutarcheo (Dem. 26). Quanto riportato dal lessico bizantino, dunque, nella sua brevità, è un ragguaglio piuttosto preciso degli eventi di questo intricato affare; è interessante ricordare però, riprendendo due concetti espressi rispettivamente da Franca Landucci e da Alex Gottesmann, che, se la svalutazione di Demostene e la sua accusa di tradimento, in questo affare, furono lo strumento per l'affermazione del più guerrafondaio Iperide e delle sue idee di contrasto bellico con la linea macedone30,

altrettanto Iperide stesso e con lui Demostene e tutti i protagonisti della vicenda, furono uno strumento più ampio di cui Arpalo si era servito per cercare di innescare una guerra contro Alessandro, giocando sia sul fatto che presentarsi armato nel Pireo avrebbe scosso le certezze di sovranità ateniesi, sia sul fatto che, presentarsi successivamente da supplice significava far leva sul sentimento di inviolabilità e accoglienza riservato appunto ai supplici, un modo per fare breccia nell'entourage politico e cercare sostegno alle sue idee31. Il progetto non ebbe poi alcun seguito, ma

gli eventi presero in ogni caso una deriva impossibile da arrestare: la guerra Lamiaca non era lontana.

Il secondo lemma da considerare riguarda invece il rapporto tra Alessandro e Teopompo di Chio: E 3953 s.v. ]Εφορος ]Εφορος Κυμαι'ος καὶ Θεοπομπος Δαμασιστρατου, Χι'ος, αμφω Ισοκρατους μαθηται, ἀπ' εναντιων το τε η\θος καὶ τους λογους ὁρμωμενοι. ὁ μὲν γὰρ [Εφορος η\ν το η\θος απλου'ς, την δὲ ερμηνειαν τη'ς ἱστοριας υπτιος καὶ νωθρος καὶ μηδεμιαν εχων επιτασιν: ὁ δὲ Θεοπομπος το η\θος πικρος καὶ κακοηθης, τη'/ δὲ φρασει πολυς καὶ

30 Landucci- Gattinoni 1996:99 “ non bisogna però dimenticare che le arringhe di Dinarco e Iperide sono costruite in modo da dimostrare che Demostene e gli altri imputati, pur accusati di corruzione, erano in realtà colpevoli di tradimento, poiché come dice chiaramente Iperide, la corruzione poteva mettere in pericolo la democrazia, favorendo i suoi nemici esterni, cioè, in quel momento, i

Macedoni di Alessandro.”

συνεχης καὶ φορα'ς μεστος, φιλαληθης εν οι ης εγραψεν. ὁ γου'ν Ισοκρατης τον μὲν εφη χαλινου' δει'σθαι, τον δὲ [Εφορον κεντρου. φυγὰς δὲ γενομενος ὁ Θεοπομπος ἱκετης εγενετο τη'ς Εφεσιας Αρτεμιδος, επεστελλε τε πολλὰ κατὰ Χιων Αλεξανδρῳ, καὶ μεντοι καὶ αυτον Αλεξανδρον εγκωμιασας πολλα. λεγεται δὲ καὶ ψογον αυτου γεγραφεναι, ος ου φερεται.

Eforo di Cuma e Teopompo figlio di Damasistrato, di Chio. Entrambi allievi di Isocrate, ma, fin dall'inizio, opposti l'uno all'altro in termini di carattere e discorsi. Eforo infatti era di carattere semplice e nell'interpretazione della storia trascurato e senza nerbo e senza alcuna intensità; Teopompo invece era di carattere pungente e malizioso, ma nel modo di esprimersi era ricco ed eloquente e pieno di forza, amante della verità in ciò che scriveva. Isocrate infatti diceva che Teopompo necessitava di un freno, mentre Eforo di uno sprone. Teopompo fu esiliato, divenne supplice di

Artemide Efesia e scrisse molte lettere contro gli abitanti di Chio ad Alessandro, ed allo stesso tempo scrisse anche molti encomi di Alessandro stesso. Si dice anche che scrisse uno “psogos” (biasimo/invettiva) contro di lui che non è conservato.

Nell'ultima parte del testo emergono una serie di notizie particolarmente rilevanti: 1. Teopompo fu esiliato

2. divenne supplice di Artemide Efesia

3. scrisse ad Alessandro delle lettere contro gli abitanti di Chio.

Questi eventi, che nel testo sembrano essere collegati tra loro quasi come conseguenza l'uno dell'altro, in realtà aprono una questione molto più vasta circa le vicende della vita dello storico. La notizia dell'esilio di Teopompo risale ad un passo di Fozio:

Phot. Bibl. 120b 19-30:

[Esti de; Qeovpompoç Ci'oç me;n to; gevnoç, uiJo;ç Damostra;tou, fugei'n de; levgetai th'ç patrivdoç aJvma tw'/ patriv, ejpi; lakwnismw'/ tou' patro;ç aJlovntoç, ajnaswqh'nai de; th'/ patrivdi teleuthvsantoç aujtw'/ tou' patrovç, th;n de; kavqodon jAlexavndrou tou' Makedovnwn basilevwç di j ejpistolw'n tw'n pro;ç tou;°ç Civouç katapraxamevnou: ejtw'n de; ei|nai tovte to;n Qeovpompon e j kai; m j: meta; de; to;n jAlexavndrou qavnaton pantacovqen ejkpesovnta eijç Ai[gupton ajfikevsqai, Ptolemai'on de; to;n tauvthç basileva ouj prosivesqai to;n a[ndra, ajlla; kai; wJç polupravgmona ajnelei'n ejqelh'sai,eij mhv tineç tw'n fivlwn parai thsavmenoi dieswvsanto.

Teopompo era originario di Chio ed era figlio di Damostrato. Si tramanda che andò in esilio con il padre, riconosciuto reo di parteggiare per gli Spartani; alla morte del padre poté rientrare in patria: artefice del suo ritorno fu Alessandro, re dei Macedoni, che indirizzò una lettera in tal senso ai cittadini di Chio; Teopompo aveva allora quarantacinque anni. Dopo la morte di Alessandro – essendo bandito da tutti – si diresse in Egitto, ma Tolemeo, re di quel paese, si rifiutava di dargli asilo e voleva anzi ucciderlo, ritenendolo un mestatore; alcuni suoi amici, però, intercedettero per lui e gli salvarono la vita. (Traduzione di C. Bevegni)

Alla notizia dell'esilio di Teopompo si affianca quella del suo ritorno, che trova dei riscontri in una iscrizione chiota (Syll.³ 283)32 in cui si trovano i punti principali del

riordino dell'assetto istituzionale di Chio, operato da Alessandro. Le principali modifiche riguardarono l'instaurazione di un governo democratico, la revisione della legislazione, l'imperativo di una contribuzione navale nei confronti dell'alleanza greco- macedone, il perseguimento dei traditori filopersiani e, infine, la reintegrazione degli esuli nell'isola. Secondo Fozio, Teopompo all'epoca aveva 45 anni, e, sebbene questo dato sia stato ormai contestato da diversi studiosi33, è per questi ultimi assolutamente

plausibile che egli, ad una differente età, sia rientrato nella terra natia in questo contesto. Ciò che viene invece messo in dubbio è il decreto ad personam con il quale Alessandro avrebbe richiamato espressamente Teopompo: Gabriella Ottone infatti, nella sua disamina del problema, porta l'attenzione su quanto sia arbitraria un'identificazione automatica tra le ejpistolaiv pro;ç tou;ç Civouç citate da Fozio e l'epigrafe contenente le disposizioni di Alessandro, e argomenta questa ipotesi tramite una minuziosa indagine tipologica dei caratteri dell'iscrizione, che non risponderebbe al canone dell'epistola così da permettere un confronto tra i due documenti34. Secondo

la sua indagine “l'unica soluzione consiste nel prospettare due possibilità: o che il documento contenuto nel diagramma avesse conosciuto una precedente formulazione sotto forma di epistole, oppure che il digramma stesso fosse stato accompagnato da una o più epistolai inviate da Alessandro in un momento di poco anteriore o posteriore35.”

32 Syll.³ 283 ( RO 84; GHI 192); per un commento del testo si veda Heisserer 1973: 191-204; Prandi 1983: 24-32; Bencivenni 2003: 15-16; Faraguna 2003: 113-115.

33 A tal proposito e per una cronologia della via di Teopompo si veda Shrimpton 1991: 3-5; Flower 1994: 14-15; Landucci – Gattinoni 1999: 108

34 Per una discussione estesa del problema si veda Ottone 2005: 61-107. 35 Ottone 2005: 68.

Senza scendere nei dettagli di questa parte dell'indagine, è opportuno però far notare che, in ogni caso, pensare che Alessandro abbia specificatamente richiesto un ulteriore condono per Teopompo nonostante egli avesse potuto beneficiare di un'amnistia generale, significa prospettare per lo storico - o meglio, per suo padre- una tipologia particolare di reato, che non rientrava tra quelle graziate e quindi porre in discussione tutto l'assetto giudiziario del tempo. Inoltre, se si postula che gli eventi relativi a Teopompo fossero avvenuti prima dell'emanazione del decreto, considerate le gravi difficoltà di Alessandro in quel momento storico, in cui si stava preparando alla conquista di un'isola difficile da sottomettere ed esposta all'influenza persiana, sembra improponibile che abbia avuto tempo di occuparsi del caso di un singolo. Secondo la Ottone, invece, si potrebbe risolvere questo punto postulando che l'intervento personale vada ascritto sì a un momento successivo all'emanazione dell'editto generale, ma considerando che tale editto richiamava tutti gli esuli “con la sola ovvia esclusione di quanti, fra coloro che avevano consegnato la città ai barbari, erano riusciti a fuggire prima che Chio fosse riguadagnata da Alessandro36.” Un'ipotesi però controversa

anch'essa, dato che implica un'accusa di barbarismos che in realtà non è imputabile a Teopompo, che secondo Fozio, scontava invece un esilio causato dalle paterne simpatie per gli Spartani. Anche questa accusa di complicità tra padre e figlio non sembra avere fondamento: Flower infatti osserva acutamente che “if Theopompus was still alive by

the end of Alexander's reign (as his letters demonstrate), he would have been too young to have taken the Spartan side in the internal politics of Chios. It must have been his father, therefore, who was exiled when Theopompus was only a boy37.”

Esattamente a questo punto subentra tuttavia la notizia riferita dalla Suda circa le lettere che Teopompo avrebbe indirizzato ad Alessandro; secondo Flower infatti è sulla base di questi scritti che la tradizione successiva avrebbe iniziato a legare personalmente lo storico all'amnistia concessa da Alessandro38; contro questa ipotesi si

pronuncia però Gabriella Ottone portando come prova un documento epigrafico, una seconda lettera di Alessandro agli abitanti di Chio39, in cui vi è testimonianza concreta

dell'esistenza di queste epistole del re macedone in cui il sovrano, all'interno di questioni più generali, si interessava anche del caso di un privato cittadino chiota

36 Ottone 2005: 77. 37 Flower 1994: 17. 38 Flower 1994: 17.

oggetto di rappresaglia; ma la studiosa sottolinea come le epistole citate da Fozio non possano identificarsi con questo testo epigrafico; al massimo si può ipotizzare che Fozio si riferisca ad un documento sul tipo di quello riportato dall'iscrizione40.

Dai dati presentati, dunque, emerge la possibilità che Alessandro si sia interessato effettivamente a Teopompo in quanto privato cittadino, sebbene nessuno dei documenti in nostro possesso attesti precisamente il suo caso, ma procedure analoghe in cui il sovrano avrebbe potuto operare nel suo caso. La Suda però sembra concatenare gli eventi, legando le lettere scritte da Teopompo contro gli abitanti di Chio al suo ritorno in patria. In realtà, l'ordine presentato dal lessico non è corretto, e ciò è facilmente dimostrabile considerando la seconda notizia fornita su Teopompo, ossia la sua condizione di supplice di Artemide a Efeso: l'evento infatti secondo Flower è da porre successivamente alla morte di Alessandro, nel momento in cui Teopompo, non trovando rifugio presso alcuno, forse in preda alla disperazione, aveva richiesto un aiuto divino nella sua ricerca di accoglienza41. Liberi quindi dai condizionamenti

cronologici che sembrava implicare l'ordine proposto dalla Suda, si può concentrare l'attenzione sulla produzione epistolare di Teopompo; a dare un'idea di quest'ultima è Dionigi di Alicarnasso (Ad Pomp. 6,1 = FGrHist 115 T 20a) che riporta le ejpistolai; Ciakai;, dal tono enfatico ed appassionato; esse sono una produzione distinta sia dai sumbouleutikoi; lovgoi sia dai panhgurikoiv. Ateneo è invece più specifico poiché afferma che le lettere chiote hanno in sé un carattere di denuncia e che il loro destinatario è Alessandro; la sua testimonianza merita particolare attenzione:

Ath. Deipn. 13,50,586c = FGrHist 115 F254a

φησιν Θεόπομπος ἐν τοῖς περὶ τῆς Χίας Ἐπιστολῆς, ὅτι μετὰ τὸν τῆς Πυθιονίκης θάνατον ὁ Ἅρπαλος μετεπέμψατο τὴν Γλυκέραν Ἀθήνηθεν: ἣν καὶ ἐλθοῦσαν οἰκεῖν ἐν τοῖς βασιλείοις τοῖς ἐν Ταρσῷ καὶ προσκυνεῖσθαι ὑπὸ τοῦ πλήθους βασίλισσαν προσαγορευομένην: ἀπειρῆσθαί τε πᾶσι μὴ στεφανοῦν Ἅρπαλον, ἐὰν μὴ καὶ Γλυκέραν στεφανῶσιν. ἐν Ῥωσσῷ δὲ καὶ εἰκόνα χαλκῆν αὐτῆς ἱστάναι τολμῆσαι παρὰ τὴν ἑαυτοῦ.

Teopompo nelle Epistole chiote dice che, dopo la morte di Pizionice, Arpalo mandò a chiamare Glicera da Atene; e quando lei giunse, visse nel palazzo a Tarso e venne

40 Ottone 2005 : 95.

41 Flower 1994: 24. Per una opposta ipotesi si veda invece Lane Fox 1986: 118 dove si propone di vedere l'evento poco dopo il ritorno di Teopompo del 332 a.C. ma prima della morte di Alessandro, e dove si afferma la possibilità che le lettere contro gli abitanti di Chio siano state scritte proprio in questo periodo.

onorata con onori regali dalla popolazione e venne chiamata regina; e venne promulgato un editto, che vietava a tutti di presentare Arpalo con una corona se anche Glicera non l'aveva. A Rosso, osò innalzare una statua bronzea di costei accanto alla propria.

E poco più avanti:

Ath. Deipn. 13,68, 595d e = FGrHist 115 F254b

μετὰ δὲ τὴν Πυθιονίκης τελευτὴν ὁ Ἅρπαλος Γλυκέραν μετεπέμψατο καὶ ταύτην ἑταίραν, ὡς ὁ Θεόπομπος ἱστορεῖ, φάσκων ἀπειρηκέναι τὸν Ἅρπαλον μὴ στεφανοῦν ἑαυτόν, εἰ μή τις στεφανώσειε καὶ τὴν πόρνην. ‘ἔστησέν τε εἰκόνα χαλκῆν τῆς Γλυκέρας ἐν Ῥωσσῷ τῆς Συρίας, οὗπερ καὶ σὲ καὶ αὑτὸν ἀνατιθέναι μέλλει. παρέδωκέν τε αὐτῇ κατοικεῖν ἐν τοῖς βασιλείοις τοῖς ἐν Ταρσῷ καὶ περιορᾷ ὑπὸ τοῦ λαοῦ προσκυνουμένην καὶ βασίλισσαν προσαγορευομένην καὶ ταῖς ἄλλαις δωρεαῖς τιμωμένην, αἷς πρέπον ἦν τὴν σὴν μητέρα καὶ τὴν σοὶ συνοικοῦσαν.

Dopo la morte di Pizionice, Arpalo mandò a chiamare Glicera, anch'essa una cortigiana, come racconta Teopompo quando dice che Arpalo “promulgò un editto di non incoronare lui senza incoronare anche la prostituta. Eresse anche una statua bronzea a Glicera a Rosso in Siria, dove intende anche erigerne una a te [Alessandro] e una a se stesso, e le ha permesso di abitare nel palazzo reale a Tarso e di essere riverita dal popolo e di venir chiamata regina e di venir onorata da altri doni che convengono solo a tua madre e a tua moglie.

I due brani sono significativi per due motivi: il primo è che Ateneo attribuisce il loro contenuto espressamente alle epistole chiote e, nel secondo, riporta le parole di Teopompo alla lettera, come si può facilmente intuire dai pronomi usati per indicare Alessandro, che indicano in lui l'espresso destinatario e che vengono usati proprio come se il brano fosse stato stralciato da una lettera più ampia a lui indirizzata. La corrispondenza perciò esisteva; ciò che invece è ancora più interessante riguarda il contenuto della medesima: Teopompo infatti parla degli abusi di potere messi in atto da Arpalo, il personaggio di cui si è già parlato in precedenza, che a Babilonia aveva usurpato il dominio di Alessandro, in qualità di suo cancelliere, in attesa che lui tornasse dall'India. Ciò che stupisce è però la poca attinenza del racconto con la vita o le avversità politiche di Chio; in effetti non vi è nessun legame che possa denotare un

collegamento tra il titolo della raccolta e il contenuto di questo passo specifico. La questione viene ulteriormente complicata dal fatto che, poco dopo, Ateneo prosegue riportando un altro brano del medesimo tenore, questa volta però attribuito semplicemente alla raccolta delle lettere ad Alessandro (Pro;ç jAlevxandron ejpistolh'/), senza specificare che abbiano un legame con Chio:

Ath. Deipn. 13.67, 595a = FGrHist 253

Θεόπομπος δ᾽ ἐν τῇ πρὸς Ἀλέξανδρον Ἐπιστολῇ τὴν Ἁρπάλου διαβάλλων ἀκολασίαν φησίν: ‘ἐπίσκεψαι δὲ καὶ διάκουσον σαφῶς παρὰ τῶν ἐκ Βαβυλῶνος ὃν τρόπον Πυθιονίκην περιέστειλεν τελευτήσασαν [...].

Teopompo nella sua lettera ad Alessandro criticando la sfrenatezza di Arpalo dice: «Considera e ascolta chiaramente dal popolo di Babilonia la maniera in cui seppellì Pizionice quando essa morì.[...]»

Il racconto prosegue poi con la narrazione degli eccessi cui si è già accennato, ma anche qui il testo è riportato come se fosse un discorso diretto rivolto ad Alessandro, a

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