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3.2 Il metodo di standardizzazione proposto e i dati utilizzati

3.2.2 L'algoritmo implementato

L'algoritmo di standardizzazione per questo lavoro di Tesi è stato implementa- to in MatLab (https://it.mathworks.com/products/matlab.html) e si compone di diversi passaggi:

1. tutte le immagini sono state riscalate in un intervallo d'intensità compreso tra 0 e 1;

2. le immagini sono state riallineate in modo da estrarre una porzione di tessuto analoga (box) per tutti i soggetti;

3. per ogni box è stato rappresentato l'istogramma nel quale sono visibili i picchi dei diversi tessuti cerebrali: materia grigia (GM), materia bianca (WM) e uido cerebrospinale (CSF);

4. mediante un t a tre gaussiane sono stati identicati i livelli di grigio associati ad ogni picco, che sono poi stati riportati a una scala standard da noi stabilita; 5. la trasformazione non lineare specica per ogni soggetto viene utilizzata per modicare le immagini originali, immorig ottenendo quindi immagini con un

contrasto armonizzato.

L'intervallo di intensità proprio di ciascuna immagine non è un valore costante. Per considerare solo livelli contenenti intensità di segnale non nulla, come operazione preliminare è stata applicata alle immagini una riscalatura lineare. Le immagini riscalate, immr, sono ottenute attraverso la seguente relazione:

immr = imm

[min max]− x min

xmax− xmin

La precedente trasformazione non inuenza l'informazione poichè lineare. Le imma- gini immr saranno quelle su cui verrà applicata la funzione di standardizzazione.

Le immr sono state allineate con SPM allo spazio MNI utilizzando l'immagi-

ne di riferimento single_subj_T1.nii compresa nel pacchetto software spm12 nella sottocartella canonical mostrata in g. 3.4.

A questo punto per eliminare la variabilità nelle dimensioni e quindi semplicare l'implementazione di passaggi successivi, è stata utilizzata l'opzione di denizione di un bounding box (da non confondere col box di tessuto utilizzato successivamen- te) presente sotto il menù Normalise. A tutte le immagini sono state riportate alla dimensione di 256x256x256 voxel, sono allineate nello spazio MNI, ossia sono normalizzate, e verranno indicate in seguito con immN.

Terminati i passaggi preliminari, si passa alla costruzione della funzione di stan- dardizzazione. sull'idea di un precedente studio sul morbo di Alzheimer in cui veniva eseguita come pre-processing una standardizzazione d'intensità mediante cluster k- means dei tessuti su una porzione interna al cervello[26], è stato deciso di estrarre un

box di tessuto analogo da tutte le immagini (g. 3.5). Il box individuato all'interno del volume cerebrale ha la funzione primaria di escludere i voxel che possono cor- rompere l'individuazione dei tessuti. In particolar modo, il CSF risulta essere molto simile al fondo; considerando i voxel interni al box, si è sicuri che la intensità più basse siano relative al tessuto.

Sono stati rappresentati gli istogrammi interni ai box e su ognuno è stato ese- guito un t a tre gaussiane per individuare i massimi delle distribuzioni di intensità corrispondenti ai tessuti (g. 3.6).

La media dei massimi individuati per ciascun tessuto è riportata in tabella 3.2.

WM GM CSF

0.38±0.04 0.23±0.02 0.05±0.01

Tabella 3.2: Medie e deviazioni standard dei valori d'intensità riscalati calcolati tramite t gaussiano calcolato sull'istogramma del box.

I valori della scala standard sono stati stabiliti in modo tale che le intensità fossero distribuite nell'intero range. Per questo motivo, è stato scelto di mappare i livelli di grigio di ciascuna immagine sulla scala standard con i valori dei tessuti indicati in tabella 3.3.

GMs W Ms CSFs

0.7 0.4 0.1

Tabella 3.3: Valori di intensità dei tessuti sulla scala standard.

La nuova posizione dei punti di riferimento può essere visualizzata gracamente, inserendo sull'asse delle ascisse i valori [0 csf(i) gm(i) wm(i) 1] e sull'asse delle ordinate i valori standard [0 0.1 0.4 0.7 1]. La funzione di standardizzazione propria per ciascuna immagine si ricava come spline passante per tali punti. Un esempio della sua rappresentazione è riportato in g 3.7.

Arrivati a questo punto è stato raggiunto l'obiettivo di creare una funzione S non lineare per ogni immagine i, attraverso cui è possibile la standardizzazione. Le Si vengono applicate alle immri, ottenendo la trasformazione non lineare di intensità

e un set di immagini standardizzate in cui le intensità sono comprese nell'intervallo [0 1], indicate con immst∗

i . Perchè sia possibile un confronto diretto tra immorig

ed immst, è necessario che su queste ultime venga eseguita una riscalatura lineare

mediante moltiplicazione di immst∗ per un valore costante che riporti le immagini

nel range iniziale di valori di intensità. La media dei massimi livelli di grigio delle immorig è risultata essere nel nostro caso 4073, è dunque ragionevole porre il fattore

moltiplicativo uguale a 212=4096. Le immagini standard immst sono state riportate

nello stesso formato di dato delle originali, ossia numeri interi a 12 bit.

Per valutare in modo qualitativo la riuscita della standardizzazione delle intensi- tà, sono stati rappresentati gli istogrammi delle immorig e quelli delle immst, come

mostrato in g. 3.8. Gli istogrammi delle immst risultano visibilmente più simili e

sovrapponibili tra loro, mentre è facile notare come le immagini originali abbiano range di intensità variabile e valori medi di GM, WM CSF diversi, per cui dierenti valori di contrasto tra i tessuti. L'algoritmo di standardizzazione implementato è stato in grado di uniformare le intensità di segnale delle immagini MRI pesate in T1.

La g. 3.9 mostra alcune delle immagini del dataset prima e dopo l'armonizzazione del contrasto.

Le immst sono state segmentate con SPM e FreeSurfer per confrontare l'eetto

della standardizzazione sulle stime dei volumi da parte di questi due software, molto diusi negli studi di neuroimaging. I risultati verranno discussi nel capitolo seguente.

Figura 3.3: Alcune immagini del dataset OASIS. A sinistra le immagini scan, a destra le corrispondenti rescan.

Figura 3.4: Immagine di riferimento single_subj_T1.nii utilizzata per allineare le immagini del dataset allo spazio MNI.

Figura 3.5: Alcuni box estratti dalle immagini riscalate e normalizzate. La porzione di tessuto è analogo a tutte le immagini e contiene sia GM, che WM, che CSF.

Figura 3.6: Fit gaussiano di 6 immagini del dataset. Per ogni tessuto viene individuata l'intensità corrispondente al massimo della distribuzione.

Figura 3.7: Mappatura dei valori WM, GM e CSF di una immagine del dataset sulla scala standard.

Figura 3.8: Sovrapposizione degli istogrammi del dataset prima e dopo la standardizzazione standardizzazione.

Figura 3.9: Confronto di alcune immagini del dataset prima (a sinistra) e dopo (a destra) l'armonizzazione del contrasto.

Parte III

Analisi delle immagini

CAPITOLO

4

Analisi e risultati

Per valutare l'eetto dell'algoritmo di standardizzazione sulla stima delle quan- tità di GM, WM e CSF da parte dei software SPM e FreeSurfer, i volumi sono stati calcolati per tutti i soggetti sia prima che dopo aver applicato l'algoritmo di standardizzazione. La riproducibilità dei valori calcolati della segmentazione è stata stimata attraverso la dierenza d tra i volumi dei dati scan e rescan.

Per ogni coppia di soggetti la dierenza d considerata è una dierenza mediata tra le due misure, denita come:

d = Vscan− Vrescan Vscan+ Vrescan

2

Nella tabella 4.1 sono riportati i valori percentuali di d, s e il p-value ottenuto attraverso il test di Student confrontando i volumi di GM, WM e CSF ottenuti per le immagini originali e standard con SPM; nella tabella 4.2 quelli ottenuti con FreeSurfer. Il confronto d e relativo t-test è fatto tra valori scan e rescan. La rappresentazione graca di d ed s calcolati sui volumi stimati da SPM e da FreeSurfer è rispettivamente in g. 4.1 e in g. 4.2.

SPM Imm Originali d(%) s(%) p-value GM 0.1 1.4 0.87 WM -0.4 1.3 0.16 CSF 1 7 0.38 SPM Imm Standard d(%) s(%) p-value GM 0.1 1.6 0.78 WM 0.2 1.5 0.46 CSF 1 7 0.54

Tabella 4.1: Valori medi delle dierenze tra volumi di scan e rescan (d) e delle deviazioni standard s per volumi originali e standardizzati segmentati tramite SPM. Il p-value è calcolato secondo il test statistico t di Student.

FreeSurfer Imm Originali d(%) s(%) p-value GM 4.6 1.3 <0.001 WM -2.8 1.2 <0.001

CSF -2 12 0.61

FreeSurfer Imm Standard d(%) s(%) p-value GM 5.4 3.3 <0.001 WM -1.9 1.6 <0.001 CSF -13 14 0.001

Tabella 4.2: Valori medi delle dierenze tra volumi di scan e rescan (d) e delle devia- zioni standard s per volumi originali e standardizzati segmentati tramite FreeSurfer. Il p-value è calcolato secondo il test statistico t di Student.

Sulle immagini originali, SPM fornisce misure di GM, WM e CSF altamente riproducibili tra test e retest (si veda tab. 4.1), l'ipotesi nulla non è riutata al livello di signicatività del 5%; per tutti i tessuti il p-value è nettamente al di sopra di 0.05 e le medie risultano nulle entro l'errore. Si può concludere che le uttuazioni dei dati sono attribuibili al caso e che le stime dei valori appartengono alla stessa distribuzione. FreeSurfer, invece (si veda tab. 4.2), genera delle stime di volumi signicativamente diverse tra scan e rescan. Tale dierenza non è plausibile che rietta reali variazioni intercorse tra la prima e la seconda acquisizione RM nei corrispondenti tessuti. Il t-test è signicativo sia nel caso della GM che della WM nel caso delle immagini originali, indicando che le distribuzioni da cui provengono i dati sono separate. Il t-test eseguito sul CSF, invece, non risulta signicativo.

Figura 4.1: Dierenze percentuali tra scan e rescan per i volumi dei tessuti calcolati con SPM prima (sinistra) e dopo la standardizzazione (destra).

Sempre con riferimento alla tab. 4.1, si può vedere che sui dati standard, SPM restituisce valori di GM, WM e CSF riproducibili tra test e retest e altamente consistenti con i valori ottenuti sui dati originali. SPM si è rivelato essere robusto rispetto alla variazione di intensità. La standardizzazione rende i valori medi di d(%) di WM e CSF ancora più vicini allo zero, dunque complessivamente i volumi sono ancora più simili. Il p-value della GM diminuisce leggermente, rimanendo in ogni caso molto al di sopra del livello di signicatività; i p-value di WM e CSF, anch'essi già nettamente al di sopra, aumentano ulteriormente, confermando la riproducibilità

Figura 4.2: Dierenze percentuali per i volumi dei tessuti calcolati con FreeSurfer prima e dopo la standardizzazione.

tra dati test e retest.

In relazione alla tab. 4.2 si verica che sui dati standard, FreeSurfer, non fornisce risultati riproducibili (p-value molto piccoli) tra test e retest per nessuno dei tessuti al livello di signicatività del 5%. Nonostante ciò, la dierenza tra i volumi di materia bianca tra test e retest sui dati standardizzati si riduce rispetto a quella ottenuta sui dati originali. Pertanto, si ritiene che un'ottimizzazione dei livelli di contrasto nelle immagini standardizzate possa portare ad annullare le discrepanze tra i volumi di GM, WM e CSF tra test e retest e quindi favorire la riproducibilità

delle misure.

Appurato che SPM restituisce sempre misure riproducibili, con Freesurfer ciò non è quasi mai vero. E' stato deciso, allora, di indagare ulteriormente il comportamento di FreeSurfer mediante il confronto diretto tra originali e standard separatamente sui dati scan e lo stesso confronto tra dati rescan. I risultati sono riportati in tabella 4.3.

FreeSurfer originali vs standard Scan

d(%) s(%) p-value GM -0.8 2.6 0.17 WM 1.2 1.6 0.003 CSF -15 14 <0.001 FreeSurfer originali vs standard

Rescan

d(%) s(%) p-value GM -0.1 1.7 0.75 WM 2.2 1.4 <0.001 CSF -25 16 <0.001

Tabella 4.3: Valori medi delle dierenze percentuali, delle deviazioni standard e p- value calcolati tra le immagini scan originali e standard e tra immagini rescan originali e standard.

Dal t-test si osserva un p-value non signicativo per la GM sia nel confronto tra i volumi scan che tra quelli rescan, a dierenza del p-value di WM e CSF che in entrambi i casi risulta signicativo.

Il confronto diretto tra originali e standard sui dati scan fornisce dierenze quasi sempre compatibili con zero; ciò indica che non siamo riusciti a modicare il con- trasto in modo da avere un impatto sulle misure di volume della GM. Lo stesso

confronto sulle rescan evidenzia invece una dierenza visibile, grazie proprio al cam- biamento della stima della WM. Anche il CSF mostra una variazione nel confronto tra volumi calcolati su immagini originali e standardizzate sui dati rescan e rescan. Il precedente confronto è espresso gracamente in g. 4.3.

Figura 4.3: Confronto tra i dati scan originali e standard ed i dati rescan originali e standard calcolati con FreeSurfer.

Grazie a queste variazioni, pensiamo sia possibile trovare un contrasto ottimale, modicando i valori di riferimento della scala standard, al ne di annullare le die- renze di volume tra scan e rescan nelle segmentazioni di FreeSurfer e ottenere quindi stime riproducibili e più adabili.

CAPITOLO

5

Conclusioni

L'algoritmo di standardizzazione dell'intensità delle immagini MRI implementato riesce ad armonizzare il contrasto tra i tessuti cerebrali come dimostrato dall'ottima sovrapposizione degli istogrammi delle immagini standard che si ottiene per tutti i soggetti, inclusi gli esami di scan e rescan.

La segmentazione tramite SPM sia delle immagini originali che delle standard restituisce volumi di GM, WM e CSF altamente riproducibili.

Non può dirsi lo stesso con FreeSurfer che, anche sulle MRI originali, rileva die- renze di volumi non plausibili con la realtà. Il confronto tra le stime sui volumi scan originali e standard produce dierenze nulle entro l'errore; questo implica che l'al- goritmo implementato non è riuscito ad inuenzare la segmentazione di FreeSurfer come desiderato. Lo stesso confronto sulle stime dei volumi rescan invece eviden- zia variazioni. La stima di WM nelle immagini standard risulta sistematicamente minore rispetto alle originali. Viceversa, la stima del CSF risulta sistematicamente maggiore nelle standard. L'algoritmo è quindi riuscito ad apportare una variazione sulla stima dei volumi ed è dunque plausibile ipotizzare che attraverso la scelta di una

opportuna scala standard, sia possibile raggiungere la riproducibilità nel confronto test retest, quindi una maggiore adabilità dell'algoritmo di segmentazione.

In conclusione, nonostante sia necessario svolgere ulteriori indagini per validare l'eetto della procedura di standardizzazione su dati acquisiti con macchinari diversi in caso di studi multicentrici, l'approccio proposto, grazie alla sua semplicità di implementazione, può fornire uno strumento valido per migliorare la precisione e riproducibilità degli studi di morfometria sulle neuroimmagini.

Parte IV

Approfondimenti

APPENDICE

A

Storia ed epidemiologia dell'autismo

A.1 La storia e la clinica

Il termine autismo deriva dal greco αὐτός (aütós), stesso, e fu inizialmente introdotto dallo psichiatra svizzero Eugen Bleuler nel 1911 per indicare un sintomo comportamentale della schizofrenia.

L'americano Leo Kanner fu il primo a descrivere, nel 1943, il comportamento di alcuni soggetti come aetti da "autismo infantile precoce". Negli anni '40 il tedesco Hans Asperger scoprì una condizione simile, ma ad alto funzionamento, la Sindrome di Asperger.

Per diversi decenni dopo la sua identicazione, l'autismo fu pensato essere cau- sato dalla risposta dei bambini alla genitorialità anafettiva ed inecace, una visione inizialmente promossa da Kanner (1949) e più tardi da Bettelheim (1967). Agli albo- ri, infatti, si credeva che la causa scatenante fosse di natura prettamente psicologica e che fosse il risultato del comportamento distaccato delle madri nei confronti dei bambini[7, 8, 27]. Non essendo riconosciuto come un disturbo indipendente, durante

gli anni '50 e '60, intere generazioni di genitori con bambini aetti da autismo sof- frirono di stigmatizzazione. Al contrario e simultaneamente, prese piede un potente movimento che raccolse una ricchezza di risorse per le persone con ritardo mentale (MR). Infatti, tra il 1948 e il 1966, il numero di bambini con MR nelle aule delle scuole pubbliche aumentò di cinque volte grazie al successo politico ed amministra- tivo dei sostenitori nell'assicurare classi di educazione speciale. Nel 1973, la legge sulla riabilitazione, un precursore della legge sull'individuazione degli individui con disabilità, garantiva il diritto a un'educazione appropriata per le persone con disa- bilità riconosciute, che includevano dunque il MR ma non l'autismo. Furono inoltre assicurate la copertura medica, il reddito di sicurezza supplementare e una garanzia di servizi. Mentre i sostenitori della MR stavano facendo progressi nel garantire di- ritti e beneci per le persone con MR, nessuna risorsa era disponibile per le persone con autismo. In particolare, l'autismo non era escluso per omissione, piuttosto, i sostenitori di MR remavano per non disperdere risorse faticosamente conquistate ed assicurare che l'autismo fosse squalicato dalla legislazione federale[8].

Negli anni, la scoperta dell'autismo diede il via a diverse riviste internazionali, in particolare: The Journal of Autism and Developmental Disorders, 1971, con Leo Kanner e Stella Chess come editori fondatori e Autism: International Journal of Research and Practice che è apparso per la prima volta nel 1997. Successivamen- te, nacquero altri giornali incentrati su questo tema e progressivamente l'argomento divenne dilagante all'interno della comunità scientica. L'obiettivo principale degli editori era quello di raorzare l'interfaccia tra ricerca e pratica, spinti dalla convin- zione che i trattamenti erano spesso valutati in modo inadeguato e che i ricercatori avevano necessità di avvicinarsi maggiormente alla realtà del disturbo [27].

Con il senno di poi, possiamo riconoscere che l'autismo è stato sempre più destig- matizzato attraverso gli sforzi di mobilitazione di Bernard Rimland e della National Society for Autistic Children (NSAC), il cui lavoro ha confutato le teorie psicogeni- che dell'autismo e posto le basi per il programma di ricerca che avrebbe identicato l'autismo come disturbo neurologico (Dolnick 1998). Distribuendo prove empiriche

crescenti, la NSAC è stata in grado di garantire che l'autismo fosse riconosciuto nel- la riautorizzazione del Developmental Disability Act. Innanzitutto, questo disturbo è stato riclassicato con successo da una grave malattia emotiva a una disabilità dello sviluppo. In secondo luogo, le risorse dirette alla ricerca sull'autismo e alle terapie e cure per gli individui con autismo si sono espanse radicalmente, alimentate sia dall'aumento della prevalenza di autismo che dallo sforzo di un movimento in espansione. Le maggiori risorse dedicate alla comprensione dell'eziologia, al tratta- mento ed all'educazione dei soggetti colpiti dal disturbo, hanno fatto sì che i genitori che negli anni '60 e '70 avevano speso le proprie risorse per evitare una diagnosi di autismo e la relativa stigmatizzazione, non ebbero più bisogno di farlo. Alla luce dei nuovi e forti incentivi, i genitori interessati a fornire beneci ai loro gli avrebbero avuto motivo di impiegare le proprie risorse per una diagnosi di autismo[8].

La comprensione del quadro clinico dell'autismo è cambiata radicalmente negli ultimi anni grazie allo studio della possibile gamma di comportamenti osservati. In- fatti, si è successivamente raggiunta la consapevolezza che esistono diversi disordini strettamente correlati che condividono caratteristiche essenziali simili, ma dierisco- no su sintomi specici, età di esordio o storia ambientale. Sottolineare la profonda variabilità tra i soggetti spiega il motivo per cui è più corretto riferirsi al disturbo come spettro autistico. Nonostante la necessità di categorizzare aspetti clinici, sociali e comportamentali, ogni individuo aetto è unico e presenta caratteristiche proprie; alcuni bambini autistici hanno un alto funzionamento intellettivo, un QI addirittura superiore alla norma, mentre altri presentano ritardo cognitivo; alcuni acquisiscono autonomia nel gestire la loro vita quotidiana, altri non risultano esserne in grado[27].

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