A.2 Aspetti epidemiologici
A.2.3 Sostituzione ed accrescimento diagnostico
Il contributo dei cambiamenti nelle pratiche diagnostiche non spiega totalmente all'aumento dei tassi di prevalenza. Molto importante è valutare accuratamente i fenomeno di sostituzione diagnostica ed accrescimento diagnostico correlati.
Come accennato in precedenza, i dati del Dipartimento dei servizi di sviluppo del- la California (DDS) mostrano che tra il 1987 e il 2003 il numero di casi di autismo è aumentato del 634%. Alcuni studiosi hanno suggerito che la sostituzione diagnostica abbia un ruolo signicativo nell'aumentata prevalenza di autismo. La sostituzione diagnostica avviene quando un individuo viene diagnosticato con una condizione e
successivamente con un'altra (X−→Y). Uno dei motivi per cui la sostituzione dia- gnostica sembra plausibile è che l'autismo è dicile da diagnosticare poiché non ci sono noti marcatori biologici ed i sintomi sono dicili da valutare, specialmente tra le persone con disabilità cognitive. L'evidenza a supporto dell'ipotesi di sostituzione diagnostica deriva da recenti studi che hanno dimostrato che l'aumento dei tassi di autismo è accompagnato da cali concomitanti nella prevalenza del ritardo mentale e di altre disabilità dello sviluppo. Confrontare i tassi di prevalenza collettivi per autismo e MR o altre disabilità, piuttosto che guardare i cambiamenti nei singoli casi, ha ostacolato gli studi precedenti. Ad esempio, in contesti in cui il carico di casi di MR non risultava diminuire, un confronto tra MR e casi corrispondenti di autismo porterebbe alla conclusione errata che la sostituzione diagnostica non stesse avvenendo. Oltre alla sostituzione diagnostica, una seconda forma di cambiamento è ciò che identichiamo come accrescimento diagnostico. L'accrezione diagnostica si verica quando un individuo, inizialmente diagnosticato con un disturbo, acqui- sisce successivamente una seconda diagnosi, ma conserva la prima come comorbità (X−→X + Y). L'accrescimento diagnostico, qualora si vericasse, avrebbe un im- patto sul carico di autismo ma non avrebbe alcun eetto visibile sulla popolazione MR, rendendo così il processo dicile da identicare negli studi collettivi[31].
Elenco delle gure
1.1 Struttura delle immagini 3D MRI. I voxel identicano i più piccoli ele- menti di volume di cui è formata l'immagine 3D. Le immagini MRI possono essere studiate mediante le viste bidimensionali sagittale, coronale ed assiale. . . 10 1.2 Discriminazione dei tre tessuti cerebrali con l'imaging MRI. Si di-
stingue in grigio chiaro la materia bianca (WM), in grigio la materia grigia (GM) ed in nero il uido cerebrospinale (CSF) che colma i vuo- ti lasciati dai due precedenti tessuti. Le stime di volumi e spessori sono utilizzate per indagare varie patologie. . . 12 2.1 Commissura anteriore. Punto secondo cui tutte le immagini devono
essere allineate prima di eseguire la segmentazione con l'algoritmo SPM. 25 2.2 Mappe di probabilità a priori basate sulla disposizione spaziale dei
voxel dell'immagine: a) GM; b) WM; c) CSF; d) Altro. . . 26
2.3 Individuazione delle strutture corticali con FreeSurfer. a) Immagi- ne MRI T1-weighted; b) in giallo, la segmentazione della super- cie di separazione CSF/GM, in blu la supercie GM/WM; c) indivi- duazione delle regioni corticali e sottocorticali grazie all'applicazione dell'atlante di riferimento. . . 28 3.1 Mappatura dei riferimenti sulla scala standard. Le intensità di in-
teresse delle immagini 1 e 2 vengono riportate su un'unica scala. Il riferimento rs è ricavato mediando i valori dei livelli di grigio di r1 ed
r2. . . 31
3.2 Funzione di standardizzazione. I diversi parametri caratteristici di ciascuna immagine vengono mappati sulla scala standard mediante una trasformazione non lineare data dalle diverse pendenze dei segmenti. 32 3.3 Alcune immagini del dataset OASIS. A sinistra le immagini scan, a
destra le corrispondenti rescan. . . 40 3.4 Immagine di riferimento single_subj_T1.nii utilizzata per allineare
le immagini del dataset allo spazio MNI. . . 41 3.5 Alcuni box estratti dalle immagini riscalate e normalizzate. La por-
zione di tessuto è analogo a tutte le immagini e contiene sia GM, che WM, che CSF. . . 42 3.6 Fit gaussiano di 6 immagini del dataset. Per ogni tessuto viene
individuata l'intensità corrispondente al massimo della distribuzione. 43 3.7 Mappatura dei valori WM, GM e CSF di una immagine del dataset
sulla scala standard. . . 44 3.8 Sovrapposizione degli istogrammi del dataset prima e dopo la stan-
dardizzazione standardizzazione. . . 45 3.9 Confronto di alcune immagini del dataset prima (a sinistra) e dopo
(a destra) l'armonizzazione del contrasto. . . 46
4.1 Dierenze percentuali tra scan e rescan per i volumi dei tessuti cal- colati con SPM prima (sinistra) e dopo la standardizzazione (destra). 51 4.2 Dierenze percentuali per i volumi dei tessuti calcolati con FreeSurfer
prima e dopo la standardizzazione. . . 52 4.3 Confronto tra i dati scan originali e standard ed i dati rescan originali
e standard calcolati con FreeSurfer. . . 54
Elenco delle tabelle
3.1 Dimensioni x,y,z delle immagini del dataset OASIS. Mentre le im- magini scan hanno le stesse dimensioni in voxel, le rescan hanno un numero di fette (dimensione z) variabile. . . 35 3.2 Medie e deviazioni standard dei valori d'intensità riscalati calcolati
tramite t gaussiano calcolato sull'istogramma del box. . . 37 3.3 Valori di intensità dei tessuti sulla scala standard. . . 38 4.1 Valori medi delle dierenze tra volumi di scan e rescan (d) e delle
deviazioni standard s per volumi originali e standardizzati segmentati tramite SPM. Il p-value è calcolato secondo il test statistico t di Student. 50 4.2 Valori medi delle dierenze tra volumi di scan e rescan (d) e delle
deviazioni standard s per volumi originali e standardizzati segmentati tramite FreeSurfer. Il p-value è calcolato secondo il test statistico t di Student. . . 50 4.3 Valori medi delle dierenze percentuali, delle deviazioni standard e p-
value calcolati tra le immagini scan originali e standard e tra immagini rescan originali e standard. . . 53
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