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Tempus, numerus, modus.

3. Alla ricerca di un’aequalitas numerosa

Il libro II del De musica segna l’inizio della parte più tecnica del dialogo (parte obbligatoria dei trattati sulle discipline liberali)388 incentrata sulla disamina di piedi, ritmi, versi e strofe. Tale parte influenzerà gli studi sulla tecnica musicologica del Medioevo che ispirerà gli studi estetici fino al secolo XIII: si perseguirà infatti l’ideale del raggiungimento di un’aequalitas numerosa (uguaglianza ritmica) garanzia del verus ordo, fusione di spiritus e materia che, diversamente dallo spirito, essendo molteplice, partecipa della numerositas ma non dell’aequalitas389. Nell’incipit del libro II viene ripresa la dialettica ratio, auctoritas, consuetudo già affrontata all’inizio del precedente libro. Come sottolinea infatti il magister sebbene sia necessario rispettare una traditio, legittimata tanto dall’auctoritas quanto dalla consuetudo, il seguire una tradizione deve essere conforme e congruente al pensiero razionale. Si seguirà tanto un’auctoritas (autorità degli scritti composti), quanto una consuetudo (abitudine del parlare seguita nel tempo) nella misura in cui entrambe rispondano ad un criterio razionale. Soltanto la ratio infatti legittima la musica come

scientia:

M.- At vero musicae ratio, ad quam dimensio ipsa vocum rationabilis et numerositas pertinet,

non curat nisi ut corripiatur vel producatur syllaba, quae illo vel illo loco est secundum rationem mensurarum suarum. Nam si eo loco ubi duas longas syllabas poni decet, hoc verbum posueris, et primam quae brevis est, pronuntiatione longam feceris, nihil musica omnino succenset: tempora enim vocum ea pervenere ad aures, quae illi numero debita fuerunt. Grammaticus autem iubet emendari, et illud te verbum ponere cuius prima syllaba producenda sit, secundum maiorum, ut dictum est, auctoritatem, quorum scripta custodit390.

Diversamente dalla grammatica, che è fondata unicamente sulla tradizione, la musicae

ratio si basa sulla misura dei suoni e sul loro ritmo (ad quam dimensio ipsa vocum rationabilis et numerositas). La disposizione di sillabe brevi e lunghe risponde infatti non ad una normale consuetudo ma ad un criterio razionale fondato sulla loro misura (secundum rationem mensurarum

suarum): qualora, per esempio, occorresse porre due sillabe lunghe nella sede in cui venisse inserita la parola cano, e la prima sillaba, breve per natura, venisse pronunciata come lunga in quanto tale variazione è richiesta dalla sede in cui il verbum è inserito, la musica, diversamente dalla grammatica che redarguirebbe tale variatio, non considererebbe scorretto questo comportamento. Tale variazione risulta infatti indispensabile al fine di procurare un qualche diletto (delectatio) che colpisce il senso dell’udito. La delectatio, dunque, intesa come piacere sensibile

388 A proposito di una summa dei primi cinque libri cfr. G.VECCHI, Collecta ex libris Aurelii Augustini sex De Musica

post Angelum Maium novis collatis codicibus denuo edit I. Vecchi, in «Memorie dell’Accademia dell’Istituto di Bologna»,

serie V, vol. I, 1950, pp. 91-153.

389 E.BRUYNE, Études d’stetique médiévale, Bruges 1946. 390 AGOSTINO De musica, II, 1 (PL 32, 1100).

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che colpisce il senso dell’udito, si configura come la prova che legittima la correttezza del verso

in quanto ne percepisce l’uguaglianza ritmica (aequalitas numerosa)391.

A proposito della teoria sul piacere sensibile il magister sottopone al discepolo l’esame del celeberrimo verso eroico che segna l’incipit dell’Eneide virgiliana: “Arma virumque cano Troiae qui primus ab oris”392. Tale verso viene pronunciato dal maestro per ben due volte: la prima utilizzando la parola primus, la seconda volta invece adoperando la parola primis. Rispetto a

primus (costituito da una sillaba lunga ed una breve) il lemma primis è un bisillabo costituito da

due sillabe lunghe. Nonostante la differenza di quantità la pronuncia del magister produce diletto tanto nel primo quanto nel secondo caso: sia infatti lo spondeo (successione di due sillabe lunghe), sia il trocheo (successione di una sillaba lunga e di una breve) producono ugualmente una

delectatio. Sebbene abbia infatti utilizzato primis e non primus ne ha abbreviato l’ultima sillaba,

variazione necessaria per garantire un ritmo adeguato393.

Il discorso del magister, spostatosi dalla musica intesa come scientia bene modulandi, ossia perfetta armonia e accordo tra voces e soni, alla metrica, disciplina che garantisce l’aequalitas

numerosa di un verso, si sofferma sull’importanza delle pause (morae) all’interno della

successione podica, assolutamente indispensabile per garantire l’ordo, il modus e la pulchritudo di un verso394:

M- Rursus hoc vide, quamlibet syllabam brevem minimeque diu pronuntiatam, et mox ut eruperit desinentem, occupare tamen in tempore aliquid spatii, et habere quamdam morulam suam395.

391 L’uguaglianza di cui parla Agostino fa riferimento alla durata dei diversi piedi. La ricerca dell’uguaglianza (nel verso si combinano piedi che hanno una durata uguale) è necessaria per raggiungere l’unità

392 Cfr. AGOSTINO, De Mus, II, 2. Il discepolo dimostra una certa ignoranza della quantità sillabica diffusa in quel tempo in Africa: cfr. H.KOLLER, Die Silbenquantitäten in Augustinu’s Büchern “De Musica”, in «Museum Helveticum», 38 (1981), pp.262-267; M.G.NICOLAU, L’origine du «Cursus» rythmique, Paris 1930, p. 24. Agostino, successivamente alla stesura del De Musica, avrebbe anche composto il Psalmus contra partem Danati, considerato un esempio del poema ritmico latino: cfr. D.NORBERG, Introduction à l’étude de la versification latine médiévale, Stockholm 1958, p. 137; G. B.PIGHI, De versu Psalmi Augustiniani, in «Mélanges offerts à M.lle Christine Mohrmann», Utrecht-Anversa 1963, pp. 262-264.

393 Tale mutamento necessario non deve dunque essere considerato un barbarismo. Con tale termine i grammatici indicavano la nociva presenza di un termine straniero non ammesso nella lingua o una parola non pronunciata correttamente.

394 S. Bonaventura affermerà più avanti «Pulchritudo nihil aliud est aequalitas numerosa, seu quidam partium situs cum coloris suavitate» (Itinerarium in mentis deum, Editio Minor, 1934, pp. 306-307). Cfr. anche E.J.M.SPARGO, The

category of the Aesthetic, New York 1953, p. 38.

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Qualsiasi sillaba si estende per un certo intervallo di tempo occupando uno spazio e dunque ha una durata anche se minima (morula)396. L’affermazione del maestro rivoluziona la classica definizione di piede pur recuperando quella di piede metrico (piede è ciò che è costituito da due o più sillabe). Agostino dimostra che nella musica infatti non sempre il piede coincide con quello metrico in quanto si configura come una precisa unità ritmica e i diversi piedi sono finalizzati a realizzare un’aequalitas numerosa: le sillabe sono movimenti di suoni distinti e articolati che durano per determinati intervalli di tempo. Se non ci fosse un minimo spazio (spatium temporis) tra una sillaba e l’altra o se le sillabe non si prolungassero per una minima durata (morula) i suoni delle parole non potrebbero essere memorizzati e, di conseguenza, percepiti. Viene dunque ulteriormente ribadita indirettamente l’importanza della memoria, che, pur essendo schiava della

ratio, è assolutamente una facoltà necessaria in quanto, trattenendo ogni singolo instans, rende

possibile la percezione sensibile garantendo il piacere estetico. Tuttavia anche questa volta Agostino, supportato dal concetto di lumen divino, filtrato dalla Scrittura, non accenna minimamente ad un tipo di conoscenza fondata sulla teoria platonica dell’anamnesi o della reminiscenza. L’Ipponate infatti oltre al concetto di memoria come ricordo di ciò che passa, propone al suo interlocutore quello di memoria come ricordo di ciò che permane nell’interiorità in quanto è insito a priori397.

Come si è precedentemente affermato anche a proposito del linguaggio, la memoria non è sufficiente ad insegnare (docere) una corrispondenza tra res et signa, interdipendenza quest’ultima che è assolutamente insita a priori nell’animo umano. La memoria ha invece la funzione di fare ricordare agli altri (commemorare) o all’individuo stesso (recordari) che è necessario un reditus

ad interiorem partem hominis, laddove, grazie al Verbum, che parla in interiore parte, è possibile

contemplare come tutte presenti le diverse res e i corrispettivi signa. La memoria, che tiene insieme ogni singolo istante, consentendone la percezione e la delectatio, rammenta costantemente all’individuo che l’aequalitas numerosa realizzata nei versi, cartina di tornasole dell’ordo

universalis, si realizza grazie all’esistenza di precisi rapporti numerici (numerorum dimensiones),

insiti a priori nell’anima di ciascun individuo. Tali rapporti (rationes), sebbene lascino le loro impronte (vestigia) nei sensi, possono essere contemplati come intellegibilia, grazie ad un reditus, guidato dalla ratio, nella interiorità di ciascuno dove risiede il Summus Magister da intendersi, come l’Ipponate ribadisce nelle pagine conclusive del De Magistro, non soltanto come luce

396 Come si specificherà subito dopo mentre la durata minima coincide con una sillaba breve, la durata minima di un piede equivale ad un pirrichio, piede costituito dalla successione di due sillabe brevi.

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interiore che illumina la contemplazione della verità ma come sforzo ultimo dell’umano quaerere

philosophice.

Il magister, chiarite tali premesse, passa alla disamina delle diverse relazioni (collationes) tra le sillabe che costituiscono un determinato piede:

M. - Age, nunc collationes ipsas videamus: nam una brevis syllaba ad unam brevem syllabam

quaero quam rationem tibi habere videatur, vel hi motus inter se quid vocentur. Meministi enim, nisi fallor, in superiore sermone nos omnibus motibus, qui inter se aliqua numerositate conveniunt, imposuisse vocabula398.

Con il termine ratio, lemma che ricorre in maniera pedissequa durante il corso del dialogo, Agostino non intende soltanto la facoltà, padrona della memoria, che deve innalzarsi dalle res

sensibilia per contemplare quelle intellegibilia. Il lemma ratio, che riguarda tanto l’ipsa dimensio vocum quanto la numerositas, in questo caso viene impiegato per indicare la relazione (collatio)

che esiste tra due sillabe. I movimenti analizzati nel libro precedente risultano adesso indispensabili al fine di spiegare i rapporti numerici tra le durate delle sillabe all’interno di un piede. Tali rapporti si adattano ad un certo ritmo (conveniunt aliqua numerositate).

Il verbo convenire (rapportare, confare, concordare, adattare) richiama indubbiamente l’utilizzo del termine convenientia (proporzione, convenienza, simpatia, amicizia, accordo, armonia)399, lemma che ricorre nel I libro in relazione ai rapporti numerici (numerorum

dimensiones) tra i diversi movimenti400. Nuovamente si ribadisce la necessità del ritmo (numerositas): il verbo convenire contiene in sé l’idea del numero (numerus) che indica non soltanto la misura ma anche il limite (modus), indiscussa garanzia di ordo e pulchritudo. Il susseguirsi dei piedi, coordinati tra loro ritmicamente da rapporti numerici, rifletterebbe l’armonia del cosmo, ordinato secondo precise leggi e misure dettate dal Summus Modus che, proprio grazie alle indiscusse leggi numeriche, garantisce unità e ordine a tutto il creato.

398 AGOSTINO, De musica, II, 4, 4 (PL 32, 1102).

399 Cicerone adopera questa parola ora come sinonimo di “armonia”, “simmetria” (convenientia partium) ora come “concordanza” o “corrispondenza naturale” (convenientia et coniunctio naturae). Cfr. a tal proposito CICERONE, De

officiis, 1, 14; De Divinatione, 2, 124; A.MICHEL, Sagesse et Spirualititè dans la parole et dans la musique: de Cicéron

à saint Augustin, in Musik un Dichtung: neue Forschungsbeitrage, Viktor Pöschl zum 80. Geburstag gewidmet, hrsg. von

M. von Albrecht und W. Schubert, Frankfurt 1990, pp. 133-144.

400 Tanto il lemma collationes quanto il verbo conveniunt sono costituiti dal prefisso cum. Sarebbe possibile intravedere una sorta di corrispondenza con i termini greci sump£qeia, suggšnneia, sumpnÒia che esprimono perfettamente l’idea dell’armonia e della proporzione. A tal proposito cfr. AGOSTINO, Musica, a cura di M.BETTETINI op. cit., p. 399; U. PIZZANI, Qualche osservazione sul concetto di armonia cosmica in Agostino e Cassiodoro alla luce di Sap. 11, 21, in «Augustinianum» 32 (1992), pp. 301-322; L.SPITZER, L’armonia del mondo, op. cit., pp. 23-24. Cfr. anche A.SQUIRE,

The cosmic Dance. Reflection on the “De Musica” of St. Augustine, in «Blackfriars» 35 (1954), pp. 477-484; L.SPITZER,

Prolegomena ad una interpretazione della parola «Stimmung». Il concetto di «armonia universale» nell’antichità classica e cristiana, in Traditio, 2-3, (1944-45) pp. 409-464; 307-364.

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L’analisi del magister, assumendo toni tecnici e specialistici, si sofferma sull’analisi dei diversi piedi esaminando le possibili combinazioni date dall’applicazione dei rapporti numerici, riguardanti i moti precedentemente esaminati, alla successione alle sillabe all’interno di un verso401. Ecco di seguito la canonica distinzione dei piedi mutuata dalla metrica. Sono 28 le possibili combinazioni di sillabe brevi e lunghe che danno origine ai diversi piedi402:

Pirrichio ̮ ̮ 2 tempi breve/breve bisillabo Giambo ̮ ̱ 3 tempi breve/lunga bisillabo Trocheo o Coreo ̱ ̮ 3 tempi lunga/breve bisillabo Tribraco ̮ ̮ ̮ 3 tempi breve/breve/breve trisillabo Spondeo ̱ ̱ 4 tempi lunga/lunga bisillabo Dattilo ̱ ̮ ̮ 4 tempi lunga/breve/breve trisillabo Anfibraco ̮ ̱ ̮ 4 tempi breve/breve/lunga trisillabo Anapesto ̮ ̮ ̱ 4 tempi lunga/lunga/breve trisillabo Proceleusmatico ̮ ̮ ̮ ̮ 4 tempi breve/breve/breve/breve quadrisillabo

Bacchio ̮ ̱ ̱ 5 tempi breve/lunga/lunga trisillabo Cretico o Anfimacro ̱ ̮ ̱ 5 tempi lunga/breve/lunga trisillabo

Palimbacchio ̱ ̱ ̮ 5 tempi lunga/lunga/breve trisillabo Peone I ̱ ̮ ̮ ̮ 5 tempi lunga7breve/breve/breve quadrisillabo Peone II ̮ ̱ ̮ ̮ 5 tempi breve/lunga/breve/breve quadrisillabo Peone III ̮ ̮ ̱ ̮ 5 tempi breve/breve/lunga/breve quadrisillabo Peone IV ̮ ̮ ̮ ̱ 5 tempi breve/breve/breve/lunga quadrisillabo Molosso ̱ ̱ ̱ 6 tempi lunga/lunga/lunga trisillabo Ionico a minore ̮ ̮ ̱ ̱ 6 tempi breve/beve/lunga/lunga quadrisillabo Coriambo ̱ ̮ ̮ ̱ 6 tempi lunga/breve/breve/lunga quadrisillabo Ionico a maggiore ̱ ̱ ̮ ̮ 6 tempi lunga/lunga/breve/breve quadrisillabo Digiambo ̮ ̱ ̮ ̱ 6 tempi breve/lunga/breve/lunga quadrisillabo Dicoreo o Ditrocheo ̱ ̮ ̱ ̮ 6 tempi lunga/breve/lunga/breve quadrisillabo Antispasto ̮ ̱ ̱ ̮ 6 tempi breve/lunga/lunga/breve quadrisillabo Epitrito I ̮ ̱ ̱ ̱ 7 tempi breve/lunga/lunga/lunga quadrisillabo

401 Per una completa classificazione dei diversi piedi cfr. AGOSTINO, De musica, II, 8, 15. Nel classificare i diversi generi di piedi il magister non può che fare riferimento all’auctoritas. Indubbiamente Agostino fa riferimento alla classificazione operata dai grammatici del tempo: Elio Donato, Cesio Basso, Terenziano mauro, Mario Vittorino, Manlio Teodoro, Attilio Fortunanziano.

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Epitrito II ̱ ̮ ̱ ̱ 7 tempi lunga/breve/lunga/lunga quadrisillabo Epitrito III ̱ ̱ ̮ ̱ 7 tempi lunga/lunga/breve/lunga quadrisillabo Epitrito IV ̱ ̱ ̱ ̮ 7 tempi lunga/lunga/lunga/breve quadrisillabo Dispondeo ̱ ̱ ̱ ̱ 8 tempi lunga/lunga/lunga/lunga quadrisillabo

La durata di ciascun piede si articola tra il momento dell’arsi e della tesi. Mentre l’arsi (dal greco ¥irw), coincidente con l’accento ritmico, indica il levare del piede e corrisponde pertanto al tempo forte, la tesi (dal greco tίqhmi) indica il porre, il battere del piede, ed esprime il tempo debole. Secondo le conoscenze tramandate tanto da Terenziano quanto da Censorino l’unico piede che non è in grado di produrre ritmo (non fecit numerus) e l’anfibraco (breve/lunga/breve). Tale piede, comportandosi diversamente da altri piedi come il molosso e lo ionico (maggiore e minore) non è in grado di produrre il ritmo in quanto nessuno dei suoi estremi vale quanto la lunga mediana. Sulla base delle durate dell’arsi e della tesi vengono classificati quattro generi di rapporti: uguali (quando la durata dell’arsi coincide con quella della tesi), doppi (quando la durata dell’arsi e doppia rispetto a quella della tesi), sesquialteri (quando l’arsi sta alla tesi secondo un rapporto proporzionale di 2/3), sequitertii (quando l’arsi sta alla tesi secondo un rapporto di 3/4). Al primo genere appartiene il pirrichio, al secondo il giambo, al terzo il cretico e al quarto l’epitrito.

Senza ombra di dubbio Agostino sembra essere stato influenzato da Aristosseno non soltanto nella classificazione dei generi tra i movimenti ma anche per quanto concerne i rapporti numerici che regolano i piedi403. In particolar modo nel XVI capitolo della sua opera Aristosseno definisce piede (poÚς) il mezzo privilegiato attraverso cui individuiamo il ritmo e lo rendiamo più chiaro alla percezione. Il piede, secondo la definizione aristossenica, poi mutuata da Agostino, non deve essere inteso come l’unione di due o più sillabe ma come una unità ritmico-musicale formata da elementi (tempi in arsi e tempi in tesi) che possono anche non coincidere con le sillabe su cui l’unità viene intonata404. I piedi vengono classificati da Aristosseno secondo sette modalità:

grandezza (mšgeqoς), genere (gšnoς), razionali (¥reqoi) e irrazionali (¥logoi), semplici (sÚnqetoi) o composti (¢sÚnqetoi), per divisione (diaίresiς), forma (sc»ma) e antitesi (antίqhsiς):