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Dall’aequalitas numerosa alla summa, inconcussa, aeterna Aequalitas

Tempus, numerus, modus.

4. Dall’aequalitas numerosa alla summa, inconcussa, aeterna Aequalitas

Così come i primi cinque libri non potrebbero sussistere senza il sesto allo stesso modo l’ultimo libro, conferendo compiutezza ai primi cinque, ne rappresenta l’elemento catalizzatore atto a determinare l’impalcatura di tutto il lavoro delimitando il profilo epistemologico entro cui si muove la ricerca agostiniana462.

Mentre nei libri precedenti Agostino si lascia andare a citazioni classiche (Virgilio, Catullo, Orazio), recuperando solide auctoritates, nel libro VI, oltre la celeberrima citazione del verso ambrogiano Deus creator omnium463, pullulano i riferimenti alle Sacre Scritture464.

Il libro VI, prendendo nettamente le distanze dagli altri, non soltanto per la ricchezza dei contenuti, ma soprattutto per l’impronta filosofica, teologica ed ecclesiastica465, aprendosi con l’analisi del verso ambrogiano “Deus creator omnium” e riassumendo al lettore il frutto dell’indagine metrica condotta nei primi cinque libri, tratta «la distinzione gerarchica tra i vari ritmi (numeri), da quelli sensibili a quelli razionali, la quale ha come corollario metafisico l’affermazione della derivazione di tutte le cose da Dio»466.

Come ha opportunamente sottolineato il Gilson il metodo utilizzato dall’Ipponate è quello del metafisico che dopo essersi servito con estrema acribia dell’analisi fenomenologica si innalza

462 Cfr. MARROU, Saint Augustin e la fin de la culture antique, op. cit., pp. 581-583.

463 Si tratta del primo verso di un famoso inno Ambrogiano (Hymni latini antiquissimi 4,1, ed. Bulst, Heidelberg 1956) 464 Cfr. la voce Augustinus a cura di H.HÜSCHEN in MGG (Die Musik in Geschichte und Gegenwart Allgemeine

Enzyklopädie der Musik, Band I, Kassel-Basilea 1949-1968, coll. 848-857.

465 Secondo l’autorevole testimonianza di una lettera inviata al vescovo Memorio (Epistula ad Memorium 101 [PL 33, 368]) la revisione dell’ultimo libro è datata al 405 o al 409, circa venti anni dopo la prima stesura del De Musica ultimata con molta probabilità nel 387. Cfr. anche G.FINAERT -F.J.THONNARD, La Musique, op. cit., p. 353. Per quanto concerne una disamina globale del libro VI cfr. M.MONTERO HONORATO, El libro VI del “De Musica” de san Augustίn, in «Augustinus», 33 (1988), pp. 335-354; U.PIZZANI, Intentio ed escatologia nel sesto libro del De Musica di S. Agostino,

op. cit., pp. 35-58; W.SCHERER, Des hl Augustinus 6 Bücher, “De musica”, in «Kirchenmusikalisches Jahrbuch», 22 Jarhrg. (1909), pp. 63-67. A proposito di un approccio etico ed estetico al libro VI cfr. G.STEFANI, L’etica musicale di S.

Agostino, op. cit.

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ad una condizione superiore meditando così sulla condizione che rende possibile l’esistenza di ogni realtà467.

La premessa introduttiva, assente nei libri precedenti e segno tangibile di una possibile revisione del testo, delimita l’orizzonte dell’indagine stessa. Agostino, dopo avere quasi confessato di avere eccessivamente indugiato sulla disamina delle durate dei tempi (numerorum ad moras temporum pertinentium sumus morati)468, si rivolge alle anime semplici per le quali la via della verità è raggiunta con un puro atto di fede. Inizia così quella trattazione «così caratteristica e impregnata di poesia e di vita che, complicandosi e volgendosi inquieta e commossa per lunghi capitoli si acquieterà soltanto in calma, quando potrà pronunciare la parola Dio che sarà come il suggello, la meta e ricompensa di quella lunga via delle Creature al Creatore, le cui tappe sono segnate dai libri di quest’opera»469.

Il sesto libro costituisce la sezione dell'opera che esprime la filosofia di Agostino sui numeri dell'anima. Qui l'autore delinea chiaramente la sua teoria della sensazione: un oggetto sensibile esterno produce un qualcosa nel corpo che favorisce o ostacola l'azione dell'anima, la quale, a sua volta, risponde creando sensazioni di piacere e dolore (l'anima, quindi, non subisce dal corpo ma agisce con attenzione a ciò che il corpo stesso subisce)470.

A tal proposito risulta indispensabile sottolineare l’influenza neoplatonica. Seguendo le orme di Plotino il magister cerca di dimostrare all’alunno come la sensazione non è uno stato passivo ma è un atto e un giudizio relativo ad una particolare affezione471: l’anima non è soggetta

al corpo ma, volontariamente, partecipa alla vita del corpo servendosi di un quid che è riposto negli organi di senso. Informando il quid con un moto diverso l’anima dispone dunque l’organo di senso ad una nuova percezione. Quando dunque l’anima vede, ascolta, annusa, gusta o tocca essa muove ciò che di luminoso c’è negli occhi, ciò che di aereo, sensibilissimo e mobilissimo c’è nelle orecchie, ciò che si caliginoso c’è nelle narici, ciò che di umido c’è nella bocca, ciò che di terreno e di fangoso c’è nel tatto:

M-Et ne longum faciam, videtur mihi anima cum sentit in corpore, non ab illo aliquid pati, sed in eius passionibus attentius agere, et has actiones sive faciles propter convenientiam, sive difficiles propter inconvenientiam, non eam latere: et hoc totum est quod sentire dicitur. Sed iste sensus, qui etiam dum nihil sentimus, inest tamen, instrumentum est corporis, quod ea temperatione agitur ab anima, ut in eo sit ad passiones corporis cum attentione agendas paratior, similia similibus ut adiungat, repellatque quod noxium est. Agit porro, ut opinor,

467 E.GILSON, Introduzione allo studio di Sant’Agostino, op. cit., p. 35 468 AGOSTINO, De musica, VI, 1, 1.

469 AMERIO, Il De musica, op. cit., p. 125.

470 Cfr. D.A.CRESS, Explicació augustiniana de la sensación, in «Augustinianus», 26 (1981), pp.16-22; F.HENTSCHEL,

Sinnlichkeit und Vernunft in Augustins “De Musica”, in «Wissennschaft und Weisheit», 57 (1994), pp. 189-200.

146 luminosum aliquid in oculis, aerium serenissimum et mobilissimum in auribus, caliginosum in naribus, in ore humidum, in tactu terrenum et quasi lutulentum472.

L’anima dunque quando percepisce qualcosa nel corpo, non subisce dal corpo alcunché ma agisce con più attenzione sulle sue passioni e tali azioni compiute sono da considerarsi facili o difficili sulla base della convenienza o sconvenienza dell’azione esercitata sulla materia dalla

libera voluntas. Il sintagma attentius agere, che richiama l’espressione fit attentior473, giustifica pertanto l’espressione quod in corpore anima de sonis patitur474. Il pati di cui parla Agostino è un

patire di particolare natura: si tratta di una attentio dell’anima a cui non sfugge (non latet) ciò che il corpo percepisce. Ancora una volta evidente dunque il riferimento a Plotino per il quale la sensazione è un non nascondimento all’anima di ciò che il corpo percepisce475. Mentre infatti la

materia non è di per sé malum ma come il corpo è bonum, la convenienza o sconvenienza, difficoltà o facilità dell’azione invece dipendono dal grado di sottomissione del corpo all’anima.

Il sentire dell’anima, prodotto di un’azione cosciente e razionale, si manifesta nella produzione di numeri che permettono di valutare l’agente esterno assicurando una perfetta corrispondenza tra il soggetto conoscente e la cosa conosciuta. Il numero, diventando dunque garanzia di una specifica forma, riconduce l’infinità del reale ad una misura definita configurandosi come medium perfetto che consente all’anima di cogliere l’ente nel suo vero essere:

«il numero costituisce la forma determinata di un ente, la sua bellezza, il suo ordine interno, la

struttura razionale dell’ente in sé, il rapporto tra i singoli enti e tra questi stessi enti e il principio»476.

Inizialmente Agostino elabora una parziale definizione dei numeri: è infatti possibile produrre suoni materiali, ascoltare tali suoni, produrre ritmi attivi, evocare ritmi nella memoria, pronunciare giudizi:

472 AGOSTINO, De musica, VI, 5, 10 (PL 32, 1169). 473 Ibid.,VI,5,9.

474 Ibid.,VI,4,5.Cfr. W.F.J.KNIGHT, St. Augustines’s De Musica, A Synopsis, Londra 1949, p. 91; G.MONTICO, Il

valore psicagogico ed anagogico della musica nel pensiero di S. Agostino e di altri filosofi cristiani, in «Miscellanea

Francescana», vol XXXVIII, Luglio-Dicembre 1938, pp. 3-24; C.J.PERL, Aurelius Augustinus, Musik, Paderborn 1962, p. 218; ID., Augustin and Music, in «The Music Quarterly», october 1955, vol XLI, n. 4, pp. 496-510; J.ROHMER,

L’intentionnalité des sensation chez St. Augustin, in “Augustinus Magister. Congrès international augustinien”, Parigi,

1954, p. 494; S.VANNI ROVIGHI,La fenomenologia della sensazione in Sant’Agostino, op. cit., p. 21. 475 Cfr. PLOTINO, Enneades, I, 4, 2, 3.

476 W.BEIERWALTES, Agostino e il neoplatonismo cristiano, op. cit., p. 137. Cfr. anche C.DI MARTINO, Segno, gesto,

147 M-Siquidem aliud est sonare, quod corpori tribuitur, aliud audire, quod in corpore anima de sonis patitur, aliud operari numeros vel productius vel correptius, aliud ista meminisse, aliud de his omnibus vel annuendo vel abhorrendo quasi quodam naturali iure ferre sententiam477.

La parziale distinzione tra ritmi-numeri478 legati al suono materiale o pertinenti all’udito, ritmi-numeri attivi o evocati nella memoria e ritmi-numeri legati alla facoltà del giudizio trova maggiore compiutezza e sistematicità nel capitolo successivo:

M-Nihil deperit quod diligentius quaerimus. Aut enim inveniemus superiores in anima humana, aut hos in ea summos esse firmabimus, si tamen illud claruerit, nullos in ea esse praestantiores. Aliud est enim non esse, aliud non posse inveniri, sive ab ullo homine, sive a nobis. Sed ego puto cum ille a nobis propositus versus canitur: Deus creator omnium; nos eum et occursoribus illis numeris audire, et recordabilibus recognoscere, et progressoribus pronuntiare, et his iudicialibus delectari, et nescio quibus aliis aestimare, et de ista delectatione quae quasi sententia est iudicialium istorum, aliam secundum hos latentiores certiorem ferre sententiam. An tibi unum atque idem videtur delectari sensu, et aestimare ratione?479

Il magister opera una netta distinzione tra i numeri del corpo e quelli dell’anima. I numeri del corpo inizialmente definiti sonantes (in sono) e successivamente corporales (in corpore) comprendono quei numeri che non derivano soltanto da un suono esterno, poi interiorizzato, ma quelli propri della danza e di ogni movimento visibile che diviene il ritmo della vista. Per quanto concerne i numeri dell’anima Agostino distingue invece i numeri occursores (in passione aurium), i progressores (in operatione pronunciationis) e i recordabiles (in memoria). Mentre i primi sono presenti quando c’è una passione in atto e i secondi anche in assenza di passioni, i terzi riguardano invece i numeri impressi nella memoria a seguito di una sensazione percepita.

Segue poi la trattazione specifica dei numeri iudiciales (in naturali iudicio sentiendi) che vengono distinti rispettivamente in sensuales e rationabiles. Mentre i primi valutano la piacevolezza o il fastidio degli altri numeri i secondi invece giudicano la convenienza o sconvenienza etico-morale dell’azione compiuta sulla materia da parte della libera voluntas. L’importanza della facoltà del giudizio, sottolineata nel libro I a proposito del vulgus ignorante

477 AGOSTINO, De musica, VI, 4, 5.

478 Nonostante il lemma numerus abbia diverse accezioni in latino (numero, serie, ritmo), come sottolinea la Bettetini, (Agostino, Musica, op. cit., p. 419, n. 13) sarebbe opportuno lasciare la generica accezione di numero anche per rispettare la distinzione operata da Agostino sia nel III libro del De Musica sia in De ordine II, 14, 40-41 tra ritmo e numero. Mentre Guitton (Le temp, op. cit.), Finaert e Thonnard (La musique, op. cit.) preferiscono tradurre numero, il Marzi (Sant’Agostino, De Musica, op. cit) lascia invariata la forma latina. Tuttavia sono state proposte diverse altre traduzioni: Knight (St. Augustines’s De Musica, op. cit.,) traduce con rhythm, Marrou (Saint Augustin, op. cit.,) con musique. 479Ibid.,VI, 9, 23 (PL 32, 1176).

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che, anche se privo di una scientia, è in grado di valutare l’abilità di un cantante, viene sublimata nel libro VI configurandosi come una facoltà razionale e atemporale anche se non eterna480.

Sono i numeri iudiciales che, consentendo all’anima di superare la natura caotica del reale, rinunciando alla disarmonia, la spingono alla ricerca di una certa uguaglianza che sia garanzia di stabilità per approdare infine a quella aeterna aequalitas offuscata dalla realtà mutevole e transeunte.

La discussione tra il magister e il discipulus ha come obiettivo non soltanto la disamina delle singole categorie dei numeri ma anche delle loro interferenze. Benchè apparentemente i

recordabiles diano all’alunno l’impressione di essere superiori ai corporales in quanto più duraturi

il magister dimostrerà non soltanto che essi sono destinati col tempo a scomparire ma che sono subordinati ai corporales come l’effetto lo è della causa. Non possiamo infatti memorizzare alcunché se prima la sensazione non viene percepita:

Et illi occursores numeri, qui certe non pro suo nutu, sed pro passionibus corporis aguntur, in quantum eorum intervalla potest memoria custodire, in tantum his iudicialibus iudicandi offeruntur atque iudicantur. Numerus namque iste qui intervallis temporum constat, nisi adiuvemur in eo memoria, iudicari a nobis nullo pacto potest. Quamlibet enim brevis syllaba, cum et incipiat, et desinat, alio tempore initium eius, et alio finis sonat481.

A proposito della corruttibilità dei numeri, visto che appare indiscutibile l’alterabilità di quelli che precedono i numeri iudiciales, bisogna stabilire se almeno questi ultimi possano, a rigore di logica, essere definiti immortali. Prima di rispondere a questo interrogativo il magister chiarisce la loro posizione definendola subordinante i numeri recordabiles: la ratio non può valutare o criticare nulla che non sia già inserito nella memoria considerata dall’Ipponate un quasi lumen

temporalium spatiorum482. Tuttavia perché qualcosa venga memorizzato è assolutamente necessario che i suoi limiti siano circoscritti entro un intervallo spazio-temporale determinato: un piede giambo non potrebbe essere percepito come tale se la durata della prima sillaba pari ad un tempo corrispondesse alla lunghezza di un mese o di un anno. Tale concetto viene ulteriormente chiarificato utilizzando l’esempio della vista: come un suono non circoscritto spazio- temporalmente non potrebbe essere memorizzato, allo stesso modo un oggetto, captato dalla vista,

480 AGOSTINO, De musica, I, 6, 11. Per quanto concerne una specifica analisi dei numeri del giudizio cfr. A.NOWAK, Die

numeri iudiciales des Augustinus und ihre musiktheoretische Bedeutung, in «Archiv für Musikwissenschaft», 32 (1975),

pp. 196-207.

481 ID., De musica, VI, 8, 21 (PL 32, 1174).

482 Ibid.Per quanto concerne il valore della memoria come facoltà creatrice di durata che, trattenendo, distendendo e fissando i tempi, si accosta più facilmente all’eternità cfr. M.MONREAU, Memoire et dureé, in «Revue des études augustiniennes», I (1955), pp. 239-250.

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non potrebbe essere apprezzato come tale se le sue dimensioni fossero incommensurabili. Pertanto se ne deduce che perché un suono venga apprezzato e perché la sua fisionomia sia mantenuta intatta è assolutamente necessario che sia circoscritto tanto nello spazio quanto nel tempo.

Un suono infinito e incommensurabile non può essere presente perché è in un certo qual modo assente nell’anima: se un suono infatti con i suoi numeri non esiste nella nostra interiorità l’anima non sarà mai in grado di esprimere un preciso giudizio.

Viene dunque ulteriormente messo in luce il grande potere della ratio (vis et potentia

rationis)483 che, definita dall’Ipponate caput animae, valuta la musica sulla base dei numeri. La

ratio infatti, considerata la corretta modulazione (ipsa bona modulatio) come movimento libero

(motus liber) rivolto al fine della sua bellezza (ad suae pulchritudinis finem) ed esaminate le certae

numerorum dimensiones, relative agli intervalli spazio-temporali che regolano i movimenti dei

corpi, ha inizialmente compreso come la durata del tempo (mora temporis), attraverso intervalli di tempo misurati e adatti al senso umano (modesta intervalla et humano sensui accomodata), ha dato origine, in maniera articolata (articulatim), a diversi numeri. Successivamente la stessa ratio ha indagato l’agere e il facere dell’anima che si esplica nella facoltà di misurare, produrre, sentire e trattenere i numeri (in his moderandis, operandis, sentiendis, retinendis) per giungere infine alla consapevolezza che non avrebbe mai potuto percepirli, ricordarli, produrli o calcolarli correttamente senza possedere a priori in sé stessa certi numeri (sine quibusdam suis numeris) considerati superiori agli altri sulla base del loro valore484.

Questo dunque giustificherebbe e legittimerebbe la delectatio che si prova nell’udire un pirrichio, uno spondeo, un anapesto, un dattilo, un proceleusmatico, o nel caso di una successione podica, il piacere suscitato dall’ascoltare un esametro o un senario giambico. La delectatio si realizza perché l’anima in quei piedi e in quelle precise successioni podiche riscopre quei numeri che ha in sé come eterni e immutabili e che ritrova fuori di sé come transeunti ma pur sempre cartina di tornasole di quella uguaglianza impressa nell’interiorità485.

I numeri sensibili pur essendo inferiori non devono essere considerati negativamente (non ergo invideamus inferioribus quam nos sumus)486. È necessario che l’anima trovi un corretto bilanciamento tra realtà inferiori e realtà superiori affinchè, con l’aiuto di Dio, sia ordinata così da non essere ostacolata dalle realtà inferiori e da provare piacere solo per quelle superiori. Si assiste a tal proposito ad uno sconvolgimento dell’etica neoplatonica: non è più l’amore che è definito

pondus ma la delectatio. Sebbene si tratti di un piacere che non si esaurisce in un banale edonismo

483 Ibid.., VI, 10, 21. A proposito del concetto di uguaglianza cfr. AGOSTINO, De musica, V, 12, 26;13, 28. 484 Ibid.

485 Ibid.,VI, 10, 26-27 486 Ibid.,VI, 11, 29.

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entro una prospettiva puramente materialistica, ma di una delectatio dovuta alla ratio aequalitatis, Agostino delinea un percorso ascetico e razionale in cui corpo ed anima concorrono per approdare alla conquista delle realtà superiori garanzia della vera beatitudo487.

M-Delectatio quippe quasi pondus est animae. Delectatio ergo ordinat animam. Ubi enim erit

thesaurus tuus, ibi erit et cor tuum (Mt., 6, 21): ubi delectatio, ibi thesaurus: ubi autem cor, ibi

beatitudo aut miseria. Quae vero superiora sunt, nisi illa in quibus summa, inconcussa, incommutabilis, aeterna manet aequalitas? Ubi nullum est tempus, quia nulla mutabilitas est; et unde tempora fabricantur et ordinantur et modificantur aeternitatem imitantia, dum coeli conversio ad idem redit, et coelestia corpora ad idem revocat, diebusque et mensibus et annis et lustris, caeterisque siderum orbibus, legibus aequalitatis et unitatis et ordinationis obtemperat. Ita coelestibus terrena subiecta, orbes temporum suorum numerosa successione quasi carmini universitatis associant488.

L’aequalitas numerosa della successione podica riflette mirabilmente la Summa,

Inconcussa, Incommutabilis, Aeterna Aequalitas non soggetta né al tempo né alla mutevolezza e

da cui hanno tratto origine tutti i tempi. Le realtà temporali, sottomesse a quelle celesti, uniscono le loro orbite al carme dell’universo in una ritmica successione dei loro tempi (temporum suorum numerosa successione)489. Viene dunque sublimato il concetto di ordo rerum legato nel De Ordine

487 Nel De libero arbitrio l’Ipponate definisce felice colui che ama la propria buona volontà. Cfr. AGOSTINO, De libero

arbitrio, I, 13, 28 (PL 32, 1236): «Agostino - Placet igitur beatum esse hominem dilectorem bonae voluntatis suae, et prae

illa contemnentem quodcumque aliud bonum dicitur, cuius amissio potest accidere etiam cum voluntas tenendi manet». La vera beatitudo, che consiste nel vivere secundum rationem e nell’amare la bona voluntas spinge l’uomo ad amare tutto ciò che, essendo stabile ed eterno non è soggetto alla mutevolezza: «Agostino - Fiat: sed dic mihi prius, utrum qui recte vivere diligit, eoque ita delectatur, ut non solum ei rectum sit, sed etiam dulce atque iucundum, amet hanc legem, habeatque carissimam, qua videt tributam esse bonae voluntati beatam vitam, malae miseram? Ev. - Amat omnino ac vehementer: nam istam ipsam sequens ita vivit. Agostino - Quid? cum hanc amat, mutabile aliquid amat ac temporale, an stabile ac sempiternum? (De libero arbitrio, I, 15, 31 [PL 32, 1238])». La beatitudo risulta dunque anche la garanzia della vera libertà. È felice e libero soltanto chi osserva la legge eterna: «Deinde libertas, quae quidem nulla vera est, nisi beatorum, et legi aeternae adhaerentium (Ibid., I, 15, 32 [PL 32, 1238])». La vera beatitudo non consiste nell’amare un essere temporale ma godere della stabile e altissima verità: «Promiseram autem, si meministi, me tibi demonstraturum esse aliquid quod sit mente nostra atque ratione sublimius. Ecce tibi est ipsa veritas: amplectere illam si potes, et fruere illa, et delectare in Domino, et dabit tibi petitiones cordis tui (Ps 36, 4) Quid enim petis amplius quam ut beatus sis? Et quid beatius eo qui fruitur inconcussa et incommutabili et excellentissima veritate? An vero clamant homines beatos se esse, cum pulchra corpora magno desiderio concupita, sive coniugum, sive etiam meretricum amplexantur; et nos in amplexu veritatis beatos esse dubitabimus? (Ibid., II, 13, 35 [PL 32, 1260])». Solo quando la voluntas, che è un bene medio inerisce al Sommo Bene non diveniente può conseguire la vera vita felice. Distogliendosi dal bene universale e rivolgendosi ad un bene particolare pecca cadendo nel baratro del male: «Voluntas ergo quae medium bonum est, cum inhaeret incommutabili bono, eique communi non proprio, sicuti est illa de qua multum locuti sumus, et nihil digne diximus, veritas; tenet homo beatam vitam: eaque ipsa vita beata, id est animi affectio inhaerentis incommutabili bono, proprium et primum est hominis bonum. In eo sunt etiam virtutes omnes, quibus male uti nemo potest (Ibid., II, 19, 52 [PL 32, 1268]) …Voluntas ergo adhaerens communi atque incommutabili bono, impetrat prima et magna hominis bona, cum ipsa sit medium quoddam bonum. Voluntas autem aversa ab incommutabili et communi bono, et conversa ad proprium bonum, aut ad exterius, aut ad inferius, peccat (Ibid., II, 19, 53 [PL 32, 1269])».

488 AGOSTINO, De Musica, VI, 11, 29 (PL 32, 1179).

489 Ritorna nuovamente il tema neopitagorico dell’armonia dell’universo presente anche nel VI libro della Repubblica di