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Allegato 1: Intervista alla Coordinatrice Psicopedagogica del settore "Adulti", Istituto San Pietro Canisio, 16 maggio 2017.

Allegato 2: Focus Group con i tre educatori del gruppo abitativo, un maestro socio- professionale, la coordinatrice psicopedagogica, Istituto San Pietro Canisio, 22 giugno 2017.

Allegato 3: Appunti personali formazione "Ritardo mentale. Disabilità intellettive", tenuta presso Istituto San Pietro Canisio da Dott. Daniele Benci, 17 marzo 2017.

Allegato 4: Esempio di scala di valutazione ADIA consegnata ai cinque operatori coinvolti.

Allegato 5: Grafici riassuntivi della scala ADIA sugli otto ospiti del gruppo, consegnati agli operatori durante il focus group.

Allegato 6: Prospetti riassuntivi della scala ADIA sugli otto ospiti del gruppo, consegnati agli operatori durante il focus group.

ALLEGATO 1

Intervista alla Coordinatrice Psicopedagogica, 16 maggio 2017.

All'interno del pensiero educativo e pedagogico dell'Istituto Canisio è già emerso il tema dell'autodeterminazione? Se si, in che termini?

Si, è emerso lo scorso anno. Io sono qui da cinque anni. La tematica era emersa per quello partendo in modo molto pratico da quelle che sono le attività che vengono proposte agli ospiti, quindi, il fatto di dire "sono all'interno di un istituto chiuso, molto protetto, ci sono delle realtà esterne che è giusto che loro possano sperimentare, organizziamo delle attività in tal senso". In un secondo tempo è uscito il "ma come facciamo a sapere che in realtà a loro interessano davvero? E come possiamo fare per permettere loro di scegliere?". Il tutto si è sviluppato poi in quello che è il concetto del stabilire noi delle offerte e capire se effettivamente corrispondono al gruppo e al singolo. Siamo partiti dal gruppo, per arrivare all'individuo. Questo era il primo tema. L'altro è stato il rivedere con ognuno di loro, dal mio arrivo, i laboratori che facevano per capire se fossero realmente quelli che interessavano chiedendo proprio a loro, con le difficoltà che possano avere nel capire e nel scegliere. Questo per essere sicuri che i laboratori giornalieri che fanno sono apprezzati, o se vadano modificati.

In riferimento al contesto ad alta protezione e alla casistica quali sono le possibilità e i limiti nell'agire in promozione di un percorso verso l'autodeterminazione?

Credo che uno degli aspetti sia il grado di disabilità cognitiva. L'idea dell'istituto è quello di non entrare nell'aspetto dell'accudimento, dell'assistenzialismo, ma di andare ad aiutarli laddove non riescono in modo autonomo. Questo implica secondo me la conoscenza del funzionamento cognitivo e affettivo di ognuno di loro: per me ad esempio l'importanza di riuscire a capire anche a livello di una valutazione testitica il grado di disabilità cognitiva. La WAIS testa la forza dell'Io che serve ad organizzare la propria vita: quando c'è un aspetto di fragilità in questo senso bisogna capire in che modo sostenere.

L'altro aspetto è capire come l'affettività come viene espressa. Credo che uno degli aspetti rischiosi anche all'interno di una struttura per persone che rimangono in internato, sia la dipendenza dall'altro. Quindi il fatto che le persone che hanno bisogno di capire le cose attraverso la spiegazione degli altri (ciò che chiede il ritardo è un po' questo, il fatto di semplificare delle cose in modo che si possano capire meglio) crea una dipendenza di per sé nella lettura del mondo e questo può avere un impatto molto forte sull'autodeterminazione perché una persona perde la capacità o non sviluppa la capacità di dire "ok anche se io ho bisogno di quella persona per capire delle cose io ho comunque un mio modo di sentire. E il mio modo di sentire non diventa quello dell'altro."

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Visto che l'hai citato, quando ci hai presentato il test WAIS mi è subito sorta una domanda: se questo test dato che viene utilizzato per riscontrare abilità e perfomance è possibile pensare di progettare dei percorsi individualizzati a partire da quelle abilità che vengono riscontrate dal test?

Si è in realtà quello che si cerca di fare. È vero che il test è molto standardizzato, ridotto molto all'osso. Ma per fortuna la persona anche a livello cognitivo non è solo quello. Sicuramente però il laboratorio culturale ha l'importanza di allenare gli aspetti di memoria, attenzione. Questi con l'aggiunta delle abilità sociali sono proprio gli aspetti nei quali si cerca di lavorare. Quindi si.

Volevo chiederti, in che modo, con quali strumenti o metodologie, è possibile aiutare la persona, adulta, con lungo passato istituzionale alle spalle, a comprendere la propria struttura e funzionamento?

Con la relazione e l'affetto. Dal mio punto di vista, credo che sia nell'incontro reale nell'altro, nel capire, nel fermarsi togliendo tutta una serie di sovrastrutture (il grado di disabilità, il punteggio del QI, le etichette, le diagnosi) e incontrare la persona. Il ritardo spesso fa si che le persone si comportino in modo stereotipato, quindi entrano in relazione, ho la sensazione, quasi già con un modo di fare che non è per forza quello più intimo. Quando invece si incontra, ci si prende il tempo per capire che c'è un mondo interno, ognuno fatto alla sua maniera. Affettivamente è lì il punto dove si incontra e dove si capisce che cosa c'è in realtà in una persona e che dà il senso alla vita, all'alzarsi tutti i giorni. E che non deve diventare farlo perché me lo dicono o ho paura che se non lo faccio poi non mi vogliono più bene. Quindi, rispetto alla tua domanda, risponderei l'aspetto del fermarsi, oltre a testare, e incontrare la persona.

E in questo il servizio secondo te che ruolo ha? Che responsabilità ha?

Credo che abbia tutta la responsabilità. Noi abbiamo secondo me una responsabilità, soprattutto per gli interni, che non hanno l'alternativa della casa e quindi un affetto giornaliero. Noi abbiamo una responsabilità enorme perché siamo responsabili nel dare realmente un senso alla vita della persona nel potergli dare tutta una serie di aspetti affettivi che se noi non gli diamo non hanno. La nostra responsabilità è di livello etico.

Io ero rimasta colpita dalla formazione che abbiamo avuto con il Dottor Benci quando tra le varie dieci aree degli item sui quali venivano identificate il ritardo mentale/ disabilità intellettiva compariva anche l'autodeterminazione. Avevo chiesto però se fattori positivi o

contestuali favorevoli potessero migliorare la condizione. E la sua risposta era affermativa: diceva che in qualsiasi età le strutture mentali possono essere allenate o migliorate.

Quello che io ho un po' visto entrando in relazione con alcuni ospiti è proprio come attraverso l'aspetto dell'affettività, della considerazione, del cercare davvero di lasciare l'altro libero di poter esprimere tutto (la rabbia, il disagio, la delusione, la soddisfazione) c'è proprio una messa in moto di una serie di risorse che non c'erano o si sono sviluppate pian piano. Sicuramente anche il fatto di poter essere stabili nell'accompagnare e con, mi vien da pensare, anche un po' una dose di fiducia razionale, non tanto per romanticismo, è ciò che dà agli ospiti il senso di potersi sperimentare. Perché comunque la disabilità sanno di averla, non è che sono completamente ingenui: quindi quello che spesso esce dai racconti è che non possono farlo perché hanno un handicap, perché gli altri vedono che loro sono. C'è questa immagine di ritorno, che è un po' l'immagine della società, nella quale gli istituti per persone con disabilità sono dei posti dove le persone stanno dentro, fanno delle robe in feltro, usano la creta e punto. Senza rendersi conto che c'è una sofferenza esistenziale, secondo me, molto profonda.

Credo ci sia la difficoltà di pensare l'istituto al di fuori dello stereotipo del luogo segregativo, dal residuo del passato. Ritieni che la sfida per l'istituto sia quella di riuscire a bilanciare i bisogni individuali, con i bisogni dell'istituzione?

Si, anche brutalmente economica. Sicuramente per poter seguire le persone in modo più individualizzato, offrire una sfaccettatura di attività, ci vogliono delle risorse. I nostri ospiti sono molto dipendenti quindi non è che si può dire un piccolo gruppo rimane qui da solo, si guarda un film, e gli altri escono: è necessario se si divide il gruppo che ci siano due operatori. Quello che cerchiamo di fare in base alle risorse che ci sono è la qualità: quello che trovo sorprendente qui e che mi ha sempre sorpreso è vedere come gli operatori non lavorino per arrivare a fine mese. Relazionalmente c'è autenticità. Però sì. Sono dei compromessi difficili a volte.

Io nella ricerca sono rimasta colpita da una frase di Alain Goussot, docente di pedagogia speciale, che dice che "la relazione di accompagnamento deve educare alla scelta". Vorrei chiederti un tuo parere a proposito, pensando sempre in relazione a contesto e casistica. Allora, penso che per scegliere è necessario avere almeno due cose tra le quali scegliere. Cosa abbastanza basilare. E non sempre in realtà l'istituto può veramente garantire un'alternativa per poter permettere una scelta. Se penso anche agli ospiti che sono qua, non so se hanno anche solo potuto realmente scegliere di essere qui: non è che decidono se stare a casa o no. Anche queste persone si ritrovano delle vie tracciate e non hanno un'alternativa. Credo anche che sia molto angosciante scegliere. Quindi proprio perché

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l'autonomia affettiva è fondamentale, e pensando anche oltre all'aspetto della scelta, i nostri ospiti devono essere in un cammino costantemente evolutivo. Devono fare delle esperienze nelle quali possono in un qualche modo, se non scegliere, almeno sentire che sono in un'evoluzione, e che c'è un senso, e che c'è qualcosa che si genera. Formalmente è una bellissima frase, sono d'accordo. Però poi mi dico anche che c'è la dipendenza cognitiva; che noi come operatori dobbiamo fare attenzione a non rendere affettiva e quindi dobbiamo lasciare libere le persone di poter affettivamente orientarsi da altre parti, con il concetto che deve essere evolutivo quello che loro fanno. Però è difficile perché poi tante volte bisogna tradurre le cose che succedono, perché sono troppo complesse e quindi la dipendenza ritorna. Qui entra la responsabilità dell'operatore di farsi da garante della relazione.

Quindi, visto che parliamo del percorso educativo, dalla letteratura è emersa una cosa interessante del costrutto dell'autodeterminazione: una dimensione, che riguarda la capacità di progettarsi, di proiettarsi nel futuro ponendosi obiettivi. Ciò è interessante, pensando al contesto o nei contesti educativi, perché sono gli educatori a porre degli obiettivi nei PEI. Secondo te, considerando la casistica potrebbe essere possibile rendere accessibile e comprensibile gli obiettivi che vengono stilati nei PEI, attivando quindi questo aspetto del "progettarsi"?

In realtà è una cosa che tendenzialmente facciamo, di solito nei PEI non mettiamo delle cose quantitative, a meno che ci siano alcuni ospiti che vogliono ad esempio "imparare a prendere il treno", si mette quindi un aspetto più operativo. Altrimenti gli obiettivi sono molto più qualitativi e tendenzialmente nei colloqui che faccio, o anche con le équipe, il PEI traduce il lavoro pratico, non è il contrario. Noi non è che ci mettiamo a scrivere i PEI e poi lavoriamo, in realtà mettiamo in parole quello che già stiamo facendo. Il PEI viene condiviso con le famiglie: dall'anno prossimo sarà condiviso anche con gli ospiti. Io sono piuttosto serena su questo perché sono cose che già sanno: gli obiettivi che abbiamo stilato, loro li conoscono perché sono quelli che ci fissiamo negli incontri individuali che facciamo. È capitato ad esempio che per alcuni ospiti facessimo degli incontri di équipe: ad esempio quindi con educatori del gruppo weekend, educatori gruppo abitativo, l'ospite, ed io per discutere delle situazioni di difficoltà e capire in che modo procedere. Loro devono sapere su che cosa stiamo lavorando. Penso ad esempio a Walter (nome di fantasia al fine di proteggerne la privacy) con il telefonino o le passeggiate: le regole non sono mai calate dall'alto, perché comunque loro sono adulti e quindi devono sapere che il perché ci sono una serie di regole e devono soprattutto secondo me comprendere che i limiti che vengono messi hanno un senso per loro.

ALLEGATO 2

Focus group, 22 giugno 2017.

Persone presenti: educatori gruppo abitativo, maestro socio-professionale, coordinatrice psicopedagogica.

*I nomi degli ospiti qui riportati sono frutto di fantasia, al fine di proteggerne la privacy.

Ringrazio innanzitutto tutti quanti per la disponibilità e l'impegno, immagino che trovarsi dopo una sintesi di un PEI non sia facile.

Se va bene a tutti, partirei presentando nuovamente un inquadramento della tesi per capire come prima cosa perché siamo qui e, secondariamente, come ho analizzato la scala. Infine riporterò i dati che sono emersi: il tempo è poco e i dati molti, ho selezionato degli argomenti principali. Vi lascerò però tutti i risultati in forma cartacea.

La scala che avete compilato andava ad indagare il costrutto dell'autodeterminazione che si fonda su un agire finalizzato ad orientare la propria vita e che si compone di capacità individuali della persona e di fattori ambientali, ossia di come e quanto l'ambiente permette di fare scelte, autovalutare il proprio comportamento, esprimere preferenze ecc..

Questo quadro che si compone di capacità individuali e possibilità ambientali è la linea che ha seguito l'autore del libro dal quale ho tratto la scala, ed è la linea che ho seguito nella mia tesi, ossia di andare a vedere come il contesto possa essere ostacolante o favorevole nell'espressione della persona.

Questo quadro è da inserire nel contesto ed in riferimento alla casistica, cioè persone adulte che presentano disabilità intellettive, complesse o disturbo dello spettro dell'autismo, dal lungo passato istituzionale (chi nella stessa istituzione, chi da altre), e che risiedono in un’istituzione ad alta protezione.

Il mio obiettivo di tesi è andare ad indagare quali sono i percorsi educativi (strumenti, approcci, metodologie…) che permettano alla persona, nonostante i limiti dati dalla/e diagnosi, di affermarsi, affermarsi come persona, ed avere la consapevolezza di poterlo fare.

Prima di iniziare la discussione vorrei chiedere se l'obiettivo vi sembra chiaro e se voi lo condividete.

PARTECIPANTI- Si, condividiamo.

Passerei allora a presentare i dati della scala. La scala si articolava su quattro dimensioni "Percezioni e Conoscenze", "Abilità", "Opportunità" e "Sostegni": per ogni area vi erano cinque domande definite item, e per ogni item occorreva dare una valutazione da 1 a 4. La scala, come pensata dall'autore, richiedeva che ogni singola valutazione di ogni

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dimensioni venissero sommate relativamente a ciascun ospite e poi trasformate in percentuale. I dati ottenuti andavano inseriti in istogrammi. Ho riunito i grafici delle quattro dimensioni per ciascun ospite in uno strumento in modo da renderli ben visibili: ho creato poi dei prospetti individuali su ciascun ospite che vi lascerò.

Questi dati sono stati interessanti poiché nella maggior parte dei casi, relativamente alle osservazioni di voi cinque operatori sugli otto ospiti di cui vi occupate, sono emerse discordanze di valutazione. Per esempio, nella prima dimensione "Percezioni e conoscenze" (grafico verde) ci sono state delle disomogeneità che superavano anche i 35 punti percentuali tra gli osservatori, per Manuel ad esempio la percentuale minima era di un 45% di valutazione nell'area delle "Percezioni e conoscenze" e quella massima era di 85%.

Manuel è un esempio: nella maggior parte dei casi c'era uno scarto di 25 punti %, in tre casi superiori ai 35 punti %, negli altri casi 20 punti %.

Questa discordanza si è riscontrata anche nella seconda area "Abilità" (grafici blu), dove la minore discordanza era tra i 5 e 10 punti % (Mirko, Theo, Giulio) mentre Manuel e Alessandro presentavano 30 punti % di differenza.

Queste due aree sono quelle che vanno ad interessare la prima componente del costrutto (componente personale): sicuramente la scala presenta un limite, quello di essere frutto di osservazione e quindi di soggettività diverse.

Mi chiedo e vi chiedo: cosa vi dicono questi dati? In che modo vi fanno riflettere? PARTECIPANTI:

An.- Innanzitutto, questo aspetto è molto interessante. Quando ho compilato la scala ho dovuto rileggere più volte perché le riflessioni erano diverse ad ogni rilettura: più approfondivo il pensiero più la valutazione cambiava, anche in base a come si interpretava la domanda.

At.- A seconda degli episodi e delle situazioni la valutazione cambiava: tra pensarlo ad esempio qui o nelle uscite.

E. Anche io ho trovato le domande interpretative in alcune situazioni, ci si è dovuti fermare a ragionare.

D.- La difficoltà è stata scindere la valutazione tra laboratori e settore educativo, soprattutto nella valutazione di persone che si vedono sia in una realtà abitativa e in una realtà lavorativa.

L.- La cosa che mi colpisce è che lo scarto c'è in modo significativo solo su alcuni ospiti, in particolare Alessandro e Manuel: sicuramente la relatività data dall'osservazione c'è, ma è rimarcata solo su alcuni ospiti del gruppo mentre su altri la discordanza è minore.

At.- Infatti, i nomi emersi sono di ospiti per i quali vediamo un cambiamento repentino nell'ultimo anno: la mente ci riporta all'immagine passata che abbiamo di loro, ma le potenzialità e le diversità ci riportano ad altro.

L.- Ci sono ospiti su cui abbiamo una messa a fuoco più puntuale se vogliamo, mentre altri rappresentano per noi delle incognite: il questionario può essere ampio, ma non crediamo sia un caso se su proprio questi ospiti ci sia tanta differenza tra le nostre osservazioni perché il dialogo su di loro è molto aperto, in particolare su Alessandro e Manuel.

Visto che è emerso il focus su Manuel nella terza dimensione "Opportunità" Manuel presenta lo scarto maggiore di 55 punti %, tra il punteggio minore e il maggiore. Questa dimensione presenta le discordanze maggiori in realtà tutta la scala: su otto ospiti, sei presentano un'oscillazione tra i 40 e i 55 punti %. Ho evidenziato Manuel in questo quadro perché incrociando i risultati con le dimensioni che ho presentato prima, ad esempio, era stato valutato "in grado di fare scelte" con valutazioni tra 3 e 4 (più frequentemente si e si sempre) mentre alla domanda "il contesto offre la possibilità di fare scelte" con valutazioni 1, 2, 3 dove 1 è mai e 2 più frequentemente no.

PARTECIPANTI:

An.- Dai grafici possiamo vedere che è sempre uno stesso osservatore che ha dato un punteggio molto basso rispetto alle osservazioni degli altri: anche questo è interessante; rimane coerente a sé stesso ma molto differente dagli altri. Potrebbe essere sia una differenza interpretativa personale della domanda, sia una differenza di contesto.

Effettivamente, è interessante vedere come le opportunità del contesto in riferimento agli item sia percepito così differentemente perché potrebbe quindi rappresentare una realtà diversa tra nucleo abitativo, laboratori e il lavoro svolto dalla coordinatrice.

Quando svolgevo il test, c'era una domanda in cui si chiedeva se si dava la possibilità di manifestare i propri desideri, anche qualora fossero problematici/negativi. Io sono stato molto basso ad esempio: alcuni desideri non rispecchiano l'età anagrafica o non sono consoni e di conseguenza la possibilità di manifestarli viene meno.

At.- Io invece ricollego questi dati al tema dell'istituzionalizzazione stessa, fatto di miti che partono già dal nome in sé: l'istituto non può offrire tutte le possibilità della vita familiare o della vita costruita in modo autonomo. Penso che alcuni dei nostri ospiti avrebbero potuto fare una vita diversa sin da piccoli perché hanno potenzialità, ma tra dinamiche famigliari, il loro sviluppo e la realtà istituzionale le potenzialità e possibilità si sono frenate.

E.- Il contesto è un contesto di gruppo: l'istituto combatte tra il voler offrire possibilità e la realtà di poterlo fare nel concreto. A volte non si riescono nemmeno ad attivare interventi: noi lavoriamo con un gruppo di persone che hanno bisogno di possibilità diverse.

L.- Pensando anche alla sintesi del PEI appena fatta proprio su Manuel, mi chiedo quanto non sia più una nostra percezione. Concordo sulla problematica che avete sollevato: a volte bisogna fermarsi perché non ci sono risorse istituzionali per poter portare avanti degli interventi.

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Però Manuel è già uscito più volte nella discussione, in pratica su tutti gli item. Ho in

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