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È proprio vero che a tutti i disabili adulti piace il caffè d'orzo?

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Academic year: 2021

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È proprio vero che a tutti i disabili

adulti piace il caffè d'orzo?

Studente/essa

-Margherita Fantinato

Corso di laurea Opzione

-Bachelor in "Lavoro Sociale"

-Educatore sociale

Progetto

-Tesi di Bachelor in "Lavoro Sociale"

Luogo e data di consegna

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Ringraziamenti

Nella prima pagina di questo lavoro desidero ringraziare tutte le persone che vi hanno preso parte e l'hanno reso uno dei viaggi più emozionanti che io abbia mai potuto sperimentare. Un grazie speciale va ai colleghi per la disponibilità.

Ringrazio tutte le persone incontrate nelle varie esperienze, dai banchi universitari fino ai luoghi di stage.

Ringrazio gli amici, vecchi e nuovi, e chi mi sta accanto, per avermi sempre supportato e…sopportato.

Dedico questo lavoro ai miei genitori, modelli di vita, e ad Emanuela, splendida sorella.

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ABSTRACT

Quali sono i percorsi educativi, in un’istituzione per adulti con disabilità intellettive, complesse o con un disturbo dello spettro autistico, che possono favorire l’autodeterminazione delle persone che vi risiedono?

L'indagine qualitativa che questo lavoro di tesi riporta è finalizzata ad evidenziare teorie, strumenti e percorsi affinché persone adulte, con uno specifico quadro diagnostico alle spalle ed inseriti all'interno di un contesto altrettanto specifico come un istituto, possano veder riconosciuto il diritto all'autodeterminazione.

La scelta di trattare questo argomento è scaturita da un interesse personale più generalizzato riguardante la concezione della disabilità nella nostra società e si è poi focalizzato sul tema dell'autodeterminazione dopo l’esperienza di stage in una casa con occupazione ospitante otto uomini adulti che presentano disabilità intellettive di diverso grado, associate in alcune situazioni a psicopatologie di innesto e, per una delle otto situazioni, un disturbo dello spettro autistico.

Pensare ad un concetto che rimanda a dimensioni di scelta, di progettualità, di controllo di sé, delle proprie azioni, della propria vita sembra in netto contrasto con problematiche che sentenziano deficit cognitivi e adattivi, nella comprensione, nella lettura del mondo, nell'azione, nell'adattamento e nel comportamento delle persone nella vita quotidiana. Questa opposizione, secondo la riflessione alla base di questo lavoro, è evidente se si assume uno sguardo bio-medico sulla disabilità, legato all'eziologia e alla manifestazione della malattia, e che di conseguenza collega con un nesso causale-lineare la menomazione all'inevitabile dis-abilità. Lo sguardo socio-ecologico utilizzato nel seguente lavoro, invece, ha messo in discussione questa linearità, con lo scopo di dimostrare come anche in presenza di deficit come quelli evidenziati dalle diagnosi di disabilità intellettiva, complessa o di disturbo dello spettro autistico, le persone sono o possono divenire in grado di autodeterminarsi.

Lo snodo cruciale risiede innanzitutto nel comprendere cos'è l'autodeterminazione e quali concetti entrano in gioco quando si parla di comportamenti autodeterminati. Guardando l'autodeterminazione come un costrutto multidimensionale è possibile andare oltre a tutte quelle componenti individuali che la persona deve possedere per essere auto- determinata e può indirizzare parimenti la riflessione sul contesto, sulle sue responsabilità, sull'etica del suo ruolo nel funzionamento della persona all'interno dell'ambiente.

L'indagine qualitativa si è avvalsa di molteplici contributi teorici provenienti da diversi campi professionali e dall'utilizzo di differenti strumenti per la ricerca empirica sul campo. L’intervista semi-strutturata, la scala di valutazione dell’autodeterminazione compilata dagli operatori coinvolti su ciascun ospite del gruppo e il focus group finale avevano come obiettivi l’analisi e la valutazione del contesto e della sua posizione rispetto alla domanda di indagine. Le scelte fatte avevano come finalità quella di comporre un quadro che riportasse la complessità e le contraddizioni che un tema come questo solleva.

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ABSTRACT INDICE

1.INTRODUZIONE ... 1

2.DESCRIZIONE DEL CONTESTO LAVORATIVO ... 3

2.1 Contesto istituzionale ... 3

2.2 Casistica ... 4

3.INQUADRAMENTO TEORICO DI RIFERIMENTO ... 7

3.1 Il costrutto di disabilità ... 7

3.2 Il costrutto dell'autodeterminazione ... 8

4.PRESENTAZIONE DELLA PROBLEMATICA AFFRONTATA ... 11

4.1 Domanda di indagine ... 11

4.2 Obiettivi e metodologia ... 12

5. DISSERTAZIONE... 15

5.1Tra teoria e pratica ... 15

Istituzionalizzazione ... 15 Controllo ... 17 Autonomia ... 19 Dipendenza ... 20 Indipendenza ... 21 Volizione ... 21

5.2 Scala di valutazione dell'Autodeterminazione nelle persone con Disabilità Intellettiva e Autismo ... 22

La scala di valutazione: presentazione. ... 22

La scala di valutazione: i dati raccolti... 25

6. CONCLUSIONI... 31 7. BIBLIOGRAFIA ... Fonti bibliografiche ... Fonti elettroniche ... 8. ALLEGATI ...

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1.INTRODUZIONE

Questo lavoro di tesi parla di caffè, di caffè d'orzo, decaffeinato e "normale". Di caffè come bevanda, come momento sociale di aggregazione o come momento individuale di pausa e riposo. Questo lavoro parte dal caffè e da ciò che rappresenta per andare poi ad indagare dinamiche più profonde che toccano i diritti dell'uomo e l'etica del lavoro sociale.

Nel corso dell'ultimo stage formativo ho avuto l'opportunità di lavorare in un contesto istituzionale che ospitava uomini adulti con disabilità intellettive, associate in alcuni casi a psicopatologie, o aventi disturbi dello spettro dell'autismo.

E anche in questo contesto si beveva il caffè. Dopo pranzo; qualche volta dopocena: vi era un ospite il cui compito all'interno della casa era quello di preparare il caffè per tutti. Le caffettiere che venivano preparate erano due: una per il caffè con caffeina, il classico macinato per moka; una per il caffè decaffeinato. La prima era per operatori, stagiaires e tirocinanti; la seconda per gli ospiti.

Seduti attorno al tavolo, dopo il pranzo, operatori e ospiti sorseggiavano il loro caffè prima di riprendere le attività o di tornare a casa per la fine del turno di lavoro: non vi era l'obbligo di bere il caffè, ma per coloro che lo desideravano vi era un veto. La differenza sostanziale in quei momenti di pausa era che gli operatori potevano scegliere quale tipologia di caffè bere, gli ospiti no. L'unica eccezione consentita era bere il caffè solubile, d'orzo o decaffeinato. Le motivazioni alle base della regola imposta all'interno del gruppo erano diverse e riguardavano questioni come l'interferenza che poteva causare la caffeina con i farmaci assunti dagli ospiti o l'impatto che poteva avere sul sistema nervoso.

Con una provocazione voluta e parafrasando una citazione che apre il libro preso come riferimento di questo lavoro, mi chiedo però se agli ospiti del gruppo il caffè decaffeinato o d'orzo piacesse veramente e se lo avrebbero scelto volontariamente in assenza di un obbligo.

Ma è proprio vero che a tutti i disabili adulti piace il caffè d'orzo? (Cottini, 2016, p. 7). Il tema del mio lavoro di tesi verte attorno al costrutto dell'autodeterminazione, declinato nel contesto presso il quale ho svolto lo stage. Ho scelto di approfondire questa tematica, che a seguito delle esperienze vissute sui banchi nell'ultimo semestre di studi, tra conferenze e discussioni in classe, aveva già suscitato una certa curiosità in me, poiché l'abbinamento di stage mi ha dato l'opportunità di osservare come il cambiamento nell'evoluzione del concetto di disabilità aveva preso forma.

L'autodeterminazione come descrive il Codice Deontologico del Lavoro Sociale in Svizzera (Beck, Diethelm, Kerssies, Grand, & Schmocke, 2010) è un diritto, in nome della dignità che ciascuna vita merita di vedersi riconosciuta. Il principio di autodeterminazione dichiara che "il diritto delle persone di compiere le proprie scelte e decisioni relativamente al proprio benessere deve essere particolarmente rispettato, a condizione che ciò non violi né i loro diritti, né tantomeno i legittimi diritti e interessi altrui" (Beck et al., 2010, p. 8). L'operatore sociale è chiamato, quindi, a favorire l'autodeterminazione e l'emancipazione delle persone, ma è inevitabile scontrarsi con il dilemma tra il diritto, l'impegnarsi affinché

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venga riconosciuto e riconoscere un'incapacità momentanea o permanente della persona di poterlo attuare (Beck et al., 2010, p. 7).

Eppure, dietro tutti i test, dietro tutte le diagnosi, dietro i limiti lievi, moderati o gravi se si lascia spazio alla persona, è possibile vedere una dimensione di volizione, di volontà. Franco Lolli (in Goussot, 2011, p.143) parla di Bruno e di come, nonostante presenti un deterioramento cognitivo molto avanzato e nonostante sembri mancare ogni qualsivoglia intenzionalità o possibilità di adottare comportamenti finalistici, sia in grado di raggiungere il bar negli orari di apertura per potersi prendere un caffè e di sapersi recare alle macchinette automatiche per le bevande. Orientamenti temporali e spaziali che cognitivamente, sulla carta, sarebbero seriamente compromessi.

In questo lavoro, invece, si potrebbe parlare di Manuel1, che presenta una disabilità intellettiva di medio grado, e di come, offrendosi volontario per accompagnare lo stagiaire o il tirocinante nella spesa per la cena, si muniva di portamonete per poter acquistare la bibita preferita. O ancora di come Giorgio2, che invece presenta una compromissione cognitiva più profonda, che fosse all'interno dell'istituto, in stazione o nel proprio paese di origine, sapesse prendere alle macchinette la bibita gassata o recarsi all'edicola per il giornale preferito. E sapesse tenere presente, senza che fosse l'operatore a ricordarglielo, di recarvisi una seconda volta in settimana qualora il giornale non fosse ancora arrivato. Questi non sono altro che alcuni esempi, ma ne si potrebbero fare molti per ciascuno delle persone che ho incontrato in questa esperienza, esempi di capacità, di desideri, di volontà che vanno oltre alle diagnosi e che sono espressione dell'umanità che abita ciascuna persona e della dignità che meritano di veder riconosciuta.

In previsione dello stage mentre scrivevo il mio progetto auto-formativo ho avuto modo di leggere ed apprendere la filosofia ed i valori del contesto presso il quale avrei svolto la pratica professionale: le finalità, la concezione della persona, la centralità dei temi quali dignità, autonomia e potenzialità mi hanno spinto ad andare ad approfondire un argomento che tra le righe vedevo già scritto nelle pagine del "Progetto educativo locale". Dopo aver iniziato l'esperienza lavorativa, essere entrata nel vivo delle giornate all'interno del gruppo abitativo con il quale ero stata abbinata, ed aver vissuto la scansione del tempo suddiviso tra gruppo e laboratori occupazionali o attività extra-istituzionali, le domande riguardanti la misura e le possibilità di uno spazio di scelta, di autonomia nella scelta, di libertà nella scelta, di relazione tra bisogni individuali e istituzionali, hanno preso sempre più forma andando ad articolarsi nel percorso che questo lavoro tratta.

I temi che l'approfondimento del costrutto di autodeterminazione mi ha permesso di analizzare riguardano la relazione tra istituzionalizzazione, controllo, autonomia, dipendenza, indipendenza e volizione. Fattori, questi, che come ho potuto vedere dalla revisione della letteratura influenzano ed entrano a far parte del costrutto

1,2

Tutti i nomi degli ospiti che compariranno nel lavoro sono frutto di fantasia al fine di proteggerne la privacy.

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multidimensionale dell'autodeterminazione, riflettendosi altresì nel quadro della qualità della vita delle persone.

Guidata, quindi, dalla domanda di indagine quali sono i percorsi educativi, in un’istituzione per adulti con disabilità intellettive, complesse o con un disturbo dello spettro autistico, che possono favorire l’autodeterminazione delle persone che vi risiedono? e seguendo il modello socio-ecologico di analisi ed intervento nell'ambito della disabilità, mi sono posta come obiettivi quello di andare ad indagare il contesto ad alta protezione nel quale gli adulti che ho incontrato in questa esperienza di stage risiedono.

Il lavoro pone il focus sugli operatori che vi lavorano; sulle rappresentazioni e riflessioni istituzionali riguardo l'autodeterminazione; sugli strumenti utilizzati e gli interventi messi in atto dagli operatori, stimolando attraverso la somministrazione di una scala di valutazione la riflessione su ciascuno degli ospiti che compongono il gruppo abitativo.

Gli strumenti utilizzati, che descriverò nel corso del lavoro, mi hanno permesso di soffermarmi sulle dimensioni di scelta, progettualità, conoscenze, abilità, opportunità e sostegni riguardanti l'autodeterminazione e considerati in relazione al contesto di riferimento. I risultati ottenuti mi hanno consentito di andare ad evidenziare quali possono essere i percorsi educativi che possano garantire e favorire comportamenti autodeterminati per persone con disabilità intellettive, complesse o autismo.

2.DESCRIZIONE DEL CONTESTO LAVORATIVO

2.1 Contesto istituzionale

L'istituto "San Pietro Canisio" di Riva San Vitale, facente parte dell'Opera Guanelliana, ospita giovani e adulti di sesso maschile, suddivisi rispettivamente nel settore "Minorenni" e "Adulti", che presentano disabilità fisiche, intellettive, comorbilità e, in alcune situazioni, disturbi dello spettro autistico. L'istituto "San Pietro Canisio" offre molteplici servizi, che variano da una bassa soglia di protezione, fino a più alte soglie di protezione. Il settore "Minorenni" è suddiviso, nella scuola speciale, dai 10 ai 18 anni; nella preformazione professionale, dai 15 ai 18/20 anni ed infine nelle unità abitative. Il settore "Adulti", invece, è diviso nel centro diurno; nelle case con occupazione; nei foyer e appartamenti esterni. In base al settore le équipes ed i ruoli sono diversi e vedono la presenza di differenti figure professionali: maestri scio-professionali, insegnanti di scuola speciale, operatori socio-assistenziali, un infermiere, educatori, stagiaires e tirocinanti.

La Casa con Occupazione "Villa", sulla quale il lavoro si concentra, fa parte del settore "Adulti" ed ospita otto uomini adulti tra i 24 e i 46 anni che generalmente presentano una disabilità intellettiva medio-grave, associata nella maggior parte dei casi a disturbi psichici dell'ordine delle psicosi. Un ospite del gruppo presenta un disturbo dello spettro autistico.

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Il gruppo "Villa" e l'istituto intero si ispirano ai valori ed alla filosofia dell'Opera Guanelliana e dell'antropologia cristiana. La persona, cardine dell'antropologia cristiana, come esplicitato nel "Progetto educativo locale" dell'istituto, non viene considerata solamente nei suoi limiti, ma il compito dell'azione educativa è quello di mettere in luce tutte le potenzialità che come individuo possiede, in nome dei valori e della dignità che ciascun essere umano ha il diritto di veder riconosciuti.

Le principali finalità dell'istituzione riguardano il dare a partire della realtà dell'Istituto un contributo per una crescita sociale, che promuova una sempre maggior conoscenza della disabilità. Questo si traduce nella promozione di una cultura della disabilità per le persone, la società e per le istituzioni, poiché ogni vita ha un valore inviolabile qualunque sia l'età o la problematica che più o meno manifesta. In aggiunta, l'istituto dichiara di impegnarsi a promuovere azioni concrete a favore delle persone con disabilità intellettiva o disagio sociale, accompagnando a livello spirituale e relazionale le persone nel raggiungimento di una migliore autonomia e partecipazione sociale (Progetto Educativo Locale, pp. 44-54). All'interno dell'istituto possiedono grande importanza le figure delle due Coordinatrici, una per il settore "Adulti" e una per il settore "Minorenni", che aventi una formazione in psicologia e/o pedagogia, si occupano di coordinare le altre figure professionali; tenere costanti contatti con l'esterno; supportare educatori e maestri nella definizione delle linee educative e pedagogiche; supportare gli utenti nel loro percorso (Progetto Educativo Locale, p.70). All'interno del gruppo "Villa", per quanto concerne la parte abitativa, lavorano tre educatori, due donne ed un uomo, che possiedono una formazione come educatori: tutte e tre le figure lavorano all'interno dell'istituto Canisio già da diversi anni. Fa parte dell'équipe del gruppo abitativo, anche se per una percentuale lavorativa minore, anche un altro operatore, che lavora all'interno dell'istituto come maestro socio-professionale: questo operatore, con formazione di educatore, oltre a seguire i laboratori, rientra anche nella turnistica del gruppo abitativo.

Questi quattro operatori insieme alla coordinatrice psico-pedagogica del settore "Adulti" sono stati gli elementi fondamentali per il lavoro che segue.

2.2 Casistica

Gli ospiti della casa con occupazione nel quale è stato sviluppato il seguente lavoro presentano disabilità intellettive associate in alcuni casi a disturbi psichici, che danno origine a situazioni definite di comorbilità o di disabilità complesse (Goussot, 2011).

In questa parte del testo ci si soffermerà brevemente sull'inquadramento diagnostico delle definizioni sopra riportate: nel corso del testo si andrà poi a delineare maggiormente come e in che modo è stato dato valore a questo inquadramento.

Nel DSM-V la disabilità intellettiva viene definita quando vi è la soddisfazione di tre criteri: 1) Deficit funzioni intellettive come ragionamento, problem solving, pensiero

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2) Deficit nel funzionamento adattivo che consistente in un mancato raggiungimento degli standard di sviluppo e standard socioculturali per l’indipendenza personale e la responsabilità sociale;

3) Insorgenza dei deficit intellettivi e adattivi nell’età evolutiva. (Università Lumsa, presentazione lezione, 3 aprile 2017)

Come dichiarato dal Dottor Benci (formazione, 17 marzo 2017) e dai professori Serafino Buono e Santo Di Nuovo (Buono & Di Nuovo, s.d), l'American Association of Mental Retardation, divenuta poi American Association on Intellectual and Developmental Disabilities, per la diagnosi di ciò che allora era ancora definito "ritardo mentale" chiedeva di riferirsi a questi tre aspetti:

a) funzionamento intellettivo significativamente al di sotto della media;

b) concomitanti limitazioni nell'adattamento riscontrato in due o più delle seguenti aree:

1) comunicazione, 2) cura di sé, 3) abilità domestiche, 4) abilità sociali, 5) uso delle risorse della comunità, 6) autodeterminazione, 7) salute e sicurezza, 8) capacità di funzionamento scolastico, 9) tempo libero, 10) lavoro;

c) esordio prima dei 18 anni.

Lo strumento utilizzato per individuare le capacità intellettive è il test del QI o "Quoziente di Intelligenza": il QI misura le capacità intellettive di una persona rispetto ai suoi coetanei dove il valore medio si colloca sul punteggio di 100. Per la disabilità intellettiva il limite ritenuto significativo è posto ad un punteggio di 70/75, ed in seguito al punteggio ottenuto si può parlare di diversi gradi di disabilità: 0-25, disabilità intellettiva gravissima; 25-35, disabilità intellettiva grave; 35-55, disabilità intellettiva medio/medio grave; 55-75, disabilità intellettiva leggera/lieve.

"Generalmente, nelle persone con disabilità intellettiva le dimensioni del Sé maturano e si integrano in modo poco armonico; si realizza uno sfasamento, una disarmonica integrazione tra strumenti cognitivi ed esperienze affettive vissute, con la conseguente limitazione delle possibilità adattive" (Di Nicola in Goussot, 2011, p. 132).

Gli ospiti del contesto ai quali il lavoro si riferisce, oltre alla diagnosi di disabilità intellettiva, per sette situazioni su otto totali presentavano una seconda diagnosi di psicosi di innesto. Questo lavoro non si propone di andare ad indagare la difficoltà e il rischio di errore che riguarda la diagnosi di psicopatologie in presenza di una disabilità intellettiva, nonostante sia una tematica molto interessante da sviluppare, come sottolineato da diversi autori presenti nel libro a cura di Alain Goussot (2011). Ciò che invece si andrà a sollevare sarà la realtà del gruppo nel momento in cui il lavoro è stato svolto, andando ad evidenziare la relazione tra la domanda di indagine, la casistica ed il contesto.

Le psicosi si articolano su tre dimensioni principali, la prima di trasformazione della realtà con la produzione di sintomi positivi quali deliri e allucinazioni; la seconda di

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impoverimento ideoaffettivo con la presenza di sintomi negativi quali apatia, anaffettività, non pianificazione degli scopi, ritiro sociale; ed infine, la terza dimensione di disorganizzazione cognitiva con alterazioni del linguaggio, del ragionamento e della forma e flusso del pensiero (L.Pezzoli, lezione presso SUPSI, 25 marzo 2015). Come scrive Alain Goussot (2011, p. 13) non è raro che si strutturi nel tempo, sulla base di uno o più deficit e senza esservi necessariamente collegato, un disagio di natura psichica che si può sviluppare in una vera e propria psicopatologia, che comporta l'assunzione di farmaci specifici. Le condizioni di comorbilità possono essere eterogenee (Di Nicola in Goussot, 2011, p. 131) e di conseguenza i percorsi intrapresi e gli interventi messi in atto.

Per quanto concerne l'inquadramento diagnostico del disturbo dello spettro autisitco, invece, il DSM-V definisce l'autismo come una sindrome comportamentale, espressione di un disordine dello sviluppo cerebrale (Gambino, presentazione, giugno 2014). La diagnosi nel DSM-V si articola su quattro criteri (A,B,C,D):

A) Deficit persistenti nella comunicazione sociale e nell'interazione sociale in diversi contesti, non dovuti a generali ritardi dello sviluppo, ed evidenti in: deficit nella reciprocità socio emozionale; deficit nei comportamenti comunicativi non verbali utilizzati per l'interazione sociale; e deficit nello sviluppo e mantenimento di relazioni appropriate al livello di sviluppo (escluse le relazioni con parenti o caregiver).

B) Pattern di comportamenti, interessi o attività ristretti e ripetitivi, come manifestato da almeno due dei seguenti punti:

o Linguaggio, movimento o uso di oggetti stereotipati o ripetitivi;

o Eccessiva aderenza alla routine, rituali motori, resistenza ai cambiamenti; o Interessi altamente ristretti e fissi, anomalie per intensità o focalizzazione; o Iper o ipo reattività nei confronti di input sensoriali o interesse inusuale per

aspetti sensoriali dell'ambiente;

C) Sintomi presenti nella prima infanzia, ma che possono divenire manifesti solo quando le richieste sociali oltrepassano le capacità;

D) L'insieme dei sintomi limita e compromette il funzionamento quotidiano. (Caretto, 2014; Servizio Politiche Sociali Regione Marche, 2014)

Dalla diagnosi effettuata a partire da questi criteri, si possono poi distinguere tre livelli di gravità che richiedono supporti lievi, sostanziali o molto sostanziali (Servizio Politiche Sociali Regione Marche, 2014).

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3.INQUADRAMENTO TEORICO DI RIFERIMENTO

3.1 Il costrutto di disabilità

Il costrutto di disabilità intellettiva a cui si riferisce questo lavoro, si collega ad un costrutto più generale di disabilità, la cui definizione e significato sono mutati nel corso degli ultimi decenni. Il secolo scorso, infatti, nella scena del dibattito specialistico ha visto affiancarsi al "modello individuale" un "modello socio-ecologico" di analisi e intervento. Il "modello individuale", come sintetizzato da Michele Mainardi (C. Balerna & M. Mengoni, lezione presso SUPSI, 9 marzo 2015) comprende le visioni "biomedica" e "funzionale riabilitativa", che pongono l'accento sull'eziologia e le conseguenze cliniche della patologia, prospettando strategie di intervento sanitario mirate alla prevenzione, cura, assistenza o riabilitazione della persona. Il "modello sociale" o "socio-ecologico", invece, modifica il focus spostando l'attenzione all'ambiente e il funzionamento e l'interazione della persona all'interno di esso e con esso. Questo cambio di paradigma ha visto anche la variazione del punto di partenza, non più ancorato al concetto di malattia bensì a quello di salute. Partendo dal concetto di malattia, ossia di "alterazione dell'integrità anatomica e funzionale di un organismo" (Garzanti Linguistica, s.d) la dimensione organica del deficit, inteso come perturbazione congenita o acquisita, permanente o temporale della struttura e delle funzioni normali del corpo e dell'individuo, era linearmente connessa alla dimensione funzionale di incapacità, quindi, di dis-abilità nel compiere una data attività nel modo e nelle condizioni considerate come "normali" per un essere umano (C. Balerna & M. Mengoni , lezione presso SUPSI, 9 marzo 2015).

La visione medico-diagnostica risentiva probabilmente del passato storico-sociale della disabilità e delle persone disabili. La svolta, in tema di diritti, venne siglata nel 2006 quando un Comitato Ad Hoc nominato dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite scrisse la "Convenzione Internazionale sui Diritti delle Persone con Disabilità", nella quale, per la prima volta, nel costrutto di disabilità vennero fatti rientrare elementi e concetti quali, per citarne alcuni, dignità, diritti, partecipazione e cittadinanza.

"Se è stata stipulata una convenzione, è perché esiste un diritto violabile e violato che occorre difendere, anche costruendo un linguaggio comune e condiviso fra Nazioni" (Medeghini, Vadalà, Fornasa & Nuzzo, 2015, p. 108).

La Convenzione sancisce l'importanza di superare la visione escludente del "modello individuale", medico e riabilitativo, a favore di un "modello sociale" che tenga conto della multifattorialità che compone la società e le diversità all'interno di essa. La visione socio-ecologica del costrutto di disabilità ha portato ad un cambiamento a livello culturale nell'attribuzione di responsabilità, andando a sgravare la persona dal senso di responsabilità di una condizione di malattia e minoranza, e andando, invece, ad incentivare l'assunzione di responsabilità e presa di coscienza da parte della società tutta, che non deve solo essere garante di protezione e cura medico-sanitaria, ma che deve

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essere in grado di operare una valutazione continua della sua organizzazione in tema di accesso, partecipazione e godimento di diritti, beni e servizi (Griffo, 2005, p.38).

Sul piatto della bilancia, nella ricerca di un nuovo equilibrio sociale, dagli inizi del 2000 compare un nuovo fattore fondamentale nel costrutto di "disabilità": il contesto, l'ambiente. Nel 2001 l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha curato e pubblicato l'ICF, ossia l'International Classification of Functioning, disability and health. Questa classificazione differisce e completa gli altri manuali presenti nel panorama specialistico per una questione fondamentale: il suo principio è il concetto positivo di salute, in base al quale viene valutato il funzionamento di una persona secondo fattori individuali e sociali. Ogni valutazione, pertanto, deve essere calata e riferita ad uno specifico contesto. Ogni valutazione, pertanto, è il risultato di un'interazione della persona, con una certa condizione di salute e l'ambiente. Questa valutazione, quindi, avendo come cardine il concetto di salute, è valida per tutte le persone.

Considerare la disabilità intellettiva nel quadro generale della disabilità, presentato secondo il modello socio-ecologico esposto precedentemente, implica che la valutazione e comprensione della disabilità intellettiva tengano conto della relazione persona-ambiente. Guardare dal punto di vista del funzionamento, chiede al contesto di assumere le proprie responsabilità per poter favorire e migliorare l'espressione delle persone, non delle loro limitazioni.

Le responsabilità che il contesto ha nei confronti della salute e del benessere comprendono anche l'insieme di tutti quei diritti che devono essere garantiti alle persone, diritti fra i quali vi è anche l'autodeterminazione.

3.2 Il costrutto dell'autodeterminazione

Pensare ad un concetto che rimanda a dimensioni di scelta, controllo di sé e delle proprie azioni, di espressione e perseguimento di progetti legati alla propria vita ed ai propri interessi sembra paradossale se pensato in relazione a persone che presentano delle limitazioni cognitive ed adattive proprio in quelle dimensioni.

Come espresso precedentemente, la diagnosi di disabilità intellettiva evidenzia, tra i criteri, deficit nelle funzioni intellettive, come il ragionamento, il problem solving, il pensiero astratto, l'apprendimento scolastico o l'apprendimento dall’esperienza e deficit nelle funzioni adattive che si traducono in un mancato raggiungimento di indipendenza personale e di limitazioni nella partecipazione sociale. Se si riprende, inoltre, la definizione data dal DSM-IV, si può vedere come l'autodeterminazione compaia tra le aree di identificazione di ciò che veniva definito ritardo mentale, sostituito oggi con il termine di disabilità intellettiva. La diagnosi di disturbo dello spettro autistico, analogamente, evidenzia come vi sia un disordine nello sviluppo cerebrale che porta ad una serie di deficit nella comunicazione e interazione sociale e nei comportamenti o interessi individuali.

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L'analisi della letteratura per quanto riguarda il costrutto dell'autodeterminazione, invece, porta all'emersione di diverse dimensioni che compongono il comportamento autodeterminato e che si potrebbero riassumere nella conoscenza ed espressione dei propri interessi, bisogni e capacità (Mithaug, Wehmeyer, Agran, Martin & Palmer, 1998, cit. in Cottini, 2016, p. 17), nella capacità di scegliere, di problem solving, di prendere decisioni nella percezione, controllo e consapevolezza di sé e delle proprie azioni, nell'autogestione e autosostegno (Wehmeyer, 1999, cit. in Cottini, 2016, p.19).

Il testo di Cottini (2016) preso come riferimento principale del seguente lavoro di tesi, riporta nella prima parte un quadro di presentazione del costrutto dell'autodeterminazione, nel quale viene descritta un'analisi della letteratura sul tema, volta ad evidenziare le definizioni e le caratteristiche del costrutto emerse nel corso degli anni a seguito di diversi studi. La letteratura presa in esame è stata utile all'autore per andare a sviluppare poi uno strumento e delle proposte di percorsi educativi volti allo sviluppo dell'autodeterminazione nelle persone con disabilità intellettiva e autismo.

Una delle prime definizioni di autodeterminazione è stata data dal professore di psicologia e scienze sociali Edward Deci e dal professore di psicologia, psichiatria ed educazione Richard M. Ryan. La "Self-Determination Theory", sviluppata a partire dal 1985 e poi approfondita e ridefinita a seguito degli studi e delle ricerche svolte negli anni, è una macroteoria empirica riguardante la motivazione umana, lo sviluppo e il benessere. In particolare la teoria si focalizza sulle differenti tipologie di motivazione, distinguendo tra motivazione autonoma autonomous motivation, motivazione controllata controlled motivation ed infine a-motivazione amotivation (Deci & Ryan, 2008, p. 182), e di come esse siano connesse a risultati in termini di performance, di relazioni e di benessere della persona. Tali risultati, però, non emergono solo a partire da componenti individuali: l'ambiente e le condizioni sociali hanno il potere di aumentare o diminuire la motivazione della persona.

La macroteoria sull'autodeterminazione di Deci e Ryan è stata sviluppata a partire da cinque microteorie, che evidenziano una serie di postulati riguardanti i bisogni psicologici della persona senza i quali non sarebbe possibile un sano funzionamento dell'individuo: questi bisogni possono essere tradotti come autonomia, competenza e relazionalità (Ryan, 2009, p.1) e, nel momento in cui vengono soddisfatti, anche grazie ad un contesto sociale che lo permette, le persone presentano maggiore vitalità, auto-motivazione e benessere.

Con una motivazione di base e alla ricerca di soddisfacimento dei propri bisogni, secondo Deci e Ryan le persone hanno una propensione naturale a svilupparsi psicologicamente e a superare in modo autonomo le sfide dell'ambiente: in sostanza agiscono comportamenti autodeterminati per necessità, prima ancora che per capacità (Cottini, 2016, p. 16).

Un altro contributo fondamentale sul tema dell'autodeterminazione, preso in analisi anche da Cottini (2016), è del professore di educazione speciale Micheal Wehmeyer e il team da lui coordinato, che ha dato avvio ad uno studio approfondito sull'autodeterminazione nelle

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persone con disabilità. Ciò che emerge dal lavoro di Wehmeyer è l'importanza di agire come "agente causale primario" (Wehmeyer, Kelchner & Richards, 1996, p. 632) della propria vita, prendendo quindi decisioni relative alla propria qualità della vita senza avere condizionamenti esterni. Per Wehmeyer e colleghi, il comportamento autodeterminato è una risultante di condizioni personali relative al proprio sviluppo, e capacità e condizioni ambientali relative alle opportunità del contesto. Le dimensioni che il "modello funzionale di autodeterminazione" di Wehmeyer evidenzia riguardano l'autonomia, ossia quando una persona agisce seguendo le proprie preferenze, i propri interessi o abilità senza influenze o interferenze esterne; l'autoregolazione, comprensiva di monitoraggio, auto-rinforzamento e auto-gestione/istruzione, ossia l'agire per conseguire obiettivi o risolvere problemi valutando sia il proprio repertorio di competenze sia l'ambiente stesso. Vi è poi l'empowerment psicologico, ossia il prendere il controllo della propria vita, il percepirsi efficace e di avere fiducia nelle possibilità di successo. Ed, infine, vi è l'autorealizzazione cioè il riconoscimento da parte dell'individuo dei propri limiti e punti di forza. A queste quattro dimensioni, se ne aggiunge una quinta rappresentata dai sostegni e che riguarda quindi il ruolo rivestito dall'ambiente e dalla sua valenza educativa (Wehmeyer et al., 1996, p. 632; Cottini, 2016, p. 19).

L'autodeterminazione, come è possibile vedere da un'ulteriore analisi della letteratura, è parte degli otto domini che i ricercatori Robert Schalock e Miguel Angel Verdugo Alonso hanno evidenziato come indicatori del concetto di "Qualità di vita", un fenomeno multidimensionale i cui domini centrali sono influenzati sia da caratteristiche personali che da fattori ambientali. (Buntinx & Schalock, 2010, p 285). Gli otto domini identificati da Schalock e Verdugo Alonso comprendono il benessere emozionale, le relazioni interpersonali, lo sviluppo personale, il benessere fisico, l'autodeterminazione, l'inclusione sociale ed infine i diritti. Questi otto domini vengono analizzati seguendo tre differenti sistemi: il "microsistema" dello sviluppo personale, il "mesosistema" dell'articolazione ambientale ed infine il "macrosistema" delle politiche sociali.

In tutti i riferimenti teorici riportati, insomma, si può notare come, allineandosi con il modello sociale di valutazione dello stato di salute delle persone, il contesto giochi un ruolo di primaria importanza nella vita delle persone.

In questo lavoro, pertanto, andando a concentrarsi sul contesto ed i suoi operatori, si andranno a delineare quali sono i limiti e le possibilità di promozione di percorsi volti all'autodeterminazione di adulti con disabilità intellettiva, complessa e disturbo dello spettro dell'autismo.

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4.PRESENTAZIONE DELLA PROBLEMATICA AFFRONTATA

4.1 Domanda di indagine

Come si può inserire il libero arbitrio e la scelta individuale in un contesto che si articola su una massima strutturazione e suddivisione del tempo e delle attività, su di un contesto che fa della routine uno strumento per operatori e ospiti, in un contesto che si occupa di casistiche che per definizione presentano compromissioni cognitive e adattive di diverso livello? Come e in che misura è possibile garantire agli adulti che risiedono nella struttura l'autonomia del proprio punto di vista, la libertà di scelta e la partecipazione sociale? Come si inserisce in una dimensione istituzionale come questa il concetto di libertà, diritto e capacità di scelta? Quali sono i limiti e le possibilità con cui si confronta la persona adulta con disabilità? Quale ruolo gioca il contesto e, similarmente, il contesto quanto è consapevole di giocare quel ruolo?

Questi sono alcuni dei quesiti che hanno abitato la ricerca e la problematica affrontata andando a definire di seguito i percorsi e gli strumenti utilizzati. La domanda di indagine centrale di questo lavoro chiede

quali sono i percorsi educativi, in un’istituzione per adulti con disabilità intellettive, complesse o con un disturbo dello spettro autistico, che possono favorire l’autodeterminazione delle persone che vi risiedono?

Ed indirizza quindi il lavoro verso una ricerca operativa svolta riguardo ed all'interno del contesto, andando ad evidenziare dimensioni, strumenti e approcci, raccolti nell'espressione "percorsi educativi", che permettano alla persona che risiede in un'istituzione di autodeterminarsi nonostante i limiti dovuti a patologie e natura del contesto.

La domanda di tesi ha come fine quello di evidenziare dei percorsi possibili e praticabili affinché persone adulte, con uno specifico quadro diagnostico alle spalle ed inseriti all'interno di un contesto altrettanto specifico come un istituto, possano veder riconosciuto il diritto all'autodeterminazione.

Il focus di questo lavoro è volto ad indagare il costrutto dell'autodeterminazione e le dimensioni, finalità, antinomie del lavoro sociale che inevitabilmente tocca. L'autodeterminazione poggia su premesse che spaziano dalla filosofia alla pedagogia, su teorie che interessano la motivazione umana, lo sviluppo e il benessere (Deci & Ryan, 2008); solleva tematiche attuali come il ruolo del contesto nella disabilità, delle condizioni culturali e la promozione di inclusione sociale (Deci & Ryan, 2008; Ryan 2009, Cottini, 2016); entra nel vivo della dialettica tra autonomia e dipendenza (Medeghini & Messina, 2007), tra controllo e istituzionalizzazione (Deci & Ryan, 2008); tra dimensione cognitiva e intellettiva (Lolli in Goussot, 2011; Benci, formazione, 17 marzo 2017); tra approcci positivi alle capacità e alla qualità della vita (Cottini, 2016). Queste sono solo alcuni dei riferimenti della letteratura presi in considerazione in questo lavoro e che andranno a comporre la rete entro cui il costrutto di autodeterminazione si inserisce.

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4.2 Obiettivi e metodologia

La metodologia scelta per questo lavoro di ricerca qualitativa ha visto quello che Feyerabend (1975 in Carey, 2013, p. 132) definirebbe "pluralismo metodologico". Nel quadro di una più ampia ricerca valutativa (Carey, 2013, p. 121) volta all'analisi dell'importanza e del ruolo svolto dal contesto, in risposta alla domanda di indagine di promozione di percorsi volti all'autodeterminazione delle persone con disabilità intellettiva, complessa o disturbo dello spettro autistico, è stato svolto dai partecipanti uno studio di caso (Carey, 2013, p. 116) sul gruppo di ospiti, studio che ha permesso di approfondire nel dettaglio le situazioni delle persone residenti nel gruppo abitativo di riferimento.

Gli strumenti utilizzati in questo lavoro di ricerca qualitativa, dunque, sono stati scelti in funzione dei diversi obiettivi preposti e hanno compreso lo svolgimento di un'intervista semi-strutturata, la somministrazione di scale di valutazione a cinque operatori e un focus group finale. L'intervista e il focus group (Allegato 1 e 2), dopo aver richiesto agli interlocutori autorizzazione scritta, sono state registrate mediante un registratore audio e poi trascritte.

Ciascuno degli strumenti utilizzati era finalizzato ad un'analisi e valutazione del contesto, della sua posizione rispetto alla domanda di indagine ed agli strumenti, obiettivi e finalità degli interventi messi in atto riguardo la promozione di comportamenti autodeterminati degli ospiti con cui i cinque operatori lavorano quotidianamente.

Il primo obiettivo di lavoro ha visto svolgere una ricerca critica della letteratura al fine di poter orientare il lavoro utilizzando strumenti e riferimenti validi e affidabili, evidenziando poi i nodi cruciali dell'argomento preso in esame. Da questa ricerca è emersa una prima contestualizzazione della domanda di tesi e dell'indagine stessa.

Una volta raccolti dati sufficienti alla creazione di una base teorica di riferimento, sono stati delineati il disegno di ricerca (Cardano, 2011, p. 37), nel quale sono state definite le tappe del percorso ed i relativi obiettivi; il target di riferimento, l'analisi di fattibilità, ed infine le dimensioni di ciò che sarebbe stato indagato tramite la selezione di strumenti ed indicatori di ricerca.

Il target preso in esame ha subito una prima considerevole modifica, a seguito delle esperienze vissute sul campo: inizialmente, infatti, circoscritto il contesto di indagine al gruppo abitativo "Villa", il primo disegno di ricerca prevedeva di coinvolgere direttamente gli ospiti della casa nella valutazione diretta della propria percezione di autodeterminazione tramite scale di valutazione scientifiche reperite dalla revisione della letteratura. L'analisi di fattibilità di questa scelta di metodo ha poi sollevato limiti considerevoli: innanzitutto, le scale più diffuse, come ad esempio la American Institutes for Research Self-Determination Scale ( Wolman, Campeau, Dubois & Stolarski, 1994 in Cottini, 2016, p. 44) o l'Arc's Self-Determination Scale (Wehmeyer & Kelchner, 1995 in Cottini, 2016, p. 44) comprendevano una serie di quesiti in lingua inglese, che sarebbero dovuti essere tradotti e, cosa molto più importante, individualizzati e personalizzati per ciascun ospite del gruppo, in alcuni casi mediante anche supporti visivi, per poter essere,

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se non compresi, quantomeno accessibili viste le diversità di livello di compromissione cognitiva. Le possibilità di comprensione effettiva dei quesiti è stato poi un altro elemento di riflessione: molte scale richiedono dei livelli di consapevolezza delle proprie emozioni, della propria persona, di sé in relazione agli altri per i quali probabilmente appare difficile per una persona che presenta limitazioni cognitive ed adattive, rispondervi associando alla propria percezione una valutazione. In ultimo, ma non meno importante, vista la concomitanza di somministrazione da parte della coordinatrice pisco-pedagogica del settore "Adulti" della "Wechsler Adult Intelligence Scale", volta all'analisi del QI degli ospiti del gruppo, la presentazione di un'altra scala di valutazione avrebbe significato per le persone doversi sottoporre a due test di valutazione nel medesimo periodo, con alte probabilità di produzione di sensazioni di pressione o accanimento testisitco.

Il target è stato ridimensionato, a seguito delle riflessioni sovra riportate e dall'impronta che è stata data al lavoro: lo scritto si concentrerà sulle analisi svolte da tre educatori del gruppo abitativo, della coordinatrice psicopedagogica del settore "Adulti" e dal maestro socio-professionale/educatore.

Questi cinque operatori sono stati scelti poiché fanno parte, in modo e con ruoli diversi, del gruppo abitativo nel quale il lavoro si concentra: le osservazioni da loro effettuate sugli ospiti del gruppo danno voce alle tre realtà che compongono l'istituzione, ossia l'aspetto abitativo, l'aspetto lavorativo/occupazionale ed infine l'aspetto psico-pedagogico sia dell'istituzione sia come supporto per ciascun ospite.

Con l'obiettivo generale di conoscere in modo più approfondito il contesto nel quale la ricerca qualitativa si sarebbe inserita, la prima tappa ha visto lo svolgersi di un'intervista semi-strutturata alla coordinatrice psicopedagogica del settore adulti. Gli obiettivi specifici dell'intervista erano quelli di 1) comprendere la posizione dell'istituto rispetto al tema dell'autodeterminazione in riferimento alla casistica di cui si occupa; 2) comprendere il punto di vista sul tema della professionista intervistata a partire dalla sua formazione in psicologia, evidenziando potenzialità e limiti nella casistica e nel contesto; ed infine 3) valutare le dimensioni di scelta e di progettualità all'interno del contesto e degli strumenti già utilizzati, come ad esempio i Progetti Educativi Individualizzati e i colloqui individuali, in ottica di promozione dell'autodeterminazione.

Delineato il quadro entro cui il lavoro sarebbe stato svolto, la seconda tappa ha visto la somministrazione ai cinque operatori della scala di valutazione dell'Autodeterminazione nelle persone con Disabilità Intellettiva e Autismo: la scala e le modifiche effettuate verranno spiegate più approfonditamente nel corso dell'elaborato.

Il testo, preso come riferimento del presente lavoro di tesi, è il libro del professor Lucio Cottini, L'autodeterminazione nelle persone con disabilità- Percorsi educativi per svilupparla (2016): all'interno di questo testo è stata reperita la scala di valutazione. L'autore infatti presenta una scala di valutazione dell'Autodeterminazione nelle persone con Disabilità Intellettiva e Autismo (ADIA) che, pensata per essere completata dagli attori che compongono la rete di riferimento della persona con disabilità o autismo siano essi

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genitori, insegnanti o operatori sociali di comunità (Cottini, 2016, p. 47), si articola su quattro dimensioni di indagine quali Percezioni e conoscenze, Abilità, Opportunità e Sostegni.

La scala è stata scelta perché sottolinea non solo le capacità di autodeterminarsi osservate nella persona, ma anche le opportunità o i sostegni offerti dal contesto affinché la persona possa effettivamente farlo. Le modalità con cui essa si presenta, inoltre, la rendono adatta all'utilizzo sia con bambini, giovani o adulti.

La scala è stata compilata individualmente, seguendo la metodologia indicata dall'autore stesso della scala. Gli obiettivi della somministrazione della scala riguardavano 1) l'operare un'analisi approfondita su ciascun ospite in relazione alle quattro dimensioni (percezioni e conoscenze, abilità, opportunità e sostegni); 2) ricavare informazioni utili al fine di stimolare la riflessione degli operatori e dell'istituzione stessa sul tema dell'autodeterminazione ed, infine, in risposta alla domanda di tesi, 3) di evidenziare i percorsi educativi possibili e praticabili.

Raccolte le valutazioni, ha preso avvio l'ultima tappa del lavoro: dopo alcune settimane dalla raccolta delle valutazioni – tempo necessario al fine di rielaborale i dati della scala come l'autore aveva previsto – i risultati finali sono confluiti in un'analisi comparativa (Carey, 2013, p. 193) nella forma di un focus group, avente come obiettivi quello di 1) confrontare le osservazioni individuali in una discussione di gruppo, che andasse ad evidenziare le similitudini e le differenze di argomenti selezionati a partire dall'analisi della scale, in ottica di una ricerca-azione (Maida, Molteni & Nuzzo, 2014, p. 111) con il fine di valorizzare le risorse presenti ed, infine, 2) quello di far emergere il ruolo del contesto nella promozione di percorsi volti all'autodeterminazione, puntando all'emersione delle rappresentazioni, opinioni e riflessioni dei cinque operatori.

Per lo svolgimento del focus group finale agli operatori sono stati forniti supporti cartacei che riportavano, in formati che agevolassero la visione da parte di tutti, i dati emersi dalle valutazioni. Inoltre sono stati lasciati al gruppo, in ottica di un futuro utilizzo da parte degli operatori, otto prospetti riassuntivi, uno per ospite, in formato di fascicoli che riportavano l'analisi dei dati emersi dalle scale di valutazione compilate.

Un ultimo strumento utilizzato nella stesura di questo lavoro è stata una formazione seguita nel corso dello stage, tenuta dallo psicopedagogista, psicologo analista e psicoterapeuta Daniele Benci sul tema della disabilità intellettiva: gli appunti presi nel corso della formazione sono stati utilizzati come strumento di confronto sia durante l'intervista alla coordinatrice dell'istituto, sia durante il focus group.

Come potrà percepire il lettore, per la stesura del testo oltre all'utilizzo di diversi strumenti, vengono presentate voci provenienti da studi e formazioni differenti. In qualità di operatori sociali, dovrebbe essere di nostra conoscenza l'importanza di adottare uno sguardo complesso, che non si cristallizzi quindi su di un'univoca visione. Per questo motivo, nella ricerca e stesura di questo lavoro, sono state fatte dialogare riflessioni provenienti dal

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campo educativo, dalle scienze sociali, dalla psicologia, dalla psicoterapia, dalla pedagogia e dalla sociologia.

5. DISSERTAZIONE

5.1Tra teoria e pratica

Contestualizzare il costrutto dell'autodeterminazione nell'ambito della disabilità intellettiva, complessa o dell'autismo, porta all'emersione di tematiche centrali che come pianeti, pur avendo un loro proprio moto di rotazione in funzione del loro asse, seguono anche un altro movimento di rivoluzione attorno ad altri temi o pianeti.

Se poniamo, infatti, al centro di un ipotetico sistema il pianeta dell'autodeterminazione, possiamo vedere come la forza gravitazionale permetta ad altri pianeti di orbitare attorno ad esso, in un'interazione gravitazionale.

I temi satelliti emersi dai diversi strumenti utilizzati e dalla letteratura presa in analisi, in relazione alla casistica, hanno riguardato i concetti di istituzionalizzazione, controllo, autonomia, dipendenza, indipendenza ed infine volizione.

Istituzionalizzazione

Dare un senso alla propria vita, in nome dei propri interessi, della consapevolezza o della libertà di poter esprimere le proprie preferenze, è una delle dimensioni dell'autodeterminazione, prima, e una condizione che caratterizza la vita adulta, poi.

Cottini (2016) parlando delle diverse definizioni che la letteratura offre sul termine autodeterminazione, afferma che "in generale si può dire che tutte convergono nell'individuare la finalizzazione adattiva, rappresentata dalla possibilità per la persona con disabilità di assumere nell'ambiente comunitario ruoli tipicamente connessi con la situazione di adultità"(Cottini, 2016, p. 19).

Pensare all'adultità e ai criteri che nella nostra società la caratterizzano, ossia l'autonomia del proprio punto di vista, la libertà di scelta e la partecipazione sociale, come scrive Moioli, porta a relazionarsi con una situazione di liminalità (Murphy, 2001 cit. in Moioli, 2012, p. 40), di ambiguità. Confrontarsi con la disabilità può portare ad un'incertezza nella definizione dell'identità da parte della persona stessa e del contesto che la circonda e che si manifesta nell'infantilizzazione della persona, nel considerare la persona "speciale", o ancora, nella facilità con cui ci si sostituisce alla persona con disabilità nelle scelte che si pensa non sia in grado di compiere.

Citando Rousseau, Gardou si chiede se "l'essenza del mio essere sia nello sguardo degli altri" (Rousseau, 1999 cit. in Gardou, 2015, p. 33): in quanto animali sociali, più che in individualità l'uomo vive in comunità. E la comunità, il contesto, pensato in relazione alla disabilità, prima, ed all'autodeterminazione, poi, è un elemento fondamentale.

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Il contesto specifico di questo lavoro è rappresentato da una caratteristica importante, l'essere cioè una realtà istituzionale.

Oltrepassando il cancello, Patrizia Ciccani (in Goussot, 2011, p.118), nel suo brano, ci racconta come quella bella villa quasi nel centro di Roma sia popolata da nonperson, da persone che esistono e possono esistere solo lì, in quella villa, persone escluse da ogni riconoscimento o considerazione sociale. Il muro che divideva le persone dalle non-persone, abbattuto dal movimento di anti-esclusione, resiste ancora nella realtà di altri servizi, che, pur avendo come finalità dei propri statuti quello di promuovere dal punto di vista individuale e sociale le persone di cui si occupano, si trovano ad essere dei luoghi di separazione.

La realtà di un sistema ad alta protezione come quello preso in considerazione possiede come caratteristica quello di essere un luogo creato ad hoc per rispondere ai bisogni delle persone che ospita. Facendo forza sulla routine, su una scansione chiara del tempo, cercando di dare stabilità e sicurezza, l'istituto traccia dei percorsi tramite i quali permettere alla persona con disabilità di agire, di lavorare, di sperimentare la vita comunitaria e quella individuale. Le attività proposte dall'istituto hanno la finalità di attivare e occupare la persona, dando un senso alle giornate e cercando, allo stesso tempo di implementare le capacità o di acquisirne di nuove. Tramite il lavoro, ad esempio, si cerca di sviluppare le abilità della persona e di attribuirle caratteristiche proprie dell'identità adulta, per la quale, socialmente, il lavoro rappresenta un tassello fondamentale.

"Per quanto riguarda i laboratori nel nostro istituto, i nostri ospiti lavorano e producono ai fini di un qualcosa che non sempre è chiaro. È difficile che vi sia uno sviluppo nel loro lavorare, una sorta di carriera, che permetta loro di sentirsi efficaci in un lavoro e aspirare a migliorarsi o raggiungere qualcosa in più. […] Abbiamo utenti che vorrebbero variare tantissimo le attività, a partire da interessi diversi. Poi altri utenti si siederebbero al tavolo e se non fosse l'operatore a dare l'input, rimarrebbero seduti. I nostri laboratori stimolano e proteggono allo stesso tempo: ma non è uno stimolare dove l'attività è produttiva e mette in relazione con l'esterno. La giornata inizia e termina qui in istituto" (D., focus group, 22 giugno 2017).

Divisi tra l'aspirazione alla promozione della persona e la flessibilità concreta che le attività o la strutturazione della vita in istituto possono assumere, l'istituto può essere identificato come un'antinomia tangibile, dove realtà diverse coesistono pur essendo in contraddizione fra loro.

"L'omogeneizzazione e l'istituzionalizzazione dei percorsi di vita si accompagnano e vengono spesso rinforzati dai processi di categorizzazione che tendono a raggruppare in una categoria tutte quelle persone che presentano uno stesso stato di bisogno (ad esempio la disabilità) come se fossero genericamente assimilabili e quindi privi di una propria specificità biografica" (Medeghini, 2006, p. 39).

L'istituto cerca, insomma, di ricreare uno spaccato del mondo adulto, realizzando però, al contempo, un contesto "speciale", nel senso di creato appositamente per rispondere a

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quei bisogni che la società non è in grado di rispondervi senza l'ausilio di luoghi e professionisti specifici. Casistica e contesto, pertanto, sembrano essere ostacoli sia ai criteri che caratterizzano la vita adulta, sia per il rispetto di un diritto fondamentale quale l'autodeterminazione, ossia di poter essere agente causale primario della propria vita. Questo a partire sia dalle scelte relative alla propria quotidianità –quando, come, dove e con chi fare ciò che si deve o si ha a necessità di fare in risposta ai propri bisogni-, sia dalle scelte sul proprio status di adulto, relative pertanto a quelle sfere che caratterizzano l'adultità nella nostra società, come ad esempio, l'attività lavorativa, la progettualità sulla propria vita, la sfera affettiva-sessuale.

Controllo

Un adulto in società si sperimenta vivendo fasi diverse, in famiglia, da solo o in coppia: per prove d'errori, come sottolinea uno degli operatori all'interno del focus group, forma la propria personalità e la propria identità. "In istituto, invece, si è sempre con qualcuno: lo sviluppo delle potenzialità passa attraverso altri, attraverso filtri, che sono educatori e operatori, ed in tutte le fasi dello sviluppo, alla persona non è permesso, in nome del fine di protezione, di essere libero, di sbagliare di non essere o non fare" (At., focus group, 22 giugno 2017).

Gli operatori, che si auto-identificano come filtri dei loro ospiti, in tema di bisogni, sentono di svolgere una funzione di controllo, di gestione della relazione e dei limiti da porre anche alla manifestazione stessa della persona. La riflessione richiesta agli operatori, infatti, su una dimensione dell'autodeterminazione, ossia quella di manifestazione dei propri desideri, ha mostrato come in un contesto simile i paletti che vengono piantati per tracciare il sentiero che si ritiene essere il migliore per la persona con cui si lavora, possono andare a impedire a quella stessa persona di agire secondo la sua volontà. L'espressione di desideri non consoni alla vita in socialità, deleteri per la salute o distanti da quella che invece è l'età anagrafica, portano gli operatori a porre dei limiti alla manifestazione stessa dei desideri. Se l'autodeterminazione è un agire finalizzato per orientare la propria vita a partire dalle proprie scelte, desideri, interessi; se è un agire da agente causale della propria vita (Wehmeyer, 1996), gli operatori nella pratica si confrontano con il dover attuare un controllo, sulla e della persona e dei deficit e patologie che manifesta.

"Mi sembra corretto sottolineare un aspetto delicato, ossia di non scambiare l'autodeterminazione con gli slanci di onnipotenza dove le richieste o le pretese fatte sono più di ordine onnipotente. È vero che una persona nella società sceglie se vivere in coppia, da solo o in gruppo: nelle tre dimensioni però dovrebbe avere ben in chiaro i propri limiti, misurandoli con gli altri ed interiorizzandoli. Per noi la difficoltà sta nel dover porre questi limiti fuori, e così cosa facciamo? Mettiamo un limite all'autodeterminazione o all'onnipotenza? Per quello che ho visto, alcune di quelle richieste che dobbiamo limitare

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sono prive di consapevolezza dei rischi o delle conseguenze" (L., focus group, 22 giugno 2017).

Certo, la manifestazione di un disagio o di un momento di crisi è un qualcosa con cui l'operatore deve sapersi confrontare, ponendosi come contenitore di una persona che, in quel momento, ha bisogno che l'altro la contenga, la accolga, la fermi o la sospinga. Eppure, come questo lavoro chiede continuamente di rendersi conto, dietro ad ogni patologia, deficit o menomazione, vi è una persona, una persona che ha affetti, desideri, interessi. Affetti, desideri, interessi che probabilmente non riesce ad esprimere completamente o in modo sempre funzionale alla società o al contesto, ma non per questo si deve ritenere non abbia. Ma non per questo noi, cittadini cosiddetti "nomali", dobbiamo ritenere non abbia, basandoci solamente sul fatto che agiremmo o ci esprimeremmo in modo diverso. Avere a che fare con la disabilità intellettiva, associata nei casi più complessi, a disordini psicopatologici, pone l'operatore in una posizione di dubbio e incertezza nel momento in cui deve confrontarsi con il dover lasciare o non lasciare spazio alle scelte o ai desideri espressi dalla persona con cui lavora. Ed è giusto, allora, chiedersi sempre in ogni momento di lavoro come operatori, a cosa è finalizzato quanto si sta facendo, cosa c'è alla base del controllo che si deve porre –lo si fa per il benessere della persona? Per la morale sociale? Per il contesto in cui ci si trova, e le possibilità ad esso connesse?- e cosa andrà ad interessare quanto si agisce – L'espressione di una patologia? La volontà della persona? -. Non sono domande facili, perché chiamano in causa l'etica del lavoro come operatori: sono domande, però, che dovremmo porci per rispetto dei diritti delle persone con cui lavoriamo.

Il concetto di controllo è emerso anche nella macroteoria di Deci e Ryan, identificato dai professori come l'antitesi dell'autonomia: essere controllato, secondo Deci e Ryan (2008), implica che la propria motivazione venga regolamentata solo in funzione del contesto, del suo sistema di ricompense e sanzioni e dalle contingenze esterne. Sempre secondo Deci e Ryan, al contrario, promuovere l'autonomia "means encouraging them to make choices about how to behave, providing them with the information they need to making the choices and respecting the choices they make" (Deci & Ryan, 2012, p.2).

In questa danza concentrica attorno all'autodeterminazione, si ritorna spesso a scontrarsi con antinomie: la necessità di porre un controllo vuol dire non favorire l'autonomia? E dover dipendere da qualcuno vuol dire non poter essere autonomi?

Rispondere affermativamente a queste domande, significherebbe una sconfitta come professionisti e l'ennesima categorizzazione proclamata dal podio di cittadini "normali". Le lenti con cui questo lavoro è stato scritto e che vuole trasmette, è guardare a come si valutano i concetti che in questa parte del lavoro vengono riportati, sia da un punto di vista micro, come operatori, come singolo servizio; sia macro, come società.

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Autonomia

"Entrare nell'età adulta significa poter costruire e far valere un proprio punto di vista su di sé, sugli altri, sulle cose e i fatti che ci circondano. Anche un bambino o una bambina hanno, evidentemente, il proprio punto di vista sul mondo, ma allo stesso tempo sono considerati sotto tutela. Il pensiero di un adulto è invece autonomo nel senso che dà a se stesso la normativa di riferimento" (Moioli, 2012, p. 37). Il disabile adulto deve confrontarsi con status che vedono associare alla sua età anagrafica attese sociali che spaziano dall'attività lavorativa alla sfera affettiva/sessuale. Quindi, se una persona disabile non può essere autonoma secondo le attese sociali allora non è adulta? E, similarmente, se una persona disabile adulta non può assecondare le attese sociali, almeno non per come la società le ha delineate, allora non può essere autonomo?

Di autonomia ne parla Wehmeyer (1996), affermando come l'autonomia sia la risultante di interdipendenze, e di come tramite quelle interazioni, una persona sia in grado di agire seguendo i propri interessi e in modo indipendente, senza, cioè, influenze esterne.

Il sistema che stiamo qui analizzando è un sistema istituzionale, composto, nello spaccato preso in considerazione, da ospiti e operatori, i quali, interrogati sulle possibilità che le persone con cui lavorano hanno nel fare scelte, nell'esprimere desideri o nel pianificare obiettivi affermano di come l'istituto non possa essere paragonato ad una vita familiare o ad un percorso costruito in modo autonomo. Inseriti all'interno di qualcosa che non si è scelto, ma dal quale si attinge aiuto, supporto, accompagnamento e protezione, sembra che la fune sempre tesa tra il fare con le persone, in risposta ai loro bisogni individuali, e il fare nell'istituto, con le possibilità presenti o potenziali, sia di ostacolo all'affermazione della persona con disabilità, tanto da chiedersi se, proteggendo dalla realtà, non si arrivi a limitare l'autonomia e l'autodeterminazione delle persone. (At., focus group, 22 giugno 2017)

Eppure, in quel distante "fuori" dalla protezione istituzionale, le persone da sole non lo sono mai: se, come chiedono Medeghini e Messina, si lascia da parte l'idealizzazione che la società ha fatto del concetto di autonomia, ci si accorgerà che non è un termine così neutro, ma che "si nutre di dipendenza" (Morin, 1991 cit. in Medeghini & Messina, 2007, p.13) perché per essere ciò che definiamo "noi stessi", abbiamo dovuto imparare un linguaggio, una cultura e un sapere. E, quindi, non vale forse così anche per le persone con disabilità?

Certo. Ma con una differenza. Ancora una volta occorre soffermarsi su come viene pensata, riconosciuta e ricercata l'autonomia e l'autodeterminazione nella società. Occorre vedere quali sono le attese sociali ad esse connesse, le manifestazioni ad esse connesse. In parole semplici, occorre vedere come e cosa vuol dire essere autonomi o, nello specifico, autodeterminarsi nella nostra società. E se si vuole attuare un cambiamento deve partire proprio da queste rappresentazioni.

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Dipendenza

Dall'intervista alla coordinatrice psico-pedagogica dell'istituto era emerso, a seguito della domanda che chiedeva di esporre i limiti e le possibilità del promuove percorsi a favore dell'autodeterminazione, in riferimento a contesto e casistica, quanto sia importante conoscere il funzionamento cognitivo e affettivo delle persone con cui si lavora. In particolare la disabilità intellettiva porta all'emersione di una relazione di dipendenza cognitiva, ossia di una relazione che vede nell'operatore il compito di traduzione e semplificazione di tutti quegli aspetti cognitivi che la persona, da sola, non riesce a comprendere. Questa dipendenza "crea di per sé una dipendenza nella lettura del mondo", con la risultante, secondo la psico-pedagogista, di provocare un forte impatto sull'autodeterminazione della persona poiché potrebbe perdere la capacità o, in caso di lunghe istituzionalizzazione, non sviluppare la capacità di riconoscere che, l'aver bisogno di qualcuno per comprendere, non pregiudica il fatto di essere comunque in grado di avere un proprio modo di sentire, vedere e leggere il mondo (L., intervista, 16 maggio 2017). Se alla dipendenza cognitiva si dovesse aggiungere la dipendenza affettiva, il bisogno di avere l'altro - l'operatore, l'educatore, il maestro socio-professionale - cambierebbe di valore, e cambierebbe anche il riconoscimento di sé della persona, il cui funzionamento diventerebbe inevitabilmente legato all'operatore.

"E il servizio secondo te che responsabilità ha?

Credo che abbia tutta la responsabilità. Noi abbiamo secondo me una responsabilità, soprattutto per gli interni, che non hanno l'alternativa della casa e quindi un affetto giornaliero. Noi abbiamo una responsabilità enorme perché siamo responsabili nel dare realmente un senso alla vita della persona nel potergli dare tutta una serie di aspetti affettivi che se noi non gli diamo, non hanno. La nostra responsabilità è di livello etico" (L., intervista, 16 maggio 2017).

Gli operatori di questo servizio, e si potrebbe pensare anche quelli di servizi simili, quindi, sono consapevoli di dover gestire una relazione asimmetrica, una relazione che vede uomini adulti dipendere per aspetti cognitivi e affettivi da loro. Come è possibile inserire in un quadro simile l'autodeterminazione? Innanzitutto, riconoscendo che questa relazione non da' origine a scale valoriali, non pregiudica una superiorità dell'operatore sull'ospite. Riconoscere questa relazione identifica il bisogno ed il sostegno: è proprio a partire da qui che un percorso di sviluppo della persona può essere intrapreso, con la consapevolezza che ciascuno ha un proprio modo di stare al mondo, che costruisce nella relazione con gli altri. Per gli ospiti di istituti come quello preso in considerazione, quegli "altri" sono gli operatori stessi, che hanno quindi il compito di accompagnare la persona nella formazione della sua identità. Anche da adulto ad adulto. La responsabilità, dunque, è decisamente di livello etico.

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