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1 Tutte le trascrizioni effetuate da manoscritte e stampe nel corso del lavoro si attengono fedelmente alla facies degli originali. Per le trascrizioni degli autografi pascoliani si tenga presente quanto messo a fuoco nei criteri di trascrizione dell’avantesto (infra, p. ***).

è lo schema strutturale del nómos terpandreo. Sette ‘divisioni’: una centrale, l’‘ombelico’ della composizione a cui affidare il nucleo tematico; due estreme che funzionassero da prologo e da epilogo, e due serie doppie più interne che ammorbidissero il trapasso in entrata e in uscita dall’‘ombelico’; tutte con precise e tra loro speculari rispondenze te- matiche e numeriche. Un congegno complesso che opera in profondità come in super- ficie in quasi tutta la vicenda redazionale del poema. Ma un congegno mutevole, che si presta a una miriade di combinazioni possibili e variamente riconoscibili (e spesso rico- nosciute) in una larga fetta della produzione pascoliana. Quale era, però, la struttura del

nómos di Terpandro consegnataci dalle fonti antiche? per quale motivo nelle mani del

poeta moderno appare così fluida? quale il suo campo di applicazione? Una prima rico- struzione del dibattito ottocentesco sullo schema antico e un sondaggio nella produ- zione poetica e critica del romagnolo permettono di cogliere meglio le ragioni e le mo- dalità di assunzione del modello strutturale nel caso di Bellum Servile come in diverse altre occasioni. Una rapida trattazione generale sulla struttura terpandrea, senza dubbio pro- pedeutica per comprendere le dinamiche interne al particolare avantesto, precederà per- tanto la ricostruzione dell’iter compositivo del poema.

L’incapacità di implementare la struttura prefissata sarà tra le ragioni dell’insoddisfa- zione del poeta rispetto all’ambizioso progetto, e allo stesso tempo è tra le più evidenti prove che il poema rimase incompiuto. Dopo l’avventura olandese, però, comincerà per

Bellum Servile un nuovo percorso solo in parte realizzato, e di questo si darà notizia nel

§1.3.

1.1. La struttura del nómos nella poesia pascoliana: sondaggi preliminari

Pascoli presentava il futuro conviviale Le Memnonidi sulla rivista «Atene e Roma» (marzo 1904) con queste parole, e sono forse le uniche che pubblicamente pronuncia in merito all’antico genere di componimento1:

È un mio νόµος; a mio modo, in verità, ma anche un po’ al modo che io in parte imagino in parte deduco e induco che fossero i νόµοι o almeno certi νόµοι.2

Da perfetto contraltare alla pubblica reticenza sull’argomento, negli avantesti mano- scritti conservati a Castelvecchio, e non solo, i riferimenti accertati al nomo terpandreo sono numerosi e molti ancora sono da recuperare. Come si vedrà nel corso di questa

1 Nella tesi di laurea su Alceo il giovane grecista faceva menzione «dei sette nomoi e dell’ep- tacordo di Terpandro» probabilmente fraintendendo (G. CAPOVILLA, La formazione letteraria del

Pascoli a Bologna. I. Documenti e testi, Bologna 1988, 178).

2 Cito da Poesie di Giovanni Pascoli. Poemi conviviali. Poemi italici. Le canzoni di Re Enzio. Poemi del

Risorgimento. Inni per il cinquantenario dell’Italia liberata, a cura di GIOV.BARBERI SQUAROTTI, IV, Torino 2009, 100.

dell’autore intorno al dibattito critico accesosi negli ultimi decenni dell’Ottocento e an- cora vivace agli inizi del successivo. Nel presentare Le Memnonidi come «nómos» Pascoli, infatti, ricorre almeno a due correzioni calamo corrente. Prima relativizza la proposi- zione principale («a mio modo»), poi ancora restringe il campo dell’oggetto in questione («almeno certi νόµοι»). Sulla seconda precisazione poco da dire: Pascoli doveva sapere bene che esistevano diversi tipi di nomo, e quello a struttura settemplice era uno soltanto di essi, e anche quello nel corso del tempo soggetto a innovazioni1. La prima, invece, può essere circostanziata: in essa è implicito «lo sforzo originale di ricostruzione della forma perduta, con un certo margine di arbitrio perché in buona parte congetturale»2. Unica fonte antica a tramandare un’informazione dettagliata sulle parti che compone- vano il nomo settemplice di matrice terpandrea è il lessicografo di II sec. d. C. Giulio Polluce (4, 66): «µέρη δὲ τοῦ κιθαρῳδικοῦ νόµου, Τερπάνδρου κατανείµαντος, ἑπτά·

ἀρχά, µεταρχά, κατατροπά, µετακατατροπά, ὀµφαλός, σφραγίς, ἐπίλογος»3. In questa se- quenza delle sezioni, però, non si riscontra la simmetria delle parti e la circolarità che impronta il «νόµος» alla maniera di Pascoli. Le Memnonidi, infatti, si compone di «sette sezioni strofiche di endecasillabi variamente rimate e distribuite in coppie responsive, fatta eccezione per quella centrale irrelata; fanno da cornice un distico in apertura e un distico in chiusura, ricomponibili a distanza in una quartina a rima incrociata. Il sistema delle corrispondenze strofiche si articola sull’asse della sezione centrale in una serie di simmetrie che si strutturano, per l’appunto sul perno della quarta strofa, in una serie ascendente (strofe con rime su due, tre e quattro versi) e in una serie decrescente (strofe con rime su quattro, tre e due versi): alla prima sezione (dodici endecasillabi in distici a rima baciata) corrisponde la settima; alla seconda (diciotto endecasillabi in sei terzine con schema: ABA CBC DED FEF GHG IHI; in verità, il verso centrale delle due ultime terzine presenta semplice assonanza tua : laggiù, che diviene tuttavia rima se attraverso l’enjambement si assegna la a di tua al verso seguente in episinalefe con anima) corrisponde la sesta; alla terza (sedici endecasillabi in quattro quartine a rima incrociata) corrisponde la quinta; la quarta, quella centrale irrelata, è costituita da venti endecasillabi distribuiti 1 Cf. G. COMOTTI, Storia della musica, I, La musica nella cultura greca e romana, Torino 1980, 18- 19.

2 M. MARCOLINI, Ibridazione dei generi e scavi metrici antichi nel Ciocco, in Nel centenario dei Canti

di Castelvecchio, Atti del convegno dell’Accademia Pascoliana San Mauro Pascoli, 19, 20, 21 settembre 2003,

a cura di M. PAZZAGLIA, Bologna 2005, 151. Grande merito di questo contributo è quello di

aver trovato il medium necessario tra l’informazione del lessicografo Polluce relativa alla struttura dell’antico nomo terpandreo e la struttura sovente adottata dal Pascoli, colmando così un vuoto che si trascinava da diverso tempo (vd. infra).

3 Il rimando stesso a questo luogo non può essere fatto a cuor leggero. In molti lavori otto- centeschi, precedenti l’edizione di Bethe (Iulii Pollucis Onomasticon, I, Lipsiae 1900) è facile riscontrare un testo leggermente diverso: «µέρη δὲ τοῦ κιθαρῳδικοῦ νόµου, Τερπάνδρου κατανείµαντος, ἔπαρχα, µέταρχα, κατάτροπα, µετακατάτροπα, ὀµφαλὸς, σφραγίς, ἐπίλογος». La correzione di «ἔπαρχα» in «ἑπτά· ἀρχά» è opera di Theodor Bergk (Poetae Lyrici Graeci, III, Lipsiae 18824, 11 e Griechische Literaturgeschichte, II, Berlin 1883, 211), mentre lo spostamento degli accenti era stato proposto da Rudolph Westphal che ci vedeva giustamente dei sostantivi con coloritura

dorisch-spartanische piuttosto che aggettivi al neutro plurale (Prolegomena zu Aeschylus Tragödien, Leip-

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