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3.1 Le figlie di Mao

Con la proclamazione della Repubblica Popolare la componente femminile della popolazione venne invitata ad entrare negli spazi occupati, fino a quel momento, esclusivamente dagli uomini. Riconoscendo pari dignità alla donna, il regime comunista contribuì in maniera determinante ad affrancare le donne cinesi. Tanto è vero che lo stesso Mao asserì nel 1949che le donne erano “l'altra metà del cielo”, in cinese Funu neng ding

banbiantian (妇女能顶半边天1), e quindi uguali in tutto e per tutto agli uomini. Senza alcun

dubbio la popolazione cinese non era affatto preparata ad accettare questo nuovo ruolo assunto dalla donna che, per le esigenze della nuova politica, era stata chiamata ad assumere di colpo un ruolo rivoluzionario. Così si tendeva a ridurre non solo le disuguaglianze, ma anche le naturali differenze tra i due sessi, tanto da dar vita ad un nuovo tipo di donna, la donna androgina, all'estremo opposto rispetto all'ideologia confuciana. Se in passato le donne non avevano una propria identità, ma si definivano esclusivamente in rapporto agli uomini della loro vita, ora le distanze tra i sessi venivano ulteriormente accorciate con l'introduzione delle stesso appellativo per entrambi: tongxue (同学), ossia compagno2. Identificate con un

termine comune agli uomini, le donne indossavano anche lo stesso tipo di vestiario, ossia una casacca sopra un paio di pantaloni blu. Questo era un tipo di abbigliamento che nascondeva, mimetizzava e mortificava il corpo femminile; di conseguenza l'immagine tradizionale della donna confuciana non lasciava quasi neppure il ricordo di sé3. Inoltre i muri delle città cinesi

erano tappezzati da manifesti in cui venivano raffigurate donne, al fianco dei propri compagni uomini, che esibivano un atteggiamento virile e sicuro di sé. Si tratta di un'emancipazione avvenuta ad una rapidità sicuramente senza precedenti, passando dal Medioevo all'età moderna nel giro di pochissimi anni. Sicuramente è stata voluta e preparata dalle donne, ma soprattutto è stata imposta dall'alto, per le esigenze della rivoluzione, della produzione e del lavoro. Le donne erano necessarie come manodopera e in tal senso il governo fece di tutto, attraverso interventi sugli organi ufficiali, per incoraggiarle sulla nuova strada, per spingerle a non essere soltanto pari all'uomo, ma uguali all'uomo. La condizione necessaria all'emancipazione era l'uguaglianza con gli uomini: questo era il principio affermato e ribadito dal governo e dal movimento delle donne. Negli anni Cinquanta uno degli slogan di Mao asseriva che attraverso il lavoro si poteva conquistare l'indipendenza: anche in questo

1 La traduzione letterale sarebbe: “ le donne possono reggere sulla testa l'altra metà del cielo”.

2 Questo termine veniva utilizzato sia nelle zone rurali sia nelle città per rivolgersi ad un leader politico come anche ad un semplice contadino.

frangente le donne seguirono le sue direttive, partecipando con entusiasmo, come a tutte le altre campagne lanciate dal Timoniere, anche a quella per la propria emancipazione e virilizzazione. In qualche modo le figlia di Confucio diventarono le figlie di Mao e della rivoluzione4.

Nell'ansia di vincere pienamente i pregiudizi maschili, le donne lavorarono rispettando orari lunghissimi, acquisirono nuove qualifiche e non presero alcun congedo per la maternità. Nel caso in cui avessero dovuto scegliere tra accudire i propri figli o dedicarsi anima e corpo al lavoro, avrebbero sicuramente optato per la seconda alternativa. In alcuni momenti dimenticarono quasi di essere delle madri per essere unicamente delle lavoratrici. Bisogna tenere conto che fin dagli inizi dell'ascesa al potere di Mao le manifestazioni di affetto materno non erano assolutamente ben viste, poiché considerate indizio di un cuore diviso, non tutto ed esclusivamente votato alla rivoluzione. La cura dei figli era un'occupazione a cui dedicare il minore spazio possibile della vita di una donna. Il tempo libero dal lavoro doveva essere esclusivamente speso per la rivoluzione e per le sue espressioni collettive cui ogni donna doveva prendere parte, come le riunioni settimanali di esame del pensiero: la rivoluzione di Mao esigeva non soltanto una disciplina esteriore, ma anche l'assoggettamento totale della mente e del cuore. Anche il matrimonio era considerato una forma di distrazione dall'impegno rivoluzionario e quindi non veniva incoraggiato. Anche in questo frangente si capisce quanto nella vita di una donna l'esperienza più importante doveva essere unicamente il lavoro: qualunque donna che avesse messo nella propria vita al primo posto l'amore sarebbe stata costretta a fare autocritica5. Il cambiamento fu troppo veloce e a numerose donne

apparve assai arduo e crudele. Molte trovarono persino penoso seguire le nuove regole: impreparate fisicamente, e soprattutto psicologicamente, a cambiamenti così radicali, si sentirono confuse e smarrite. Ancora una volta, nel momento stesso in cui sembravano aver raggiunto l'emancipazione e l'affermazione di se stesse, le donne subirono in realtà una nuova violenza: è soprattutto a loro che si rivolge la nuova etica del sacrificio in nome della rivoluzione6. Tuttavia, pur tra smarrimento e difficoltà, la maggioranza delle cinesi si adeguò

ed accettò di contribuire allo sviluppo del paese attraverso le quattro modernizzazioni7: 4 M.J. Meisner, Mao Zedong: A Political and Intellectual Portrait, Cambridge, Polity Press, 2007, p.35.

5 L.T. Chang, Operaie, Milano, Adelphi, 2010, p.101.

6 C. Broyelle, J. Broyelle, E. Tschirhart, Secondo ritorno dalla Cina. L'altra metà del cielo rivisitata, Milano, Saggi Bompiani, 1978, p.10.

7 Fu Deng Xiaoping ad introdurre le quattro modernizzazioni e lo fece perchè intendeva modernizzare il paese in ogni su aspetto. Queste quattro modernizzazioni riguardano l'agricoltura, l'industria, la difesa e la scienza e la tecnologia. In merito all'agricoltura venne data maggior fiducia al singolo più che al collettivo, mentre per quanto riguarda l'industria vennero sviluppate contemporaneamente l'industria leggera e l'industria pesante, entrambe necessarie per primeggiare nel campo dell'esportazione. Invece per quanto riguarda la difesa è stata implementata con una precisa ricostruzione militare mirata all'autosufficienza difensiva e infine la

dell'agricoltura, dell'industria, della difesa, della scienza e della tecnologia. Tuttavia la maggior parte delle donne continuò contemporaneamente a farsi carico anche dei lavori domestici, che rimasero unicamente appannaggio femminile8.

La Repubblica Popolare Cinese era stata proclamata da appena un anno e il grande impegno per il progetto economico e la modernizzazione del paese era appena cominciato quando, nel 1950, scoppiò la guerra di Corea9. Furono gli uomini a dover partire per la guerra, ma toccò

alle donne sostenere il peso di tale conflitto in patria, sostituendo i propri compagni nei lavori che questi dovettero abbandonare. Nelle campagne le donne contribuirono a incrementare la produzione agricola per sostenere lo sforzo bellico con cereali, cotone e altre materie prime di importanza vitale, mentre all'interno delle industrie si fecero carico del necessario aumento della produttività. Quelle che non lavoravano in campagna o nelle fabbriche si dedicarono a quei piccoli compiti che ovunque, e da sempre nella storia, costituiscono il contributo femminile alla guerra. Sostanzialmente cercavano di guadagnare il denaro necessario per sostenere lo sforzo bellico, ma non è mai stato possibile sapere se il ricavato delle loro attività sia mai servito a tale scopo. Vi fu però un modo più concreto e risolutivo con cui le donne contribuirono alla guerra: furono loro, assieme agli studenti, a formare le squadre di propaganda incaricate di convincere i contadini dell'importanza del conflitto in Corea. Infatti all'inizio la gente delle campagne era diffidente, ma l'intervento delle squadre riuscì a vincere tale apatia. Le donne e gli studenti sottolinearono la pericolosa presenza della flotta statunitense a Formosa e il riarmo del Giappone, nemico di sempre: il loro entusiasmo si irradiò all'intera popolazione. Sul fronte coreano le truppe cinesi passarono di vittoria in vittoria e l'impegno delle figlie di Mao contribuì in larga parte a comunicare al popolo cinese che dopo tutto gli Stati Uniti d'America non erano un nemico così invincibile. L'impegno per la rivoluzione e il progresso del paese non si allentò nemmeno dopo la conclusione della guerra di Corea nel 195310.

Se per la storia il 1950 viene ricordato come l'anno dello scoppio della guerra di Corea, per le donne cinesi questo non fu sicuramente il vero motivo per il quale quell’anno divenne per loro così importante. Nel 1950 furono varate due leggi fondamentali che investirono direttamente la condizione della donna: la riforma agraria del 28 giugno 1950 e la Legge sul matrimonio del 1 Maggio 1950. La riforma agraria estese a tutto il paese le misure di

modernizzazione di scienza e tecnologia hanno fatto si che la Cina riuscisse ad inviare i primi satelliti nella spazio, oltre che ad iniziare una propria produzione tecnologica. M. Castorina, op.cit., p.27.

8 F. Lemoine, L'economia cinese, Bologna, Il Mulino, 2003, p.86.

9 J. Halliday, B. Cumings, Korea. The Unknown War, London, Penguin Books, 1990, p.38.

10 J.W. Lewis, X. Litai, Uncertain Partners: Stain, Mao and the Korean War, Stanford, Stanford University Press, 1993, p.33.

redistribuzione della terra occupate dalle basi sovietiche e da quelle antigiapponesi avevano già conosciuto, sia pure in misura diversa. La donna ricevette il beneficio di diventare posseditrice di un mezzo di produzione, ossia la terra; tuttavia il nucleo economico vitale cui mirava la riforma non fu l'individuo, bensì la famiglia. Invece la legge sul matrimonio fu contro la famiglia feudale e la struttura del clan, a cui contrappose la famiglia borghese monogamica. Si trattava indubbiamente di una legge molto avanzata anche rispetto ai paesi occidentali. L'applicazione di questa legge non fu davvero così facile. A due anni di distanza dalla sua promulgazione, come risulta da svariate indagini portate a termini nel settembre del 1951, la situazione si presentò molto differenziata. Nelle vecchie basi rosse in alcune zone nuove particolarmente avanzate, prevalse il nuovo matrimonio, anche se ovviamente si registrarono comunque casi di violenza contro la donna, di suicidi ed omicidi per ragioni matrimoniali. Invece, in una parte delle basi rosse e nelle prime zone liberate, predominava il matrimonio semilibero o banziyou hunyin ( 半 自 由 婚 姻 ), che il Partito tutto sommato appoggiava, riconoscendogli un carattere progressista rispetto a quello feudale. Inoltre perduravano in misura sensibile il matrimonio coatto, la compravendita delle spose, i matrimoni precoci e le spose bambine, oltre che ai soliti casi di maltrattamenti e violenze. Nella grande maggioranza delle zone appena liberate e in alcuni angoli appartati delle vecchie basi rosse ancora imperversavano il sistema matrimoniale feudale e casi di violenza, i delitti d'onore, i maltrattamenti. Di conseguenza il governo lanciò un movimento per l'applicazione radicale della legge sul matrimonio, nella primavera del 1953, che evidentemente raggiunse per l'essenziale il suo scopo se, secondo una statistica governativa del 1954, soltanto all'1,7% del totale delle coppie che avevano nel frattempo fatto domanda di matrimonio era stata negata la registrazione per violazione della nuova legge sul matrimonio11. Va osservato che

questa fu una vittoria fondamentale anche sul piano giuridico: infatti per cercare di cancellare la mentalità confuciana prevalente nella popolazione fu necessaria una lotta ideologica lunga e capillare. Furono le stesse donne a non sentirsi sicure, a non sentirsi pronte per scegliere liberamente il proprio marito, perché mettersi alla stessa stregua di un uomo sembrava loro una azzardo troppo grosso. Inoltre rimase ancora, seppure svuotata del suo senso economico, la struttura familiare del clan, che facilitava soprattutto l'incontro tra giovani di due sessi appartenenti a un ceppo familiare comune12. Esemplare di questa situazione fu il caso di

Zhang Xiaoling, una ragazza di diciannove anni e chiesta in moglie da un suo lontano cugino trentenne, col quale era cresciuta insieme prima che questi si recasse a combattere fra le file

11 N.J, Diamant, Revolutionizing the family: politics, love, and divorce in urban and rural China, 1949-1968, Berkeley, University of California, 2000, p.45.

dei rivoluzionari. La donna non voleva offendere con un rifiuto il giovane a cui era molto affezionata e quindi, trovandosi in una situazione di grande imbarazzo, chiese consiglio pubblicamente alla rivista della Federazione delle donne. La Federazione le consigliò di sposarsi il cugino, cercando di motivare la propria decisione attraverso frasi di circostanza sull'amore e attraverso precedenti di donne felicemente sposate con cugini lontani. In altre parole la Federazione si preoccupava giustamente di lottare contro questo senso di inferiorità della donna rispetto all'uomo, però trascurava completamente l'esigenza di maturazione individuale della ragazza consigliandole, al contrario, di mettersi al più presto nelle mani di un buon marito13.

La Fondazione affrontò altri problemi collegati ad altri settori della vita quotidiana femminile oltre a quello del matrimonio. Nel bilancio dell'attività federativa redatto nel settembre del 1950 da Deng Yingchao, si denunciarono particolari difficoltà della Federazione nelle città, da cui era rimasta assente per troppo tempo. Queste difficoltà furono di vario genere, come il caos provocato dalla distruzione o dalla fuga del vecchio apparato amministrativo, la prostituzione, la criminalità e soprattutto la disoccupazione, aggravata dall'urbanizzazione delle ragazze sole proveniente dalle campagne. Tale disoccupazione fu un ostacolo molto serio all'ammissione delle donne nella produzione, e tale rimase, se ancora nel 1957 una statistica calcolava nel 60% l'aliquota della popolazione urbana non produttiva. La Federazione dovette lottare ancora più duramente che in campagna contro la paura o il disprezzo del lavoro da parte delle donne stesse14. Il discorso di Deng Yingchao del 1950 fu

interamente focalizzato sul tema della ripresa produttiva, su come utilizzare questa vasta massa di forza lavoro costituita dalle donne. Ovviamente non fu una cosa facile: lo stato di caos in cui versavano molte città impediva l'immissione anche delle donne in determinati tipi di occupazione, oppure induceva molti quadri della Federazione a preoccuparsi di sanare situazioni individuali e familiare difficili, piuttosto che di incitare alla produzione. Di conseguenza bisognava assicurare alle donne disoccupate la stessa probabilità di essere assunte degli uomini, lottando contro la discriminazione ai loro danni. Tuttavia, la disoccupazione delle casalinghe sarebbe rimasto un problema irrisolto anche perché, sempre per le necessità della ricostruzione economica, la Federazione doveva appena possibile concentrarsi sulle operaie occupate. Comunque le casalinghe potevano formare cooperative artigianali che, subordinate alle industrie esistenti, avrebbero svolto una parte delle lavorazioni, oppure tenuto servizi sociali, come sartorie e lavanderie. Rimase difficile capire

13 L.Lanciotti, op.cit., p.229.

che questo lavoro assegnato alle casalinghe, in aggiunta alle normali mansioni domestiche, fu innanzitutto un modo per valorizzare al massimo il prodotto, accumulare plusvalore, oltre che per effettuare grossi risparmi sugli investimenti per i servizi sociali. Si trattava delle esigenze base di qualsiasi ricostruzione economica, che però non ebbero che un rapporto assai indiretto con l'emancipazione femminile15. Deng Yingchao insistette molto anche sulla collaborazione

fra la Federazione delle donne, il sindacato e l'apparato statale. Tuttavia il problema rimase sempre lo stesso: il movimento delle donne venne definito nuovamente solo come una parte del movimento rivoluzionario complessivo. In altre parole le donne non potevano fare altro che condividere con gli uomini delle loro stesse classi sociali obiettivi e forme organizzative, con l'aggiunta di alcune esigenze loro peculiari, da risolvere in seno ad apposite organizzazione create ad hoc e con un ruolo di agevolamento delle direttive generali. La preoccupazione costante fu quella di evitare che le donne si ritrovassero insieme per parlare o per discutere per un periodo di tempo troppo lungo e fuori dai limiti prestabiliti16.

Alla fine del 1951 un'altra esponente di rilievo della Federazione, Kang Keqing, tracciò alla I Conferenza per il Benessere della Donna e del Bambino il bilancio dell'attività svolta, ribadendo ancora una volta la necessità di recuperare forza lavoro potenziale, di contribuire direttamente all'edificazione economica del paese e a questo scopo di liberare parzialmente le donne dall'incarico di accudire i figli. Le condizioni di povertà di mezzi e di strutture indussero all'utilizzo di donne anziane, alla collaborazione fra donne che lavoravano, oltre che l'apertura di asili nido veri e propri17.

Nel 1952 la segreteria nazionale della Federazione, Zhang Yun affrontò in un discorso intitolato Rapporto sui problemi attuali del lavoro della Federazione tra gli altri anche i problemi derivanti dalla coesistenza di fronte unito femminile di lavoratrici dell'industria dell'agricoltura, di casalinghe e di donne borghesi. La polemica fu rivolta soprattutto contro la psicologia da mantenuta, diffusa anche fra le operaie, contro l'idea che il vero compito della donna resta quello casalingo. Invece bisognava far capire a tutte le donne che il lavoro era l'unica fonte di rispetto per loro stesse, oltre che a rendere cosciente la società che il lavoro produttivo femminile aveva lo stesso valore di quello maschile. Di qui la denuncia di Zhang Yun dei casi di non registrazione o di registrazione parziale dei punti di lavoro alle donne, oppure di registrazione della stessa quantità dei punti lavoro dei maschi ma con un valore minore, cosa che accadeva principalmente nelle campagne. Nelle fabbriche, invece, la lotta

15 J. Zuo, Work and Family in Urban China.Women’s Changing Experience since Mao, London, Palgrave Macmillan, 2016, pp.45-65.

16 E. Croll, The women's movement in China, London, Anglo-Chinese Educational Institute, 1974, p.29.

17 J.West, M. Zhao, X. Chang, Y. Cheng, Women of China Economic and Social Transformation, London, Palgrave Macmillan, 1999, p.31.

venne condotta tramite slogan che chiedevano la parità retributiva a fronte delle medesime ore lavorative fra i due sessi18. Da quanto detto si può intuire che la funzione di assistenza alle

donne svolta dalla Federazione arrivò perfino a sfiorare i compiti di un vero e proprio sindacato di categoria e quindi ad andare ben oltre i limiti che si era prefissata al momento della sua creazione. A conclusione di questi primissimi anni di attività del PCC e delle associazioni al suo fianco, si può dire che essi furono caratterizzati da un'accentuata impostazione economicistica del problema delle donne. Tuttavia l'opera di sconvolgimento sociale oggettivamente svolta dalle leggi agrarie e matrimoniali, oltre che dalla partecipazione massiccia delle donne alla produzione data la situazione di un caos postbellico, ebbe un altissimo valore positivo. Poco più tardi invece, una volta ricostruite le istituzioni superato lo stato fluido del dopoguerra, si assistette ad una svolta peggiorativa nella politica delle donne19.

Quando Nel 1955 Mao nazionalizzò le industrie e lanciò un appello per l'intera industrializzazione della Cina, furono nuovamente le donne ad essere chiamate a sostenere la loro pesante metà del cielo, abbandonando così la propria famiglia e partecipando attivamente alla ricostruzione del paese. Ovunque sorsero rudimentali fornaci per fondere il metallo e le addette ad esse furono proprio le donne, così come spettava loro la ricerca di qualsiasi rottame contenesse ferro e potesse venir fuso per produrre acciaio. Nelle scuole le maestre avevano il compito di alimentare a turno i fuochi, ventiquattro ore su ventiquattro; mentre negli ospedali furono le infermiere a dover svolgere il medesimo compito. Addirittura le casalinghe dovettero rinunciare a tutti i loro utensili da cucina che contenessero del ferro. Tutto ciò venne fatto in nome del sogno di Mao, che era deciso a trasformare la Cina in una moderna potenza economica. Ogni unità di lavoro, in cinese danwei (单位), aveva una sua quota di acciaio da produrre e per per un totale di sei mesi la popolazione interruppe ogni altra attività per raggiungere il risultato prefisso. A tal fine vennero persino disboscate intere montagne per ottenere la legna necessaria per le fornaci. É noto che quasi cento milioni di persone siano state allontanate dal loro lavoro abituale per essere impiegate nella produzione siderurgica ed anche in questo frangente le donne accettarono senza obiezioni questo cambiamento20. Venne

poi, nel 1957, la cosiddetta Campagna dei cento fiori21, seguita contemporaneamente dal III 18 T. Jacka, Womene's Work in Rural China. Change and Continuity in a era of Reform, Cambridge, Cambridge

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