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III. Un glossario diacronico dei dialettismi

4. La microstruttura

4.1. Schede con microstruttura completa

4.1.2. Attestazioni entro le quattro redazioni del Baldus

4.1.2.1. La prima fascia: le trafile diacroniche

4.1.2.1.1. Altre precisazioni

Si indicano di seguito in forma sintetica ulteriori precisazioni relative all’impostazione della fascia delle trafile diacroniche.

4.1.2.1.1.1. Nella prima fascia delle attestazioni si inseriscono anche quelle (nel complesso assai rare) contenute negli argomenti a ciascun libro che si trovano solo in P e in T. Tali attestazioni sono indicate con il simbolo “a” (= argomento), ad es. T 3a.2 = redazione T, argomento del libro 3, verso 2.

4.1.2.1.1.2. Si è detto che il simbolo → indica la trasformazione di un verso o di un gruppo di versi da una redazione all’altra, o meglio la presenza di varianti sostanziali tra una redazione e quella contigua. Si deve precisare, però, che tali varianti sostanziali non riguardano necessariamente il lemma. In presenza del simbolo → è possibile che il lemma rimanga inalterato (anche nella forma) e che a variare siano altre porzioni del contesto selezionato. Mentre il simbolo =, indicando che un verso rimane sostanzialmente invariato, implica necessariamente la persistenza del lemma da una redazione all’altra, il simbolo → non rende di per sé esplicito il destino del lemma: se tale simbolo è seguito da un contesto

386 Cfr. Gragnani 2005 (tesi di dottorato inedita). Per i primi quattro libri del Baldus P cfr. anche la Sinossi

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stampato in grassetto, allora le varianti sostanziali non coinvolgono il lemma (possono tuttavia riguardarlo varianti grafiche o formali: vedi al par. 4.1.2.1.1.4.); se invece esso è seguito da un contesto stampato in tondo, allora le varianti sostanziali coinvolgono anche il lemma, e ciò significa in particolare che esso è stato sostituito o eliminato da una redazione all’altra. Esempio (alla voce busus ‘buco’):

P 7.298 non lassant busos, non foppas atque cavernas → T 10.21 non lassant busos, non foppas, atque caminos → C 11.41 voltant / omnia, nec lassant pertusos, antra, cavernas = V 11.42.

In questo caso, il verso di P e quello di T sono separati dal simbolo → perché T presenta una variante sostanziale rispetto a P, cioè la sostituzione di cavernas con caminos. Tale variante non coinvolge però il lemma (busus): entrambi i versi in queste due redazioni contengono un’attestazione di busus e sono dunque individuati da un riferimento topografico stampato in grassetto. Anche T e C sono separate dal simbolo → perché nel passaggio tra la seconda e la terza redazione si registrano diverse varianti sostanziali (tra le quali il recupero di cavernas), che coinvolgono stavolta anche il lemma: busos è sostituito con il sinonimo pertusos, e il riferimento al verso di C è stampato in tondo perché non vi si trova un’attestazione del lemma.

4.1.2.1.1.3. Nei casi in cui un contesto e quello ad esso corrispondente nella redazione successiva differiscano soltanto per varianti giudicate non sostanziali, tipicamente varianti grafiche non riguardanti il lemma, si impiega il simbolo = senza trascrivere per intero il secondo contesto, ma si registra la variante in un apparato posto in nota (a piè di pagina). Esempio:

C 16.550 barbozzumque menant sdentatum more caprarum, / quando grataculos sgagnant cardosque biassant = V 16.546

[in nota:] grataculos C] grattaculos V.

In nota è riportata l’unica variante tra le due redazioni, che consiste nella sostituzione in V della forma con la t geminata a quella con la scempia di C.

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4.1.2.1.1.4. Se invece la variante formale (o solo grafica) riguarda il lemma, si rinuncia al simbolo = anche se i due contesti sono per il resto del tutto identici. Esempio (s. v.

ac(c)at(t)are):

C 21.300 quod removet, speratque aliquem accattasse tesorum → V 21.264 quod removet, speratque aliquem accatasse thesorum

4.1.2.1.1.5. Si è detto che per ciascuna attestazione si riporta sempre un contesto costituito come minimo dall’intero verso, nella quasi totalità dei casi un esametro dattilico. Si è osservata rigorosamente la regola di riportare sempre nella loro interezza, senza tagli, i versi che contengono un’attestazione del lemma. Si deve avvertire, però, che in P e in T si trovano alcuni tibĭcines di imitazione virgiliana.387 Esempio (s. v. bret(t)īnus):

P 6.289 Vis, Zambelle meus, fieri compagnus et istas / bretinas vestes tribuam?

In un caso come questo, l’attestazione del lemma si trova in un verso che a prima vista potrebbe sembrare tagliato in modo arbitrario, mentre si tratta in realtà di un verso lasciato intenzionalmente incompleto dall’autore.

La regola sopra enunciata è applicata anche ai versi corrispondenti (privi del lemma) nelle altre redazioni: solo in casi del tutto eccezionali si è ritenuto necessario tagliare tali versi, sempre segnalando il taglio con il simbolo [...]:

P 1.141 [...] Cohibe, Guidone, furorem → T 1.172 Ah, cohibe flammas, cohibe, miseralma, furorem

La regola non è invece applicata agli altri versi, quelli precedenti o successivi al verso- attestazione e al suo corrispondente nelle altre redazioni, che sono stati tagliati senza alcuna segnalazione al fine di circoscrivere porzioni di testo adatte alla fruizione del glossario.

4.1.2.1.1.6. Il simbolo Ø si usa nei casi, del tutto eccezionali, in cui un verso è eliminato in una redazione per essere poi recuperato (con o senza varianti) in quella successiva. Esempio (s. v. braga):

387 Si ricordi ad es. la testimonianza della glossa a T 3.363: «Hic deficere carmina incipiunt multa, quae sicut

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P 2.155 dispoliant illos nec lassant saepe mudandam [→ T Ø] → C 2.149 cuncta sed affatum spoiant scarpasque bragasque

4.1.2.1.1.7. Si è detto che nella prima fascia sono stampate in corsivo le attestazioni del lemma ma anche quelle degli eventuali concorrenti diacronici, cioè voci di una redazione precedente che sono state sostituite dal lemma o che subentrano al lemma nelle redazioni successive. Si danno, tuttavia, numerosi casi in cui non sembra possibile individuare con certezza un lessema corrispondente, tipicamente quando un passo risulta fortemente rielaborato o completamente ristrutturato in un’altra redazione, ma anche quando al lemma non viene a sostituirsi un unico lessema bensì una serie sinonimica oppure due o più voci, non necessariamente sinonime. In questi casi si è rinunciato all’individuazione di precisi concorrenti lungo l’asse diacronico: non si segnalano, quindi, parole in corsivo nei versi corrispondenti. Esempio (s. v. barbastellus ‘pipistrello’):

P 10.378 Hic barbastelli strident, hinc inde volantes → T 14.421 hic barbagianni strident, hic pipaque strelli → C 15.498 qua barbagianni, qua guffi pippaquestrelli / strident = V 15.358.

In questo caso non sembra possibile stabilire in modo univoco se la lezione di T corrispondente al barbastelli di P sia barbagianni oppure pipaque strelli. Certo, barbagianni occupa la stessa posizione nell’esametro e condivide il gruppo iniziale barba-; tuttavia,

pippaque strelli condivide quasi perfettamente la seconda porzione fonica -stelli/-strelli, e in

più è il vero lessema corrispondente dal punto di vista semantico, poiché indica lo stesso referente.

4.1.2.1.1.8. Si è detto che i contesti in cui è attestato il lemma sono individuati con il riferimento topografico del solo verso in cui il lemma effettivamente occorre, anche quando si seleziona per l’esemplificazione un contesto di più versi. Un criterio analogo si applica anche ai contesti corrispondenti lungo l’asse diacronico, nei quali il lemma non è però attestato. Se tali contesti constano di più versi, si indica solo il numero del verso in cui si trova il lessema stampato in corsivo, che è quello riconoscibile con certezza come concorrente del lemma lungo l’asse diacronico. Come si è visto al par. precedente, però, tale corrispondente può mancare: in tal caso, si indica esclusivamente il numero di verso solo quando un verso

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corrispondente a quello in cui è attestato il lemma sia comunque riconoscibile con sicurezza; altrimenti, si dà il riferimento topografico dell’intero contesto, cioè il riferimento a tutti i versi effettivamente citati. Esempio (s. v. baltresca):

P 7.46-48 Iam magnus fuerat ceppus pretore iubente / in media platea populo cernente paratus / cum quo Baldus erat testa moriturus adempta → T 9.214-215 Iamque paratus erat ceppus quo perdere testam / Baldus debebat, populo spectacla daturus → C 10.268 Ianque parechiatur ceppus mediaque piazza / horribilem visu parecchiat boia solarum, / quo Baldus debet venerandam perdere testam → V 10.265 Iamque parecchiatur ceppus mediaque piazza / horribilem visu baltrescam boia parecchiat, / quo Baldus debet venerandam perdere testam.

4.1.2.1.1.9. La storia redazionale di alcuni passi del Baldus ha la sua genesi in altre opere folenghiane, entro le quali essi furono elaborati per la prima volta. È il caso, ad esempio, del

Baldus T 4.414-455, in cui furono ripresi e rielaborati, come ha mostrato Zaggia 1987: 37, i

vv. 78-129 della seconda egloga delle Macaronee P. In casi come questo, e per alcuni passi del Caos del Triperuno accolti nel Baldus C (vedi alle voci bezzus, biolcus e brena), si è ritenuto opportuno dare conto anche di fasi redazionali esterne alle quattro redazioni del poema, racchiudendo entro parentesi quadre i contesti corrispondenti in opere diverse. Si è evitato di stampare in grassetto i riferimenti topografici di tali opere, anche quando contengono un’attestazione del lemma, poiché tale espediente tipografico è pensato per individuare le concordanze di ogni voce esclusivamente nel Baldus. Esempi:

[Egl. P 2.85 quo multas terrae mozzas in valle ledamant →] T 4.425 quo valeant plures terrae sboazare biolcas

[Egl. P 2.84 =] T 4.424 Sunt bene staghenti, multum bestiamen habentes