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Campo dei riscontri e del commento

III. Un glossario diacronico dei dialettismi

4. La microstruttura

4.1. Schede con microstruttura completa

4.1.3. Area della documentazione esterna al Baldus

4.1.3.2. Campo dei riscontri e del commento

Il simbolo ▪ introduce il campo dedicato ai riscontri esterni al Baldus e ad eventuali commenti. L’obiettivo essenziale di questa parte della scheda lessicografica è quello di addurre riscontri dialettali per ogni voce folenghiana. I riscontri sono presentati di norma secondo il modello della stringa del LEI: marca linguistica (si rimanda all’elenco delle

Varietà linguistiche citate in forma abbreviata precedente al glossario), forma, significato,

data, fonte.

Si è tentato inoltre, in linea di massima, di ricostruire la geografia e la storia delle parole dialettali presupposte dai macaronismi del Baldus, vale a dire la loro area di diffusione nei dialetti moderni e, fin dove possibile, in quelli antichi, con particolare attenzione al sec. XVI. Per questa operazione il punto di riferimento insostituibile è il LEI, naturalmente per le voci risalenti a un etimo di cui sia già stato pubblicato il relativo articolo. Dal LEI si traggono anche numerosi esempi: in questi casi la fonte sarà “LEI”, mentre è implicito il riferimento al numero di volume, colonne e righe contenuto nella bibliografia in calce a ogni scheda.

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Quando invece è specificata una fonte diversa, ciò significa che essa è stata citata di prima mano, come avviene sistematicamente nel caso dei lessici dialettali del mantovano e dei dialetti finitimi.

Si sono consultati sistematicamente dizionari storici (GDLI, TB, TLIO e GAVI: quest’ultimo contiene numerosi riferimenti al latino macaronico di Folengo, vedi cap. II, par. 2.1.3.) e dell’uso (GRADIT), banche dati (OVI e BIZ) e repertori etimologici (REW e Faré, DEI, VEI, DELI, DIDE, EVLI, LEI), ai quali si è fatto naturalmente riferimento anche nel campo dell’etimo; dizionari del dialetto mantovano (Cherubini, Arrivabene, Bardini e l’etimologico di Badiali; si cita con larghezza anche il settecentesco Saggio d’un vocabolario

mantovano edito in calce all’edizione Teranza delle Macaronee di Folengo, su cui vedi il par.

successivo) e dei dialetti circostanti, lombardi (cannetese, bresciano, cremonese, cremasco, bergamasco), emiliani (parmigiano, guastallese, reggiano, mirandolese, modenese, ferrarese) e veneti (veronese, polesano); dizionari dialettali incentrati sul sec. XVI (Cortelazzo, Paccagnella, Trenti), glossari di testi settentrionali perlopiù cinquecenteschi, il glossario delle

Macaronee padovane di Paccagnella 1979 e, per quanto riguarda direttamente Folengo, i

saggi di glossario del Baldus di Isella Brusamolino 1981b e di Tonna (I e II), il glossario delle

Macaronee minori a cura di Zaggia 1987 (alle occorrenze entro tali opere si fa di norma

riferimento in modo implicito rimandando al glossario di Zaggia nella bibliografia delle singole voci) e quello dell’Orlandino a cura di Chiesa 1991, le note di commento ancora di Chiesa all’edizione del Baldus V, e si è spogliato, infine, il testo del Caos del Triperuno, con particolare attenzione alle sezioni in latino macaronico. Oltre a queste fonti, che costituiscono un punto di riferimento imprescindibile, se ne sono aggiunte all’occorrenza molte altre (per le quali si rimanda direttamente alla tavola delle abbreviazioni bibliografiche contenuta nella

Bibliografia finale), in modo particolare per quelle voci risalenti ad etimi non ancora trattati

dal LEI. Più in generale, in questa sezione si è cercato di tenere insieme vari ambiti, che contribuiscono tutti a illustrare i macaronismi di Folengo, dando conto della diffusione della parola nei volgari antichi, nella lingua letteraria, nei dialetti moderni, nel latino macaronico e, infine, nel latino medievale, che costituisce un fondamentale «terreno di coltura» per i «macaronica verba più caratteristici».389

389 Lazzerini 1971: 315. Cfr. anche l’avvertenza al glossario delle Macaronee padovane di Paccagnella 1979:

184: «I primi rinvii sono al Du Cange, al Sella e al Folengo, per affinità strutturali ma soprattutto perché tali glossari sono compilati su statuti cittadini e rurali, di fraglie e di arti, inventari, documenti notarili redatti in un latino largamente volgarizzato che dovette spesso essere il punto di partenza di tante coniazioni macaroniche».

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Nell’ambito dei riscontri dialettali antichi e moderni si è scelto di esemplificare con larghezza, riportando numerose forme anche quando sarebbe potuto bastare un rimando bibliografico: ciò al fine di radunare un materiale sufficiente (o se non altro un punto di partenza) per rispondere a una domanda più volte affacciatasi negli studi folenghiani, vale a dire quale sia il dialetto (o i dialetti) a cui Folengo attinge nel costruire la sua lingua fittizia.390 Nello stesso campo, possono trovare spazio anche commenti di varia natura, ad esempio considerazioni sulle modalità di latinizzazione di alcune voci o sulla storia evolutiva dei contesti riportati nelle trafile diacroniche.

4.1.3.2.1. Il Saggio d’un vocabolario mantovano dell’ed. Teranza (1771)

Tra le fonti del dialetto mantovano, contrassegnate dalla marca linguistica “mant.”, si è citata (con la sigla Teranza gloss.) costantemente e con larghezza un’opera poco nota fuori dagli studi folenghiani, che costituisce tuttavia un incunabolo della lessicografia dialettale mantovana: il Saggio d’un vocabolario mantovano, toscano, e latino ad uso singolarmente di

chi le mantovane voci brama di esprimere con le Toscane loro corrispondenti, posto in calce

al secondo volume dell’edizione Teranza delle Macaronee (1771), così consuetamente chiamata dal nome del suo prefatore e curatore, l’abate gesuita Gaetano Teranza.391 La natura ‘ibrida’ di tale opera, a metà tra un glossario dialettale delle Macaronee folenghiane e un vocabolario del dialetto mantovano, merita di essere approfondita. Il Saggio d’un vocabolario

mantovano consiste in un nucleo di dialettismi attestati nelle Macaronee di Folengo, ai quali

vengono aggiunte altre voci del dialetto di Mantova: l’edizione folenghiana diventa quindi occasione per dotare i concittadini mantovani di «un più esteso vocabolario, col mezzo del quale potere alla Mantovana parola trovare la Toscana corrispondente».392

Da questo punto di vista, il Saggio di Teranza è naturalmente una prova lessicografica dalla portata assai ridotta, per l’eseguità del lemmario, al confronto tanto con altre opere di quella precoce stagione della lessicografia dialettale a stampa,393 come il Vocabolario

390 Vedi cap. I, par. 3.3.

391 Si tratta dell’edizione Theophili Folengi vulgo Merlini Cocaii Opus macaronicum notis illustratum, cui

accessit vocabularium vernaculum, etruscum, et latinum, editio omnium locupletissima. Pars prima,

Amstelodami, 1768, sumptibus Josephi Braglia typographi Mantuani ad signum Virgili; Pars altera, Amstelodami, 1771. Il Saggio d’un vocabolario mantovano è alle pp. 371-411 del vol. II. Sull’edizione Teranza cfr. Cordié 1950, Bernardi Perini 1971 (2000): 98-100 e Zaggia 1987: 563.

392 Cfr. ed. Teranza, vol. II: 367: «Era l’idea da prima di non inserire nel Vocabolario che le sole parole

vernacole usate dal Poeta; ma riflettendo al troppo scarso numero a che queste si ridurrebbero, si è pensato poter riuscire ai Concittadini nostri più utile, e più gradevole ancora, il tessere un più esteso vocabolario, col mezzo del quale potere alla Mantovana parola trovare la Toscana corrispondente».

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bresciano e toscano del 1759 (opera collettiva realizzata dagli alunni del Seminario sotto la

guida del rettore Bartolomeo Pellizzari),394 quanto con i successivi monumenti lessicografici del dialetto mantovano:395 il Vocabolario mantovano-italiano di Francesco Cherubini (1827) e soprattutto quello di Ferdinando Arrivabene (1882);396 ma il Saggio si segnala anche per un atteggiamento spesso rinunciatario e in realtà polemico (che meriterebbe di essere contestualizzato più distesamente) nei confronti della pratica del «fiutare da un capo all’altro la Crusca»397 per trovare voci toscane puntualmente corrispondenti a quelle mantovane, preferendo in un buon numero di casi ricorrere a una perifrasi e finendo così per disattendere l’obiettivo dichiarato fin dal titolo. Una caratteristica non dichiarata nella Prefazione, ma ampiamente rilevabile dal lemmario (e che conferma l’originaria vocazione di glossario folenghiano) è la presenza di un buon numero di termini attestati nell’opera folenghiana e tuttavia da considerarsi non (o non più) mantovani: I. voci non più in uso a Mantova nel Settecento (p. es. codesélla ‘Merlino l’usa in significato di disgrazia [...], ma presso noi non è più in uso’); II. voci che Teranza sembra considerare idiosincratiche di Folengo (p. es.

lovágna ‘parola usata da Merlino in significato di Canaglia, moltitudine di vil plebe’); III.

voci specificamente connesse all’opera folenghiana (p. es. sonolègía ‘nuova specie di componimento inventata dal nostro Teofilo, nella quale in quattordici versi estende tutto il suo pensiero in metro elegiaco’); IV. voci da ricondurre a un’altra varietà dialettale (p. es. pregái ‘voce usata più volte da Merlino, che però non è del nostro dialetto, ma del Veneto, e significa Senato’).

Si tenga presente, infine, che l’edizione Teranza segue di norma la redazione T, ma, come ha mostrato Cordié 1950, interviene in modo spregiudicato sul testo e spesso lo contamina con quello di C. Tale disinvoltura filologica ha ricadute anche sul Saggio d’un vocabolario

394 Cfr. Pellizzari. Alle solo 40 pagine del Saggio di Teranza fanno riscontro ben 402 pagine del Vocabolario

bresciano, e alle 227 entrate per il settore A-B in Teranza ben 1080 in Pellizzari.

395 Una menzione merita anche il perduto Dizionario portatile di sei lingue, toscana, mantovana, latina,

greca, tedesca e francese del mantovano Alessandro Felice Nonio (morto nel 1815) ricordato da Cherubini, pp.

XI-XIII. Per una panoramica sulla lessicografia del dialetto mantovano cfr. Schizzerotto 1985: XXXII-XL.

396 Cfr. Cherubini mant. (si tenga presente quanto scrive Cherubini a p. VII: «Anche del Saggio del Terenga

[sic] ritrassi alcun giovamento pel mio assunto. Se però ad onta di quel Saggio di Vocabolario steso in 40 pagine utile riuscir possa questo mio che di 200 e più divanza quel numero, lascerò giudici di ciò i lettori»), e Arrivabene.

397 Cfr. ed. Teranza, vol. II: 370: «Concludiamo […] dimandando compatimento a’ nostri Concittadini, se

con le voci proprie toscane non abbiam sempre o saputo, o potuto esprimere le voci nostre vernacole, volendo piuttosto comparire di saper poco il toscano, che fiutando da un capo all’altro la Crusca, sciegliere parole, che non esprimano quello che noi intendiamo di voler dire; Mentre per quanto poco noi sappiam di toscano, ne sappiamo però quanto basta per ridere con qualche amarezza dietro que’ Lombardi, che affettar volendo un pretto Toscano, non parlano né lombardo, né toscano, e né dai Toscani, né dai Lombardi si lasciano ben intendere».

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mantovano, che accoglie forme assenti tanto nell’editio princeps di T quanto nelle principes

delle altre redazioni, e dunque, verosimilmente, mai usate da Folengo. Ad es. in luogo della lezione arengum di T 9.372, l’ed. Teranza ha arengam e il saggio di vocabolario mantovano ha rénga: l’uso della voce al femminile è confermato da Cherubini e Arrivabene, ma è estraneo a Folengo, che latinizza una forma maschile del tipo arèng(o). Un esempio riguardante una voce che non figura nel nostro saggio di glossario diacronico è costituito dal lemma gavál ‘paleta [...], non è però voce mantovana, ma usata da Merlino’: effettivamente a testo nell’edizione Teranza («Ferrari pandunt cavedones, atque gavalos»),398 mentre Folengo usò soltanto gavatus, tanto in T (5.505 «Ferrari pandunt cavedones atque gavatos»), quanto nella redazione precedente (P 5.114 «Hic fabri pandunt cavedones atque gavatos»). La voce offre anche il destro per esemplificare un probabile debito (e non sembra l’unico) contratto nei confronti di Teranza dal Vocabolario mantovano di Cherubini, in cui si incontra l’entrata

gaval ‘pala da fuoco. Voce propria de’ Mantovani prossimi al Parmigiano’, che dovrebbe

dipendere, più che dal Saggio, dal commento di Teranza al verso citato: «Gavalos: Vocabulum Parmensibus familiare, quo exprimunt bathillum ferreum, quo ad ignem utuntur». Una storia della lessicografia mantovana, con particolare attenzione al ruolo di Folengo come fonte, meriterebbe in effetti di essere tracciata più distesamente: basterà precisare, in questa sede, che la presenza di una voce nel Teranza gloss., ma anche nel Vocabolario mantovano di Cherubini, non costituisce necessariamente un riscontro ‘extrafolenghiano’, dandosi la possibilità che la fonte lessicale sia lo stesso Folengo.