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Le altre sentenze della Corte: un’ampia azione per rinnovare sé stessa ed il proprio

La sentenza. n. 9 del 1959 risulta essere celeberrima ed ampliamente trattata dalla dottrina tanto da esser ritenuta importante al fine della valutazione dell’operato della Corte e del suo ruolo al pari della stessa sentenza n. 1 già trattata. Il caso prese avvio dal divieto posto dalla Presidenza della Camera dei Deputati al giudice relatore Perossi di assumere informazioni per una presunta violazione non solo dei regolamenti, ma altresì dell’art. 70 della Costituzione circa l’iter di approvazione di una legge. La Corte richiedeva il rilascio del verbale dei lavori della Commissione ove era stata approvata una legge in sede legislativa, ma la Camera, negandone l’accesso, si appellava prima al principio degli “interna

corporis” e, successivamente, alla perfetta rispondenza tra resoconto stenografico

e procedimento seguito.

La Corte, confermando nella sentenza n. 134 del 1969 che è suo compito controllare la legittimità costituzionale del procedimento di approvazione di una legge, ampliava il proprio controllo non solamente ai vizi sostanziali ma anche a quelli formali tanto da far affermare ad Amato che se fossero serviti otto anni per istituire la Corte sarebbero dovuti trascorrerne altrettanti per delineare precisamente la posizione di questa nel quadro degli organi costituzionali e la cooperazione tra questi185.

La Corte quindi afferma con forza la sua natura di «organo necessario al regime politico vigente […] ed il cui funzionamento è presupposto indispensabile per il corretto svolgimento del regime medesimo, in quanto, coi suoi poteri di arresto e anche di stimolo, condiziona l’attività di tutti gli organi costituzionali»186.

La Corte è consapevole del ruolo che può ricoprire e degli effetti che ogni sua decisione comporta nell’ordinamento.

Nel 1967, infatti, affronta la questione dei “vuoti legislativi”, affermando nella sentenza n. 100, che non era sua competenza occuparsi di tali problematicità.

185 Si veda quanto affermato da G. AMATO, nota a sentenza, in Giur. Cost., 1961, pp. 855 ss. 186 Si ritrova in P. BARILE, La Corte costituzionale organo sovrano: implicazioni pratiche, in Giur. Cost., 1857, pp. 907 ss.

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Tuttavia, per ovviare a questo problema, la Corte, nei suoi primi anni di attività ha compiuto principalmente due azioni che la inseriscono in pieno nel diaframma della discrezionalità politica: in primis inizia ad adottare tipologie differenti di decisioni per diminuire, o aumentare, l’impatto della sua giurisprudenza187 e,

successivamente, ad utilizzare la categoria della ragionevolezza in modo più costante e preciso188.

La Corte modifica «tacitamente» la Costituzione ed in primis l’art. 136, aggiungendo numerose tipologie decisionali, tra le quali quelle monito189, quelle

interpretative e quelle manipolative ed additive190.

Il contesto sociale, politico ed istituzionale entro cui si è trovata ad operare la prima Corte Costituzionale le ha assicurato una florida base di questioni dalle quali partire191 al fine di indirizzare con la propria giurisprudenza l’attuazione della Costituzione.

L’opera di defascistizzazione ha ricompreso la maggior parte delle decisioni dei primi anni di attività e ha confermato il quadro di una Italia con una eccessiva frammentazione partitica ed un organo che fungeva da principale attore nell’applicazione del principio di eguaglianza che ha fatto da stimolo alle prime riforme.

187 Basti vedere quanto avvenuto con la sentenza n. 64 del 1970 la cui pubblicazione fu posticipata per permettere al legislatore di agire.

188 Numerosi sono i riferimenti dottrinali a questa fase della Corte. Sulle tipologie decisorie, ai limitati fini di questo scritto, si richiama T. GROPPI, Verso una giustizia costituzionale “mite”? Recenti tendenze dei rapporti tra Corte Costituzionale e giudici comuni, in Politica del diritto, ed. Mulino, 2002, pp. 217 ss. Secondo l’autrice la creatività della Corte ha risposto all’esigenza di ridurre l’impatto delle decisioni rendendole “miti”. Si veda anche L. MAZZAROLLI, Il giudice delle leggi tra predeterminazione costituzionale e creatività, ed. Cedam, 2000. Sulla ragionevolezza si veda quanto affermato dalla stessa Corte nella sentenza n. 15 del 1960 secondo la quale «il principio di eguaglianza risulta violato anche quando la legge, senza ragionevole motivo, faccia un trattamento diverso a cittadini che si trovano in situazioni eguali».

189 Per un riferimento all’attività di “monito” della Corte si faccia riferimento a G. D’ORAZIO, Prime osservazioni sull’esercizio della funzione legislativa " conseguenziale " alle decisioni della Corte costituzionale, in Archivio giuridico Serafini, 1967, pp. 134 ss.; R. PINARDI, La Corte, i giudici ed il legislatore, Milano, 1993, pp. 73 ss.

190 Sul tema è esaustivo quanto osservato da A. SIMONCINI, L’avvio della Corte Costituzionale, Op. cit., pp. 3095 ss.

191 Si veda quanto riportato da V. ONIDA, L’attuazione della Costituzione tra Magistratura e Corte Costituzionale, Op. cit., pp. 506 ss.

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Agli inizi degli anni ‘60, con le ordinanze n. 22 del 1960 e 37 del 1961, la Corte afferma la possibilità che essa stessa possa sollevare, in un giudizio pendente davanti a sé, una questione di legittimità.

Altra sentenza centrale all’opera della Corte risulta essere la n. 27 del 1958 con la quale si dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 del T.U.L.P.S. o la sentenza n. 33 del 1960 con la quale si dichiarava l’illegittimità costituzionale di una norma che escludeva l’accesso ad alcuni ruoli da parte delle donne. Temi, quelli delle donne, del lavoro, dell’economia, del diritto di difesa, assai ricorrenti nella prima giurisprudenza della Corte192.

Si rilevino anche le sentenze che adeguano allo spirito della Costituzione le norme inerenti al processo penale. Con le sentt. nn. 29 del 1962 e 11 del 1965, ad esempio, la Corte, mediante la sua decisione, tutela le garanzie per l’imputato proprio nel diritto di una difesa nelle varie fasi del processo.

Ritorna successivamente su questioni penali (si veda, ad esempio, la sentenza n. 62 del 1972) risultando evidente quanto la legislazione fascista era vista come un “problema per la democrazia” proprio a partire da quella disciplinante tale settore. La Corte, tuttavia, ha trovato delle resistenze e qualche difficoltà con l’utilizzo delle sentenze manipolative, particolarmente in questioni attinenti al diritto penale o alla procedura, tanto da dover, con la propria giurisprudenza, porsi dei limiti dando spazio alle teoria delle “rime obbligate”193.

La Corte, quindi, rende effettivi alcuni istituti già disciplinati in Costituzione, come nel caso della sent. n. 49 del 1968, mediante la quale viene dichiarata l’incostituzionalità di una norma che prevedeva la neoistituzione di sezioni elettorali dei TAR. Nella stessa decisione viene “suggerito” al legislatore come indirizzare la propria discussione per garantire l’indipendenza di tali organi.

Questo ruolo della Corte, oltre che dai principali casi di giurisprudenza, può essere dedotto anche nei discorsi dei suoi Presidenti che la dottrina ha sapientemente riportato194. Così nel 1957 il Presidente Azzariti afferma che sia

192 Si veda quanto riportato in F. BONINI, Storia della Costituzione, cit., pp. 153 ss.

193 Si veda quanto sostenuto da V. CRISAFULLI, La Corte ha vent’anni, Op. cit, pp. 82 e ss. 194 Si veda, su tutti, N. OCCHIOCUPO, Il giudice costituzionale come giudice di opportunità delle leggi, Op. cit., pp. 28 e ss.

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“grave” eliminare una norma di legge senza avere la facoltà, da parte della stessa Corte, di poter modificare la disciplina rimanente o poter intervenire mediante una sostituzione.

I Presidenti Sandulli, Branca, Chiarelli ritorneranno poi sull’argomento confermando quando sostenuto da Azzariti ed approfondendo ancor più la preoccupazione che aveva interessato il primo Presidente: un organo con un tale potere di modificare una normativa intera rischia di destrutturare il sistema democratico non essendo dotato, il suo operato, di una certa pars costruens195.

Da qui l’interrogativo, proprio a vent’anni dall’inizio dell’attività della Corte, posto da una celebre, quanto “stupenda”, introduzione da parte di Crisafulli ad un convegno tenutosi a Parma sull’analisi dell’attività dei primi anni della Corte.

Secondo Crisafulli, la giustizia costituzionale risulta essere una alterazione - non a caso rappresenta uno degli istituti innovativi previsti nella Costituzione - posta intenzionalmente dai Costituenti, che serve a separare il controllore dal controllato. La Corte sarebbe quindi un istituto, in un certo senso, “anomalo” poiché viene inserito in un sistema caratterizzato dal principio democratico e, con il suo operato, supera questa prerogativa196.

I primi anni, come visto, sono caratterizzati da un rapporto complicato tra la Corte Costituzionale, il potere giudiziario e quello legislativo tanto da vedere numerose vicende intrecciarsi proprio sul recepimento dell’attività decisoria197 sia

riguardo alle interpretative di rigetto che, soprattutto, alle manipolative con le quali la Corte ha provato ad ampliare le proprie competenze.

Un esempio centrale è proprio quello legato alle interpretative di rigetto mediante le quali la Corte instaura un dialogo, delle “prove d’orchestra”198, con i

giudici comuni per condividere con loro l’applicazione delle norme costituzionali.

195 Si veda quanto riportato da N. OCCHIOCUPO, Costituzione e Corte costituzionale, ed. Giuffrè, pp. 127 e ss.

196 Si veda quanto sostenuto da V. CRSISAFULLI, La Corte costituzionale ha vent’anni, in N. OCCHIOCUPO, La corte costituzionale tra, Op. cit., pp. 72 e ss. Secondo l‘ A. serve «un’accettazione del ruolo della Corte che essa non può non assumere, sotto pena di abdicare alla sua stessa ragion d’essere, e delle conseguenze che ne derivano per gli altri poteri dello Stato». 197 Si veda E. LAMARQUE, Corte costituzionale e giudici dell’età repubblicana, Op. cit. p. 71 e ss

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Questo atteggiamento nei confronti del Parlamento e della magistratura risponde all’esigenza di crearsi un ruolo, facilitato anche dalla incontrovertibile opinione pubblica che guardava ormai alla normativa fascista come un qualcosa da espugnare completamente dall’ordinamento e che, differentemente da temi più complessi che riguardavano l’economia ed il sistema regionale, non avrebbero trovato la resistenza del legislatore o dell’opinione pubblica199 .

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5. Le questioni economiche: la Corte lavora per la propria

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