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LA CORTE COSTITUZIONALE ED IL SUO IMPATTO SULL’INDIRIZZO POLITICO Apologia di un dinamismo imperfetto

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Academic year: 2021

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D

IPARTIMENTO DI

G

IURISPRUDENZA

C

ORSO DI DOTTORATO IN

S

CIENZE GIURIDICHE

Curriculum

in

G

IUSTIZIA COSTITUZIONALE E DIRITTI FONDAMENTALI

COORDINATORE: Ch.mo Prof. Roberto Romboli

T

ESI DI DOTTORATO

LA CORTE COSTITUZIONALE ED IL SUO IMPATTO

SULL’INDIRIZZO POLITICO

Apologia di un dinamismo imperfetto

Tutor

Candidato

Ch.mo Prof. Andrea Pertici

Dott. Matteo Trapani

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Ai miei genitori

e a mio fratello

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Sommario

PREMESSE ... 9

1. L’approccio metodologico della ricerca... 9 2. Cenni su indirizzo politico e Corte costituzionale ... 16

CAPITOLO I: LA POLITICITÀ DELLA CORTE RISPETTO AL SISTEMA DI GIUSTIZIA ... 22

1. La lunga dialettica sui sistemi e la necessità di costruire un equilibrio di forze che legittimassero una Corte “sui generis” ... 22 2. La scelta dei Giudici, la composizione del collegio e l’astensione ... 35 3. Un sistema a complessità diseguale: il giudizio sulle leggi in via incidentale. ... 41 4. Il giudizio in via principale: tra esigenze di mediazione e indirizzi centripeti delle competenze in tema di legislazione ... 46 5. La Corte alle prese con i referendum: la politicità alla nascita che impedisce

ulteriori sbilanciamenti ... 51 6. La Corte nei conflitti: altro caso di “elasticità” della Corte ... 58

CAPITOLO II: LA CORTE NELLA TRANSIZIONE TEMPORALE ED ISTITUZIONALE: UN COMPLICATO EQUILIBRIO TRA L’ESSERE ED IL

DOVER ESSERE ... 64

1. Un parto a tratti indolore: la Corte delle “Corti”... 64 2. La Corte e la Costituente: una lunga mediazione per un organo con una funzione di chiusura ed una prospettiva di apertura ... 72

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3. L’ impatto nella tensione tra poteri: i primi anni di attività e il ruolo, tutto di labor

limae, della Corte costituzionale ... 76

4. Le altre sentenze della Corte: un’ampia azione per rinnovare sé stessa ed il proprio metodo di decidere ... 85

5. Le questioni economiche: la Corte lavora per la propria affermazione ... 90

6. Una Corte che fa valere sé stessa come una scrupolosa attuatrice della Costituzione rappresentando la cesura col passato e una spinta alle riforme ... 92

7. La Corte cammina da sola: dalla sua legittimazione all’arretrato. La ricerca di unità ... 94

8. Una fase dinamica e di cambiamenti: le regioni e la Corte e i concetti di unitarietà costituzionale e del territorio e di “interesse nazionale” ... 96

9. La radiotelevisione e l’opinione pubblica: un esempio della Corte di fronte alle innovazioni tecnologiche e sociali ... 102

10. L’accelerazione della Corte e le transizioni istituzionali. La Corte prende le misure: il caso Lockheed ... 106

11. La Corte si avvicina alla politica a seguito dell’arretrato ... 109

12. Gli anni della svolta maggioritaria e delle riforme: il policentrismo della Corte 113 13. La transizione tra più periodi: l’inizio delle crisi e l’incidenza della Corte sulla forma di Stato e sulla forma di Governo ... 118

CAPITOLO III: L’INDIRIZZO DELLA CORTE OGGI NELLE CREPE DELLA GIURISPRUDENZA RELATIVA ALLA CRISI DELLA FORMA DI STATO E DELLA FORMA DI GOVERNO: LINEE EVOLUTIVE PARALLELE DI UNA POLITICITÀ NON TROPPO SOSPESA ... 124

1. L’analisi degli ultimi anni quale conferma (oltre a qualche smentita) della natura dell’azione della Corte ... 124

2. La Corte nella crisi ... 131

2.1 La crisi economica ... 132

2.2 La crisi della rappresentanza ... 136

2.3 Crisi delle istituzioni e riforme ... 141

3. La forma di Stato in continua evoluzione nelle maglie delle decisioni e della politica economica ... 144

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3.2 Gli indirizzi economici della Corte oggi: un equilibrio complesso tra diritti “dal

centro al cerchio e sì dal cerchio al centro” ... 149

3.3 La Corte tra teorie e pratiche: dai massimi sistemi alle minime emergenze ... 156

4. Le motivazioni dimezzate ... 175

5. La Corte dialoga con le Regioni e supporta lo Stato ... 181

6. La Corte come “federatrice” nella forma di Governo: tra legge elettorale, decretazione d’urgenza, riforme ed equilibrio tra poteri. L’analisi di un’attuazione dinamica. ... 189

7. A volte ritornano: le Regioni e le fonti ... 196

8. Referendum (cenni) ... 203

9. La legge elettorale e la rappresentanza ... 204

10. Le istituzioni e le riforme ... 220

CAPITOLO IV: GLI STRUMENTI PROCESSUALI COME TECNICHE PER AUMENTARE IL PROPRIO IMPATTO SULL’INDIRIZZO POLITICO. LA CORTE COSTRUISCE E INNOVA LA SUA “CASA” ... 233

1. La procedura costituzionale ... 233

2. Il linguaggio dei giudici, le esternazioni extra collegium e le posizioni dei Presidenti. ... 237

3. L’ istruttoria e l’utilizzo degli studi ... 243

4. La tempistica ... 249

5. La motivazione ... 254

6. Il giudizio in via preventiva e le altre vie di accesso ... 258

7. La Corte e le Corti ... 262

CENNI CONCLUSIVI ... 270

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“Facesti come quei che va di notte, che porta il lume dietro e sé non giova, ma dopo sé fa le persone dotte”

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PREMESSE

1. L’approccio metodologico della ricerca

Il tema affrontato nel presente lavoro ha ad oggetto l’influenza che la presenza della Corte costituzionale ha determinato sull’individuazione dell’indirizzo politico che si sviluppa nel circuito corpo elettorale-Parlamento-Governo. Infatti, secondo autorevole dottrina1 la nostra sarebbe una forma di Governo parlamentare “corretta” dalla presenza della Corte costituzionale.

La trattazione avviene attraverso l’analisi dell’attività della Corte nel corso degli anni evidenziando come il ruolo possa essere condizionato da elementi esterni quali la crisi del sistema politico e delle istituzioni, la velocità con la quale vengono prese le decisioni e comunque il loro riferimento a norme più o meno recenti (e quindi politicamente esposte), e, infine, ma non per ultimo, la messa in discussione del parametro, realizzatasi attraverso i ripetuti interventi – talvolta portati a termine e più spesso no – sul testo costituzionale.

L’obiettivo non è tanto quello di tornare su un tema, oggetto di amplissima trattazione in dottrina soprattutto negli ultimi anni2, quale quello della Corte tra giurisdizione e politica, ma di verificare come, soprattutto in anni di debolezza della politica che si ripercuote spesso in debolezza delle istituzioni politiche, rese ulteriormente vincolate dalla necessità di rispettare regole euro unitarie e internazionali, anche con particolare riferimento ai parametri economici fondamentali, le decisioni della Corte costituzionale abbiano inciso sulla individuazione degli obiettivi e dei mezzi attraverso i quali conseguirli, incidendo

1 E. CHELI, Tendenze recenti della giustizia costituzionale in tema di forma di Governo, in A. PIZZORUSSO – R. ROMBOLI – E. ROSSI, Il contributo della giurisprudenza costituzionale alla determinazione della forma di Governo, S. PANIZZA (a cura di), ed. Giappichelli, Torino, 1997, pp. 3 ss.

2 Si segnalano gli atti in corso di pubblicazione del convegno svolto a Pisa in ricordo del Prof. Alessandro Pizzorusso dove la dottrina si è confrontata sulla natura della Corte alla luce delle recenti evoluzioni e che rappresenta un lavoro che include e riorganizza i contributi prodotti fino ad oggi.

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così, seppure attraverso valutazioni tecnico-giuridiche, sulla determinazione della forma di Governo e della forma di Stato.

Fino ad oggi, infatti, sono stati due i campi di osservazione che hanno provato ad analizzare il ruolo svolto dalla Corte e la sua continua tensione tra giurisdizione e politica, tra politeia e nomoi, tra gubernaculum e iursdictio3.

Il primo ha visto la Corte nel sistema, il suo ruolo di equilibratrice dei poteri, partendo da uno studio teorico delle sue caratteristiche e della sua evoluzione. Tutto ciò ha portato la dottrina a porsi la questione del perché un organo di giustizia sia chiamato ad operare nel sistema costituzionale e quale natura gli viene riconosciuta nell’evoluzione della forma di Governo4.

Altri invece hanno preso ad oggetto un’ampia selezione della giurisprudenza costituzionale per analizzare l’eventuale presenza di un indirizzo politico come il “deus ex machina” di alcuni filoni giurisprudenziali5.

I risultati consegnati dalla dottrina prevalente agli studiosi possono essere sintetizzati in alcuni punti dai quali è necessario ripartire per voler studiare ed approfondire un tema in forte evoluzione.

I punti fermi dai quali è necessario ripartire sono rappresentati dalla complessità del ruolo della Corte, dal suo necessario inserimento in un equilibrio di poteri, nonché dalla presenza di limiti imposti a più riprese dal legislatore - a partire da quello costituzionale -, limiti talvolta superati dalla giurisprudenza della Corte, dalla propensione della stessa a supplire le mancanze degli altri organi mediante le proprie tecniche decisorie, dalla costante evoluzione della sua natura e del suo ruolo.

3 Secondo A. RUGGERI, La Corte costituzionale davanti alla politica, in Percorsi costituzionali, n. 2/3, 2010, pp. 16 ss. la politica deve trovare le risorse per riavvicinare la Costituzione alla generazione nella quale si opera. Compito della Corte sarebbe quella di scindere, ed alimentare, la buona politica da quella cattiva.

4 Numerosi sono gli studi sul tema. Senza ombra di dubbio, tra i più completi, possiamo trovare E. CHELI - P. BARILE – S. GRASSI, Corte costituzionale e sviluppo della forma di Governo in Italia, Bologna, 1982.

5 Nutrita la dottrina anche su questo tema. Tra i molti si segnalano R. ROMBOLI, La natura della Corte costituzionale alla luce della sua giurisprudenza più recente, in A. VIGNUDELLI (a cura di), Istituzioni e dinamiche del diritto. I confini mobili della separazione dei poteri, 2009, pp. 401 ss. oltre a molti contributi contenuti in AA. VV., La Corte costituzionale vent’anni dopo la svolta, Stresa, 2010.

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In tutto ciò sarebbe limitativo voler leggere ogni singola decisione estrapolandola da un contesto socio normativo, da una visione ampia e completa dei numerosi filoni giurisprudenziali, esclusivamente per asserire che, in un determinato caso, piuttosto che in un altro, la Corte ha agito come organo attento all’opportunità e non, invece, alla legittimità della legge.

Come sosteneva Kelsen «Se l’essenza della democrazia risiede non già nell’onnipotenza della maggioranza, ma nel continuo compromesso tra le parti che la maggioranza e la minoranza rappresentano nel Parlamento, e quindi nella pace sociale, la giustizia costituzionale appare lo strumento idoneo a realizzare questa idea»6.

Ricercare quindi le linee coerenti di sviluppo della giurisprudenza costituzionale7 e contestualizzare la funzione della giustizia nell’ambito della forma di stato e nella forma di Governo8 può aiutare ad analizzare non solo lo stato dell’arte della giustizia costituzionale italiana, ma anche a fare alcune osservazioni sulla democrazia, sui partiti, sull’equilibrio tra poteri e sull’evoluzione della garanzia dei diritti in Italia.

Per riprendere le cinque domande alla base della scienza giornalistica (chi, che cosa, quando, dove e perché) analizzeremo il ruolo della Corte dal dibattito in Costituente fino agli ultimi anni di giurisprudenza, ed in particolare dall’acuirsi delle crisi con l’inserimento dell’art. 81 in Costituzione e l’inizio dello stallo politico italiano del 2013, e quindi da un’analisi delle dottrine confrontatesi in ordine alla natura della Corte costituzionale e del suo ruolo nei vari giudizi.

Successivamente analizzeremo la natura e l’indirizzo politico della Corte nella storia a partire dal dibattito in Costituente fino ad arrivare agli anni 2000.

Nell’ultima parte proveremo invece, mediante l’analisi della giurisprudenza, in particolar modo quella legata alla crisi economica, ai rapporti tra poteri (in senso

6 H. KELSEN, La garantie jurisdicionnelle de la constitution (la justice constitutionelle), in Rev. Dir. Pubbl. Sc. Pol., 1928, pp. 197 ss.

7 Come richiedeva F. SORRENTINO, Strumenti tecnici e indirizzi politici nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in Scritti sulla giustizia costituzionale in onore di V. Crisafulli, I, Padova, 1985, pp. 795 ss.

8 G. DE VERGOTTINI – T. E. FROSINI, Sul mito della Corte costituzionale “in-politica”, in Percorsi costituzionali, 2/3 2010.

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lato), ai nuovi diritti ed alle nuove tecnologie, alle riforme istituzionali, a tracciare un codice di comportamento, un modus operandi di indirizzo che la Corte mantiene nel tempo facendosi portatrice di alcuni interessi costituzionalmente rilevanti, di volta in volta richiamati, nella complicata difesa della tenuta della Costituzione e degli assetti costituzionali come modello culturale, dell’unitarietà dei fini degli organi costituzionali, della garanzia del mantenimento di una assetto economico e sociale idoneo a garantire diritti. Tutto ciò sviluppatosi nella continua trasformazione sia della forma di Stato che nella forma di Governo9, oltre che nella

dicotomia delle relazioni tra gli organi titolari di indirizzo politico.

Tenteremo, in sostanza, non solo analizzare l’indirizzo politico che la Corte ha seguito negli ultimi anni ma anche evidenziarne non solamente i limiti dell’atteggiamento tenuto, con possibili elementi critici ed altri propositivi, ma anche approfondire gli eventuali elementi di delegittimazione del suo ruolo alla luce delle recenti evoluzioni e l’incidenza della sua azione sull’indirizzo politico della maggioranza.

Proprio il rapporto tra “Corte e politica” è sempre stato discusso poiché, se i giudici vengono chiamati ad interpretare le norme costituzionali così come applicabili nel sistema sociale, frutto di continue evoluzioni, rischiano di prestare il fianco a valutazioni sempre più legate all’opportunità e sempre meno al corpo letterario del testo normativo e di andare, quindi, oltre al carattere “contro maggioritario” o alla naturale collaborazione tra organi costituzionali, ritrovandosi nel mare magnum dell’agire politico indirizzandone con forza l’andamento, i limiti e le prospettive.

L’evoluzione da “giudice delle leggi” a “giudice dei diritti e dei conflitti” ha modificato la visione originaria dell’assemblea Costituente, la quale, faceva registrare posizioni critiche, e contrapposte, sulla necessità di una Corte maggiormente tecnica. La Corte ha dovuto interpretare, modificare, creare diritti, il più delle volte nuovi (si pensi a tutti i diritti derivanti dalla bioetica o dalle nuove

9 Come già osservava R. ROMBOLI, Introduzione, in S. PANIZZA (a cura di), Il contributo della giurisprudenza costituzionale alla determinazione della forma di Governo italiana, Torino, 1997, pp. 297 ss. la Corte incide sia sulla forma di Governo che sulla forma di stato mediante le sue funzioni di garanzia ed il suo ruolo arbitrale.

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tecnologie), indicare il novero dei principi fondamentali, porsi questioni sulla sostenibilità economica delle proprie pronunce e sul seguito che avrebbero potuto avere in relazione al rapporto tra organi costituzionali.

La Corte nel tempo ha avuto un’ampia possibilità di poter operare restringendo ed ampliando le previsioni contenute in Costituzione, stretta da maglie larghe della sua procedura e del rapporto con il legislatore e la sua discrezionalità.

Interessante sul punto la prima intervista del Prof. Zagrebelsky da Presidente della Corte avvenuta nel 200410 mediante la quale ripercorre molti argomenti

interessanti sulla natura della Corte.

Da segnalare come in primis come tutte le domande poste dai giornalisti vertessero proprio sulla natura eccessivamente politica di alcune scelte della Corte e, ancor più interessante, leggere le risposte del Presidente, che sono alla base della nutrita dottrina di chi non vede nella Corte un corpo che possa inserirsi nella discussione politica.

Zagrebelsky afferma infatti che «nella Corte costituzionale noi dobbiamo decidere ma non abbiamo da preservare alcuna maggioranza perché ogni maggioranza si forma su ciascuna delle cause che abbiamo da discutere e da risolvere e, una volta deciso, si dissolve […] ogni decisione della Corte non nasce come un fungo solitario, ha dietro di sé una tradizione. Conformemente alla sua natura giurisdizionale, la Corte è strettamente legata ai suoi precedenti, proprio perché non si tratta di decisioni puntuali, ma si tratta di uno sviluppo continuo. E questa è la Costituzione. La Costituzione è continuità, guai se la Costituzione venisse utilizzata come “momento per il momento”: sarebbe contrario alla natura della Corte Costituzionale».

Quanto affermato dal Presidente della Corte nel 2004 è sicuramente quanto di più vero e di più attento allo spirito della Costituzione. Una Corte, come vedremo, deve operare nel rispetto delle regole fissate che, regole di buon senso e di non irragionevolezza, difficilmente potrebbero portare questo organo a disattendere un proprio precedente o a seguire un impianto motivazionale basato sul caso specifico e sulla contingenza.

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Tuttavia la Corte è chiamata ad operare nel sistema nel quale è inserita come attrice e non come semplice spettatrice terza, fuori da dinamiche sociali e politiche. La Corte, nell’evoluzione del sistema sociale-economico, rispecchia in pieno l’estrema difficoltà delle istituzioni democraticamente elette nello svolgere in modo efficiente il proprio ruolo.

Più volte dagli stessi scritti dei giudici possiamo vedere un sempre maggiore riconoscimento del fatto che la Corte “vive nel sistema” e da questo non solo ne è inevitabilmente influenzata ma tende a dare risposte di politica costituzionale ove le istituzioni tendono a rimanere inermi.

Senza dubbio il rapporto tra Corte e politica ha molti volti che dipendono anche dai periodi storici nei quali si inserisce l’analisi e dalle valutazioni tecniche che la dottrina compie. Tuttavia quanto sostiene Ruggeri11, secondo il quale «la tesi è che la Corte non rimanga insensibile al canto ammaliante delle sirene della politica12, perseguendo dunque una politica costituzionale prevalentemente (seppur non esclusivamente) volta all’obiettivo di salvaguardare la politica tout court», risulta essere oggi sempre più fondato ed alla base dello sviluppo tra Costituzione e politica.

In questo percorso che il lettore intraprenderà nelle prossime pagine sarà possibile leggere l’intento della Corte a voler garantire, da una parte, l’autodeterminazione della politica e, dall’altra, il primato della Costituzione mediante delle scelte che fanno da spartiacque tra una politica “sana”, servente alla Costituzione13, ed una cattiva. La Corte tuttavia dimostra spesso di avere anche l’intento di preservare l’unità costituzionale tout court, unità che passa dalla sostenibilità economica e dalla proficua e non conflittuale collaborazione tra organi ed enti, sempre pronta a mediare tra le posizioni ed a subordinare la garanzia di alcuni diritti all’effettiva possibilità del legislatore, e della Repubblica

11 La tesi è riportata in numerosi interventi e rappresenta senza dubbio una delle più felici esplicazioni del ruolo assunto oggi dalla Corte. La si può ritrovare, ripercorsa compiutamente, in A. RUGGERI, La Corte costituzionale davanti alla politica, Op. cit.

12 Immagine che l’A. riprende dal suo La Corte e le sirene della politica (frammenti di uno studio su esperienze e tendenze della formazione e politicità dei giudizi di costituzionalità), in V. TONDI DELLA MURA – M. CARDUCCI – R. G. RODIO (a cura di), Corte costituzionale e processi di decisione politica, ed. Giappichelli, pp. 664 ss.

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stessa, di perseguire gli scopi di progresso e sviluppo ai quali, in modo un po’ spesso retorico, si prova a tendere.

Negli ultimi anni vi è stato un uso sempre più patologico dell’approccio “maggioritario” nella riforma della Costituzione. Quest’ultima viene infatti “interpretata” sempre di più con le lenti della maggioranza di turno14 e la Corte si

ritrova in un eterno dilemma: indirizzare il legislatore verso un percorso di riforme provando a garantirne almeno uno scheletro costituzionale, ed una funzione antimaggioritaria minima, oppure opporsi a questo atteggiamento.

Per farlo viene innalzata la politicità della sua azione, spinta sempre più nel paradosso di dover, alternativamente, mediare o sostituirsi alle istituzioni politiche e porre dei limiti alla loro azione, rincorrendo un ruolo terzo e fortemente legittimato ma finendo troppo spesso per essere concepita come organo dall’alto tasso di politicità che snatura sé stessa e fissa i limiti e le direttive entro cui l’indirizzo politico può svilupparsi. Limiti e direttive sempre più stringenti e pervasive che collimano, il più delle volte, con lo stesso indirizzo politico che la maggioranza può adottare.

Nelle prossime pagine proveremo ad analizzare il ruolo che la Corte ha assunto nell’ultimo periodo e quali spazi di ulteriori evoluzione potrebbero presentarsi, proprio a partire dalla sua giurisprudenza provando a darne una lettura d’insieme e valutandone il ruolo nel sistema dei poteri che caratterizzano la forma di Governo ed incidono sulla geometria della forma di Stato.

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2. Cenni su indirizzo politico e Corte costituzionale

Subito dopo la prima Guerra mondiale, gli studiosi del diritto - Martines, Mortati, Lavagna e Crisafulli15, i principali – hanno iniziato a dare forma al concetto di “indirizzo politico”.

Tuttavia, il concetto di “indirizzo politico” è risultato sfuggente ad una precisa e duratura teorizzazione, avendo ricevuto spesso una diversa “lettura” in relazione al periodo storico in cui veniva affrontato16.

Non è intenzione di chi scrive ripercorrere il lungo e nutrito dibattito dottrinale in materia ma è senza dubbio imprescindibile provare a fissare qualche minimo connotato del dibattito al fine di analizzare il ruolo della Corte.

Per prima cosa è necessario fare una prima divisione tra tutte quelle teorie “sostanzialistiche” dell’indirizzo politico, ossia quelle che identificano l’indirizzo nella pre-esitenza di atti (sia politici che giuridici) che non hanno alcun legame giuridico, una serie di atti casuali, unificati successivamente nello stesso piano politico, e quelle “normativistiche”, che fanno rientrare nel concetto di “indirizzo politico” solo quegli atti che prendono la forma delle norme con carattere prescrittivo. In altri termini, l’indirizzo politico sarebbe proprio di alcuni organi che sono competenti a produrre atti normativi e che detengono taluni strumenti di realizzazione: l’impulso, il coordinamento e la direzione17.

Per Martines, l’indirizzo politico sarebbe un insieme di atti collegati e prodromici al conseguimento di un fine18. Martines lega l’indirizzo politico al potere, alla sovranità, principalmente a Governo e Parlamento, organi che hanno la possibilità di soddisfare le tre fasi: quella relativa alla determinazione dei fini

15 Si vedano, ex multis, M. AINIS - A. RUGGERI - G. SILVESTRI - L. VENTURA (a cura di), Indirizzo politico e Costituzione, ed. Giuffrè, Milano, 1998; P. CIARLO, Mitologie dell’indirizzo politico e identità partitica, ed. Liguori, Napoli, 1988; M. DOGLIANI, Indirizzo politico. Riflessioni su regole e regolarità nel diritto costituzionale, ed. Jovene, 1985.

16 Si veda E. CHELI, Atto politico e funzione di indirizzo politico, Milano, 1961.

17 Si veda Y. M. CITINO, Considerazioni sull’indirizzo politico in occasione della ripubblicazione del saggio di Crisafulli, Nomos, n. 2/2013, in part. pp. 11 ss.

18 Si veda T. MARTINES, Voce: Indirizzo politico, in Enc. Dir., XXI, Milano, 1971, pp. 134 ss. e l’efficace ricostruzione di G. G. DE’ SANTI, Voce: indirizzo politico, in Enc. Giur., Roma, 1989, vol. XVI.

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(teleologica), quella della predisposizione dei mezzi (strumentale) e quella dell’attuazione (effettuale)19.

Il continuo accostamento dell’indirizzo politico alla “riduzione ad unità”, ad una visione unitaria che lo stesso Mortati riqualifica come IV funzione dello Stato, è senza dubbio una espressione del tempo in cui la società non era pluralista come quella moderna ma vedeva, anche tramite un’influenza dell’organicistica tedesca, nell’indirizzo politico il frutto del potere politico che determina il proprio programma e la propria azione mediante una posizione sovraordinata al resto degli organi.

Così l’indirizzo politico non è libero ed incondizionato ma deve osservare i “fini costituzionali”, gli stessi limiti ricompresi nella Costituzione, sia sostanziali che formali, caratterizzando la propria natura di determinazione dei fini dello Stato. Non a caso è proprio con questo continuo “dialogo” che la “politica” si tramuta in “diritto”.

Come osserva Crisafulli 20 l’attività di indirizzo politico non appartiene solamente al Governo ma anche a tutti quei corpi intermedi, tra i quali i partiti, che sono l’espressione di una società moderna e di una democrazia parlamentare viva. In questo dibattito si inserisce sapientemente Lavagna, il quale, pur riconoscendo una centralità al Governo nel suo essere organo complesso, afferma che sono valutabili come atti dell’indirizzo solo quelli emanati in base a norme costituzionali di competenza per fini presupposti fissati dalla stessa Costituzione21.

Questi fini sarebbero “generalissimi”22 per Mortati e indirizzerebbero ogni decisione del circuito governativo-rappresentativo. Crisafulli inoltre aggiunge alla discussione una ulteriore questione legata al rapporto tra i vari organi in relazione all’indirizzo politico, ed alla sua non obbligatoria osservanza da parte di quegli organi che devono essere garantiti da indipendenza.

19 Si veda G. G. DE’ SANTI, Ult. Op. cit., p. 2.

20 V. CRISAFULLI, Per una teoria giuridica dell’indirizzo politico, in Studi Urbinati, 1939. 21 Si veda C. LAVAGNA, Contributo alla determinazione dei rapporti giuridici fra Capo del Governo e Ministri, ed. Universitarie, Roma, 1942 così come riportato in P. CIARLO, Op. cit., pp. 42 ss.

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Oggi quindi non solamente Parlamento e Governo concorrono a fissare l’indirizzo politico ma anche gli organi di garanzia costituzionale svolgono un ruolo centrale.

Primariamente, proprio la Corte costituzionale23 che ha il compito di dare concreta attuazione a quei fini fissati nella Costituzione che superano la struttura liberale tripartita degli organi titolari dell’indirizzo partitico per proiettare la democrazia verso una società pluralista. Così la cosiddetta “forza politica della Corte”24, tanto cara a Martines, rappresenta uno spazio interpretativo interessante

per il ruolo della stessa. Questa, infatti, seppur incida nell’indirizzo politico “proprio” degli altri organi, rappresenta altresì un presidio di garanzia e terzietà, data anche dalla sua composizione ed elezione. Per questo è interessante il filo che lega organi preposti a fissare l’indirizzo politico della maggioranza e organi di garanzia che perseguono un controllo e un indirizzo sui valori delineati in Costituzione. Con questa accezione di “forza politica” la Corte quindi non entra a far parte dell’indirizzo politico ma lo influenza fortemente sia mediante il controllo che essa compie nel merito delle scelte della maggioranza25 sia rispetto all’interpretazione che effettua agendo, molto spesso, sulla norma e non sulla disposizione. Come afferma la dottrina, infatti, «l’indirizzo prende dinamicamente corpo nel processo che porta dalla disposizione alla norma, e che, pertanto, “non è” ma, piuttosto, “si fa”, ridefinendosi di continuo»26. La disposizione sarebbe infatti una collezione di indirizzi che possono esser meglio esplicitati nella norma e che vivono nell’eterna tensione della proiezione istituzionale.

23 Si veda la nutrita e differente dottrina, ex multis, P. BARILE, La Corte costituzionale organo sovrano: implicazioni pratiche, in Giur. Cost., 1957, pp. 907 ss.; G. BOGNETTI, La Corte costituzionale italiana e la sua partecipazione alla funzione di indirizzo politico dello Stato nel presente momento storico, in Jus, 1970, pp. 109 ss.; A. M. SANDULLI, Sulla posizione della Corte costituzionale nel sistema degli organi supremi dello Stato, in Riv. Trim. dir. Pubb., 1960, pp. 705 ss.

24 Si veda la precisa ricostruzione del pensiero di T. Martines effettuata da A. RUGGERI, Indirizzo politico e giustizia costituzionale nel pensiero di T. Martines, in M. AINIS – A. RUGGERI – G. SILVESTRI – L. VENTURA (a cura di), Indirizzo politico e Costituzione, Op. cit, pp. 259 ss. 25 Si veda T. MARTINES, Contributo ad una teoria giuridica delle forze politiche, in Opere, I, Milano, 1957, pp. 280 ss. dove l’A. differenzia l’effetto che una decisione della Corte può avere sull’indirizzo politico di maggioranza.

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L’indirizzo politico quindi non può non passare da quella che è l’attività della Corte, ancor di più in tempi di crisi delle stesse istituzioni preposte a perseguirlo, poiché l’indirizzo politico “costituzionale” e quello di “maggioranza” possono avere una loro effettività nell’ordinamento solamente se in stretta tensione e ridefinizione sinallagmatica. Una forza verso il futuro, verso l’attuazione della Costituzione che passa dalle scelte degli organi titolari della funzione di Governo e dalla loro rispondenza allo spirito della Costituzione, spirito, come detto, proiettato al futuro e alla lettura della complessa realtà sociale. Una sostanziale “codeterminazione dell’indirizzo politico”, non appartenente più ad un unico organo, ma frutto della sintesi di più organi che co-determinano il fine della loro esistenza in un ordinamento democratico e che compiono la doppia azione di stimolo e limite. Uno stimolo ed un limite che la Corte interpreta e persegue costantemente, che ha alimentato nel tempo affermandosi nell’ordinamento, valorizzando il proprio ruolo e modificando la propria procedura.

La Corte, mediante l’interpretazione, le motivazioni, la valutazione sulla ragionevolezza, i bilanciamenti e le categorie decisionali, influisce sull’indirizzo politico sia nella fase della produzione normativa (mediante una interpretazione dei valori costituzionali) sia nel momento della decisione sulla legge (incidendo sia con l’effetto delle decisioni che con le proprie motivazioni che “riordinano” la normativa o effettuano moniti).

L’indirizzo politico odierno ha perso quel carattere unitario e stabile, lo ha dissolto nella società pluralista, nella governance multilivello, nella crisi istituzionale. La Corte, invero, ricopre oggi un ruolo stabile, lontano dai flussi della società, “protetta” dalle pressioni dell’opinione pubblica, sempre più interessata a caratterizzarsi per un approccio di sistema seppur conservi una forte concretezza nei giudizi.

L’indirizzo politico e la giustizia costituzionale trovano sempre più punti di incontro e, come chiosava Ruggeri in ricordo di Martines circa il rapporto tra questi due «oggi, più di ieri, essi appaiono accentuatamente aggrovigliati e, ancora in rilevante misura, avvolti da una fitta penombra che attendi di esser diradata»27.

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Interrogativi, quelli sulla effettiva natura dell’indirizzo politico, sul rapporto tra gli organi costituzionali, sulla compartecipazione della Corte e sul rapporto tra Costituzione, politica e legge che rappresentano un interessante e variegato campo di analisi.

La Corte, come vedremo, si inserisce sempre di più in questo dibattito con il passare del tempo, creando una cornice in cui il legislatore può fissare il proprio indirizzo. La prima rimane immutata perché di stretta emanazione costituzionale mentre, il secondo, è in continua evoluzione e in continua tensione tra l’azione della giustizia costituzionale, quella delle Corti sovranazionali e dell’alternanza governativa.

Un indirizzo politico poliforme, ben oltre il mero programma di governo, che ha come punto fermo la valorizzazione e attuazione dei valori costituzionali e dei “fini generalissimi” (oltre a quelli meno generali) ivi compresi. In questo senso la Corte ha nel tempo “accompagnato” riforme e il riconoscimento di nuovi diritti (si vedano quelli legati ai diritti civili, alla bioetica e alla medicina), ha contribuito a garantire una unitarietà costituzionale dell’ordinamento, preservandone l’economia, l’organizzazione istituzionali e i meccanismi elettorali.

La Corte ha svolto così un ruolo da mediatrice e stimolo tra politica e diritto partendo tuttavia da una tecnica prettamente giuridica e rendendosi artefice di una “forza politica” che incide sull’indirizzo politico.

Un ruolo complesso, a tratti ambiguo, che la Corte non può disattendere, provando a stare in equilibrio tra l’essere ed il dover essere, tra ciò che è giuridico e ciò che, seppur sia politico, non può non essere immune da questioni giuridiche.

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CAPITOLO I: LA POLITICITÀ DELLA CORTE

RISPETTO AL SISTEMA DI GIUSTIZIA

1. La lunga dialettica sui sistemi e la necessità di costruire un equilibrio di forze che legittimassero una Corte “sui generis”; - 2. La scelta dei Giudici, la composizione del collegio e l’astensione; - 3. Un sistema a complessità diseguale: il giudizio sulle leggi in via incidentale; - 4. Il giudizio in via principale: tra esigenze di mediazione e indirizzi centripeti delle competenze in tema di legislazione; - 5. La Corte alle prese con i referendum: la politicità alla nascita che impedisce ulteriori sbilanciamenti; - 6. La Corte nei conflitti: altro caso di “elasticità” della Corte;

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1. La lunga dialettica sui sistemi e la necessità di costruire un

equilibrio di forze che legittimassero una Corte “sui generis”

Le regole di funzionamento della Corte Costituzionale contribuiscono a qualificare la natura della propria attività individuandone, nel tempo e nell’ordinamento, le finalità ed il suo rapporto con gli altri organi costituzionali dello Stato.

In Italia lo Statuto Albertino non prevedeva alcuna forma di controllo della legittimità costituzionale28, seppur questo tipo di controllo fosse già presente in altri Paesi, poiché, come noto, la flessibilità di quella “Carta costituzionale”29 ed

il mero controllo formale si adeguavano meglio all’esigenza di limitazione dei poteri della Monarchia attraverso il rapporto “dualista30” tra Stato e società31.

Nel dibattito dell’Assemblea Costituente la questione sulla natura fu affrontata già dalla “Commissione Forti” la quale, tra il gennaio ed il febbraio del 1946,

28 F. RACIOPPI - I. BRUNELLI, Commento allo Statuto del Regno, Torino, 1903, III, pp. 442 ss. 29 Si veda L. BRUNETTI, Percorsi del costituzionalismo tra ottocento e novecento: le leggi fondamentali della monarchia e della Repubblica italiana. Lo Statuto Albertino, in Forumcostituzionale.it.

30 Si veda G. ZAGREBELSY - V. MARCENO’, Giustizia costituzionale, ed. Il Mulino, Bologna, 2012, pp. 39 e ss. Gli stessi Autori affermano che «lo Statuto albertino, alla luce delle vicende storiche in cui si trovò a operare, può dirsi essere stata una Carta rigida rispetto al Re […] Carta flessibile sull’altro versante, quello parlamentare». Si veda, sulla questione «rigidità-flessibilità» dello Statuto A. PACE, La causa della rigidità costituzionale. Una rilettura di Bryce, dello Statuto albertino e di qualche altra costituzione», II ed., Padova, ed. Cedam, 1996.

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preferì aderire all’impostazione di una Corte che garantisse la subalternità del potere legislativo rispetto al potere costituente.

In un sistema ove la Costituzione rappresenta la norma fondamentale dell’ordinamento, è posta alla base della stessa legittimazione degli organi, era necessario prevedere la presenza di una Corte che sanzionasse eventuali illegittimità degli atti oltre a dover dirimere eventuali conflitti tra poteri.

La Costituzione italiana, rigida, pluralista, programmatica32, lascia uno spazio

minore alla tensione per la sovranità tra organi (seppur rimanendo una componente importante dello stesso sistema di giustizia costituzionale) mentre viene ampliata nel contempo la necessità di procedere ad un controllo degli atti mediante i quali il Parlamento esercita il proprio potere, nei limiti della stessa Costituzione.

Così il modello di giustizia costituzionale fu oggetto di un acceso dibattito sia in seno alla Costituente33 sia negli anni successivi, poiché, la stessa natura della Corte, la composizione, le modalità di accesso, la tipologia del controllo e del

32 Si veda il dibattito in costituente che interessò proprio la natura della Corte in rapporto alla programmaticità della Carta costituzionale e che viene ripreso in C. MEZZANOTTE, Giudizio sulle leggi e ideologie del costituente, Milano, 1979; F. MODUGNO, La funzione legislativa parlamentare della Corte costituzionale, in Giur. Cost., 1981, pp. 1646 ss.

33 Per ripercorrere il dibattito che si aprì tra le varie opinioni è necessario andare per gradi. Dalla Commissione Forti esce l’idea di un organo che garantisse la legalità dell’ordinamento che si sviluppa poi nelle sottocommissioni in Assemblea dapprima prospettando la possibilità di un’azione popolare davanti ad un organo per annullare una norma con effetti retroattivi erga omnes e, successivamente, con la redazione di tre progetti. I tre progetti aderivano a differenti teorie politico-costituzionali ben precise: il primo, presentato da Calamandrei, prospettava un controllo costituzionale di tipo incidentale, con un sindacato diffuso da parte dei giudici comuni. Il secondo orientamento, il cui massimo sostenitore era Leone, prevedeva la possibilità da parte non solo dei cittadini e dell’autorità giudiziaria di sollevare la questione ma an che da parte di organi costituzionali, essendo non solo la legge oggetto di questione ma anche regolamenti ed amministrativi, con la possibilità di una sentenza di nullità ex tunc. Il terzo progetto, proponente Patricolo, prevedeva l’istituzione di un organo di garanzia costituzionale supremo con un’ampia possibilità di accesso e un procedimento d’ufficio dello stesso.

In assemblea quindi avviene un dibattito che porta all’approvazione dell’“emendamento Arata” con il quale si rinvia ad un successivo provvedimento l’identificazione dei termini e dei modi per i giudizi di incostituzionalità. Con la successiva approvazione della l. Cost. 1 del 1948 verrà stabilito che l’accesso è di tipo incidentale e di iniziativa diffusa da parte dei giudici comuni. Si veda la ricostruzione puntale della genesi della Corte Costituzionale con i progetti di Calamandrei e Leone e la rispettiva filosofia istituzionale fatta da A. CERRI, Corso di giustizia costituzionale, ed. Giuffrè, 2008, pp. 34 e ss.

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giudizio, gli stessi poteri, rappresentavano e rappresentano, il corpo centrale dell’effettività della Costituzione.

Così si “scontrano” varie teorie che si possono individuare nella storica dialettica tra la concezione Schmittiana di «Costituzione come situazione di concreta unità del popolo» e di accusa a Kelsen di aver “politicizzato la giustizia”, e la risposta di quest’ultimo secondo il quale la Costituzione rappresenterebbe la «norma giuridica fondamentale» e la Corte non il custode della tradizione, come sostanzialmente sosteneva Schmitt, ma la “giustizia costituzionale”, l’organo che non gestisce le emergenze ma controlla le irregolarità34. Kelsen sostiene che vi sia un forte legame tra atto normativo inferiore ed atto normativo superiore, una dipendenza del primo con l’ultimo, una necessaria conformità sostanziale, che deve essere controllata da una Corte Costituzionale.

La polemica tra Kelsen e Schmitt si basa su una differente idea di Costituzione e di controllo costituzionale. Per il primo, infatti, la Corte deve essere il “custode della Costituzione”, intesa quest’ultima come insieme di regole giuridiche che devono essere garantite da un organo collegiale che applica le norme generali garantendo la tutela del patto sociale. Tutto ciò trova il disaccordo di Schmitt il quale sostiene che, essendo la Costituzione non di natura pattizia ma di natura Parlamentare, il controllo può avvenire solo tramite un organo che non sia sovrapposto, che sia politico e neutro: il Presidente del Reich, nel caso di specie35. Il contrasto tra la necessità di un controllo politico e di un controllo non politico si può quindi vedere già dalla dialettica instauratasi tra i due giuristi.

Nello specifico, il modello Kelseniano si inserisce in Europa in una dialettica che aveva visto contrapporre i sostenitori del modello di Judical Review, derivante dalla teoria Marshall ove i giudici svolgevano un ruolo centrale ed inclusivo, ad

34 Copiosa la dottrina in merito. Nella letteratura italiana si segna P. PETTA, Schmitt, Kelsen e il custode della Costituzione, in Storia e politica, 1977, pp. 506 ss.; Si veda a tal proposito anche l’analisi sul ruolo che la Corte svolge oggi quale custode della Costituzione in E. BINDI, Chi custodisce il custode?, ed. Giappichelli, Torino.

35 Si faccia riferimento alle opere dei giuristi H. KELSEN, La garanzia giurisdizionale della Costituzione (1928), che si ritrova in C. GERACI (a cura di) La giustizia costituzionale, ed. Giuffrè, 1981, pp. 201 ss. e C. SCHMITT, Il custode della Costituzione (1931), Op. cit., pp. 12 ss.

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una nuova forma di controllo basato non sul modello diffuso ma sul modello accentrato.

Le motivazioni che portarono i legislatori europei a preferire un controllo diffuso furono molteplici.

Primariamente, lo scenario politico europeo era completamente differente da quello americano. Nel vecchio continente, infatti, il controllo di costituzionalità si inseriva in ordinamenti già affermati da anni, che avevano già subito una propria “stabilizzazione” storica nel rapporto tra poteri ed attraversato fasi costituenti nuove e travagliate, a seguito di moti rivoluzionari o di eventi bellici36. In questo scenario si inseriscono ragioni legate al sistema delle fonti nella successione tra le varie codificazioni e ad una magistratura che, in Italia soprattutto, era frutto di sistemi totalitari nonché poco propensa a svolgere un ruolo che, almeno in una prima fase, doveva essere di netta contrapposizione e pulizia del sistema normativo37.

Così, varie furono le esperienze europee ove il legislatore, per non minacciare la “sovranità nazionale” che trova il suo massimo compimento nelle scelte degli organi del circuito rappresentativo, prese le distanze dal modello americano di

judical review.

Possiamo, a titolo meramente esemplificativo, ricordare l’esempio inglese, ove la “superiorità” del diritto di formazione parlamentare non permise mai l’affermarsi di un procedimento di controllo di costituzionalità38 , o quello della

III Repubblica Francese ove, seppur in presenza di una Costituzione rigida, per lungo tempo fu contrastato un sistema di controllo dei giudici39.

36 Si veda sul punto A. PIZZORUSSO, Art. 134, Commentario della Costituzione, pp. 17 ss. 37 Si veda M. CAPPELLETTI, Il controllo giudiziario di costituzionalità delle leggi nel diritto comparato, ed. Giuffrè, Milano, 1968, pp. 61 e ss.

38 Si sosteneva che il Parlamento non avrebbe potuto blindare sé stesso e che permaneva una sovranità dello stesso. Per un approfondimento si faccia riferimento ad A. TORRE, la giustizia costituzionale nel regno unito: caratteri, istituzioni e prospettive, in L. MEZZETTI (a cura di), Sistemi e modelli di giustizia costituzionale, ed. Cedam, 2008. In tempi recenti questa discussione ha ripreso anima e parte della dottrina ha analizzato le recenti evoluzioni. Si veda A. TORRE, La Corte Suprema del Regno Unito: la nuova forma di una vecchia idea, in Giorn. Stor. Cost., n. 11/2006.

39 Si veda a riferimento quanto scrive E. LAMBERT, Le gouvernement des juges et la lutte contre la législation sociale aux États-Unis. L’expérience américaine du contrôle judiciaire de la

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Tuttavia, queste resistenze, proprie di tutte le forze politiche anche in Italia40, non potevano protrarre la propria efficacia a lungo e furono superate con l’entrata in crisi dello stesso modello “esecutivo-centrico” ove il legislatore ed il potere esecutivo, a seguito degli effetti della II guerra mondiale, necessitavano di un controllo forte circa il proprio indirizzo politico che si tramutava, e si tramuta, nell’emanazione di atti normativi che devono essere conformi ad un testo costituzionale che garantisca la corretta tutela dei diritti fondamentali di libertà civile, dei diritti sociali e dei principi fondamentali che devono essere garantiti a tutti gli individui.

Così anche in Europa il modello kelseniano prese forma evolvendosi da un sistema che vedeva la Costituzione fuori dal circuito politico-contenutistico, attuata mediante un’operazione di mero “automatismo giuridico”41 ed un controllo

che aveva la natura meramente formale, ad uno che si avvicinava maggiormente al cosiddetto “legislatore negativo” connotato da un maggior tecnicismo ed uno spirito avalutativo42.

La giustizia costituzionale italiana nasce così dal compromesso43 tra la modalità di controllo diffuso tipico dello Judical review ed il controllo accentrato, frutto della teoria kelseniana e della sua evoluzione nella polemica con Schmitt.

constitutionnalité des lois, 2007. Per alcuni riferimento sull’atteggiamento ostruzionistico dei legislatori circa l’introduzione di un controllo di costituzionalità si vedano J. ROUSSY, Le controle judiciaire de la constitutionnalite des lois federales aux Etats-Unis et en Suisse, 1969, pp. 126 ss; T. MARTINES, Lineamenti della giustizia costituzionale in Germania, ed. Università di Pavia, 1954, pp. 14 e ss.

40 Nello Statuto Albertino non fu preso nemmeno in considerazione alcun tipo di controllo di costituzionalità. Molti studiosi, tuttavia, lo fecero oggetto di studio di discussione e se ne possono trovare le più interessanti attestazioni in L. MORTARA, Istituzioni di ordinamento giudiziario, 1896, pp. 33 ss.

41 Si veda E. MALFATTI - S. PANIZZA - R. ROMBOLI, Giustizia costituzionale, ed. Giappichelli, Torino, pp. 8 ss

42 A. PIZZORUSSO, Op. cit., pp. 24 ss. 43 A. PIZZORUSSO, Op. cit., pp. 26 ss.

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Il mero controllo diffuso dei giudici, in Italia, fu criticato perché si pensava che il loro eccessivo attivismo44 potesse «portare delle conseguenze circa il rapporto giudice-legge»45.

Infatti i giudici avrebbero potuto disapplicare la legge arrivando al paradosso di essere sottoposti alla stessa solamente nei casi in cui avessero ritenuto la piena legittimità costituzionale che, essi stessi, avrebbero dovuto accertare46.

Tale meccanismo non ebbe un grande consenso, particolarmente in Italia, e, da subito, il costituente47 si indirizzò verso la creazione di un organo di legittimità

costituzionale ad hoc (seguendo il modello kelseniano) che potesse essere il vero punto di chiusura del sistema costituzionale ed il vero punto di svolta in combinato disposto alla prevista rigidità costituzionale.

Così il compito di interpretare, in ultima istanza, la costituzionalità della legge fu affidato ad un organo accentrato con una procedura speciale e dalla composizione e competenze peculiari sottraendo alla discrezionalità dei singoli giudici la possibilità di disapplicare la legge. Così facendo si posero anche le basi teoriche per la ricerca di una maggiore ed effettiva certezza del diritto.

Questo modello poteva quindi assicurare «la superiorità della Costituzione senza rafforzare il potere giudiziario»48 in modo da garantire un continuo controllo sul rispetto dei principi supremi sintetizzati in Costituzione e dell’equilibrio tra poteri

44 Per un approfondimento sul tema Si veda E. LAMARQUE, Corte costituzionale e giudici nell’età repubblicana, ed. Laterza, 2012.

45 Così C. MEZZANOTTE, Il giudizio sulle leggi. Le ideologie dei costituenti, ed. Giuffrè, 1978, Milano, pp. 84 e ss.

46 Molti autori hanno affrontato il tema della differenza di operato tra giudici comuni e giudici costituzionali. I primi, per dottrina ormai affermato, hanno il solo compito di sorvegliare sulla corretta applicazione della legge mentre, i secondi hanno un potere ulteriore che è quello di espuntare dall’ordinamento una norma ritenuta contraria alla Carta Costituzionale applicando quindi un giudizio di natura normativa che lo indirizza verso una maggiore politicizzazione della giurisdizione ed un rapporto con i principali organi di indirizzo politico molto critico. Per una completa ricostruzione si faccia riferimento a E. CHELI – DEONATI, La creazione del diritto nelle decisioni dei giudici costituzionali, in Riv. Dir. Pub., n. 1/2007, pp. 155-178.

47 In verità molte furono le critiche ed i timori che un organo, non rientrante nel circuito di rappresentatività democratica, potesse, con un metodo giurisdizionale, fuori da una responsabilità politica, incidere così fortemente sulle scelte del legislatore, valutandole e altresì modificandone il contenuto. Così in R. ROMBOLI, La natura della Corte Costituzionale alla luce della sua giurisprudenza più recente, in Op. cit.

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al netto della necessaria garanzia di rispetto della discrezionalità del legislatore soggetto all’investitura popolare.

Molti autori hanno sottolineato come esso rappresenti un “privilegio del legislatore” che, tuttavia, in molti suoi aspetti presenta alcuni elementi di debolezza49.

In Italia, quindi, mediante un controllo accentrato, la Corte Costituzionale accerta, in via definitiva, se vi è contrasto con la Costituzione da parte di alcune disposizioni di legge superando la valutazione propria dei vari giudici nel sistema diffuso ove, come detto, non viene eliminata dall’ordinamento la norma riconosciuta incostituzionale, ma viene solamente operata una sua interpretazione. In questo sistema l’unico organo preposto a declamarne l’illegittimità, con successiva caducazione della norma, è la Corte Costituzionale le cui decisioni, dato il suo ruolo di unico ed ultimo “giudice”, non solamente si applicano a tutti ma altresì hanno una “risonanza” sull’opinione pubblica ed in tutto l’ordinamento senza dubbio più incisiva che nel sistema diffuso in cui esclusivamente le questioni principali vengono affrontate dalla Corte Suprema (solamente in seguito a una tale decisione è possibile affermare la definitività della pronuncia di incostituzionalità).

Nel modello italiano il carattere accentrato dell’organo preposto alla decisione viene mitigato dalla natura dei soggetti legittimati a sollevare questione di costituzionalità. Infatti, il giudice a quo, compie egli stesso un preliminare confronto tra norme e Costituzione al fine di sostenere, mediante le motivazioni espresse nell’ordinanza di rimessione, l’incostituzionalità della legge. Si parla, infatti, di un sistema accentrato ad iniziativa diffusa che rappresenta un sistema ibrido, misto, caratterizzato dalla commistione tra i due modelli50.

La natura della Corte italiana51 poteva quindi rispecchiare un modello di

controllo diffuso, come avviene, ad esempio, negli U.S.A., ove tutti i giudici sono

49 Si veda su tutti O. CHESSA, I giudici del diritto, ed. Franco Angeli, 2014, pag. 56.

50 Si veda quanto affermato A. PIZZORUSSO, I sistemi di giustizia costituzionale dai modelli alla prassi, in Quad. Cost., 1982, pp. 521 ss.

51 Si veda E. ROSSI - R. ROMBOLI, Giudizio di legittimità costituzionale delle leggi, in Enc. dir., Milano, 2001, Aggiornamento V, pp. 503 ss.

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chiamati a valutare la costituzionalità o meno di una legge, ovvero accentrato, in cui viene identificato un organo ad hoc che detiene il potere di sindacare la costituzionalità.

Senza dubbio questo modello, ispirato alla teoria kelseniana dell’organo ad hoc che annulla la legge, ha subìto un’evoluzione che lo allontana dalla sua concezione originaria, o almeno alla sua applicazione austriaca, e lo ancora sempre di più alla dialettica tra giudice comune e giudice costituzionale, nel giudizio in via incidentale, seguendo l’esigenza della pregiudizialità e della rilevanza della questione che, come vedremo in seguito, sono concetti e limiti che, anch’essi, si sono evoluti con la giurisprudenza della Corte Costituzionale.

Come viene affermato dalla dottrina si va affievolendo, in un certo senso, l’astrattezza del giudizio dato che «i giudici, dunque, sono diversi, ma la giurisdizione è la stessa ed è, in ultima analisi, una giurisdizione non sulla costituzionalità della legge, ma sul diritto preteso da chi ha agito in giudizio52».

Avviene quindi una modifica dei sistemi accentrati di giustizia costituzionale dato che si evolvono anche le stesse relazioni tra poteri, ed il ruolo della Corte conquista una propria centralità, anche a seguito della rigidità costituzionale53. Contestualmente, i vari sistemi di giustizia costituzionale si intersecano per addivenire ad un prototipo che risponda maggiormente alle esigenze di un controllo dalle basi giurisdizionali e concreto, ma effettuato da un organo ad hoc54 e con forti connotati di politicità.

Così, in Italia55 il sistema accentrato viene integrato con un controllo preliminare da parte dei giudici comuni che, solo nel caso di rilevanza, non manifesta infondatezza, ed a seguito dell’esperimento di una interpretazione conforme,

52 P. PINNA, La funzione giurisdizionale della giustizia costituzionale, in Diritto@Storia, n. 13/2015.

53 Si veda sul tema A. PACE, Potere costituente, rigidità costituzionale e auto vincoli legislativi, Padova, 2002.

54 Si veda per una panoramica sulle esperienze nel sistema comparato, oltre che per un approfondimento del concetto di “circolazione giuridica”, G. ROLLA, L’evoluzione dei sistemi accentrati di giustizia costituzionale, Note di diritto comparato, in Unige.it.

55 Sul modello italiano si vedano F. PIERANDREI, Voce: Corte costituzionale, in Enc. Dir. 1962, Milano, 874 ss.; G. ZAGREBELSKY, Processo costituzionale, in Enc. dir. Milano, 1987, pp. 521 ss.; B. CARAVITA (a cura di), La giustizia costituzionale in trasformazione: la Corte costituzionale tra giudice dei diritti e giudice dei conflitti, Napoli, 2012.

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hanno la facoltà, in via incidentale, di porre la questione alla Corte Costituzionale. Un sistema accentrato con elementi tipici del “Judical review”. La classificazione quindi netta tra sistema accentrato e sistema diffuso non può più essere pacificamente adottata come naturale e corretta ma, nel tempo, negli stessi sistemi ibridi, a seconda della giurisprudenza della Corte56 o dell’attivismo del legislatore,

si sono avute più stagioni, differenti tra loro, che ne hanno modificato il funzionamento verso un modello più o meno vicino ai due estremi prototipi iniziali.

Il sistema italiano, basato sul giudizio in via incidentale, rappresenta un compromesso ben equilibrato tra il sistema accentrato, avendo un organo speciale sia come composizione che come funzioni, e quello diffuso, dove i giudici, anche a seguito dell’implementazione della obbligatorietà dell’interpretazione conforme57, svolgono un ruolo importante e la stessa attività di controllo di costituzionalità è centrata sul dialogo continuo tra i vari organi58.

La Corte costituzionale ha così il compito di uniformare tutto l’ordinamento al rispetto dei principi costituzionali, opera, questa, mediata dall’azione dei giudici comuni, i quali, non solamente hanno acquisito sempre di più la facoltà di valutare autonomamente le questioni da sollevare adottando, nel caso, una interpretazione conforme (che non è tuttavia valida se non inter partes)59, ma svolgono anche ruolo di primi garanti dell’armonia costituzionale mediante la loro operazione quotidiana su casi concreti.

La questione centrale da porsi è se questo sistema del giudice delle leggi, così classificato come “ibrido”, faccia pendere l’ago della bilancia verso una maggiore

56 Si veda, su tutti, la questione della rilevanza e dell’interpretazione che la stessa Corte ne ha dato nel tempo.

57 Sul punto si veda R. ROMBOLI, La natura della Corte Costituzionale alla luce della sua giurisprudenza più recente, in Rivistaaic.it, pp. 4 e ss. L’ A., nel ripercorre le “fasi” della corte, pone la questione sulla natura della Corte nel nuovo sistema delineato dalla costituzione repubblicana. La Corte, sostiene l’Autore, è un organo dal carattere ambiguo poiché «è un organo chiamato a giudicare secondo un metodo ed un procedimento tipicamente giurisdizionale, ma avete ad oggetto un atto tipicamente politico». Torneremo al cap. su tale questione.

58 Molti autori si sono soffermati su questo dialogo che intercorre tra Giudici e Corte. Tra i molti ricordiamo V. ONIDA, L’attuazione della costituzione tra magistratura e Corte Costituzionale, in Scritti in onore di Costantino Mortati, IV, Milano, 1977.

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o minore politicizzazione del giudizio e come possa incidere tramite la sua azione sull’indirizzo politico.

Primariamente, come abbiamo detto, se unico è l’organo legittimato a prendere la decisione sulla questione è possibile affermare con abbastanza certezza che difficilmente sarà possibile, se non mediante un eventuale cambio di orientamento, che questioni simili, che riguardano diritti eguali, possano avere differente soluzione a seconda del giudice al quale vengono sottoposte.

Non esistono infatti particolari impedimenti al fatto che le questioni possano accedere al giudizio di un giudice a ciò preposto e, di conseguenza, che possano essere risolte una volta per tutte e per tutti i giudizi.

Inoltre anche gli effetti non sono differenti nel tempo di “mora” del giudizio della Corte. Infatti i giudici che ritengano necessaria la decisione della Corte per la risoluzione del proprio caso possono sospendere il giudizio in attesa della decisione, avendo così lo stesso effetto che si ha nel sistema americano dove il giudice risolve direttamente la questione.

La Corte non ha quindi né una connotazione kelseniana, come superamento della politica, ma neppure una Schmittiana, come organo di sintesi delle compulsioni sociali. Essa supera questi concetti per essere altro, o altro nelle varie fasi storiche. La stessa interpretazione conforme60 del giudice a quo, ad oggi, come già visto, molto sviluppata, altera gli equilibri degli schemi della giustizia costituzionale. Senza dubbio la valutazione diffusa dei giudici supera l’esigenza di “garanzia per il legislatore”, propria dell’operato di una Corte, come unico organo deputato a decidere sulla costituzionalità.

I giudici, che sono organi giurisdizionali puri a differenza della Corte stessa, hanno tuttavia la possibilità di intraprendere un’azione di “modifica della normativa” maggiore che un unico organo il cui accesso è legato da norme, interpretabili, ma pur sempre chiare e precise.

60 Come celeberrima affermazione della Corte nella sentenza n. 356 del 1996 «in linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perché è impossibile darne interpretazioni incostituzionali».

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Un sistema interamente demandato ai giudici comuni, oltre a porre il problema della effettiva idoneità, porrebbe anche il problema della estrema incertezza del diritto, della sua applicazione, della volubile modifica.

Una giustizia che passa dalle sole decisioni dei giudici potrebbe incorrere nel pericolo di cadere negli infiniti e legittimi orientamenti personali, socio-territoriali e tecnici degli operatori del diritto dando vita ad un controllo che si posa sul terreno della politica e della valutazione casistica. Senza dubbio le decisioni dei giudici, di contro, proprio perché valide solo nel processo a quo, avrebbero un impatto minimo sulle scelte politiche (e normative) a livello nazionale.

Nel nostro sistema, invece, è la Corte che ha la possibilità di inserirsi a seguito del primo “filtro” dei giudici nelle varie questioni e una sua maggiore o minore aderenza alle norme procedurali, una maggiore o minore attinenza alle motivazioni di stampo giuridico e un differente equilibrio tra organi possono farla entrare nei processi storici con una incisività molto elevata.

Mentre infatti un giudice può non applicare una data norma al caso, la Corte può espungerla dall’ordinamento, o in alcuni casi modificarla, operando non più come mero giudice di legittimità ma sostituendosi, de facto e solo temporalmente, al legislatore.

Il ruolo della Corte, tuttavia, non potrebbe essere differente nel merito mentre assai controverse sono nei fatti le evoluzioni che la Corte ha compiuto negli anni e che saranno oggetto di specifica riflessione.

Anche in Assemblea Costituente emerse la posizione di chi pensava che la Corte fosse un organo non solamente posto fuori dal circuito giudiziario ma altresì affine a quello legislativo, poiché non si poneva solo, eventualmente, come legislatore negativo ma anche come legislatore positivo61.

La ratio del legislatore era quindi quella di scongiurare un eccesso di poteri in mano ad un unico organo o ai giudici comuni e il sistema ibrido, ossia ad iniziativa diffusa ma a giudizio accentrato, sembrava essere quello che garantiva maggiormente tale necessità.

61 Si veda P. CALAMANDREI, La illegittimità costituzionale delle leggi nel processo civile, Padova, 1950.

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Come vedremo nel corso di questa breve digressione, nel tempo, non sempre l’attività integrata dei giudici con quella della Corte ha limitato la possibilità che alcune decisioni incidessero fortemente nel processo politico62.

La Corte non ha né la legittimazione democratica derivante da un voto popolare, e né quella derivante da un accesso vincolato a concorso (a differenza dei giudici comuni). Questa si pone quindi su un piano trasversale e la sua composizione ne riflette una connotazione ed una natura che deve essere periodicizzata oltre le mere regole contenute nelle norme che la disciplinano.

In un periodo dove le tensioni sociali, le perplessità economiche, le notizie di politica internazionale corrono sulla linea del web e sono di dominio pubblico, anche quell’argine alla deriva della “valutazione dell’immanente” rischia di essere superato e lascia la Corte in un mare magnum. Le sue decisioni, infatti, vanno ad incidere direttamente sulle scelte del Parlamento ma non solamente perché basato su una comparazione scrupolosa di norma costituzionale e legge viziata, ma perché l’elemento di diffusione della valutazione del giudice a quo transita verso l’alto investendo la Corte di un dovere di mediatore e moderatore dei conflitti sociali e delle questioni economiche63 svolgendo, in molte occasioni, il ruolo di legislatore positivo e parallelo64 al Parlamento.65

62 La teoria maggioritaria è quella che sostiene che la Corte abbia un ruolo “attivo” e non solo di garanzia costituzionale come espresso anche da F. MODUGNO, La Corte, Op. cit.

63 Si veda S. GAMBINO, La giurisdizione costituzionale delle leggi. L’esperienza italiana nell’ottica comparata, in Datacompos.it, p.28; F. MODUGNO, La Corte costituzionale oggi, in G. LOMBARDI, Costituzione e giustizia costituzionale nel diritto comparato, Rimini, pp. 33 ss. 64 Ex multis, F. MODUGNO, Corte costituzionale e potere legislativo, in E. CHELI – P. BARILE – S. GRASSI, Corte costituzionale e sviluppo della forma di Governo in Italia, Bologna, 1982; A. PIZZORUSSO – E. ROSSI – R. ROMBOLI, Il contributo della giurisprudenza costituzionale alla determinazione della forma di Governo italiana, Torino, 1997.

65 Sui rapporti tra Corte e Parlamento si può fare riferimento a L. PEGORARO, La Corte e il Parlamento, ed. Cedam, Padova, 1987; A. RUGGERI, La discrezionalità del legislatore tra teoria e prassi, in A. VIGNUDELLI (a cura di), Istituzioni e dinamiche del diritto: i confini mobili della separazione dei poteri, Milano, 2009, pp. 15-75; E. ROSSI, Corte costituzionale e discrezionalità del legislatore, in R. BALDUZZI - M. CAVINO - J. LUTHER (a cura di), La Corte costituzionale vent’anni dopo la svolta, ed. Giappichelli, Torino, 2011, pp. 333-348; A. SPERTI, La discrezionalità del legislatore, in R. ROMBOLI (a cura di), L’accesso alla giustizia costituzionale caratteri: limiti, prospettive di un modello, Napoli, 2006, p. 625 ss.; R. PINARDI, Brevi note sull’‘effettività delle tecniche decisionali elaborate dalla Corte costituzionale allo scopo di ovviare all’inerzia legislativa, in R. BIN - G. BRUNELLI - A. PUGIOTTO - P. VERONESI (cura di),

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Il carattere accentrato, ed il suo superamento, se da una parte pone la Corte sopra alle mere contingenze, dall’altra investe tuttavia le sue decisioni di una forza prorompente che, avendo come oggetto le norme, tipico atto politico, rischia di far sì che essa possa porsi facilmente nel processo politico, non solamente nella logica contro maggioritaria ma essa stessa come legislatore “maggioritario” ove le garanzie lasciano il passo ad una Corte “in-politica”66 ma “nella politica”.

‘‘Effettività’’ e ‘‘seguito’’ delle tecniche decisorie della Corte costituzionale, Napoli, 2006, pp. 327-344.

66 Si fa evidentemente riferimento all’ interessante gioco di parole di G. ZAGREBELSKY, La Corte in-politica, in Rivista AIC, 2004.

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