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Una fase dinamica e di cambiamenti: le regioni e la Corte e i concetti di unitarietà

nazionale”

Come si è affermato, la classificazione delle fasi della Corte non può essere considerata un catalogo rigido, perfetto, ma una modalità di analisi dinamica utile per fissare punti comuni di orientamento della Corte.

Così, tra gli anni ’70 e ’80, la Corte opera in un clima ove le Regioni vengono istituzionalizzate, il referendum disciplinato e i partiti si riorganizzano.

Numerose le decisioni della Corte che dovrebbero essere richiamate ma ci limiteremo alle principali, o perlomeno a quelle che hanno interessato maggiormente temi di attualità parlamentare e che hanno creato un maggiore contrasto tra indirizzo politico della maggioranza e della Corte.

Alla fine degli anni ’60 la Corte fu criticata per aver assecondato troppo un ruolo di eccessivo immobilismo di fronte ai cambiamenti sociali in atto nel Paese209.

La Corte, tuttavia, come nota Pizzorusso, non ha sempre lo stesso atteggiamento e sarebbe errato pensare alla “svolta politica” come ad un periodo nel quale la Corte osteggia l’indirizzo politico di maggioranza210. Negli anni successivi questa critica risulterà ben più difficile da apportare.

Uno degli elementi principali di questa fase è rappresentato dalla nascita delle Regioni ed il conseguente atteggiamento della Corte.

Risulta necessario però chiarire da subito un aspetto: risulta eccessiva la critica che la Corte ha dovuto subire, talvolta anche dalla stessa classe politica, di aver osteggiato la spinta regionalistica.

La Corte, infatti, opera in un contesto differente, dove il Parlamento ha parzialmente superato la propria fase di inattivismo e si è fatto sempre di più promotore di grandi riforme. La Corte, quindi, non ha più la centralità ed il “peso”

209 Vedi F. BONINI, Op. cit., pp.108 e ss. L’ A. riporta quanto affermato nel 1970 dal Presidente Branca secondo cui il processo di “svecchiamento”, risultante ormai in atto, non si basa sulla mera modifica degli attori nella Consulta bensì dalla nuova sensibilità sociale degli uomini, e quindi dei giudici stessi, e del lavoro avvenuto negli anni di giurisprudenza che ha reso opinione comune quello che prima non lo era.

210 Si veda A. PIZZORUSSO, Meriti e limiti del processo costituzionale, in Politica del diritto, 1972, p. 424.

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che riuscì a conquistarsi nella prima supplenza ma agisce in un sistema istituzionale che si è sviluppato, diversificato, e le cui scelte si inseriscono in un processo dove le posizioni della Corte sono da stimolo dell’attività del legislatore211 .

In un primo momento la Corte affronta le questioni legate alla nascita delle Regioni ed al loro “conflitto” assecondando la spinta del Governo ad accentrare le competenze e contrastando, in qualche modo, quella che, al tempo, era vista come un problema non solo di funzionamento dell’organizzazione istituzionale ma che gli stessi Partiti osteggiavano per la paura di vedersi limitare, dai livelli regionali, il proprio potere decisionale. La Corte, infatti, sulle questioni regionali, adotta una giurisprudenza altalenante che ben si addice a quanto sostenuto dal Presidente Paladin nel discorso sul trentesimo anniversario dell’inizio dell’attività della Corte dove, guardando a quanto avvenuto dall’inizio dell’accumulo dell’arretrato evidenzia come «La Corte ha, fin dall’inizio, inteso ed applicato le norme costituzionali al di là delle semplici indicazioni testuali […] procedendo verso una visione sistematica e globale […] lontano da una disciplina costituzionale “pietrificata”, ancorata ai concetti ed alle terminologie giuridiche […] tutto ciò concorre a spiegare il perché la stessa Corte non abbia esitato in vari casi a cambiare giurisprudenza sforzandosi di renderla sempre adeguata al mutare dei tempi, agli sviluppi dell’ordinamento, al progredire della cultura giuridica, alle esigenze diffuse della società civile212».

Così è avvenuto sulle questioni regionali. L’attuazione delle egioni, resa possibile anche per superare quella fase di stallo che aveva passato il Parlamento, avvenuta con le elezioni del 1970, portò con sé la scelta del legislatore di trasferire alcune funzioni. Questo avvenne in due differenti momenti: nel 1972 (le cui statuizioni verranno “corrette” nel 1975) e nel 1977213.

211 S. RODOTA’, Op. cit., p.47.

212 Così L. PALADIN, Il trentesimo anniversario dall’inizio dell’attività della Corte, in cortecostituzionale.it.

213 Si fa riferimento alla legge n. 382 del 1975 che ampliò, non del tutto, le previsioni estremamente stato centriche dei ddl. del 1972, ed al d. lgs n. 616 del 1977, con il quale il legislatore nazionale supera la propria visione esclusivamente stato centrica per ampliare le materie di competenza delle Regioni.

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La questione principale si “racchiude” nell’interpretazione della clausola del “limite dell’interesse nazionale” che la Corte adotta nelle varie fasi. In un primo momento, infatti, la Corte, conferma l’indirizzo del legislatore che si era mostrato molto restio nell’aprire ad un cambiamento così forte del bilanciamento tra centro- periferia. Questo conservatorismo, che ha portato l’effettività delle Regioni ad un tempo notevolmente successivo all’adozione del testo costituzionale, è stato più volte affrontato da vari autori che hanno osservato come si sia tenuto un comportamento di conservazione rispetto “agli istituti di organizzazione tradizionale dello Stato accentrato”214.

La Corte quindi “segue” principalmente una impostazione restrittiva, limitando il potere delle Regioni mediante molteplici decisioni con le quali conferma la “predominanza” dell’esigenza unitaria dell’ordinamento, ma non fa mancare alla propria giurisprudenza numerose decisioni con le quali modifica il proprio atteggiamento anche a conseguenza della sua preoccupazione a seguire il reale sviluppo della società italiana215 .

La Corte svolge un ruolo centrale nella nuova riorganizzazione istituzionale e lo può compiere proprio dalla sua posizione sia di unitarietà e chiusura dell’ordinamento sia dalla sua struttura stabile, non sottoposta a controlli della maggioranza o delle opposizioni, che si scontra-incontra con la pluralità delle spinte, la veloce evoluzione alla quale è sottoposta l’economia e la società del tempo e l’opinione pubblica sempre più informata. Dalla nascita delle Regioni molti sono stati i dibattiti in dottrina, si pensi alle note ed articoli pubblicati da Mortati, Crisafulli ed Esposito sulla rivista

214 Come afferma G. BERTI, Corte Costituzionale e autonomie locali, in N. OCCHIOCUPO (a cura di), La Corte Costituzionale tra norma giuridica, Op. cit., pp. 174 e ss.

215 Come nota S. RODOTA’, Nota IV, in AA.VV., Quattro note sulla Corte costituzionale, in Politica del diritto, 1971, pp. 286 ss. secondo cui è rilevabile un nuovo interessamento sulle regioni, che verrà poi implementato negli anni successivi, con la crescita delle sentenze favorevoli che sono la dimostrazione come la Corte sia attenta alla sua evoluzione sociale. L’autore richiama la sentenza n. 39 e lo porta ad invocare la necessità di una esistenza di una “cultura per la Corte” che dipende non solo dai giudici ma dall’ambente che li circonda.

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“Giurisprudenza Costituzionale, sulla coesistenza e coabitazione tra il legislatore nazionale e le realtà territoriali216” .

Così, per citare le principali, la Corte, con le sentenze nn. 139 e 142 del 1972, riferite ai decreti prima ricordati, legittimò il ritaglio delle competenze mediante la sussistenza della preminenza del principio di un interesse nazionale, che portò a legittimare la tecnica del “ritaglio”. La Corte ha seguito poi altre strade, come nel caso della flebile apertura all’autonomia regionale rispetto all’attuazione del diritto comunitario o, nel 1983, con la sent. n. 307, dove volle garantire la supremazia di competenze regionali dove sono in gioco “funzioni e diritti costituzionalmente garantiti”217 sull’esigenza di diminuzione della spesa pubblica

che il legislatore statale aveva provato a limitare.

Interessante il dibattito che si instaurò durante un Convegno a Parma tra Bassanini e Berti, avvenuto sul rapporto tra Corte e Regioni nel maggio del 1976, ove fu delineato, con chiarezza e lungimiranza, l’atteggiamento della Corte, partendo ed arrivando, da punti di vista discordanti.

Se Bassanini, infatti, affermava che la determinazione del discrimine tra competenza regionale e statale viene lasciata dalla Corte in prima battuta alla “contrattazione” politica arrivando solo successivamente ad intervenire tra le parti, tuttavia confermava altresì quanto sosteneva Paladin sulla coscienza che la Corte ha circa le problematiche connesse nei rapporti Stato-Regioni.

La ricostruzione e la tesi di Bassanini è a lunghi tratti contrastante a quella di Berti secondo cui la Corte decide in tutta la sua giurisprudenza di preferire la tutela dell’unità su quella delle autonomie. La giurisprudenza della Corte, secondo Berti, si inserisce in un clima di preoccupazioni conservative portate avanti dalle forze politiche presenti in Parlamento. Così, le primissime sentenze218 hanno questo

forte richiamo ad un «rapporto successorio delle Regioni stesse nei confronti degli

216 Per una panoramica sulla dottrina si veda V. CRISAFULLI, Le Regioni di fronte alla Corte Costituzionale, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1963, pp. 537 e ss.; S. BARTHOLINI, Interesse razionale e competenza delle Regioni nella Giurisprudenza della Corte costituzionale, Padova, 1967; F. BASSANINI, L’attuazione delle Regioni, 1970, pp. 163 ss., S. BARTOLE, Il ruolo delle Regioni nella giurisprudenza costituzionale, in Giurisprudenza Costituzionale, 1972, pp. 843 ss.

217 Sent. n. del 1984 (relativa alla legge. fin. del 1984).

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organi statali […] che ha determinato il frapporsi di un diaframma tra l’ordinamento complessivo e le capacità delle regioni»219.

Le Regioni, quindi, erano qualificate dalla stessa Corte come entità amministrative dello Stato e, come tali, non solo direttamente connesse, ma fortemente limitate nel loro complesso tanto che si è avuta la trasformazione del conflitto di attribuzione al giudizio di legittimità rivolto solo formalmente alle violazioni inerenti le regole di competenza. Mediante le sentenze del 1972 prima richiamate, la stessa Corte ribadisce la questione degli interessi unitari rendendo labile il passaggio tra competenze regionali e competenze statali -quasi sempre a vantaggio dello Stato- e la limitazione non solo delle competenze ma anche delle possibilità di modellare nuovi modelli da parte delle stesse Regioni. A riprova di tutto ciò è possibile richiamare il rapporto tra quest’ultime e gli enti locali, anch’esso spesso limitato da Corte e da legislatore, al fine di evitarne una saldatura che minasse l’unità220.

Fu indicata come una “fuga dalla Corte” dopo i primi anni in cui le Regioni, davanti al giudizio costituzionale, vedevano sempre soccombere le proprie ragioni. La Corte, infatti, intuiva l’organizzazione Statale come un apparato unitario, accentrato, e non come articolato e policentrico.

Così, la Corte richiamò l’interesse unitario nella sentenza n. 142 del 1972, nella n. 151 del 1974, nelle nn. 58, 126, 127 e 175 del 1976 e in molte altre ove l’esigenza primaria fu quella di garantire unità diminuendo al massimo le spinte centrifughe.

Senza dubbio questa “fuga” si fermò con la giurisprudenza degli anni ’80 dove la Corte iniziò a bilanciare maggiormente le esigenze unitarie e le spinte autonomistiche, limitando l’iniziativa politica statale atta a diminuire le risorse a disposizione delle Regioni, al fine di razionalizzare la spesa pubblica. La Corte quindi, con il tempo ed a piccoli passi ha iniziato a sindacare con maggiore costanza alcune scelte legislative che rischiavano di mettere in crisi l’intero sistema delle autonomie allontanandosi da quella spinta statocentrica che la aveva

219 Cit. G. BERTI, Op. cit., p. 176.

220 Si veda ad esempio la questione legata al potere sostitutivo del commissario di Governo affrontata dalla sentenza n. 45 del 1976.

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caratterizzata in un primo periodo ed aiutando in sostanza l’affermazione delle Regioni nell’ordinamento221. Come vedremo, questo atteggiamento, è presente ancora oggi seppur si ritrovino spesso decisioni in cui la Corte, prendendo atto dell’esigenza primaria di diminuzione del debito pubblico e razionalizzazione delle istituzioni, a fronte di una dimostrata correttezza istituzionale e garanzia di concertazione (da qui le sentenze interpretative di procedura che vedremo in seguito), è risultata maggiormente propensa a non mettere sullo stesso piano le istanze regionali con quelle statali e di sistema.

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9. La radiotelevisione e l’opinione pubblica: un esempio della

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