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Gli altri come gruppo di riferimento (in-group) e gli altri come estranei (out-

4. Dal generale al particolare: il concetto di altro e il confronto sociale

4.4. Gli altri come gruppo di riferimento (in-group) e gli altri come estranei (out-

In questa ultima sezione verrà inquadrato invece il concetto di “altro” come simile o come diverso da sé. Abbiamo parlato di RS collaborative filtering (Par. 2.1.), ovvero quei sistemi che suggeriscono agli utenti prodotti o servizi basandosi su item a cui altri utenti hanno assegnato precedentemente una valutazione (rating) o che altri utenti precedentemente hanno scelto. La logica alla base di questo meccanismo è strettamente connesso al concetto di omofilia (McPherson et al., 2001): ovvero, gli utenti con preferenze simili hanno maggiore probabilità di essere collegati, e l'influenza sociale afferma che è più probabile che utenti connessi fra loro abbiano preferenze simili. Partendo da questo assunto, ai fini di questa indagine, si è ritenuto opportuno considerare più da vicino l’aspetto della similarità fra utenti in un contesto di e-commerce.

Per cui, partendo da un approfondimento relativo al concetto di gruppo di riferimento e di appartenenza, si è arrivati a passare in rassegna gli studi in cui tali stimoli di influenza intervengano nella sfera del consumo.

Partendo dalla definizione di gruppo, per il sociologo Homans (1950) ci si riferisce ad un certo numero di persone che interagiscono l’una con l’altra secondo modelli stabiliti. Per essere tale, il gruppo deve essere costituito da un numero di persone che hanno determinati rapporti sociali. I rapporti sociali sono modelli sistematici di interazione sociale e durano abbastanza a lungo da diventare parti identificabili di una struttura sociale. La seconda condizione per dare la definizione di gruppo è quando gli individui in rapporto di interazione si definiscono “membri”, ciò sta a significare che hanno aspettative definite circa le forme dell’interazione che sono “moralmente” vincolanti per i “membri”, ma che non lo sono per gli individui considerati “estranei” al gruppo. Il terzo criterio è che le persone in rapporto fra loro siano definite da altri come “appartenenti al gruppo”, e questi altri possono essere o non essere membri del gruppo stesso.

“Che gli uomini agiscano entro un quadro sociale di riferimento fornito loro dai gruppi di cui fanno parte è un concetto antico e indubbiamente giusto” (Merton, 1949, p. 542). Partendo da questa affermazione di Merton, si potrebbe fare una riflessione sul quadro sociale di riferimento fornito agli individui dai gruppi di riferimento di cui fanno parte. In due loro saggi, Kelley (1952) e Turner (1956) hanno affrontato il tema dell’identificazione dei tipi di gruppo di riferimento esistenti più importanti, in rapporto alle funzioni che svolgono nei confronti degli individui che si orientano in essi.

Sono riusciti a definire due tipi principali di gruppi di riferimento: il primo è il “tipo normativo” che definisce e mantiene gli standard dell’individuo; il secondo è il “tipo comparativo” che fornisce un quadro di paragone in base al quale l’individuo valuta se stesso e gli altri. Il “tipo normativo” è una fonte di valori che alcuni individui assimilano;

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il “tipo comparativo” rappresenta un contesto per valutare la posizione relativa se stessi e gli altri. Fu il sociologo William G. Sumner a introdurre per la prima volta il concetto di in-group e out-group. Nella sua definizione egli fece una distinzione tra “noi stessi, il nostro gruppo o in-group e qualsiasi altro individuo, o gli altri gruppi o out-groups” (Sumner, 1906, pp.16-17). La visione di gruppi interni ed esterni appariva prematura nel momento in cui per definirla Sumner affermò che i criteri per considerare un gruppo un in-group è quando vi è amicizia e ordine e quando, di contro, il rapporto con il gruppo esterno è di ostilità e sfruttamento. In questa sua visione però venne trascurato il fatto che il gruppo esterno, in determinate circostanze, può diventare una base di riferimento positiva e non ostile.

Merton, nella sua opera “Teoria e strutture sociali” del 1949, parlando di gruppi di riferimento, fece una distinzione tra ciò che si intende per in-group e per out-group. Quando esistono prolungati rapporti sociali fra l’individuo e coloro che vengono presi come termini di paragone, indica che essi fanno parte di un comune gruppo di appartenenza, o appunto di un in-group. L’assenza di questi rapporti invece indica che coloro che vengono presi come termini di riferimento fanno parte di un gruppo esterno, out-group.

I gruppi di riferimento sono in teoria innumerevoli, così anche i gruppi di cui non si è membri che possono però diventare dei punti di riferimento per la formazione degli atteggiamenti di una persona, così come delle sue valutazioni e del suo comportamento. Non vi è nulla di fisso rispetto ai confini che delimitano i gruppi di appartenenza, in- group e out-group. Essi infatti variano col variare della situazione. Vi è però un altro fatto che mette in luce quanto gli uomini, nel fornire il loro comportamento e le loro valutazioni, si orientino di frequente anche verso i gruppi di non-appartenenza.

Questo stesso tipo di concetti emerge anche dall’opera “Studies in the Scope and Method of ‘The American Soldier’”. Dai risultati contenuti nella matrice di questo studio, Merton e Lazarsfeld affermano che in determinate situazioni gli individui prendono come base di riferimento personale la situazione delle persone con cui sono in diretta interazione sociale: in primo luogo gli amici e i membri del gruppo di appartenenza. Altre volte invece il quadro di riferimento è fornito da categorie sociali di individui con cui l’individuo non ha rapporti sociali stabili e continuati.

Si possono considerare quadri sociali di riferimento sia i gruppi di appartenenza che i gruppi di non-appartenenza, sia gli in-group che gli out-group. Da qui ne deriva una domanda fondamentale alla base di una teoria del comportamento secondo gruppi di riferimento:

«in quali condizioni si verifica il caso che l’individuo valuti se stesso e formi i suoi atteggiamenti prendendo come quadro di riferimento il suo gruppo, e viceversa in quali condizioni sono i gruppi di non-

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appartenenza e gli out-groups a fornire il significativo quadro di riferimento?» (Merton, 1949, p. 464).

Secondo Merton è possibile che quando vi è una pressione di diversi gruppi d’appartenenza per un’autovalutazione, e queste pressioni sono contrastanti, l’individuo tenda ad adottare i gruppi di non appartenenza come quadri di riferimento.

La “non appartenenza” ha bisogno di criteri di identificazione. I “non membri” sono coloro che non soddisfano i criteri di interazione e di definizione di appartenenza e potrebbe sembrare che la definizione di membro possa essere sufficiente anche a definire un “non membro”. La definizione per esclusione però tende ad oscurare elementi significativi di ciò che viene definito solo negativamente. Questo è appunto il caso del concetto di non appartenenza ottenuto per esclusione (Parsons, 1937).

Il saggio di Merton (1946) “Patternes of social life”, affronta uno studio sull’efficacia comparata di “uno sfondo primario di opinione”, ovvero le opinioni delle persone più vicine ad un individuo, e “uno sfondo secondario di opinione”, ovvero le opinioni di coloro che non hanno rapporti sociali stabili con l’individuo. Se i due sfondi arrivano a confliggere, di solito il primo prevale sull’ultimo.

“Un individuo non ha esperienza di se stesso, come tale, ma solo una esperienza indiretta che gli deriva dai particolari punti di vista di altri individui del medesimo gruppo o dal punto di vista generalizzato del gruppo a cui appartiene” (Mead, 1934, p. 156).

Le espressioni “un altro”, “l’altro”, “gli altri”, ricorrono spesso nell’ambito della tesi relativo allo sviluppo del se sociale che implica una reazione agli atteggiamenti di “un altro” o di “altri”. Lo status variabile di “questi altri”, assunti probabilmente come quadri di autoriferimento, viene trascurato.

Nell’ambito del confronto tra l’individuo e il gruppo di appartenenza, possono intervenire due fenomeni: la conformità o l’alienazione.

Secondo Merton:

La conformità sociale denota abitualmente la conformità alle norme e alle aspettative correnti del proprio gruppo di appartenenza… [E, come abbiamo visto,] la conformità alle norme di un gruppo di non appartenenza equivale così a ciò che normalmente viene chiamato non conformità alle norme del proprio gruppo (1949, pp. 513-514).

L’alienazione invece può essere concepita come:

[…] parte di una struttura motivazionale ambivalente, a differenza di ciò che avviene per conformità. Quando non vi è nessun attaccamento all’oggetto e (o) nessuna interiorizzazione del modello normativo, l’atteggiamento non è di alienazione, ma di indifferenza. Tanto

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l’oggetto sociale quanto il modello normativo sono divenuti solo oggetti neutrali della situazione, ormai privi di importanza per il sistema dei bisogni dell’ego. Il conflitto in questo caso sarebbe risolto completamente, mediante la sostituzione di un nuovo oggetto, l’inibizione o l’estinzione dell’atteggiamento di bisogno e (o) l’interiorizzazione di un nuovo modello normativo (Parsons, p, 264, 1937).

Newcomb (1950) in uno studio del 1943 sull’assimilazione dei valori da parte di studenti universitari aveva affermato che le norme di un gruppo di riferimento possono essere rifiutate dagli individui e aveva fatto una distinzione tra “gruppi positivi” e “gruppi negativi”. Il tipo positivo implica un’assimilazione delle norme e degli standard del gruppo come base per l’autovalutazione. Il tipo negativo invece implica un rifiuto motivato delle norme e anche la formazione di norme contrarie. In sostanza, alcuni atteggiamenti, valori, conoscenze che potrebbero essere socialmente e personalmente funzionali, potrebbero essere respinti solo perché si identificano con un gruppo di riferimento negativo.

Sono stati fatti anche esperimenti sociali per valutare l’effetto dell’influenza dei gruppi, in particolare di in-group e out-group.

Nel caso specifico dell’influenza di in-group e out-group nell’ambito della scelta di un prodotto, viene dato un esempio dallo studio di Go, Jung e Wu, 2014.

Lo studio è stato progettato come un esperimento online tra soggetti ed intervenivano tre stimoli di influenza: competenza, identità (rappresentata dall’intervento di un in- group e di un out-group) e popolarità. Lo scopo dello studio era quella di osservare quale fattore influenzasse la credibilità e l’attendibilità di una fonte di informazione. Le fonti di informazione prese in esame in questo studio erano due testate giornalistiche: il The Chicago Tribune, rappresentate la fonte con alta competenza, e il The National Enquirer, rappresentante la fonte con bassa competenza. Lo stimolo di identità è stato manipolato differenziando le affiliazioni universitarie di chi forniva il consiglio. Ai partecipanti alle condizioni in cui interveniva lo stimolo di in-group veniva detto che i consiglieri delle notizie erano studenti della stessa università dei partecipanti, mentre ai partecipanti alle condizioni di out-group era stato detto che i consiglieri erano studenti di un'università rivale. Infine, l'idea di popolarità è stata manipolata variando il numero di consiglieri delle notizie dell’articolo: un numero di consiglieri molto alto (987) e uno molto basso (13) per rendere l'esperimento più realistico.

I risultati dello studio hanno messo in luce che l’indicatore di competenza (in questo caso, l’autorevolezza dell'agenzia di stampa) aveva un effetto significativo sulla valutazione della qualità delle notizie da parte degli utenti. L’indicatore di competenza infatti può o aumentare la percezione di qualità delle notizie, qualora alla notizia venisse

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attribuita una fonte autorevole, o indebolire la percezione di qualità delle notizie, se queste vengono fatte risalire ad un'agenzia di stampa meno autorevole.

Un altro risultato dello studio è che una notizia attribuita ad una fonte autorevole e inoltre raccomandata da un gran numero di utenti (popolarità) viene percepita come più credibile rispetto ad una notizia con qualsiasi altra combinazione del segnale di competenza e di popolarità (ad esempio, alta competenza della fonte unita a bassa popolarità, fonte con poca competenza unita ad un’alta popolarità o fonte con segnale di poca competenza con segnale di bassa popolarità). L’effetto dell’interazione tra segnali di competenza e di popolarità sugli utenti, rispetto alla percezione di credibilità delle notizie, indica che quando entrambi i tipi di segnali di raccomandazione sono al loro livello più alto (ovvero, un alto livello di competenza unito ad alta popolarità), la percezione della credibilità e della qualità della notizia viene enfatizzato al massimo (Sundar et al., 2007). Un’altra importante conclusione di questo studio ha messo in luce l’effetto dell’interazione tra le tre diverse fonti di raccomandazione, compreso il segnale di identità. In particolare, se i lettori di notizie arrivano ad identificarsi con chi le consiglia (notizie fornite da membri dello stesso in-group o da persone percepite come simili a se stessi), l'effetto dell’autorevolezza della fonte e del segnale di popolarità scompare (cioè le notizie vengono percepite ugualmente come credibili, indipendentemente dalla competenza della fonte e dal numero di raccomandazioni). Probabilmente, ricevere consigli dallo stesso in-group (in questo caso da individui della stessa università) potrebbe aver indotto i partecipanti a percepire essi stessi nel ruolo di consiglieri, facendo riferimento a consigli forniti da individui simili. Di conseguenza, i partecipanti potrebbero aver adottato le notizie raccomandate dai loro coetanei senza prestare troppa attenzione agli altri segnali (cioè, competenza e popolarità) nel valutare la credibilità delle notizie. D'altra parte, quando i partecipanti hanno interagito con le notizie consigliate da membri di un'università rivale (segnale di out-group), con i quali era difficile identificarsi, il contenuto delle notizie veniva considerato non importante per i partecipanti dell’esperimento, quindi per lo più ignorato (Koh e Sundar, 2010).