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Come abbiamo precedentemente accennato, la mancanza di accesso o il degrado delle risorse naturali e dei servizi di base è uno dei problemi più importanti e urgenti da affrontare.

Ci sono paesi caratterizzati o da una carenza cronica di risorse naturali (pensiamo ad alcune zone dell’Africa in perenne desertificazione) o da una mancanza di accesso alle risorse dovute a problemi “gestionali” o “qualitativi” (per esempio la lontananza delle fonti di acqua potabile e la mancanza di mezzi di trasporto o la privatizzazione e l’assegnazione di un costo elevato alle risorse naturali essenziali).

Il tutto è aggravato dalla presenza di una politica mondiale sulle risorse naturali, governata dalle “corporations”, costituita da processi che vedono la mercificazione non solo delle risorse naturali essenziali, ma anche dei beni comuni, che limitano ai ceti meno abbienti l’accesso all’acqua, all’energia, ecc. In Amazzonia molte comunità di Indios vivono esclusivamente di raccolta dei frutti che la terra, la foresta e i fiumi offrono. Con la privatizzazione da parte di imprese spesso straniere, che hanno il fine di sfruttare le risorse naturali per scopi economici (per esempio creazione di monocultura di soia o di canna da zucchero), queste comunità non hanno più accesso alle loro semplici fonti di sostentamento. Nel Semi Arido brasiliano la privatizzazione e il controllo da parte di alcune imprese di moltissime sorgenti, insieme alle caratteristiche del territorio, rendono impossibile, er molti contadini del Sertão, anche l’agricoltura di sussistenza. In Colombia il controllo e la confisca delle terre da parte di multinazionali che sviluppano la monocultura di palma africana a scopi industriali, oltre a distruggere la biodiversità di uno dei paesi più ricchi al mondo in termini di risorse naturali, rende quasi impossibile l’accesso alla terra alle comunità locali di contadini. La popolazione di uno dei paesi più ricchi al mondo in biodiversità quindi si ritrova a non aver accesso alle risorse naturali.

Quindi accade spesso che, in molti paesi o luoghi dove le risorse non sono carenti, la popolazione più povera non vi ha accesso per motivi riguardanti la cosiddetta “politica del paese sulle risorse”. Non a caso si parla di “natura, potere e povertà”, proprio per indicare come la povertà sia spesso il frutto di una gestione sbagliata e ingiusta dell’ecosistema. I giochi di potere e controlli di élite che causano tutto ciò sono rappresentati dalle politiche economiche delle multinazionali, imprese che possiedono o controllano attività di produzione di beni o servizi in vari paesi; il loro operato, secondo i critici, causa dipendenza economica e tecnologica dei paesi più poveri da quelli industrializzati, dove hanno sede le grandi “corporations”. Accade così che molte delle risorse produttive locali vengano assorbite dalle imprese straniere e che il paese di destinazione venga privato di qualsiasi stimolo alla ricerca che rimane prevalentemente di competenza del paese investitore.

Le attività delle multinazionali non vanno confuse con un altro fenomeno oggi molto esteso, la cosiddetta delocalizzazione, ossia il fatto che un'impresa trasferisce completamente la propria attività all'estero, probabilmente a causa di costi di produzione o trattamento fiscale più convenienti.

Le ragioni della nascita delle multinazionali sono invece più complesse, e tra esse hanno certo un peso i problemi inerenti la dinamica interna delle grandi imprese. Il ruolo delle multinazionali nei paesi in via d'industrializzazione è molto controverso. I fautori dei vantaggi della partecipazione all'economia mondiale sottolineano la possibilità che l'arrivo di multinazionali acceleri il processo d'industrializzazione, consenta un elevato tasso d'investimento, introduca più rapidamente nuove tecnologie, favorisca lo “sviluppo” di nuove professioni e quindi del capitale umano, e generi un più elevato tasso di crescita dell'economia.

I critici obiettano che le multinazionali hanno uno scarso impatto sull'occupazione locale anzi, con le loro azioni, ne sfruttano le risorse per trarne un maggiore profitto. Infatti:

- tendono ad utilizzare manodopera specializzata della madrepatria, in quanto grandi imprese;

- tendono a produrre limitazioni della concorrenza e a introdurre pratiche monopolistiche;

- hanno uno scarso effetto sul reddito locale in quanto gran parte dei profitti sono rimpatriati;

- possono creare varie forme di dipendenza del paese ospitante rispetto al paese investitore, tra cui la creazione d'interferenze politiche straniere per la tutela degli interessi dei loro insediamenti industriali;

- introducono sistemi e tecnologie di produzione “trasferiti” dal Nord, non sostenibili a livello economico, sociale ed ambientale e quindi non applicabili alla realtà;

- inaspriscono le disuguaglianze sociali;

- sottraggono il controllo e la gestione delle risorse naturali alle stesse comunità, allontanandole dai processi decisionali e quindi bloccandone la “crescita sociale” e quindi lo “sviluppo umano”.

Salute

L’ecosistema fornisce il fondamento per la sopravvivenza di tutti gli uomini, offrendo cibo dalle sue foreste, fiumi e laghi, aria, suolo, acqua e altri elementi essenziali. Tra tutte le persone al mondo che vivono sotto la soglia di povertà, i tre quarti vivono in zone rurali; per queste genti la natura è un bene quotidiano e prezioso, forma essenziale per la sussistenza, fonte primaria di reddito rurale, in quanto nei PVS la maggior fetta della popolazione vive di agricoltura, pesca o raccolta da ambienti forestali. Sono infatti le persone che vivono in ambiente rurale che hanno una relazione unica con la natura e che basano il loro reddito sui beni naturali e non monetari.

Sin dal 1992 al Summit della Terra a Rio de Janeiro è stata riconosciuta l’importanza di un ecosistema sano per condurre una vita dignitosa, specialmente nelle zone rurali povere dell’Africa, dell’Asia e dell’America

Latina. Molti programmi attuati dalla politica internazionale per ridurre la povertà, però non tengono ben conto del legame tra la vita di queste persone e l’ambiente, in quanto l’ecosistema reso produttivo tramite tecniche o tecnologie sostenibili, può essere una fonte permanente di reddito e può migliorare le condizioni di vita per questa fetta della popolazione. L’ambiente inoltre è anche una fonte di vulnerabilità. Fattori ambientali e accesso alle risorse contribuiscono in maniera sostanziale ai problemi di salute della fetta più povera della popolazione, che tra l’ altro risulta più vulnerabile alla malnutrizione, ai disastri e ai rischi connessi a fenomeni come i cambiamenti climatici, e che spesso vive in zone insalubri, non avendo accesso all’acqua potabile e ai sistemi fognari.

I rischi ambientali e l’ambiente insalubre rappresentano una parte significativa dei rischi per la salute. Da una valutazione della WHO (Organizzazione Mondiale della Sanità), le cause ambientali rappresentano 21% delle cause generanti le patologie tipiche delle zone povere (infezioni respiratorie, diarrea).

Cause ambientali che causano rischi per la salute soprattutto per i ceti più poveri. Ezzati 2004.

La sopravvivenza, la salute delle famiglie povere che vivono in zone rurali, la loro agricoltura di sussistenza, la pesca, la raccolta, la sicurezza alimentare in genere, sono messe a rischio anche da fenomeni come il

disboscamento, l’espropriazione, il degrado del terreno e delle acque e i cambiamenti climatici, dalla salute degli ecosistemi in generale.

Stima della mortalità attribuita ai cambiamenti climatici, 2000. WHO 2005.

Quindi mentre tutta l’umanità è influenzata e risente della degradazione degli ecosistemi, i poveri soffrono in maniera sproporzionatamente maggiore gli effetti nocivi del degrado dell’ambiente, anche a causa della grande disparità economiche e sociali. Per esempio, malgrado gli aumenti globali nella quantità di alimenti disponibile pro capite, oltre 800 milioni di persone soffrono la malnutrizione e la produzione di alimenti pro capite è diminuita nell’Africa Sub-Sahariana. Mentre la disponibilità di acqua pro capite è aumentata in molte regioni del mondo, la metà della popolazione urbana in Africa, Asia, America Latina e nei Caraibi ha accesso solo ad acqua contaminata. La degradazione dell’ecosistema quindi ha costi umani, sociali, finanziari, e non solo ambientali molto reali.

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