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Ambienti stressanti

Nel documento DIPARTIMENTO DI MEDICINA E CHIRURGIA (pagine 109-0)

CAPITOLO 3: Ontogenesi psicologica, aspetti psicopatologici e prospettive cliniche della paura della

3.3 Gli antecedenti dell’ansia di morte

3.3.3 Ambienti stressanti

Il primo antecedente della paura della morte postulato da Lehto e Stein (2009) è costituito da ambienti stressanti. Templer (1976) postulò che ci sono due fattori che possono influenzare il grado di ansia di morte: il primo è lo stato generale di salute psicologica, il secondo è costituito da eventi ambientali ed esperienze personali stressanti, come per esempio la guerra (per una discussione più dettagliata sul modello dei due fattori della morte si rimanda al sottoparagrafo 2.4.4). Un primo studio che indaga come la guerra possa influire sul livello di ansia di morte è quello di Lonetto et al. (1980), che hanno confrontato l’ansia di morte in due campioni di studenti universitari: il primo viveva in Irlanda del Nord, un luogo che in quel periodo era caratterizzato da disordini civili, il secondo viveva in una regione sud-occidentale della provincia dell'Ontario (Canada), un luogo che in quel periodo era libero da disordini civili. È stato riscontrato che, nonostante la differenza non significativa tra i due gruppi sul punteggio totale della Death Anxiety Scale (DAS; Templer, 1970), gli studenti dell’Irlanda del Nord erano più preoccupati di ricevere una diagnosi di cancro, di vivere una vita più breve e di vedere

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un cadavere rispetto alle loro controparti canadesi; questo risultato è probabilmente dovuto agli effetti a lungo raggio che i disordini civili hanno avuto in questa nazione. Dall’altra parte, gli studenti canadesi erano più preoccupati per gli aspetti cognitivi dell'ansia da morte, cioè avevano più paura di morire e di avere pensieri riguardanti la morte.

Nel 1991, Abdel-Khalek pubblicò un report basato su uno studio condotto nel 1986, in cui sosteneva che ci sono diverse ragioni per ipotizzare che i campioni libanesi potrebbero ottenere un punteggio medio di ansia di morte più elevato rispetto a campioni di altri paesi arabi. La ragione principale di questa ipotesi è la guerra civile in Libano, che ha portato a massacri e rapimenti; inoltre, l’esercito israeliano è entrato in Libano nel 1982, portando a molte morti nei campi profughi. Tuttavia, è stato riscontrato che i campioni libanesi avevano lo stesso o addirittura un punteggio medio inferiore sull’ansia di morte rispetto ai loro coetanei arabi e statunitensi. Questo risultato è stato interpretato alla luce della tecnica psicoterapeutica del flooding27: la continua esposizione ad un ambiente insicuro determina alla fine una diminuzione dei livelli di ansia di morte.

In uno studio successivo (1998b), Abdel-Khalek ha confrontato i punteggi medi sulla DAS tra due campioni di studenti kuwaitiani: uno reclutato nel 1988 (prima dell'invasione irachena) e l’altro reclutato nel 1993 (dopo la liberazione irachena). I risultati hanno rivelato che il campione del 1993 ha raggiunto punteggi medi significativamente più alti sulla DAS rispetto alle loro controparti testate nel 1988, denotando punteggi medi più alti dopo l’invasione.

Roshdieh e collaboratori (1999) hanno studiato la relazione tra l’ansia di morte e la depressione nei musulmani iraniani esposti a eventi legati alla guerra tra l’Iran e l’Iraq del 1980-1988. I risultati hanno rivelato che coloro che erano stati più esposti a eventi traumatici legati alla guerra e coloro che erano meno religiosi avevano una maggiore ansia di morte e depressione.

27 In psicologia il flooding (detto anche immersione o implosione) è una tecnica cognitivo-comportamentale che consiste nell’affrontare e nel risolvere i disturbi psichici, soprattutto le fobie, attraverso l’esposizione forzata alla situazione temuta. Lo scopo è quello di ottenere la diminuzione e successivamente l’eliminazione delle reazioni emotive e dei comportamenti problematici legati allo stimolo fobico (https://unafinestrasullapsiche.com/2019/02/27/immergersi-nella-propria-paura-il-flooding/).

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In uno studio del 2004, Abdel-Khalek ha confrontato il livello di ansia di morte in diversi campioni di studenti kuwaitiani in sette somministrazioni, una effettuata nel 1988, quindi prima dell’invasione irachena, e le altre sei effettuate dopo la liberazione, quindi tra il 1993 e il 2002. Questo studio prevedeva di testare due ipotesi: la prima è che il livello di ansia di morte dovrebbe essere più alto dopo l’invasione irachena rispetto a prima dell’invasione, la seconda è che il livello di ansia di morte dovrebbe diminuire con il passare del tempo. Sia i maschi che le femmine mostrarono un aumento significativo del punteggio medio della DAS nei tre anni dopo la liberazione irachena (1993, 1995 e 1996) rispetto al punteggio medio della DAS misurato nel 1988. Questo risultato è coerente sia con il secondo fattore postulato da Templer (1976), sia con gli studi precedenti di Abdel-Khalek (1998) e di Roshdieh et al. (1998-99); tuttavia, tale risultato è in contrasto con i risultati di Lonetto et al. (1980).

Successivamente, non sono state rilevate differenze significative sulla DAS nelle ultime tre somministrazioni (1997, 2000 e 2002). Si può quindi dire che il passare degli anni ha diminuito il punteggio medio di ansia di morte a seguito dell’estinzione degli effetti traccia dell’aggressione.

Questi risultati verificano entrambe le ipotesi del presente studio.

In un altro studio, Abdel-Khalek & Tomás-Sábado (2005) hanno riscontrato che gli studenti di infermieristica egiziani mostravano una maggiore ansia per la morte rispetto agli studenti di infermieristica spagnoli; secondo gli autori, questo risultato è probabilmente dovuto al fatto che rispetto alla Spagna, l’Egitto ha un reddito pro-capite più basso e manifesta un maggiore stress causato dal fatto di essere un paese in via di sviluppo e culturalmente più preoccupato per il lutto.

Tutti gli studi visti finora dimostrano che fattori ambientali stressanti e imprevedibili possono influenzare il livello di ansia da morte; tuttavia, potrebbero esserci delle eccezioni. In un ampio studio condotto da Floyd e collaboratori (2005) su giovani studenti universitari negli Stati Uniti utilizzando la Multidimensional Fear of Death Scale (Hoelter, 1979; Neimeyer e Moore, 1994), è stata trovata poca differenza sull'ansia di morte complessiva tra gli studenti che hanno riportato esperienze traumatiche (per esempio, un grave incidente automobilistico) e quelli che non lo hanno fatto.

111 3.3.4 Diagnosi di malattia grave

Il secondo antecedente della paura della morte postulato da Lehto e Stein (2009) è la diagnosi di una malattia grave o terminale. Secondo vari autori, la diagnosi di una malattia grave pone il paziente faccia a faccia con la morte (Emmanuel et al., 2004; Soleimani et al., 2017) e lo espone a molteplici conseguenze negative, tra cui – appunto – la paura della morte e del morire (Bahrami et al., 2013).

Che i pazienti abbiano una maggiore paura della morte rispetto ai non pazienti era già stato affermato da Cappon nel 1962: nel suo studio, l’autore ha osservato che i pazienti facevano più frequentemente riferimento alla paura della morte, ma quanto più una persona era vicina alla morte reale (ad esempio, malati terminali di cancro) tanto più frequentemente le affermazioni sulla morte e sulla paura di morire diventavano indirette. Le affermazioni dirette sulla morte e sulla paura di morire erano invece più frequenti tra i pazienti psichiatrici, che mostravano anche la più alta incidenza di mancata compilazione dei questionari riguardanti sulla paura della morte, il che di per sé può essere preso come indice di questa paura (Cappon, 1962). Più avanti, Smith et al. (1984) trovarono che i malati terminali ottenevano punteggi bassi sulla Fear of Death Scale, suggerendo una bassa ansia di morte;

secondo gli autori, ciò è probabilmente dovuto all’accettazione realistica della morte, al venire a patti con l’inevitabilità della stessa e alla credenza dell’esistenza di un aldilà.

In letteratura è possibile trovare numerosi studi che indagano la paura della morte nei pazienti con diverse malattie, sia somatiche che psichiche. Sebbene le neoplasie siano tra le principali cause di morte nel mondo, non ci sono risultati conclusivi che stimano la prevalenza dell’ansia di morte tra i malati di cancro (Soleimani et al., 2020). Soleimani et al. (2020) hanno condotto una meta-analisi su 22 studi che indagano la paura della morte nei pazienti con tumore, concludendo che tale paura è moderata e influenzata da fattori socio-demografici come il tipo di cancro, il Paese, il sesso, l’età e lo stato civile. Per quanto riguarda il tipo di cancro, i risultati della meta-analisi rivelano che i pazienti con cancro al seno erano quelli con maggiore ansia di morte; ciò potrebbe essere dovuto all’impatto – sia fisico che psicologico – che la mastectomia ha sulla donna, per esempio a livello dell’immagine corporea (Berek, 2012; Ramezani, 2001; Soleimani et al., 2020). Per quanto riguarda il sesso, i

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risultati del presente studio rivelano una maggiore paura della morte nei pazienti di sesso femminile, che sperimentano anche un maggior disagio psicologico (Suhail e Akram, 2002). Drolet (1990) afferma che i pazienti di sesso maschile pensano più frequentemente alla morte, ma provano meno sentimenti negativi e meno ansia per essa. Inoltre, è stato riscontrato che le pazienti più giovani sperimentavano più stress emotivo rispetto a quelle più anziane, probabilmente a causa della loro maggiore attenzione verso il processo patologico (Wenzel et al., 1999). Per quanto riguarda il Paese, i risultati della meta-analisi mostrano che nei paesi a basso reddito i malati di cancro sperimentano maggior disagio psicologico (Subramaniam et al., 2017), il che è probabilmente dovuto alla carenza di farmaci, alla mancanza di copertura assicurativa e agli elevati costi degli interventi chirurgici, tutti fattori che influenzano il tasso di successo del trattamento, e quindi il recupero, del paziente malato di tumore (Soleimani et al., 2020). Infine, i risultati della meta-analisi riportano dati contrastanti su stato civile e paura della morte nei pazienti con tumore: alcuni studi mostrano che i pazienti sposati avevano una maggiore ansia di morte rispetto ai non sposati (single, divorziati o vedovi), altri invece riportano tassi di paura più elevati nei pazienti single (Gilbar et al., 1995). In generale, il legame tra stato civile e ansia di morte non è chiaro ed è probabilmente moderato dalla cultura, dal tipo di cancro, dalle credenze spirituali e dal sostegno sociale percepito (Soleimani et al., 2020).

Un’altra malattia che può generare intesa paura di morire è la sindrome coronarica acuta, sebbene oggi il tasso di sopravvivenza sia molto elevato. Whitehead e collaboratori (2005) hanno scoperto che la stragrande maggioranza dei pazienti con sindrome coronarica acuta manifesta intensa o moderata paura della morte, che non sono correlate alla presentazione con STEMI o NSTEMI/UA28, alla storia clinica o al rischio futuro, e alle circostanze che circondano l’insorgenza. Gli autori hanno scoperto che il disagio e la paura della morte sono fenomeni guidati da altri aspetti esperienziali. Uno di questi è il dolore: i pazienti che avevano sperimentato un forte dolore toracico avevano una probabilità cinque volte maggiore di riportare intenso disagio e paura di morire rispetto a quelli con

28 STEMI: ST-segment elevation myocardial infarction (infarto miocardico acuto con sopraslivellamento del tratto ST);

NSTEMI: non ST-segment elevation myocardial infarction (infarto miocardico acuto senza sopraslivellamento del tratto ST); UA: unstable angina (angina instabile)

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dolore basso. Altri fattori sono il sesso e lo status socio-economico: l’angoscia e la paura di morire erano più comuni nelle donne e nei pazienti di status socioeconomico inferiore. È probabile che i soggetti con un basso status socio-economico abbiano minori conoscenze sulla gestione efficace delle condizioni cardiache acute, il che può portate a temere il peggio. È stata poi trovata un’associazione con lo stress emotivo precedente, che può fungere da innesco per una sindrome coronarica acuta (Strike e Steptoe, 2005).

Abdollahi (2019) ha dimostrato che lo stress percepito aumentava l’ansia di morte pazienti con sclerosi multipla, soprattutto in quelli con bassa auto-trascendenza, uno dei meccanismi che secondo la teoria della gestione del terrore (Greenberg et al., 1997) permette di tamponare l’ansia di morte.

L’ansia di morte è una delle principali conseguenze psicologiche dell’HIV, il virus dell’immunodeficienza umana che porta all’AIDS. Miller et al. (2012) hanno eseguito una meta-analisi di 18 studi su HIV/AIDS e ansia di morte, che dimostra che:

• L’ansia di morte è maggiore nelle persone sieropositive e sintomatiche, soprattutto in quelle più anziane, e si attenua col passare del tempo e dopo la terapia antiretrovirale altamente attiva (highly active antiretroviral therapy, HAART).

• Il supporto sociale e la religiosità intrinseca (cioè, la personale convinzione religiosa) sono fattori protettivi relativamente modesti contro l’ansia di morte. Invece, la religiosità estrinseca (cioè, i comportamenti religiosi istituzionalizzati) può esacerbare o essere esacerbata dall’ansia di morte.

• Esiste una relazione medio-grande tra ansia di morte e altri sintomi psicologici dell’HIV/AIDS, in particolare ansia e depressione.

Infine, per quanto riguarda la psicopatologia, vari studi affermano che esiste una relazione tra ansia di morte e disadattamento, sintomi nevrotici e psicopatologia (ad esempio, Abdel-Khalek, 1986, 1997, 1998c, 2001, 2005; Lonetto e Templer, 1986; Neimeyer e Van Brunt, 1995; Neimeyer et al., 2004; Tramill et al. 1982; White e Handal, 1991).

114 3.3.5 Esperienze con la morte e il morire

Un ultimo fattore che secondo Lehto e Stein (2009) può determinare una modificazione del livello di paura della morte è costituito dalle esperienze con la morte e il morire, per esempio tra coloro che hanno subito una perdita, che studiano questi temi ogni giorno o che lavorano in contesti dove la malattia e la morte sono all’ordine del giorno (medici e infermieri). Sono tanti gli studi che hanno cercato di capire il ruolo che questo ultimo fattore gioca nel generare ansia di morte. Per esempio, si è visto che tra gli adolescenti che avevano sperimentato la morte di un nonno, il dolore dovuto al lutto era l’unico predittore significativo dell’ansia di morte (Ens e Bond, 2005).

Utilizzando un test implicito che misurava la valenza della morte, l’ansia e la negazione, oltre a una scala che misurava l’ansia di morte, Bassett e Dabbs (2003) hanno visto che gli studenti di Scienze Mortuarie29 mostravano di avere una minore ansia di morte esplicita e una maggiore negazione implicita della morte rispetto agli altri studenti universitari. Gli autori suggeriscono che le misure esplicite dell’ansia di morte possono sottostimare l’esperienza dell’ansia per la morte e che l’impronta educativa degli studenti di scienze mortuarie può ridurre la negazione della morte.

Chen et al. (2006) riportano che gli studenti di infermieristica più esperti riportano una maggiore ansia di morte rispetto alle loro controparti meno esperte. Mallett et al. (1991) hanno dimostrato che gli infermieri che lavorano terapia intensiva riportano più ansia di morte, burnout e stress rispetto agli infermieri che lavorano negli hospice, che secondo lo studio di Payne et al. (1998) mostrano una minore ansia per la morte e un maggiore richiamo delle esperienze positive e impegnative di cura dei pazienti. Questi risultati sono probabilmente dovuti alla filosofia degli hospice, che è quella di vedere la morte come una componente essenziale della vita e, quindi, di affrontare apertamente le questioni associate alla morte (Lehto e Stein, 2009).

Uno studio ha esaminato gli effetti della formazione sulle cure palliative e dell’ansia da morte nei volontari che operano nelle cure palliative. Mentre i punteggi di ansia per la morte non sono cambiati

29 Corso di laurea in cui si impara ad avere cura dei cadaveri, comprendere il processo del lutto e acquisire le competenze necessarie per diventare impresari di pompe funebri. A titolo informativo, tra le università che offrono questa laurea si trovano l’Università dell’Oklahoma e il Cincinnati College di Scienze Mortuarie.

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prima e dopo la formazione, i partecipanti si sono sentiti più preparati e competenti nel gestire pazienti che affrontano malattie terminali (Claxton-Oldfield et al., 2007).

3.4 Conseguenze dell’ansia di morte

Nello loro review, Lehto e Stein (2009) classificano le conseguenze dell’ansia di morte in due categorie: adattive e disadattive.

3.4.1 Conseguenze adattive

Come sostenuto dalla teoria della gestione del terrore, quando la consapevolezza della morte e l’ansia ad essa associata aumentano, le persone possono rispondere difendendo e/o intensificando le loro convinzioni culturali (Pyszczynski et al., 2004). Nelle culture occidentali, il materialismo potrebbe essere una risposta all’ansia di morte (Arndt et al., 2004; Rindfleisch e Burroughs, 2004):

l’approvazione collettiva dei brand e del consumismo può fornire un senso di significato, rafforzare i legami sociali e l’appartenenza all’ingroup e migliorare le percezioni di potere nel raggiungimento di importanti risultati della vita. Questo a sua volta può migliorare l’autostima e le percezioni di status, fattori che isolano dalla consapevolezza della morte e dall’ansia che essa genera (Rindfleisch e Burroughs, 2004).

Altre ricerche hanno scoperto che la consapevolezza e l’ansia di morte aumentano l’impegno nelle relazioni romantiche (Mikulincer et al., 2003). I ricercatori ipotizzano che così come l’autostima e le visioni del mondo culturali, anche le relazioni strette funzionano come un ‘cuscinetto’ per l’ansia di morte (Mikulincer et al., 2003).

Hirschberger et al. (2005) hanno cercato di capire se la paura della morte fosse alla base delle reazioni emotive che si manifestano nei confronti di individui con disabilità; i risultati hanno dimostrato che mentre gli uomini rispondevano all’ansia di morte reprimendo emozioni e compassione, le donne rispondevano aumentando la compassione. Secondo gli autori, questi diversi comportamenti mostrati da uomini e donne seguono stereotipi di genere culturalmente stabiliti: i maschi manifestano meno compassione perché sono socializzati per mostrare forza e indipendenza,

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mentre le femmine manifestano una maggiore compassione perché sono socializzate per prendersi cura dei bisogni altrui (Hirschberger et al., 2005).

Infine, ulteriori conseguenze positive dell’esperienza della paura della morte includono apprendimento, crescita, accettazione, maggiore significato della vita e ricerca di un’esistenza autentica (Firestone, 1993).

3.4.2 Conseguenze disadattive

Sebbene l’ansia di morte sia normale e universale, essa è associata a diverse conseguenze disadattive (Lehto e Stein, 2009). Per esempio, l’ansia di morte è associata ad atteggiamenti negativi nei confronti degli anziani e dell’invecchiamento (DePaola et al., 1992), soprattutto negli individui in età avanzata (DePaola et al., 2003). Una possibile interpretazione di questo risultato è che la vecchiaia può essere spaventosa per gli anziani proprio perché rappresenta una crescente vicinanza alla morte, che solleva una varietà di paure e di domande esistenziali legate ad essa. Inoltre, gli individui più anziani possono psicologicamente prendere le distanze dalle caratteristiche negative dell’invecchiamento fisico e dalla potenziale dipendenza (Hendricks e Leedham, 1980; Kite et al., 1991), oltre a reagire alla paura della mortalità ricordata vividamente dall’avanzare dell’età. Se è così, DePaola et al. (2003) suggeriscono che promuovere una maggiore integrità dell’ego e ridurre l’ansia per la morte attraverso procedure come la revisione della propria vita (Butler, 1995) potrebbero facilitare una maggiore accettazione di sé e degli altri in età avanzata.

In un lavoro del 2003, Martz e Linveh hanno trovato che la paura della morte era negativamente associata all’orientamento al futuro nei pazienti con lesioni al midollo spinale, soprattutto in presenza di dolore quotidiano e ulcera da pressione; in altre parole, questi pazienti erano meno orientati al futuro. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che le esperienze stressanti e intrusive e la presenza di dolore costringono l’individuo a concentrarsi sui bisogni presenti, offuscando la capacità di proiettarsi nel futuro attraverso progetti, obiettivi e speranze (Martz e Linveh, 2003). Successivamente, Martz (2004) scoprì che in questi pazienti la paura della morte – nello specifico i fattori la consapevolezza e la negazione della morte – era anche un predittore delle reazioni di stress post-traumatico.

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L’ansia di morte è anche associata a disturbi alimentari e di automutilazione (Farber et al., 2007;

Jackson et al., 1990; Le Marne e Harris, 2016).

Abdel-Khalek (2005) ha condotto uno studio al fine di confrontare la paura della morte in gruppi clinici (pazienti con disturbo d’ansia, con schizofrenia e tossicodipendenti) e non clinici (controlli).

Dai risultati è emerso che i pazienti con disturbo d’ansia manifestavano i più alti livelli di ansia di morte. Secondo l’autore, questo dato è coerente con la letteratura e potrebbe essere dovuto al fatto che l’ansia generale e l’ansia di morte condividano uno spazio psicologico comune: entrambe sono emozioni umane negative, caratterizzate da preoccupazione, angoscia, insicurezza, apprensione e disagio, diretti sia verso la minaccia di morte sia verso pericoli più generali.

Altri studi suggeriscono che l’ansia di morte può portare all’ambivalenza verso il proprio corpo, all’interruzione delle relazioni personali e al ritiro dall’intimità sessuale, perché il corpo fisico ci ricorda la finitezza della nostra vita (Bassett, 2007; Goldenberg et al., 2006).

Deffner e Bell (2005) sostengono che gli infermieri con maggiore ansia di morte possono essere riluttanti a discutere di problemi riguardanti la morte con i pazienti e le loro famiglie; inoltre, possono sentirsi a disagio nel discutere di temi come l’eutanasia, arrivando ad evitare l’argomento (Ray e Raju, 2006). Invece, gli infermieri formati nella comunicazione relativa alla morte si mostravano più a loro agio nella discussione delle preoccupazioni riguardanti la morte con i pazienti e le loro famiglie (Deffner e Bell, 2005).

Nella loro Fear of Personal Death Scale, Florian e Kravetz (1983) individuano tre tipologie di conseguenze negative che la propria morte e la paura che essa genera possono avere: conseguenze personali, conseguenze interpersonali e conseguenze transpersonali. Le conseguenze personali includono la paura dell’annientamento e della perdita dell’autorealizzazione e dell’identità sociale; le conseguenze interpersonali riguardano la famiglia e gli altri significativi, e includono – per esempio – la paura di lasciare indifesi i propri cari e che questi possano avere ancora bisogno; le conseguenze transpersonali includono la paura dell’ignoto, dell’incertezza e di eventuali punizioni nell’aldilà.

118 3.5 Trattamento dell’ansia di morte

Come si è visto nel sottoparagrafo 3.3.4, la diagnosi di una malattia grave o terminale è associata ad un aumento dell’ansia di morte, che a sua volta è legata ad un peggioramento delle condizioni fisiche

Come si è visto nel sottoparagrafo 3.3.4, la diagnosi di una malattia grave o terminale è associata ad un aumento dell’ansia di morte, che a sua volta è legata ad un peggioramento delle condizioni fisiche

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