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Comportamenti legati alla morte in altre classi di mammiferi e negli uccelli

Nel documento DIPARTIMENTO DI MEDICINA E CHIRURGIA (pagine 14-22)

CAPITOLO 1: I comportamenti degli animali e dell’uomo di fronte alla morte

1.1 Gli animali di fronte alla morte

1.1.2 Comportamenti legati alla morte in altre classi di mammiferi e negli uccelli

Proboscidati. Gli studi sulle risposte degli elefanti (africani e asiatici) a conspecifici morenti e morti

hanno sollevato diverse domande sul loro livello di comprensione della morte (Anderson, 2020).

Nella loro review sulle risposte degli elefanti africani alle carcasse di conspecifici in vari stadi di decomposizione, Goldenberg e Wittemyer (2019) hanno osservato che i comportamenti più frequenti includevano avvicinarsi al cadavere, toccarlo ed esaminarlo. Tali comportamenti erano già stati riportati dallo zoologo Douglas-Hamilton (2006), che ha osservato che gli elefanti si raccolgono attorno al corpo di un membro del branco morto, lo toccano delicatamente e spesso lo vegliano per giorni, concludendo che questi grandi mammiferi abbiano una generale consapevolezza della morte e una certa curiosità riguardo ad essa. Nel loro studio sugli elefanti indiani, Sharma et al. (2019) riportano tre casi di reazioni alla morte di un conspecifico. Nel primo caso gli autori hanno osservato

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una madre che cercava di aiutare e sostenere il suo cucciolo appena nato moribondo; nella settimana successiva alla morte del cucciolo, la madre è stata spesso vista nel medesimo posto. Nel secondo caso, gli autori hanno osservato una femmina adulta emettere un richiamo a ‘tromba’ alla vista del proprio cucciolo che cadeva sulle sue ginocchia perché attaccato da una tigre; come nel precedente caso, la femmina ha cercato (invano) di far alzare in piedi il cucciolo ferito e morente. Nel terzo caso, gli autori hanno osservato due femmine adulte che stavano accanto ad una vecchia femmina adulta morta di recente; una femmina camminava ripetutamente intorno alla carcassa in un percorso circolare, senza toccarla, mentre l’altra si è nutrita di cibo nelle vicinanze della carcassa.

L’interesse degli elefanti per le ossa e per i corpi dei conspecifici morti (sia del proprio gruppo che di altri gruppi) è confermato anche dagli studi della ricercatrice di elefanti Cynthia Moss (2012). È bene sottolineare che questo interesse viene manifestato esclusivamente per le ossa dei propri conspecifici: nel loro studio, Goldenberg e Wittemyer (2019) hanno presentato ad alcuni elefanti teschi di elefante, di giraffa e di bufalo, ed hanno osservato che gli elefanti mostravano interesse solo per le ossa della loro specie. Questi risultati ricordano quelli di McComb et al. (2006), che avevano usato teschi di elefanti, rinoceronti e bufali. L’interesse degli elefanti per conspecifici morti dura per molto tempo (McComb et al., 2006), probabilmente perché le carcasse di questi animali – rispetto a quelle di altre specie più piccole (come i primati) – impiegano più tempo per decomporsi. Inoltre, è plausibile che l’interesse degli elefanti per i loro morti anche dopo diversi anni rifletta la relativa facilità con cui gli osservatori umani possono assistere a tali eventi, piuttosto che capacità uniche degli elefanti di riconoscere i conspecifici molto tempo dopo la loro morte (Goldenberg e Wittemyer, 2019). Tuttavia, è verosimile pensare che la sofisticata sensorialità degli elefanti promuova interazioni prolungate con i morti in un modo diverso dalle altre categorie tassonomiche; per esempio, i cetacei si affidano alla vista e alla mancanza di segnali uditivi per identificare la morte, mentre i primati si basano su una combinazione di segnali uditivi e olfattivi (Goncalves e Biro, 2018), ma l’olfatto altamente sofisticato degli elefanti (Miller et al., 2015) permettere di identificare individui morti anche se i segnali visivi sono degradati. Questa ipotesi è confermata sia dall’osservazione di

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elefanti che annusano il terreno su cui si sono decomposte delle carcasse, sia dagli studi sopracitati di Goldenberg e Wittemyer (2019) e di McComb et al. (2006) che dimostrano che gli elefanti sono in grado di discriminare le ossa della propria specie da quelle di altri grandi mammiferi.

Ulteriori studi hanno dimostrato che a volte gli elefanti mettono del cibo nella bocca dei morti, riempiono le loro ferite con il fango e li seppelliscono sotto la vegetazione (Chevalier-Skolnikoff e Liska, 1993; Douglas-Hamilton I. e Douglas-Hamilton O., 1975). Comportamenti meno frequenti sono vocalizzazioni e tentativi di sollevare o trascinare la carcassa, elicitati da un elefante appena morto (Goldenberg e Wittemyer, 2019; Harthoorn, 1970). A differenza di altre specie (ad esempio, scimpanzè: Anderson 2018; ippopotamo: Dorward 2014; bonobo: Tokuyama et al. 2017), non sono stati osservati atti di cannibalismo.

Secondo Goldenberg e Wittemyer (2019), sebbene sembri probabile che gli elefanti interagiscano con le carcasse per identificare gli individui morti, la gamma di comportamenti osservati, sia investigativi che non investigativi, non può essere spiegata da questa sola idea, perché sarebbe inutile fare ripetute visite ad un cadavere se il solo scopo è l’identificazione: alla base dell’interesse degli elefanti per la morte devono esserci quindi altre motivazioni, presumibilmente di natura emotiva.

Infatti, alcuni studi osservano comportamenti paragonabili a quelli di specie socialmente simili come gli scimpanzé, in cui sono stati registrati comportamenti agitati e sottomessi nei confronti di cadaveri di conspecifici, anche non imparentati (Anderson 2018); tali comportamenti sono stati spesso attribuiti al dolore (Poole 1996; King 2013; Pierce 2013). Per esempio, la biologa Joyce Poole ha osservato una madre stare accanto al cucciolo nato morto per tre giorni, riconoscendo in lei un’espressione facciale di dolore, e “il silenzio inquietante di una famiglia di elefanti che per un’ora hanno accarezzato le ossa della loro matriarca” (Poole 1997, p. 12).

Ancora una volta, queste osservazioni suggeriscono che, forse, non siamo gli unici a provare dolore per la morte di un nostro caro.

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Uccelli. Anche gli uccelli sembrano interessati alla morte (Pierce, 2013). Ad esempio, l’etologo

premio Nobel Konrad Lorenz (1991) ha osservato i tipici sintomi del lutto in un’oca selvatica che aveva perso il suo partner. Secondo un report del Cornell Lab of Ornithology, le gazze dal becco giallo (Pica nuttalli) reagiscono alla morte volando sulla carcassa, saltellando e strillando (Dickinson e Chu, 2007). L’etologo Marc Bekoff ha osservato il ‘comportamento funebre’ in un gruppo di gazze dal becco nero (Pica pica): le gazze si avvicinavano al cadavere, lo beccavano delicatamente e facevano un passo indietro; dopo un po’, alcune gazze volavano via, per poi tornare con dell’erba che adagiavano accanto al cadavere (in http://www.telegraph.co.uk/earth/wildlife/6392594/Magpies-feel-grief-and-hold-funerals.html). Lo studio di Swift e Marzluf (2015) è il primo a dimostrare che i corvi selvatici americani occasionalmente entrano in contatto con conspecifici morti.

Mammiferi acquatici. Reggente et al. (2018) hanno eseguito una revisione sistematica della

letteratura sui comportamenti legati alla morte nei mammiferi acquatici, facendo una distinzione tra cetacei e non cetacei (vedi Tabella 1.1 e 1.2); gli autori hanno trovato che entrambi i gruppi reagiscono alla morte, ma con comportamenti diversi. I risultati evidenziarono che parametri come la dipendenza della prole e la presenza di cure alloparentali1 erano correlati al tipo di comportamento che veniva messo in atto e alla partecipazione di altri individui durante gli eventi legati alla morte.

1 Forma particolare di cure parentali in cui i comportamenti rivolti alla prole vengono effettuati da individui diversi dai genitori, che li aiutano (https://www.treccani.it/enciclopedia/cure-parentali_%28Dizionario-di-Medicina%29/).

Tabella 1.1 Specie di non cetacei incluse nello studio di Reggente et al. (2018)

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I cetacei – caratterizzati da schemi di movimento più dinamici, lungo periodo di dipendenza della prole e tendenza della coppia madre-cucciolo a vivere in gruppo – mostrano nei confronti dei morti comportamenti legati al trasporto (trasporto, rotazione, messa in bocca della carcassa e immersioni con essa) e alla respirazione (portare la carcassa in superficie per poi reimmergerla in acqua), generalmente messi in atto insieme ad altri conspecifici. Inoltre, i ricercatori osservarono che le megattere e i globicefali di Grey mostrano comportamenti sessuali nei confronti di individui adulti morti. Questi comportamenti di trasporto e legati alla respirazione sono confermati dalle osservazioni di Gonzalvo, il quale notò che i delfini reagivano diversamente alla morte di un membro del branco a seconda che l’animale fosse morto improvvisamente o dopo un lungo periodo di malattia. Nel primo caso, il ricercatore osservò una madre che portava il cadavere del suo neonato sopra la superficie dell'acqua più e più volte, come nel tentativo di aiutarlo a respirare. Nel secondo caso, il ricercatore osservò un branco circondare un giovane delfino malato per cercare di tenerlo a galla; tuttavia, non appena l’animale morì, il branco di delfini lasciò che il corpo affondasse e se ne andò via (in Hooper, 2011). Nel suo lavoro, Pierce (2013) riporta risultati di studi che hanno osservato orche che trasportavano neonati morti e balene che si fermavano quando passavano di fianco ad un conspecifico morto. Secondo Pierce, poiché i cetacei hanno neuroni fusiformi – neuroni che negli esseri umani sono associati all'elaborazione delle emozioni – è possibile che siano in grado di provare dolore.

Tabella 1.2 Specie di cetacei incluse nello studio di Reggente et al. (2018)

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Tornando alla review di Reggente et al., gli autori osservarono che contrariamente ai cetacei, i non cetacei – caratterizzati da un investimento materno più breve – reagiscono alla morte di un conspecifico con comportamenti protettivi (difesa della carcassa da attacchi esterni), il che potrebbe riflettere la tendenza delle madri a proteggere la loro prole subito dopo la nascita; inoltre, le femmine di lontra marina e di otaria orsina antartica mostrano comportamenti di toelettatura nei confronti dei loro cuccioli morti.

Giraffe. Alcuni studi hanno osservato che le giraffe possono interagire con i loro cuccioli nati morti

per diversi giorni dopo la loro morte, facendogli la guardia (Bercovitch, 2012; Muller, 2010); si tratta di un comportamento insolito, in quanto le giraffe raramente rimangono ferme a lungo, a meno che non stiano mangiando o riposando all’ombra di un albero durante il sole di mezzogiorno (Bercovitch e Berry, 2010). Altri studi hanno dimostrato che le giraffe si avvicinano e ispezionano anche altre carcasse di conspecifici (Muller, 2010; Carter, 2011).

Cavalli. I report sui comportamenti tanatologici dei cavalli sono scarsi e perlopiù aneddotici, ma un

tema che li accomuna è che tra l’individuo morente o morto e gli altri conspecifici ci sia uno stretto legame sociale (Mendonça et al., 2020). Marais (1969) descrisse la reazione di una femmina a seguito della morte (per annegamento) del suo puledro: mostrava segni di angoscia, strofinava il muso sul corpo e nitriva dolcemente. King (2013) racconta di aver osservato che alcuni cavalli si disponevano a cerchio intorno al tumulo dove era stato recentemente seppellito un conspecifico. Nel loro studio sulle reazioni dei cavalli nei confronti dei loro compagni uccisi tramite eutanasia, Dickinson e Hofmann (2016) osservano che i cavalli, tra gli altri comportamenti, emettevano vocalizzazioni nei confronti degli individui che stavano per essere soppressi. Inoltre, sia King che Dickinson e Hoffman osservano nei cavalli vari comportamenti legati all’ansia a seguito della morte di un conspecifico (interruzione dell’alimentazione, ritiro sociale, comportamenti possessivi nei confronti della carcassa). Nel loro studio, Mendonça et al. (2020) descrivono i comportamenti mostrati da una madre e da altri conspecifici nei confronti di un puledro ferito mortalmente. Quando il puledro era ancora

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vivo e in grado di muoversi, sia la madre che il capobranco interagivano con lui. Dopo che il puledro si è accasciato a terra perdendo la capacità di movimento, solo la madre è rimasta nelle vicinanze, sebbene il maschio alfa abbia fatto dei tentativi per riportarla nel gruppo. Alla fine, la madre abbandonò il puledro e si riunì al gruppo, una scelta che secondo gli autori è stata probabilmente dettata da fattori sociali e ambientali. Innanzitutto, i cavalli femmina selvatici formano strette relazioni sociali con le altre femmine del gruppo e con il capobranco, che le protegge. Inoltre, il gruppo è importante per la sopravvivenza e per la fitness riproduttiva. Infine, è probabile che le persistenti molestie da parte di due maschi scapoli abbiano contribuito alla decisione della femmina di abbandonare il suo puledro morto. Gli autori osservano che altri conspecifici non parenti hanno interagito col puledro morto: due femmine adulte (una nullipara e una che aveva perso il suo cucciolo un anno prima) e un giovane adulto, che mostrava comportamenti simil-materni (leccava il puledro e lo proteggeva da altri membri del gruppo). Solo un altro gruppo sembrava mostrare interesse per il puledro morto: alcuni individui si fermarono a fissare la carcassa, ma non furono osservate ulteriori azioni dirette ad essa. Tale studio suggerisce che i cavalli reagiscono diversamente a conspecifici parenti e non parenti feriti e/o morti, prestando più attenzione agli individui ancora vivi piuttosto che a quelli morti.

Ippopotami. Ci sono pochi studi sui comportamenti legati alla morte negli ippopotami (Inman e

Leggett, 2018). La letteratura disponibile si concentra su rari casi di ippopotami che consumano la carne di una carcassa di un conspecifico (Dorward, 2015). Ci sono inoltre fotografie e video che mostrano ippopotami che interagiscono con le carcasse di ippopotami difendendoli da altri animali (Breen, 2010; Csaba, 2017; Harris, 2014), fornendo prove aneddotiche che gli ippopotami possono anche mostrare comportamenti epimeletici2 nei confronti dei conspecifici morti. Inman e Legget (2018) documentano le reazioni di un ippopotamo femmina adulta e del suo branco nei confronti di

2 Il termine ‘epimeletico’ fa riferimento ad una serie di comportamenti mostrati cetacei nei confronti di morti o moribondi, che comprendono tentativi di salvataggio e rianimazione, contatto, spostamento e difesa della carcassa, lutto post-mortem, uso di surrogati e comportamento compulsivo stereotipato (Bearzi e Reggente, 2018). Tali comportamenti si possono osservare anche in altri mammiferi.

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un giovane ippopotamo morto. La femmina alternava i movimenti dentro l’acqua, l’interazione con la carcassa (spingendola con il muso, sollevandola fuori dall’acqua e prendendola in bocca), l’attacco e la caccia dei coccodrilli che cercavano di nutrirsi della carcassa e il riposo in acqua per brevi periodi.

Gli autori osservano che gli altri ippopotami avevano interazioni limitate con la carcassa, che però sono aumentate gradualmente nel corso della giornata; le interazioni includevano toccare la carcassa, spingerla nell’acqua, prenderla in bocca e muoversi con essa. A differenza di altri studi sugli ippopotami (Dorward, 2015), non sono stati osservati atti di cannibalismo. A detta degli autori, questo studio fornisce ulteriore conferma che anche gli ippopotami possono apparentemente mostrare comportamenti epimeletici nei confronti di un conspecifico morto.

Canidi. In letteratura ci sono pochi studi che documentano risposte comportamentali dei canidi nei confronti dei conspecifici morenti/morti; per esempio, Boyd et al. (1993) hanno presentato prove di lupi selvatici (Canis lupus) che seppellivano le carcasse di cuccioli di due settimane. Appleby et al.

(2013) forniscono una descrizione delle risposte di una femmina adulta selvatica di dingo (la madre) e dei quattro fratellini alla morte di un cucciolo. I quattro cuccioli mostravano un comportamento sottomesso nei confronti del loro fratellino morente, soprattutto quando stabilivano con esso un contatto fisico; erano assenti quei comportamenti di gioco (lotta, morsi) che i cuccioli esibiscono normalmente. Similmente ad altre specie descritte in precedenza, la madre ha trasportato il cucciolo morto per almeno quattro volte; ognuno di questi spostamenti potrebbero essere, secondo i ricercatori, dei tentativi della madre di tenere il cucciolo morto vicino a sé e agli altri cuccioli durante i momenti di riposo, oppure dei tentativi di difendere la carcassa dai predatori. Ad ogni modo, questa propensione a rimanere vicino al cadavere è coerente con le osservazioni fatte sui primati, sui cetacei e sulle giraffe, e può essere indicativa di una preoccupazione duratura. Non sono stati osservati atti di cannibalismo, il che – secondo gli autori – suggerisce che né la madre né i quattro fratellini consideravano il cucciolo morto come una potenziale fonte di cibo, sebbene potesse esserlo.

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Passando a canidi più addomesticati, ossia i cani, questi costituiscono la più grande fonte d’informazioni sul comportamento legato alla morte negli animali (Pierce, 2013). Il veterinario Michael Fox (2007) sostiene che le risposte del cane di fronte alla morte di un compagno, sia esso umano o conspecifico, sono molto variegate: mentre alcuni potrebbero non mostre all’inizio alcuna reazione, altri reagiranno ululando e piagnucolando, diventando depressi e svogliati; altri ancora cercheranno il compagno scomparso, diventando sempre più apprensivi, e veglieranno su di esso, raggomitolandosi vicino al cadavere. Come notato da Pierce (2013), le osservazioni di Fox sono state confermate dal Companion Animal Mourning Project (CAMP), che ha scoperto che due terzi dei cani esaminati mostravano quattro o più cambiamenti comportamentali evidenti dopo la morte di un compagno canino; ad esempio, alcuni mangiavano meno del solito o smettevano di mangiare, altri vocalizzavano più del normale, altri avevano avuto modificazioni del sonno, altri ancora erano diventati più appiccicosi, mentre altri erano più distanti (International Association for Animal Hospice and Palliative Care, 2012).

Nel documento DIPARTIMENTO DI MEDICINA E CHIRURGIA (pagine 14-22)