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L’America di Goffredo Parise

Nel documento Goffredo Parise: lo 'stile' del reporter (pagine 105-109)

CAPITOLO III TAPPE ESPRESSIVE E STILISTICHE

III.3 L’America di Goffredo Parise

Goffredo Parise ebbe l’opportunità di conoscere la società americana durante i suoi viaggi negli Stati Uniti compiuti rispettivamente nel 1961 e 1975. In quelle occasioni, egli constatò che l’America, sognata ed idealizzata in precedenza, altro non era che una grande illusione. Nel suo immaginario, infatti, essa aveva rappresentato un’idea di libertà, in quanto nel 1945 aveva liberato l’Italia del fascismo e contribuito a porre fine alla Seconda Guerra Mondiale. In un’intervista a Igor Man del 1956, lo scrittore affermò: «Oh, io debbo andare a New York, assolutamente, so che l’amerò».36 Nell’Avvertenza al reportage New

York, nel 1977, egli affermò, inoltre, che «era stato tentato di andare a vivere in

America»,37 tanto era affascinato dall’idea che quel Paese rappresentasse il sogno di libertà e successo comune a tanti della sua generazione e di quella precedente.

Bisogna, infatti, ricordare che all’inizio del Novecento la società statunitense era totalmente diversa rispetto a quanto Parise ebbe modo di conoscere dagli anni Sessanta in poi.

Com’era bella l’America del Titanic. Guardando una fotografia di lady Duff Thysden (alias lady Brett) […] si può facilmente immaginare come era bella l’America del Titanic, ovvero l’America che ha dato la sua ultima e grande letteratura. Erano i tempi in cui Hemingway, tornato dall’aver distribuito cartoline sul fronte italiano con una ferita, inventava quel particolare tipo di snobismo letterario (in cui la letteratura stava sopra ogni cosa) che nacque con le sue scarpe da tennis a Parigi e morì col suo fucile a Ketchum, Sun Valley, Idaho. […] Aveva quel suo personalissimo candore quell’America, che l’Europa non aveva già più, perduto dopo le trincee, quando le “ceneri delle battaglie” erano già state spazzate dal vento sugli altopiani, il fascismo mischiava le “frequentazioni” in una pappa semieuropea e la

36 I.M

AN, Le comete dei sogni, in «La Stampa», 26 febbraio 1995.

37 G.P

letteratura non era quel sogno romantico che avrebbe dovuto storicamente essere e che per l’America era.38

L’America per Parise rappresentava tutto ciò: libertà, grande letteratura e quel senso di pace dato dall’assenza di guerre che in passato avevano sconvolto l’Europa.

La prima opportunità che lo scrittore ebbe di conoscere ‘gli americani’ fu nel 1956, anno in cui le truppe della SETAF avevano soggiornato a Vicenza dopo la loro ritirata dalla vicina Austria. L’impressione che egli aveva avuto non era stata positiva; rappresentati come esseri al limite della realtà, essi non erano riusciti ad integrarsi. Anzi, venne sottolineata la diversità di cultura tra le due popolazioni. Nonostante ciò, Parise sentì l’esigenza di compiere un viaggio in America e di constatare con i propri occhi gli usi ed i costumi di quella società. L’occasione gli venne fornita nel 1961, quando venne incaricato di scrivere la sceneggiatura di un film. Dopo poco tempo che era arrivato affermò: «ma che decadenza questi americani. Quelli che conosciamo noi a Vicenza sono dei signori, che rappresentano un grande paese, una città, questa, sporca, vecchia, assurda».39

Sia dalle lettere che scrive durante il suo primo viaggio, nel 1961, sia dal reportage New York, che riassume la seconda esperienza avvenuta nel 1975, si evince che il sentimento di Parise nei confronti di quel Paese rimane lo stesso: quello di una profonda delusione. Venne a contatto con una società che aveva come primo obiettivo il denaro, il successo e il consumo e ciò costituì per lui un vero e proprio shock. In un’intervista ad Andrea Barbato, nel 1965, affermò:

38 I

D.,America, in «Corriere della Sera», 1 aprile 1973 (in O, I, pp.1382-1383). 39 Lettera di G.P

ARISE indirizzata a M. C. Sperotti del 22 marzo 1961; citata da S.PERRELLA,

C’è in America un’identificazione fra persona e oggetto. Non è solo il luogo comune della standardizzazione, della civiltà di massa. C’è una chimica interna che è identica per tutti. È una legge scientifica. Tendiamo all’indifferenziazione. Le specie vittoriose si rafforzano, si dispongono a nuove avventure, ma all’interno della specie gli individui che la compongono si somigliano sempre di più. Tutto questo in America è chiaro, e appare in una forma spettacolare e grandiosa. É una realtà disperante, ma è quella del mondo moderno, non si può rinnegarla o respingerla. E io avevo bisogno di indossare un camice, di comprare un microscopio e di guardare la realtà.40

Lo scrittore fu, quindi, un attento indagatore di quella realtà e il viaggio a New York del 1961 fu il primo di una lunga serie di esperienze che lo portarono ad affinare sempre più la sua capacità di scrutare e osservare, oltre a fargli prendere coscienza del bisogno dell’uomo di tornare alle origini e di provare ancora quei sentimenti che, forse, aveva dimenticato.

In America egli fu preso da un’irrefrenabile frenesia ed eccitazione che lo portarono a girovagare per la città notte e giorno senza sosta. Scoprì che il rapporto che gli americani avevano con gli oggetti e il denaro era molto forte. In un’intervista a Claudio Altarocca egli li descrisse in tale modo:

Gli Americani hanno un modo particolare di tenere nelle mani il dollaro. Innanzitutto il denaro è sempre nuovo, che non è un fatto di civiltà, bensì di eccessivo rispetto per il denaro. Poi lo tengono in mano per lungo, in modo che non si strapazzi e contano i dollari nella mano come i cassieri di banca. Dal più umile facchino al manager tutti contano i dollari allo stesso modo, come cassieri di banca.41

Nella sua attenta osservazione di luoghi e persone, egli constatò, inoltre, che l’America, ed in particolare New York, era il luogo in cui «la lotta per l’esistenza travalica e oltrepassa […] la lotta di classe»42 e in cui la lezione che egli aveva

40

A.BARBATO, Il colosseo di plastica, cit.

41 Da un’intervista rilasciata a C.A

LTAROCCA, Parise, cit., p.12.

42 S.P

ERRELLA, Introduzione a G.PARISE, New York, a cura di S. Perrella, Milano, Rizzoli, 2001, p.XII.

imparato da Charles Darwin aveva la sua diretta dimostrazione. Tale situazione era il frutto, secondo Parise, della cultura consumistica che si era imposta e che, a poco a poco, stava prevalendo su tutte le altre. Affermò, infatti, che «la rivoluzione “consumistica” […] per l’uomo d’oggi ha la stessa importanza della rivoluzione agricola per l’uomo preistorico».43 In questo clima di mutamento, di cui anche l’Italia aveva risentito le conseguenze, lo scrittore si identificò in «uno di quei pesci destinati all’asfissia».44 Nonostante ciò, non volle arrendersi e scelse di ‘combattere’ con la sola arma che conosceva: lo stile. Attraverso la scrittura Parise cercò di denunciare la situazione di degrado spirituale e di riportare l’uomo ai valori originari fondati sulla purezza dei sentimenti. Egli, viaggiatore inesausto e attento scrutatore dell’uomo, dell’America amò la «vitalità quasi barbarica»45 che, allo stesso tempo, lo terrorizzava e attraeva e fu motore di molti viaggi.

Le esperienze vissute negli Stati Uniti, dunque, rappresentarono per lo scrittore una vera e propria lente d’ingrandimento sull’uomo moderno e lo spinsero a desiderare di conoscerlo nei suoi molteplici comportamenti. Ebbe modo di affinare la conoscenza affidandosi alle proprie sensazioni ed imparò a prestare attenzione a ogni dettaglio, seppure all’apparenza insignificante. Dal suo contatto con l’America, che per lui fino a quel momento era stata soltanto sognata leggendo i libri di Capote ed Hemingway e guardando i film hollywoodiani, imparò che quella nuova società stava invadendo qualsiasi orizzonte con i propri modelli di comportamento e stava radicalmente modificando l’uomo anche fuori dai propri confini. L’esperienza americana indusse lo scrittore a compiere tutti i viaggi successivi, a partire da quello in Cina, nel 1966, luogo in cui scoprì che

43 G.P

ARISE, Avvertenza in New York, cit. (in O, II, p.999).

44 Ivi, p.1001. 45 S.P

l’americanizzazione stava a poco a poco modificando anche usi e costumi di una civiltà millenaria.

Nel documento Goffredo Parise: lo 'stile' del reporter (pagine 105-109)

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