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Analisi della letteratura empirica sulla diversità di genere

A valle delle specifiche normative emanate a supporto della gender diversity, sono state condotte, nell’ultimo ventennio, numerose ricerche empiriche al fine di verificare l’impatto di tali interventi legislativi sulla performance delle imprese, ed in particolare sul ruolo che le donne rivestono in qualità di amministratrici e nelle posizioni di top management. Ancora oggi, nonostante i numerosi studi condotti, non esiste un pensier comune a riguardo proprio perchè i risultati ottenuti sono contrastanti e spesso conflittuali tra loro. Alcuni dimostrano una relazione positiva tra le donne nelle posizioni di vertice e la perfomance complessiva, altri invece danno evidenza di risultati negativi e altri ancora non hanno trovato risultati significativi tra gender diversity e perfomance.

Una delle prime ricerche condotte sull’argomento è quella di Carter (2003) che analizzò le principali 1000 imprese americane e riscontrò una correlazione positiva tra le donne amministratrici (presenti nel Cda) e la redditività delle imprese misurata con il Tobin’s Q. Tale risultato, poi, venne confermato 13 anni dopo da Conyon e He (2016) che allargarono il campione a 2000 imprese. La ricerca di Carter si presenta come uno degli studi più importanti sulla diversità di genere in quanto presenta le prime prove empiriche che esaminano se la diversità nel Cda sia associata ad un miglioramento della perfomance finanziaria. Ancora, nel 2010, analizzando le maggiori imprese americane quotate nel

“S&P 500”, Carter riscontrò un effetto positivo tra la diversità di genere e il ROA, mostrando come la presenza di un maggior numero di donne avesse un impatto complessivo positivo.

Anche Campbell e Vera (2009) verificarono un effetto positivo della presenza delle donne nel board sulla perfomance delle imprese misurata con il Tobin’s Q. E ancora L. Christiansen et al. (2016) riscontrarono un effetto positivo altamente significativo tra la quota di donne nel Cda e la redditività misurata in termini di ROA analizzando un campione di quasi due milioni di imprese europee. Un

altro studio peculiare è quello condotto da M. Bennouri, T. Chtioui, H. Nagati e M. Nekhil i quali usando un campione di 394 aziende francesi nel periodo compreso tra il 2001 – 2010 diedero evidenza di una correlazione positiva tra la dirigenza femminile e la redditività delle imprese (misurata in termini di ROE e ROA). Essi ipotizzarono che questi risultati fossero legati ad alcuni attributi propri delle donne amministratrici che possono essere sintetizzati in un ruolo più attivo nel monitoraggio interno e in specifiche caratteristiche proprie del capitale umano femminile in ambito demografico e relazionale.

Un’altra ricerca degna di nota è sicuramente quella condotta da Adams e Ferreira (2009) i quali, studiando un campione di imprese americane, verificarono l’esistenza di una relazione positiva tra la presenza femminile nei Board e l’efficacia del Cda. Questo era legato ad una presenza più consistente delle donne rispetto ai colleghi maschi alle riunioni del consiglio e al fatto che le donne mostrarono di avere maggiori probabilità di entrare a far parte dei comitati di monitoraggio. Di contro, però, essi verificarono come l’introduzione di una quota di donne per le imprese con una governance forte portasse ad una diminuzione del valore per gli azionisti. Tale risultato era legato al fatto che un monitoraggio eccessivo e petulante conduceva senza dubbio ad una riduzione dello shareholder value (Adams e Ferreira, 2007) e questo fu confermato dall’impatto negativo che una maggiore presenza delle donne nel Board aveva sulla perfomance delle imprese in termini di Tobin’s Q. Un risultato simile venne riscontrato da M. Bianco et al. (2015) i quali condussero uno studio su un campione di aziende italiane ma a differenza di Adams e Ferreira diedero evidenza di come un decremento del numero delle riunioni comportasse una minore efficacia del monitoraggio da parte del Board per il campione di aziende preso in esame.

Shrader, Blackburn, and Iles (1997), ancora, studiando un campione di 500 aziende americane trovarono una relazione negativa tra la percentuale di donne nel Board e la performance finanziaria delle aziende. Anche Matsa e Miller (2009) evidenziarono come l’introduzione di una quota di donne nei Cda avesse comportato una riduzione della profittabilità nel breve per il campione di imprese considerato. Nel Regno Unito, in America e in Australia, Rampling (2011) esaminando un campione di 350 aziende tra il 2000 e il 2012, dimostrò come la presenza delle donne avesse un impatto positivo sull’Ebit ma non sulle variabili di ROA e ROE.

Ci sono, inoltre, numerosi studi che non hanno riscontrato alcuna relazione significativa tra la performance di una società e la rappresentanza femminile nel consiglio di amministrazione (Berger et al. 2012). Ad esempio Carter et al. (2010) non trovarono nessuna relazione e spiegarono che tali

risultati erano coerenti con la teoria della contingenza secondo la quale l'effetto della diversità di genere sulle prestazioni dell'impresa dipendeva da vari fattori ambientali, interni ed esterni.

Analogamente, Randoy, Thomsen, & Oxelheim, (2006), Farrell e Herschg (2005) e Francoeur, Labelle e Desgagne (2007) rilevarono che la diversità di genere non aveva alcun impatto sulla performance finanziaria. Dalla varietà dei risultati riscontrati si evince come ancora oggi non esista certezza ed unanimità di pensiero sul tema.

Restringendo il campo al settore bancario, ci rendiamo conto di come la maggior parte della letteratura esistente sull’argomento abbia trascurato le banche (Adam e Mehran, 2012). Gli studi più significativi sul settore, in generale, sono stati condotti da Andres & Vallelado (2008), Adam e Mehran (2012), Pathan e Faff (2013), O'Sullivan, Mamun e Hassan (2015) e Salim, Arjomandi e Seufert (2016). La maggior parte di questi, però, ha utilizzato campioni di banche statunitensi mentre l’influenza della diversità di genere rispetto alle banche europee non è stata un'area di studio di particolare attenzione e del resto i risultati ottenuti sono tra loro contrastanti. Nello specifico, Pathan e Faff (2013) mostrarono come la diversità di genere migliorava la performance delle banche prima dell'introduzione del Sarbanes Oxley Act20 (SOX) (1997-2002), e l'effetto positivo della diversità di genere diminuiva durante i periodi post-SOX (2003-2006) e di crisi (2007- 2011). Pull e Vetter (2012), invece, trovarono una relazione a forma di U tra la diversità di genere e la performance bancaria: scoprirono che in un primo momento la diversità di genere influisce negativamente sulle prestazioni dell'azienda, poi successivamente essa contribuisce ad un miglioramento delle prestazioni totali solo dopo il raggiungimento di una massa critica del 30% di dirigenti donne. Coerentemente con la teoria della massa critica di Kanter (1977), hanno riscontrato che la relazione è a forma di U nei Cda e la nomina di amministratori di sesso femminile oltre una massa critica del 27% ha un impatto positivo sulla performance finanziaria della società.

Non esiste, ancora oggi, una teoria formale che spieghi l'effetto della diversità di genere sulla performance aziendale ma la maggior parte delle conoscenze attuali sono legate ai risultati empirici degli studi esistenti (Pathan & Faff, 2013). In generale, il dibattito sulla presenza strategica delle donne nei board aziendali e nelle posizioni di management è ancora oggi molto acceso e la letteratura sulla diversità di genere relativa agli enti finanziari nel contesto europeo si presenta molto scarna e contradditoria. Ed è per questo motivo che, compresa l’importanza che tale settore riveste nel contesto

20La Sarbanes-Oxley Act è una legge federale emanata nel luglio 2002 dal governo degli Stati Uniti d'America a seguito di diversi scandali contabili che videro protagoniste importanti aziende americane.

economico e sociale, nel prossimo capitolo cercheremo di fornire un’evidenza empirica del ruolo che ricoprono le donne ai vertici restringendo l’ambito di ricerca alle banche.

PARTE TERZA:

LA RICERCA EMPIRICA

CAPITOLO IV

RICERCA EMPIRICA: LA DIVERSITÀ DI GENERE COME VALORE ECONOMICO

Abbiamo a lungo discusso dell’importanza peculiare degli istituti bancari nel contesto economico e delle caratteristiche di un genere che da sempre vive nell’ombra. In questa sede il focus verterà su un’analisi empirica che si pone l’obiettivo di studiare la diversità di genere nelle banche ed il modo in cui essa impatta sulla perfomance complessiva dell’ente. Prima di arrivare alla presentazione di quanto ipotizzato sull’argomento, fornirò delle specifiche riguardo il campione di ricerca prescelto, la metodologia usata per la raccolta dei dati e successivamente mi focalizzerò sull’analisi statistica vera e propria. Al termine della trattazione sapremo dare una riposta, supportata dall’evidenza statistica, alla seguente domanda: “Le donne costituiscono un valore economico per le banche?”