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CAPITOLO 3 Il coaching e il calcio

3. Analisi delle interviste

Tutti gli intervistati hanno sentito parlare del coaching e il 35% ha avuto un’esperienza diretta perché alcune società calcistiche in cui militavano per un periodo si sono avvalse delle prestazioni di un coach. Ma, in base alle risposte fornite, vediamo cosa conoscono e cosa pensano gli intervistati del coaching e quali sono le convinzioni e le opinioni riguardo a questa metodologia e ai suoi principi.

1) Per quanto riguarda il ruolo del coach (quali sono i suoi obiettivi), tutti concordano sul fatto che debba tirar fuori il meglio di una persona. Il 65% ritiene che tra i compiti principali del coach ci sia quello di aiutare la persona ad individuare e focalizzare degli obiettivi e contribuire a far sì che l’individuo possa esprimere il proprio potenziale al 100%, andando anche ad attingere a quello “nascosto”.

Sembra che la maggior parte degli intervistati veda il coach come una figura che aiuta, una sorta di guida, maestro; in realtà il coach non aiuta, non insegna e non dà consigli o fornisce soluzioni: egli è uno “strumento” e accompagna chi ha il desiderio di tirar fuori se stesso, chi è davvero al massimo del proprio potenziale, puntando ai propri talenti e alla propria unicità.

2) Il 50% attribuisce al coach un ruolo importante nel capire le caratteristiche e la personalità della persona, nel far sì che ciascuno possa socraticamente conoscersi meglio (“conosci te stesso”) e gestire al meglio i propri stati d’animo e le proprie reazioni emotive.

Una credenza erronea in merito alla figura del coach è che egli riesca a conoscere a fondo il proprio coachee, comprendere le sue caratteristiche, il suo carattere e le sue sfaccettature. È vero, il coach è un grande osservatore e pratica l’ascolto attivo, ma non ha il compito di conoscere il coachee: il coach ha il compito socratico di far sì che il coachee “conosca meglio se stesso”, faccia un viaggio interiore, guardi al proprio interno e trovi dentro di sé le

95 risposte che sta cercando (e delle quali è sicuramente in possesso) per raggiungere la propria realizzazione in ogni campo della sua vita.

3) Se 1/3 degli intervistati crede che il coach debba svolgere un ruolo importante per quanto riguarda l’aspetto motivazionale, il 30% ha posto l’accento sul fatto che il coach debba aiutare ad alzare l’autostima e a far sì che la persona abbia consapevolezza del proprio valore, delle proprie capacità. Emerge un’altra credenza erronea riguardo al coach: egli non è un motivatore, fa il tifo per il coachee ma non attua una metodologia “push” e non alza la sua autostima. Il coach è uno “strumento” e, come tale, per trarne vantaggi dipende da come viene usato: la responsabilità è del coachee, sta a lui agire ed avere la volontà e la determinazione di raggiungere gli obiettivi. Ed è l’azione, la capacità di scegliere e di essere consapevoli e responsabili delle proprie azioni che accresce l’autostima e la fiducia in se stessi.

4) Se è abbastanza chiaro quali siano i compiti del coach, gli aspetti su cui lavora, meno lo sono le modalità, il modo in cui questa figura affianca le persone nel loro percorso di crescita.

La metà degli intervistati ritiene che il coach si avvalga del dialogo per conoscere meglio la persona, mentre il 35% ha fatto esplicito riferimento alle domande “potenti”, efficaci. Qualcuno ha fatto riferimento alla visualizzazione, ai disegni e ad altri strumenti creativi e solo il 35% ha indicato il coach come osservatore esterno, neutrale, privo di giudizio e in grado di fornire un altro punto di vista sulle cose.

Dalle risposte fornite emerge come sia ancora poco chiaro il modo in cui il coach lavora, come entra in relazione con il coachee. Il coach è un osservatore neutrale, ma non esprime il proprio punto di vista e, sebbene faccia domande “potenti”, efficaci, incisive e che stimolano la consapevolezza del coachee, non fornisce di certo risposte. Tra gli strumenti che fanno parte della variegata “cassetta degli attrezzi” del coach, rientrano anche la scrittura e il disegnare (il coach deve essere molto flessibile e creativo e capire la “chiave d’entrata giusta” per entrare in sintonia col coachee), ma tutti gli strumenti vengono

96 adoperati con il solo fine di far sì che il coachee possa tirar fuori pensieri e risposte che ha già al proprio interno.

5) La terza domanda, di tipo numerico-quantitativo, è stata utile per capire quanto fossero importanti alcuni elementi per svolgere performance di alto livello.

Ecco gli elementi ai quali gli intervistati hanno attribuito un punteggio che andava da un minimo di 1 ad un massimo di 10:

- Avere un obiettivo chiaro, stimolante e raggiungibile; - Fiducia e sicurezza di sé; - Autostima; - Motivazione; - Volontà; - Focalizzazione; - Impegno; - Capacità di scelta;

- Abilità nelle relazioni sociali; - Azione;

- Consapevolezza; - Responsabilità;

Sebbene tutti gli intervistati abbiano attribuito punteggi piuttosto alti (il punteggio più basso è stato 6), notiamo come l’aspetto che per la maggior parte degli intervistati è fondamentale è l’autostima (9,57 la media). Al “secondo posto” troviamo la motivazione, poco più indietro il poker composto da fiducia e sicurezza di sé, volontà, impegno e consapevolezza. Con media 9 la doppietta avere un obiettivo (goal) chiaro, stimolante e raggiungibile e la responsabilità, l’essere artefici del proprio destino. Leggermente sotto il 9 abbiamo l’azione, seguita dalla focalizzazione, dalla capacità di scelta e dall’abilità nelle relazioni sociali.

Come possiamo notare, il range delle medie numeriche va da 9.57 a 8.28, evidenziando come si tratti di elementi che contribuiscono in maniera significativa (2 intervistati hanno attribuito il punteggio 10 a tutti gli elementi) allo svolgimento di performance

97 di alto livello. Tutti gli elementi a cui gli intervistati hanno attribuito punteggi ed importanza sono in stretta relazione con il coaching e sono aspetti su cui questa metodologia lavora in un’ottica di miglioramento: un aspetto sul quale è bene porre l’accento, un punto che va decisamente a vantaggio dell’applicazione della metodologia del coaching anche in ambito calcistico.

6) È interessante notare come il 100% degli intervistati condivida la formula di Gallwey, secondo la quale la performance è data dal potenziale meno le interferenze. L’ideale, quello a cui punta il coaching, è proprio quello di massimizzare il potenziale, tirar fuori il 100% da una persona e ridurre al minimo le interferenze che vanno ad incidere sulla performance.

La meta del coaching è favorire la vera performance, quella che Whitmore definisce come “un andare oltre a ciò che ci si aspetta, stabilire i propri standard elevati,

7,5 8 8,5 9 9,5 10 9,57 9,28 9,21 9,21 9,21 9,21 9 9 8,93 8,86 8,71 8,28

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un’espressione del proprio potenziale; un’impresa, un atto notevole, un’esibizione pubblica di abilità”13.

La totalità degli intervistati ha risposto che le interferenze che impediscono alla persona di esprimersi al meglio possono essere tantissime e di vario tipo. Tra quelle più citate lo stress, un litigio che va ad influire sullo stato d’animo, ansia, pressione, tensione e alcune interferenze come un ambiente particolarmente ostile e un brutto voto in pagella.

Un aspetto da considerare è che quasi tutti abbiano citato come interferenze interne quelle che in realtà sono esterne, ignorando invece che le interferenze interiori (il peggior nemico in campo) sono quel muro di condizionamenti dettati dalle convinzioni limitanti sui quali il coachee va a lavorare col coach per liberare il proprio potenziale e incentivare la fiducia in se stesso. È solo in questo caso che il successo di qualsiasi performance in campo può accadere.

7) Il 71% degli intervistati ritiene che la partita più importante sia quella che si svolge al nostro interno. Avere consapevolezza delle proprie capacità e dei propri obiettivi, essere determinati e motivati, saper gestire il proprio stato d’animo ed esprimersi al massimo delle proprie potenzialità sono aspetti più importanti dell’avversario. Quest’ultimo va tenuto in considerazione, rispettato, ma è un elemento sul quale non possiamo averne il controllo.

Il 29% ha fornito una risposta più equilibrata, ritenendo più idoneo un giusto mix delle due componenti, indicando però una preferenza per la partita che si gioca all’interno della nostra mente.

La partita più importante da vincere per svolgere prestazioni di alto livello è quella che si svolge all’interno della nostra mente: tenere a bada le convinzioni depotenzianti che influiscono in maniera non funzionale sull’espressione del nostro potenziale, eliminare il giudizio e fare in modo di focalizzarsi soltanto sul momento presente. Quando tutto dentro di noi collabora nel qui e ora verso l’obiettivo che ci siamo posti ecco che il successo è l’unica conseguenza.

13 J.Whitmore, Coaching. Come risvegliare il potenziale umano nel lavoro, nello sport

99 8) Gallwey parlava di mente calma, attenzione focalizzata, un’azione che fluisce senza sforzo, un “lasciare che succeda”. Quando gli intervistati sono stati invitati a ricordare cosa hanno provato durante le loro performance migliori, hanno parlato soprattutto della consapevolezza dei propri mezzi, della convinzione del proprio valore e della fiducia in se stessi; gli riusciva bene tutto, si sentivano molto carichi (“ero a mille”,

“mi sentivo un leone” alcune espressioni usate), ma allo stesso tempo privi di

pressione, una sorta di carica e tensione positiva: erano totalmente concentrati e focalizzati nel presente sulla partita, nel flusso, fiduciosi di se stessi.

Il coaching non è una metodologia manipolatoria e non ha l’obiettivo di agire sull’aspetto dell’ego, “pompando” a dismisura l’autostima e le convinzioni della persona. Il coaching punta all’essenza della persona, non lavora sulla componente egoica, ma sulle potenzialità e sui talenti interni. Nello svolgimento di una performance di alto livello la persona esprime la propria essenza, il proprio potenziale ed è focalizzata sul “qui e ora”.

9) La maggior parte degli intervistati ha sottolineato il fatto che la scelta di rivolgersi al supporto di un coach debba essere totalmente libera e che sia fondamentale credere in questa metodologia per poterne trarre dei vantaggi. La metà degli intervistati, inoltre, ritiene che le sessioni individuali possano essere più produttive rispetto a quelle collettive.

Le sessioni di coaching sono individuali. Esiste anche il team coaching, che consiste nell’accompagnare un gruppo di persone che desidera raggiungere un obiettivo comune. Il coaching è circondato da una nuvola di scetticismo (a volte anche vere e proprie barriere) dovuto alla scarsa conoscenza della metodologia, alla confusione e alle erronee convinzioni portate da alcune figure che non praticano il coaching ispirato da Socrate e messo a punto da Whitmore. Questa metodologia si rivolge a chiunque desideri massimizzare la propria crescita, scoprire i propri talenti ed esprimersi al massimo delle proprie potenzialità. Il coach ha la responsabilità di accompagnare le persone ad educarsi (dal verbo latino educêre, “tirar fuori”, ma anche “condurre”), perché diano alla luce se stesse, la propria autenticità, la propria potenza prima che venisse deturpata dai condizionamenti esterni durante l’infanzia.

100 10) In quali aspetti un coach potrebbe affiancare un allenatore? Una premessa: la figura del coach è circondata da un alone di scetticismo e vista con diffidenza proprio da parte di alcuni allenatori, soprattutto quelli meno giovani, i quali vedono il coach come una persona che potrebbe addirittura interferire, essere un ostacolo nel rapporto con i calciatori. La maggior parte degli intervistati ha dimostrato apertura nei confronti del coaching, con alcune persone che hanno manifestato piena convinzione nell’utilità di questa metodologia e grande entusiasmo, auspicando che in futuro questa figura possa affermarsi ed entrare a far parte dell’organigramma di ogni società.

L’86% degli intervistati ritiene che il coach possa essere un valido supporto per quanto riguarda il modo in cui l’allenatore si relaziona con i propri giocatori, il modo in cui comunica con la squadra e gestisce il gruppo; un coach potrebbe aiutare l’allenatore nel conoscere meglio ogni singolo calciatore, avendo un approccio individualizzato e trovando la “chiave d’entrata” giusta per ogni singolo giocatore, in modo che possa rendere al massimo.

La metà degli intervistati, inoltre, crede che un coach possa affiancare l’allenatore nell’aspetto motivazionale e nell’individuare e trasmettere gli obiettivi da raggiungere. Per far capire il ruolo che potrebbe rivestire un coach nell’affiancare un allenatore nello svolgimento del proprio lavoro, sarebbe interessante chiedere ad ogni allenatore se sa davvero chi è, cosa vuole e quali sono i suoi talenti. E, tornando agli elementi chiamati in causa per lo svolgimento di performance di alto livello: che punteggio darebbe ogni allenatore se dovesse fare un’autovalutazione riguardo all’autostima, alla fiducia in se stesso, motivazione etc…?

11) Il 79% degli intervistati crede che il supporto di un coach possa contribuire a migliorare le prestazioni e il rendimento, a patto che si tratti di una scelta libera e consapevole della persona: il coaching non porta vantaggi a tutti, ogni persona è unica ed è fondamentale essere predisposti e credere in questa metodologia per esprimere al massimo il proprio potenziale.

Il 57%, poi, ritiene la figura del coach più adatta ad atleti ed allenatori che lavorano ad alti livelli e, quindi, sono sottoposti a maggiori pressioni, stress ed emozioni da gestire

101 ed altre interferenze che possono influire sulle loro performance e sul modo in cui esprimono il proprio potenziale.

Il coaching sembra essere visto come “cura”, uno strumento a cui si sceglie di rivolgersi in presenza di un sintomo scatenante o di un’esigenza (nel mondo del calcio e sportivo in generale in genere il desiderio di migliorare la performance) e nel quale, affinché possa produrre effetti, si debba riporre fiducia. In realtà la scelta a cui una persona è chiamata è quella di migliorare se stessa, riuscire ad esprimere al massimo il proprio potenziale. La scelta è quella di essere felici o meno: il coach non ha la bacchetta magica, l’unica magia affinché il coaching possa portare dei benefici è che dalla parte del coachee ci sia la volontà di ri-trovarsi, di diventare chi è davvero. Per quanto riguarda la differenza tra alti livelli e giocatori e allenatori di categorie inferiori, le pressioni dall’esterno saranno anche diverse, ma il coaching va ad agire all’interno della persona, la stimola a tirar fuori i propri talenti e potenziare ciò che ha dentro. Le interferenze interne, tutti quei condizionamenti delle convinzioni limitanti che bloccano fiducia, autostima e, quindi, comportamenti funzionali al raggiungimento delle proprie mete e performance, sono esattamente uguali per tutti, a prescindere dalla categoria in cui militi un calciatore o allenatore.

Alcuni intervistati hanno fatto riferimento alla disponibilità economica: alcuni calciatori e allenatori si rivolgono al coach perché possono permetterselo, hanno ingaggi elevati e, allo stesso modo, una società di calcio valuta se investire nella professionalità di un coach in base al budget a disposizione, privilegiando spesso altre figure (il coach non compare nell’organigramma di una società di calcio ed è una figura che ancora fatica ad affermarsi nell’ambito calcistico). La disponibilità economica in realtà è una scusa, un alibi che maschera lo scetticismo, le barriere, le erronee convinzioni e la scarsa conoscenza nei confronti di questa metodologia; è inoltre una copertura per la scarsa volontà di mettersi in gioco davvero per portare alla luce se stessi. Sarebbe interessante sapere quanto costa l’infelicità, l’insoddisfazione, il non avere fiducia in se stessi, il non sapere quali siano i propri talenti o il non rendere al massimo del proprio potenziale.

12) Per quanto riguarda il fatto che la figura del coach possa entrare in relazione anche con i settori giovanili delle società di calcio, il 71% ha espresso parere favorevole,

102 ritenendolo un valido supporto per la formazione e la crescita dei ragazzi; il coach, però, deve essere introdotto nella maniera giusta, dal momento che si tratta di un’età particolare.

Se avessi posto la domanda in maniera diversa (ad esempio: “vorrebbe che i suoi figli iniziassero un percorso di sessioni di coaching?”), probabilmente le risposte sarebbero state diverse. L’eventuale introduzione del coach nei settori giovanili sembra essere un terreno scivoloso, un qualcosa di non propriamente adatto.

Il coach non manipola, non scava nel passato come fa uno psicologo, non fornisce soluzioni confezionate o consigli. Il coach, soprattutto per i giovani, è invece un punto di riferimento fondamentale col quale scoprire la propria essenza e allenare i propri talenti. Ma attorno alla figura del coach regna spesso un velo di ignoranza e tutto quello che non si conosce davvero, si sa, si tende ad evitare.

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CONCLUSIONI

La metodologia del coaching è in ascesa e in espansione ed è applicabile in diversi ambiti: quello privato, relazionale, aziendale o sportivo.

A chi è rivolto il coaching? A chiunque abbia la volontà di migliorarsi, di acquisire consapevolezza dei propri talenti, di esprimere al massimo il proprio potenziale e raggiungere i propri progetti trasformandoli in obiettivi concreti. Il coaching si focalizza sul “qui e ora” e ti lancia nel sogno, non guardando al passato, ma concentrandosi sulle potenzialità di ciascuno. Ma il coach non ha una bacchetta magica, non garantisce il successo e non ti consente di “vincere facile”. Il coach è uno “strumento” del quale la persona può servirsi per velocizzare i propri traguardi riscoprendo se stessa, ri-trovando la vera forza, quella che viene da se dentro di sé e riaccendendo quella fiducia e quelle leve motivazionali che accompagnano alla propria autorealizzazione. L’unica magia, l’unico ingrediente indispensabile affinché il coaching possa produrre dei vantaggi è che da parte del coachee ci sia la volontà di impegnarsi per raggiungere il proprio traguardo, realizzare il proprio sogno.

Nella mia tesi ho scelto di concentrarmi sul binomio coaching-calcio: il secondo una mia passione da sempre, il primo una mia scoperta recente “illuminante”.

Il calcio è lo sport più amato, seguito e praticato in Italia ed è innegabile come uno degli aspetti più immediatamente collegabile al calcio sia quello delle performance, dei risultati. Quale allenatore non vorrebbe tirar fuori il massimo dai propri giocatori? E quale calciatore non mira ad esprimersi al massimo delle potenzialità? Ma… quanto influiscono le interferenze interiori sulle performance?

Tantissimo. Come ha detto uno dei calciatori che ho intervistato, “se non hai la mente

libera, se sei bloccato, puoi anche essere il più forte del mondo, ma è dura”. Per fare

un esempio abbastanza recente, pensiamo al secondo tempo della Juventus nella finale di Champions League contro il Real Madrid. Nella ripresa la macchina perfetta e vincente dei bianconeri si è bloccata e la squadra campione d’Italia per sei anni consecutivi ha mollato, prima di tutto sul piano mentale, poi su quello fisico, sparendo completamente dal campo e trovandosi in balia dell’avversario. Oppure, sempre facendo riferimento alla Juventus, pensiamo allo stato emotivo che giocatori,

104 allenatore e staff dovevano gestire nel momento clou della stagione, quando c’erano in ballo tre trofei e, nel giro di pochi giorni, si giocavano il lavoro di un anno intero. Nel calcio moderno l’aspetto mentale ha assunto un’importanza pari alla tecnica, alla tattica e alla preparazione fisica: sono tutte componenti che vanno allenate e migliorate. Tutti gli intervistati sono stati d’accordo con la formula di Gallwey, secondo la quale la performance è data dal potenziale meno le interferenze. Tutto sta a minimizzare l’influenza negativa delle interferenze e far sì che ci si possa esprimere al massimo delle proprie potenzialità. E la partita più importante da vincere è quella che avviene al nostro interno, nella nostra mente, come sostiene Gallwey: “c’è sempre

una partita interiore che è giocata nella tua mente qualsiasi sia la partita che stai giocando. Il modo con cui affronti questa partita fa la differenza fra il successo e il fallimento”.

Il coaching è circondato da una nuvola di scetticismo e barriere che scaturiscono da scarsa conoscenza ed erronee credenze. Questa metodologia ancora non si è affermata nel mondo del calcio e, se alcuni la vedono con curiosità ed entusiasmo (auspicando in futuro la presenza di questa figura professionale nell’organigramma delle società di calcio), altri ne sottovalutano l’importanza, ritenendola un qualcosa di sconosciuto e, quindi, da tenere a distanza. In giro è possibile trovare molti coach o presunti tali che spesso potenziano l’ego del coachee anziché la sua autenticità, che si trovano a fornire

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