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CAPITOLO 2 Il mio percorso di coaching

7. La “cassetta degli strumenti” del coach: scrivere per chiarire

Il coach ha a disposizione una variegata “cassetta degli strumenti” da utilizzare nel corso della sessione, ma, così come ognuno di noi è unico, allo stesso modo l’approccio e la chiave d’entrata più adatta saranno variabili in base al coachee. Abbiamo detto che lo strumento principe del coaching sono le domande potenti (derivanti da un ascolto vero) che, nel corso del dialogo, il coach pone al coachee: si tratta di domande nette, incisive, che vanno dritte al punto e stimolano riflessioni a cui il coach non aveva pensato. Ma il coach, oltre ad essere un osservatore neutrale e attento, deve anche essere flessibile e creativo, pronto persino ad inventare nuovi modi, strumenti ed esercizi per interagire col coachee.

Nel corso delle sessioni con Nicoletta è subito emersa la mia passione per la scrittura e per il giornalismo e la scrittura è stata uno strumento a cui la coach ha fatto spesso ricorso per fare in modo che tirassi fuori le opzioni per raggiungere i miei obiettivi (di sessione o di percorso) e le risposte alle domande che mi ero posto.

Un esercizio particolarmente stimolante e allo stesso tempo creativo è stato quello di scrivere una lettera al piccolo Alessandro. Ho riletto la lettera proprio in questi giorni e devo ammettere che mi ha fatto un certo effetto. Scorrendo le righe, ho avuto la sensazione di un’energia sopita, come la lava di un vulcano pronto ad esplodere; nella lettera, oltre a rievocare piacevoli momenti dell’infanzia, analizzavo quella che era la mia situazione attuale, focalizzando gli obiettivi e guardando al futuro con consapevolezza ed ottimismo. Se avessi scritto la lettera prima di iniziare il percorso

37 di coaching, non sono sicuro che avrei avuto la stessa lucidità di analisi e la stessa consapevolezza, chiarezza e positività.

Un altro esercizio che ha chiamato in causa l’espressione in forma scritta è stato quello di scrivere due brevi testi: la storia personale di Alessandro ora e quella proiettata nel futuro, Alessandro fra un anno. Se la prima è stata scritta abbastanza rapidamente, con grande consapevolezza e con la quasi totale assenza di giudizio, la stesura della seconda è stata meno semplice.

La finalità di questi esercizi? Con la scrittura della mia storia personale andavo ad analizzare il mio percorso e la mia situazione attuale, acquisendo maggiore consapevolezza, prendendo in esame gli avvenimenti (potenzianti o depotenzianti) che si erano verificati senza giudicarli, ma considerando il mio atteggiamento, le mie reazioni e le mie intenzioni. Lo sguardo, ora, non era rivolto al passato, allo specchietto retrovisore: le zavorre erano pronte ad essere abbandonate; analizzare la situazione attuale con lucidità e fare chiarezza sono sicuramente due step importanti per puntare al raggiungimento di un obiettivo futuro.

A proposito di futuro: la stesura della storia di Alessandro fra un anno è stata rimandata alla sessione successiva, dopo che nel corso della sessione con Nicoletta siamo andati a lavorare su quelli che erano i miei “vuoti”, i miei talenti e un elemento che mi creava indecisione, poca chiarezza e, di conseguenza, difficoltà nel focalizzare e nell’agire: “cosa farò da grande?”. Nella storia immaginavo e descrivevo abbastanza nei dettagli la mia situazione a distanza di un anno: visualizzavo il futuro. Ma, per poter guardare al futuro, era prima necessario aumentare la consapevolezza, fare maggiore chiarezza e insistere sugli elementi potenzianti.

7.1 L’atteggiamento del coach.

Parallelamente alla mia “evoluzione” durante il percorso di coaching, allo stesso modo anche l’atteggiamento della coach nei miei confronti si è modificato, in funzione della mia nuova condizione. All’inizio Nicoletta è stata molto accogliente e mi stava abbastanza addosso (una sorta di “marcatura stretta”, per usare il gergo calcistico) sia per quanto riguardava le azioni da svolgere tra una sessione e l’altra, sia per quanto

38 fosse attinente al lavoro di tesi. Oltre al tentativo di favorire l’instaurazione di un rapporto di fiducia e un mio maggiore grado di apertura, il suo atteggiamento era dovuto al fatto che di fronte aveva una persona “a nervi scoperti”, confusa, bloccata, non ancora pienamente pronta a passare all’azione.

Sin dall’inizio la coach mi ha detto che ero un soggetto abbastanza “coachabile”, vale a dire predisposto alla metodologia del coaching. Fondamentale, infatti, affinché questo strumento possa produrre dei benefici, è che si creda nelle sue potenzialità e che ci sia consapevolezza di approcciarsi con impegno e con l’intenzione di migliorare, anche mostrando le proprie fragilità, rendendosi vulnerabili e mettendosi a nudo. Nel corso delle sessioni Nicoletta prendeva appunti sulle attività svolte e su alcune risposte che davo alle domande potenti; fondamentale e continuo era il feedback: Nicoletta mi “specchiava”, sia perché io mi riascoltassi perché scaturissero mie nuove consapevolezze, sia per darmi feedback di alcuni miei comportamenti e gesti, che magari erano in antitesi con quanto avevo detto. La comunicazione non verbale, infatti, è importantissima e il coach deve prestare massima attenzione al linguaggio del corpo: spesso diciamo una cosa, ma con il corpo ne facciamo capire un’altra. Per fare degli esempi: a volte mi è capitato di rispondere “sì” ad alcune domande, ma muovendo la testa orizzontalmente come per dire “no”. In genere è ciò che diciamo con il corpo ed essere quello che davvero sentiamo.

Altre volte, nell’attribuzione di punteggi ad alcune sensazioni, davo dei numeri troppo alti o bassi: la coach se ne accorgeva immediatamente e mi diceva: “ascolta la pancia”. Nelle ultime sessioni l’atteggiamento di Nicoletta era più che altro mirato a fare in modo che andassi nella “zona di stretch”, toccando ed affrontando temi importanti e in grado di provocare anche un certo scombussolamento interiore (la sessione di coaching non è una passeggiata rilassante) e far sì che trovassi le risposte che cercavo. L’Alessandro delle ultime sessioni era di certo diverso da quello che aveva iniziato il percorso di coaching: Nicoletta mi “sfidava”, mi lasciava totale autonomia di scelta e di azione e qui torna in gioco il concetto di “responsabilità”.

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