5. LA DONNA SCIAMANA
5.1 Analisi filosofiche tradizionali e teorie moderne
Yanagita Kunio scrisse che la donna ha una naturale“inclinazione” (shūsei 習性) alla possessione spiritica e che il suo “potere” si è trasmesso dall’antichità fino a tempi moderni nella persona della medium e nelle fondatrici delle nuove religioni. Secondo lui la sua naturale predisposizione è da attribuirsi a “un’insolita attività psicologica”. Come molti altri studiosi e filosofi asiatici suoi contemporanei, la sua tesi era pervasa di psicologia premoderna e incentrata sull’assunto che le caratteristiche psicofisiche femminili fossero determinanti nel processo per diventare sciamana. In una delle sue opere più famose, Imoto no
chikara, Yanagita sostenne che il periodo della gestazione o susseguente al parto
fosse particolarmente proficuo per il verificarsi di esperienze sovrannaturali, per via dei rilevanti cambiamenti nel fisico e nello spirito della donna. Inoltre, la sua impurità (kegare 穢 れ ) connessa al sangue del parto e delle mestruazioni la confermerebbe ricettacolo ideale per gli spiriti. Egli mancò completamente di considerare l’origine del fenomeno in relazione al contesto socio-culturale delle donne e si basò unicamente su spiegazioni religiose e pseudoscientifiche per spiegare la preponderanza femminile fra le medium164. In Corea i filosofi e gli eruditi confuciani erano sulla stessa linea di pensiero. Essi sostenevano che l’oscurità si distinguesse dalla luce per contrasto e che a un oscuro e femminile
ŭm 음 si opponesse un luminoso e maschile yang 양. Secondo questa logica le
donne sarebbero in opposizione complementare agli uomini e la tendenza femminile a occuparsi di cose che riguardano gli spiriti sarebbe dovuta alla loro oscura natura yin e ai loro misteriosi poteri.
164 KAWAMURA Kunimitsu,“A Female Shaman’s Mind and Body, and Possession” Asian Ethnology, 62, 2, 2003, pp. 257-289…cit. p. 259
154 Non può essere dello stesso avviso l’antropologo che guarda invece alle relazioni sociali per spiegare l’attrazione delle donne per il sovrannaturale. Ioan M. Lewis suggerì che esattamente come le accuse di stregoneria anche i casi di possessione si verificano in particolari ambienti sociali. Studiando lo sciamanismo mondiale (e in particolare quello del corno d’Africa) egli giunse alla conclusione che le donne usano la possessione come una strategia di difesa dal mondo sessista e oppressivo degli uomini: in trance, nei panni del dio, esse dicono l’indicibile e avanzano pretese che nessuno si sognerebbe mai di disattendere. I culti di possessione, secondo il suo punto di vista, sarebbero dunque il prodotto di una “sottocultura femminista” al cui interno le donne protestano contro lo strapotere degli uomini. Spesso si tratta di “culti periferici” all’interno di società complesse in cui domina una religione principale e la sciamana e il rito forniscono alle donne un ambiente di supporto per sfogare le proprie frustrazioni165.
Non sono convinta però che questa teoria detta “della privazione” possa applicarsi al Giappone. Dalla visione del materiale bibliografico non è emerso che le medium si lascino possedere per avanzare richieste agli uomini o per protestare contro il loro mondo. Oltre tutto non sempre le medium sono donne. Il loro ruolo può essere assunto anche dagli uomini come accadeva nei takusen matsuri dove a ricevere il dio poteva essere anche un contadino del villaggio debitamente purificato. Inoltre, la medium agisce quasi sempre in coppia con un asceta ed è quest’ultimo che interroga gli dei e scaccia gli spiriti maligni dai corpi delle persone possedute. Il loro non è un culto femminile che sopravvive all’ombra della religione ufficiale e non serve da supporto di genere.
In Corea invece a prima vista sembrerebbe che lo sciamanesimo sia la risposta femminile al dominio maschile della società. Il kut è una festa di donne: la
mansin e le partecipanti sono quasi sempre di sesso femminile e il fatto che tutte
bevono, cantano e ballano lascerebbe pensare si tratti di un rito catartico e di
165 Laurel KENDALL, Shamans, Housewives, and Other Restless Spirits Hawaii University Press, Honolulu 1985 pp. 234…cit. p. 24-25
155 liberazione dai problemi e dalle oppressioni della società patriarcale. La religione della casa che onora dei e spiriti di ambo i coniugi, potrebbe essere considerata la reazione femminile al culto maschile degli antenati, limitato solo agli avi patrilineari. I rituali volti al concepimento e alla cura dei figli costituirebbero il tentativo delle donne di assicurarsi una progenie che dia sicurezza al loro status in casa del marito e che si prenda cura di loro nella vecchiaia. Infine, le performance della mansin che interpreta spesso divinità maschili, potrebbero essere viste come una scusa per potersi comportare da uomo, per poter fare e dire ciò che nella vita normale le è vietato in quanto donna. La teoria di Lewis di primo acchito pare sposarsi bene con il background coreano. Tuttavia, Kendall è di opinione contraria.
I rituali delle donne in Corea non sono solo per loro e non costituiscono un “culto periferico” all’interno della più grande e pervasiva società confuciana. L’atmosfera stordente di un kut, è vero, può lasciar pensare a un mezzo per ricercare la catarsi estatica ma basta soffermarsi un attimo per capire che non è così: ai kut partecipano anche gli uomini e non di rado questi rituali sono tenuti a loro beneficio. Spesso è per guarire un marito malato o per scacciare la sfortuna che incombe su un figlio che la padrona di casa sponsorizza la cerimonia. Gli uomini sono spinti a ballare nel momento del mugam e non sembra che la cosa dispiaccia loro. Il kut è un party di donne ma l’esclusività non è né necessaria né desiderabile. Lo sciamanismo coreano è un’elaborazione della religione femminile della famiglia. La sciamana e la casalinga eseguono gli stessi compiti e hanno a che fare con gli stessi spiriti. Anche se la mansin ha la capacità di convocarli materialmente e di fare esorcismi è la casalinga la prima persona che controlla, attraverso sedute di divinazione, lo stato spirituale dei suoi cari.
Kendall riscontra una sorta di complementarietà fra i riti maschili e quelli femminili166. I primi sono il prodotto della tradizione colta e rispettosa del Confucianesimo e santificano il valore della pietà filiale, la relazione gerarchica
156 patrilineare e i legami tra parenti maschi (la fonte dello scambio di lavoro, mutuo aiuto e consenso nel villaggio coreano). I secondi invece celebrano le relazioni familiari nella loro totalità a prescindere dalla patrilinearità, dal sesso, o dal grado di parentela degli individui. È dunque dalla prospettiva della famiglia in senso ampio che le mogli trattano con gli antenati loro e dei loro mariti. I congiunti delle donne infatti, anche se non sono riconosciuti dai rituali maschili, sono una presenza attiva nella vita sociale coreana e anche da morti vengono in aiuto della coppia sposata. Posso concludere che i riti femminili non sono da considerarsi separati ma integrati nel contesto socio religioso e che la “teoria della privazione” di Lewis non può applicarsi al caso coreano.
Per quanto riguarda le Ryūkyū è stato attestato che l’arcipelago è l’unico caso documentato al mondo in cui la religione ufficiale è gestita interamente dalle donne. Gli uomini si sentono spiritualmente protetti dalle loro consorti, madri o sorelle che officiano i riti degli antenati e propiziano la divinità del focolare con periodiche offerte. Il villaggio è al sicuro grazie alla presenza delle sacerdotesse che essendo kami incarnati mantengono l’equilibrio e l’armonia cosmica. Quando qualcuno ha dei problemi di natura sovrannaturale consulta la yuta per una diagnosi ed è sempre la donna più anziana della famiglia che fa da intermediaria durante le sedute. È davvero singolare il fatto che gli uomini non percepiscano la predominanza femminile in campo religioso come pericolosa e non sentano il bisogno di opporsi a questo stato di cose. Certo, è innegabile che certi valori buddisti abbiano eroso nel corso del tempo il prestigio delle sacerdotesse e minacciato lo status della donna a Okinawa. Ciononostante sembra che il potere religioso femminile nelle isole sia ben accetto e ben lungi dall’essere sradicato.