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3 Materiali e metod

3.3 Analisi statistica

Si e’ proceduto in prima istanza all’ analisi della distribuzione binomiale degli intervalli di confidenza per riportare i valori di outcome e successivamente, fatto ricorso alla curva di Kaplan-Meier per calcolare il rischio cumulativo di ictus ischemico dopo intervento chirurgico non cardiaco. Il log-rank test e’ stato utilizzato per analizzare i valori nei pazienti senza e con POAF. I pazienti sono stati inseriti nel nostro studio subito dopo la dimissione dall’ospedale sede dell’intervento chirurgico e sono stati monitorati nel tempo, sino all’eventuale ricovero per ictus ischemico, morte o comunque sino alla fine dello studio (31 Dicembre 2011). Un analisi Cox proportional e’ stata usata per determinare l’associazione tra POAF e successivo ictus ischemico, controllando tale associazione per tutti i potenziali fattori confondenti (vedi sopra). Considerando inoltre che il nostro obiettivo era quello di valutare in maniera accurata l’associazione tra POAF ed ictus ischemico abbiamo inserito nel nostro modello analitico tutte le variabili indipendentemente dal loro valore di significatività statistica nei due gruppi, il cui limite è stato posto per valori di errore standard (α) = 0.05.

Inoltre, al fine di eliminare eventuali ulteriori fattori confondenti residui, i dati ottenuti sono stati ulteriormente controllati mediante un’analisi di sensibilita’ effettuata attraverso l’utilizzo del modello di Elixhauser che

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include un numero di comorbidita’ residue utile per valutare l’attendibilita’ dei dati amministrativi (189).

Un’ ulteriore analisi di sensibilita’ e’ stata eseguita per differenziare l’associazione causale tra FA (codice ICD-9-CM 427.31) e Flutter Atriale (codice ICD-9-CM 427.32) con ictus ischemico.

Considerando che l’interesse della nostra analisi era quello di identificare nella maniera piu’ precisa possibile la POAF transitoria ed a risoluzione spontanea, un’ ulteriore analisi di sensibilita’ ha permesso di escludere quei casi nei quali la diagnosi di aritmia costituisse il motivo dell’accesso in PS o del ricovero senza essere associata ad ictus ischemico concomitante.

Infine l’associazione tra POAF ed ictus ischemico e’ stata valutata utilizzando nella nostra analisi il solo codice ICD-9-CM “ictus embolico” (numero 434.11), in quanto il meccanismo ipotizzato alla base della suddetta associazione e’ quello del cardioembolismo cerebrale. Il codice 434.11 ha dimostrato un’attendibilita’ del 73% al confronto con la revisione manuale della cartella clinica (190).

Tutte le analisi sono state effettuate facendo ricorso al software STATA/MP ((Version 13, StataCorp, TX).

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4. Risultati

Sono stati inclusi nello studio 1,212,626 pazienti con un follow-up medio di 2.6 +/- 1.1 anni. 24,828 (2.05%; 95% CI, 2.02-2.07%) hanno sviluppato POAF e 18,378 (1.52%; 95% CI, 1.49-1.54%) hanno presentato ictus ischemico. In questo gruppo si è riscontrata, come immaginabile, una prevalenza significativa di età avanzata, razza nera, ipertensione arteriosa, diabete mellito, malattia coronarica, scompenso cardiaco cronico congestizio, malattia vascolare arteriosa periferica, insufficienza renale cronica, BPCO, pregressa storia di FA ed un maggior numero di nuovi casi di POAF (figura 6). I pazienti con ictus ischemico presentavano inoltre una più frequente copertura assicurativa di tipo Medicare. Il rischio di stroke ha mostrato una stretta associazione con i valori al baseline di CHA2DS2VASc (figura 7). Inoltre, come atteso da quanto gia’ documentato in letteratura, l’incidenza di POAF e’ stata piu’ elevata nella popolazione di pazienti sottoposta a chirurgia cardiotoracica (13.7%) rispetto a quella sottoposta a procedure non interessanti la cavita’ toracica (1.1%, P<0.0001) ed inoltre nella prima popolazione rispetto alla seconda si riscontravano valori piu’ elevati di comorbidita’(figura 8).

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Ad un anno di follow-up il tasso cumulativo di ictus ischemico e’ stato del 2.36% (95% CI, 2.28-2.45%) nel gruppo di pazienti con diagnosi di FA non concomitante al ricovero per intervento chirurgico, 1.84% (95% CI, 1.62-2.10%) nel gruppo con POAF dopo intervento cardiotoracico, 1.24% (95% CI, 1.05-1.45%) in quello con POAF dopo intervento non cardiotoracico ed infine 0.53% (95% CI, 0.52-0.55%) in quelli senza aritmia cardiaca (figura 8). A quattro anni I tassi cumulativi erano rispettivamente di 6.88% (95% CI, 6.71-7.07%), 4.86% (95% CI, 4.35- 5.43%), 3.78% (95% CI, 3.25-4.40%) ed 1.63% (95% CI, 1.60-1.67%) (figura 8). Dopo regressione mediante metodo Cox, la POAF si è dimostrata predittore indipendente per l’endpoint ictus ischemico sia nella popolazione sottoposta a chirurgia cardiotoracica (Hazard ratio [HR], 1.3; 95% CI, 1.1-1.5), ma soprattutto nella popolazione sottoposta ad altro tipo di chirurgia (HR 2.1; 95% CI, 1.9-2.3). L’associazione si e’ mostrata piu’ forte per il gruppo sottoposto a chirurgia non cardiotoracica (p value per interazione = 0.001).

Prendendo in considerazione come parametro di outcome il solo ictus ischemico embolico (codice ICD-9-CM 434.11) si e’ evidenziato un ulteriore incremento del legame tra POAF e ictus ischemico, in particolare nel gruppo sottoposto a chirurgia non cardiotoracica (HR, 5.1; 95% CI, 4.0-6.4 versus HR, 2.1; 95% CI, 1.6-2.8 nei pazienti sottoposti ad intervento cardiotoracico).

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Escludendo i pazienti con accessi ospedalieri successivi ad intervento chirurgico legati ad AF come prima diagnosi e senza concomitante evento cerebrovascolare, l’associazione tra POAF e ictus ischemico manteneva significativita’ statistica per entrambi I gruppi (HR, 1.9; 95% CI, 1.7-2.2 per chirurgia non cardiotoracica e HR 1.3; 95% CI, 1.1-1.4 per chirurgia cardiotoracica).

L’ analisi di sensibilita’ , effettuata mediante l’inserimento dell’indice di comorbidita’ di Elixhauser non ha modificato i valori di HR (2.0; 95% CI, 1.8-2.2 per chirurgia non cardiotoracica versus 1.3; 95% CI, 1.1-1.5 per chirurgia cardiotoracica). Anche l’inserimento di procedure cardiache endovascolari e ostetriche non ha determinato significative modificazioni dei valori di associazione statistica.

Nel gruppo di pazienti sottoposti a chirurgia non cardiotoracica si e’ riscontrata un’associazione significativa con ictus ischemico sia nei pazienti con FA postchirurgica (HR, 2.1; 95% CI, 1.9-2.4) che con Flutter atriale postchirurgico (HR, 1.7; 95% CI, 1.3-2.2). Nel gruppo sottoposto a procedura cardiotoracica solo la FA postchirurgica ha mostrato dei valori di HR statisticamente significativi (HR, 1.3; 95% CI, 1.1-1.4).

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5 Discussione

Il principale risultato dell’analisi eseguita in questo studio di coorte retrospettivo e’ stato quello di aver dimostrato la presenza di una significativa associazione tra la comparsa di FA nel periodo post- chirurgico e l’insorgenza successiva di ictus ischemico. Dato ancora piu’ interessante ed in certo senso inaspettato rispetto a quanto presente in letteratura, la forza dell’associazione si e’ dimostrata maggiore nei pazienti sottoposti ad intervento di chirurgia non cardiotoracica rispetto al gruppo sottoposto a chirurgia cardiotoracica.

Non e’ stato possibile confrontare i nostri dati con altri studi di popolazione, in considerazione della mancanza di lavori simili su questo argomento, in particolare sul rischio a lungo termine di ictus ischemico dopo insorgenza di POAF. La maggior parte degli studi infatti provengono spesso da casistiche di singolo centro o multicentrici che hanno valutato il rischio perioperatorio o comunque a breve termine, con particolare riferimento alla popolazione di pazienti sottoposti a chirurgia cardiotoracica (109,119,130,161,176). Il rischio a lungo termine di ictus ischemico dopo chirurgia cardiotoracica non e’ mai stato valutato nell’ambito di larghi studi di popolazione e nei pochi report presenti i risultati sono stati spesso contrastanti (129,168,172,191,192); nonostante cio’ alcuni lavori confermano la validita’ dei nostri dati. Una recente analisi su pazienti con recente impianto di pacemaker ventricolare o defibrillatore

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ha dimostrato come un singolo episodio di fibrillazione atriale subclinica (registrato cioe’ solo dall’apparecchio) sia sufficiente per aumentare il rischio successivo di ictus ischemico (193). Inoltre un altro recente lavoro effettuato su pazienti ricoverati per grave sepsi ha messo in evidenza come un episodio di fibrillazione atriale di nuova insorgenza, anche a risoluzione spontanea, sia associato ad un aumento del rischio a breve e lungo termine di ictus ischemico (187). Se e’ vero che in alcuni casi un episodio isolato e transitorio di FA postchirurgica puo’ essere l’espressione di un altrettanto fisiologico stress sistemico, in altri potrebbe invece costituire un marker di malattia o di processi patologici a livello dell’atrio sinistro – come per esempio infiammazione (194), disfunzione endoteliale (195), alterazioni strutturali (196,197) – che predispongono nel futuro il paziente a ulteriori episodi di aritmia o ad alterazioni dell’emodinamica atriale con conseguente apposizione trombotica e cardioembolia.

Questa spiegazione puo’ giustificare alcuni dei reperti riscontrati nella presente analisi, in particolar modo la piu’ stretta associazione tra POAF ed ictus ischemico nei pazienti sottoposti ad intervento chirurgico non cardiotoracico, dove tale aritmia potrebbe essere l’espressione di una sottostante e misconosciuta malattia atriale piuttosto che una reazione allo stress ed alla manipolazione diretta del cuore e dell’atrio sinistro che avviene nel corso delle procedure chirurgiche cardiotoraciche.

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Lo studio presente ha pero’ molti limiti. Innanzitutto non e’ stato possibile determinare la durata degli episodi FA documentati in ogni singolo ricovero e questo potrebbe aver determinato il mancato riscontro di episodi di brevissima durata. Questo limite, che avrebbe dovuto modificare i risultati eventualmente rinforzandoli, in realta’ non ha impedito di documentare un’associazione statisticamente significativa tra rischio a lungo termine di ictus ischemico. Inoltre tale associazione e’ rimasta tale anche dopo aver distinto i casi di FA da quelli di flutter atriale postchirurgico e persino dopo aver ecluso quei pazienti che sviluppavano l’aritmia in un setting successivo differente dal ricovero per intervento o per ictus ischemico. Quest’ultima analisi infatti ha permesso di focalizzare l’attenzione solo sui casi di aritmia transitoria e probabilmente self-limiting. D’altra parte e’ possibile che alcuni casi di POAF di brevissima durata non abbiano in realta’ una correlazione fisiopatologica con lo sviluppo successivo di ischemia cerebrale, ma questo e’ difficile dirlo.

Un secondo limite e’ rappresentato dal fatto che alcuni casi etichettati come POAF siano in realta’ potuti essere in realta’ casi di “prima documentazione elettrocardiografica” di un’aritmia gia’ presente prima del ricovero per intervento chirurgico; anche in questo caso pero’ la conclusione che se ne sarebbe potuto trarre a che la FA evidenziata per

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la prima volta durante ospedalizzazione e’ associata ad un rischio di ictus ischemico a lungo termine.

Una terza critica che potrebbe essere avanzata al presente lavoro e’ quella relativa alla mancata standardizzazione dei criteri diagnostici per la diagnosi di POAF nell’ambito dei centri oggetto del nostro studio. E’ possibile inoltre che alcuni pazienti, soprattutto quelli con piu’ comorbidita' (piu’ anziani, cardiopatici, diabetici) possano essere stati sottoposti ad un piu’ rigido e prolungato controllo del battito con conseguente maggior tasso di POAF e conseguente bias interpretativo. L’analisi di sensibilita’ effettuata utilizzando l’indice di Elixhauser ha in realta’ pero’ confermato l’indipendente associazione tra POAF ed ictus ischemico.

I dati utilizzati nella nostra indagine inoltre non comprendevano alcuna informazione relativa alla terapia, in particolare a quella antitrombotica o anticoagulante. Anche questa considerazione pero’ avrebbe potuto influenzare i nostri risultati in senso conservativo, considerando la concreta possibilita’ che almeno un certo numero di eventi ischemici cerebrali, nel gruppo con POAF, possa essere stato prevenuto attraverso il ricorso alle suddette terapie.

Infine sarebbe stato piu’ interessante e plausibile limitare la nostra analisi al rischio di insorgenza del sottotipo cardioembolico di ictus ischemico. Il mancato accesso alle cartelle cliniche dei pazienti ha impedito pero’ di

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eseguire una stratificazione eziopatogenetica dei casi documentati. La subanalisi eseguita utilizzando come criterio di outcome solo il codice 434.11 (ictus embolico) ha pero’ permesso di evidenziare una piu’ forte associazione tra POAF ed ictus ischemico rinforzando pertanto i nostri dati.

In conclusione, nonostante i molteplici limiti di cui sopra, i nostri risultati potrebbero avere importanti ricadute pratiche nel management del paziente postchirurgico. I dati che abbiamo riscontrato suggeriscono come mentre in alcuni casi la POAF nel paziente sottoposto ad intervento chirurgico cardiotoracico possa talvolta essere una diretta e transitoria conseguenza di uno stress correlato ad una manipolazione o trauma diretto sul cuore, in quello sottoposto a chirurgia non cardiotoracica costituisca una manifestazione patologica con un peso identico ad un episodio di FA riscontrata in un qualsiasi altro contesto clinico. E’ pertanto necessario cercare di documentare al piu’ presto tale aritmia nei pazienti predisposti al fine di mettere in atto trattamenti appropriati.

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