P ARTE PRIMA
L’ ANALISI TEORICA E NORMATIVA
C
APITOLO1
L’
ANALISI ECONOMICA DELLE POLITICHE SOCIALI PER LA PREVENZIONE DEGLI INFORTUNINascita e sviluppo delle politiche anti-infortunistiche
I sistemi sociali per la protezione della salute dei lavoratori nascono in Europa verso la fine dell’ottocento, quando nei principali paesi si è ormai conclusa la prima fase di decollo industriale e l’industria é diven-tato il settore propulsivo dello sviluppo, cominciando ad assorbire quote crescenti di lavoratori espulsi dall’agricoltura. In questo stesso contesto si diffondono le istanze di giustizia ed eguaglianza sociale che spingeranno i governi nazionali, in tempi e forme diverse, a promuovere legislazioni per la tutela dei lavoratori.
Dopo questi inizi, le problematiche connesse ai fenomeni di infortu-nio sul lavoro sono rimaste indissolubilmente legate alle trasformazioni che hanno investito il mondo della produzione e più in generale la strut-tura economica dei paesi. Le successive modificazioni che si sono verifi-cate nelle strutture economiche, così come lo stesso progredire sociale, hanno infatti influenzato l’andamento del fenomeno infortunistico e la percezione della sua gravità.
Nei paesi europei, l’intervento dello stato in tema di tutela anti-infor-tunistica si concretizza oggi, prima di tutto, nella rete di protezione socia-le stesa al fine di mitigare socia-le conseguenze dell’infortunio sulla vittima e il suo nucleo familiare. Nella maggioranza dei paesi il lavoratore infortuna-to ha diritinfortuna-to ad un indennizzo per il periodo di assenza dal lavoro e, in caso di invalidità permanente o di malattie professionali, acquisisce il diritto ad una rendita, la cui entità è stabilita innanzitutto in base al grado di incapacità. Le prestazioni corrisposte al lavoratore infortunato tengo-no, inoltre, conto della sua situazione personale, come ad esempio l’am-piezza del nucleo familiare, e comprendono ulteriori prestazioni, come cure mediche e altri servizi sanitari. Questo sistema di protezione è finan-ziato, nella maggioranza dei paesi europei, attraverso premi assicurativi posti a carico dei datori di lavoro, strutturati in modo tale da riflettere la rischiosità delle diverse attività produttive. Inoltre sono previste, in misu-ra diversa a seconda dei paesi considemisu-rati forme, di differenziazione dei premi, a livello di settore o persino a livello di singola impresa, in funzio-ne del numero effettivo di infortuni1.
1Un confronto più approfondito fra i sistemi di assicurazione sociale vigenti in alcuni paesi euro-pei è presentato nel capitolo successivo.
Oltre che attraverso il sistema di assicurazione sociale, la politica pubblica per la tutela dei lavoratori si è andata sviluppando attraverso vere e proprie forme di regolamentazione dell’attività produttiva. Si pensi, alla fine dell’ottocento, all’introduzione delle norme che hanno posto limiti all’orario di lavoro, mentre in tempi più vicini a noi, si può pensare all’obbligo di usare determinati materiali, o all’introduzione di standard tecnici per gli impianti e sui luoghi di lavoro. La logica che presiede all’a-dozione di questo tipo di misure è quella di prevenire l’insorgere dell’e-vento infortunistico. D’altra parte l’esperienza mostra che i paesi europei che con maggiore convinzione hanno perseguito una politica di preven-zione hanno poi registrato significative riduzioni dei tassi di infortunio.
In Italia ci si è decisamente incamminati lungo questa direzione con il decreto legislativo 626/94. Questa legge non introduce nuove modalità di sicurezza entro cui il processo di produzione deve essere organizzato e condotto. Nella sua impostazione, che ne costituisce il principale elemen-to di novità, essa riconduce piutelemen-toselemen-to il fenomeno infortunistico alle scel-te organizzative e produttive delle aziende, introducendo una più corretta valutazione dei rischi ed una maggiore attenzione alla formazione della manodopera. Il provvedimento, in particolare, stabilisce che le imprese adottino sistematicamente misure di protezione della salute sul lavoro, che procedano all’identificazione e valutazione dei rischi, ed infine che predispongano misure di prevenzione e sorveglianza sanitaria. In pratica, ed è questo un effetto molto importante ai fini di un’analisi economica, la legge stabilisce un quadro dinamico entro cui affrontare il problema della sicurezza. Le imprese sono, difatti, tenute ad aggiornare continuamente le tecnologie utilizzate e l’organizzazione dei processi lavorativi, sulla base delle nuove opportunità e delle nuove esigenze di sicurezza.
L’aspetto innovativo del decreto 626/94 è stato però recepito solo in parte dalle imprese italiane. In particolare, i rappresentanti delle imprese di grandi dimensioni hanno accolto favorevolmente il decreto, a differenza dei rappresentanti delle piccole imprese, che lamentano invece le difficoltà in termini di aggravio di costi derivanti dall’applicazione delle disposizioni legislative. Tra i problemi che le piccole imprese sollevano, meritano di esse-re ricordati le caesse-renze di infrastruttuesse-re che possano offriesse-re servizi esse-reali come assistenza e formazione tecnica, ed ancora, le difficoltà ad ottenere finan-ziamenti necessari per ottemperare alle esigenze di ammodernamento delle strutture produttive che vengono poste dalla nuova normativa 2.
Negli ultimi anni, l’intervento pubblico in materia di sicurezza sul lavoro si è concretizzato dunque, in una serie di provvedimenti volti a facilitare l’applicazione del decreto 626/94 e a stimolare la diffusione, presso il sistema delle imprese, della cultura e della pratica della preven-zione. La legge finanziaria del 1998 prevede, all’articolo 3, che la con-cessione di incentivi alle imprese sia subordinata all’osservanza da parte 18 Modernizzazione dei processi produttivi ed emersione dei costi sociali
2Vedi, Eurispes, “ Costi e benefici dell’applicazione della normativa europea in materia di sicu-rezza e salute dei lavoratori nell’ambito della piccola e media impresa, volume II, Parte IV: Le Interviste in profondità”, 1998.
di queste ultime delle norme relative alla sicurezza sul lavoro. Tale dis-posizione è stata reiterata nella legge 17 maggio 1999 n.144, il cosiddet-to “collegacosiddet-to ordinamentale” alla legge finanziaria del 1999, che contie-ne, inoltre, una serie di iniziative particolarmente rilevanti. In particola-re nell’articolo 55 è pparticola-revisto per il triennio 1999-2001 la destinazione da parte dell’Inail di risorse economiche con cui si intende fornire un soste-gno alle piccole e medie imprese intenzionate ad adottare programmi di investimento necessari per adeguarsi alle normative di sicurezza. Tale disegno è stato completato con il decreto legislativo dell’11 febbraio di quest’anno, il cui aspetto di maggior rilievo è lo stanziamento di com-plessivi 600 miliardi per il triennio 1999-2001 per finanziare l’ammoder-namento delle attrezzature ed impianti e progetti di formazione e di informazione dei lavoratori. Infine, si può ricordare la riforma del siste-ma assicurativo, alla cui elaborazione hanno partecipato l’Inail e i rap-presentanti delle parti sociali. Tra gli aspetti della riforma ne ricordia-mo due. Il priricordia-mo è l’applicazione del meccanisricordia-mo del bonus-malus, pro-prio delle assicurazioni private, per il momento applicato a livello di set-tori produttivi. Pagheranno di più le imprese di quei comparti produtti-vi dove gli infortuni aumenteranno, e di meno quelle dei settori dove gli infortuni sono in calo. Il secondo è costituito dalla riduzione del premio assicurativo, nella misura del 5 per cento, riguardante tutte le imprese;
riduzione applicata a partire dall’anno in corso.
Il costo economico della regolamentazione: il dibattito sulle politiche ambientali
Le politiche per la prevenzione degli infortuni pongono, per loro stessa natura, dei vincoli alla libertà di organizzare e strutturare tecnica-mente il processo produttivo. Esse comportano cioè, come effetto di impatto, un immediato aggravio dei costi di produzione. Un interrogativo importante è allora se, sotto l’operare della concorrenza internazionale, una politica che abbia come effetto immediato un aumento dei costi medi unitari non debba considerarsi causa di una perdita di capacità competi-tiva, con conseguenze negative per l’intero processo di sviluppo. Se, in altre parole, le istanze sociali che portano ad introdurre forme di prote-zione anti-infortunistica del lavoratore non siano, prima o poi, destinate ad entrare in conflitto con gli obiettivi di efficienza economica.
Dal punto di vista della teoria e dell’analisi economica, gli effetti indotti sulla capacità competitiva delle imprese dall’attività di regolamen-tazione dell’operatore pubblico sono stati negli ultimi anni dibattuti, per esempio, con riferimento alla diffusione delle normative a tutela dell’am-biente ed all’adozione dell’obiettivo di sviluppo sostenibile da parte delle principali organizzazioni internazionali. Secondo una tesi diffusa, le poli-tiche ambientali sarebbero responsabili di parte del declino della produt-tività americana e del continuo peggioramento della bilancia
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le degli Stati Uniti 3. Viene fatto rilevare, da parte dei sostenitori di questa tesi, come le normative ambientali finiscano, tra l’altro, per limitare la capacità di investimento delle imprese, che vengono spinte ad utilizzare, per l’adeguamento alla normativa, risorse che altrimenti potrebbero esse-re destinate all’accesse-rescimento della capacità produttiva o all’aumento della produttività, secondo scelte che operatori razionali sono, per defini-zione, in grado di compiere per proprio conto.
Gli studi che sottopongono a verifica empirica tale tesi non giungo-no, tuttavia, a conclusioni di sicura interpretazione. Risulta quantomeno come gli effetti negativi sulla produttività varierebbero da settore a setto-re e come, in media, le setto-regolamentazioni ambientali non spieghino più del 10 per cento circa del declino della produttività totale dei fattori registra-ta a partire dagli anni Setregistra-tanregistra-ta negli Sregistra-tati Uniti.
Ora, pur senza voler discutere nel dettaglio i risultati di questi lavori, né la generale validità della tesi in oggetto, vale la pena rammentare come appaia al momento del tutto fuor di luogo parlare di perdita di competi-tività dell’industria statunitense, così come assai difficile è denunciare una progressiva caduta dei livelli di produttività dell’economia americana.
L’esperienza degli anni novanta ci dice semmai che l’industria statuniten-se ha fortemente accresciuto, per il tramite di un intenso e diffuso proces-so innovativo, la propria competitività. I dati recenti misurano poi forti aumenti di produttività, tanto nel riferimento storico, che nel confronto con gli altri paesi. Andamenti che consentono ad alcuni autori di chie-dersi se le normative ambientali, ma la questione può essere estesa all’in-tero spettro delle politiche sociali, non possano risolversi, nel medio e lungo periodo, in aumenti di efficienza e competitività4. Questo dibattito costituisce un utile punto di riferimento anche per l’analisi delle politiche di prevenzione degli infortuni.
Politiche sociali ed innovazione: quali legami?
L’aspetto determinante è il tentativo di valutare le politiche di regola-mentazione non per il loro effetto di impatto, ma in un orizzonte di lungo periodo. Una scelta che consente di dar conto dei processi innovativi che esse sono in grado di innescare. La posizione discussa precedentemente, che interpreta la regolamentazione dell’operatore pubblico come un mero aggravio di costi, sebbene indiscutibilmente fondata sulla base di un ragio-namento immediato e pratico, trascura infatti un elemento la cui impor-20 Modernizzazione dei processi produttivi ed emersione dei costi sociali
3Secondo uno degli argomenti avanzati, il declino della produttività delle imprese sarebbe provo-cato dal fatto che i fattori di produzione vengono obbligatoriamente indirizzati alla produzione di un nuovo output, la qualità ambientale, che non è oggetto di misurazione economica. Contabilmente, ciò si risolve in una riduzione della produttività media. Una rassegna di tali tesi è contenuta in Jaffe A.
B., Peterson S. R. e Stavins R. N., Environmental Regulation and the Competitiveness of U.S.
Manufacturing: What Does the Evidence Tell Us?, Journal of Economic Literature, Vol. 33, 1995.
4Sull’argomento e con riferimento alle posizioni assunte dalle organizzazioni internazionali, si può vedere, ad esempio, dell‘OCSE Environmental Policies and Industrial Competitiveness, Parigi, 1993.
tanza è oggi sempre più evidente: se è senz’altro vero che le imprese che godono di fattori produttivi a buon mercato, o che sono sottoposte a nor-mative meno rigide, possiedono una iniziale struttura di costi medi più bassi, ciò si traduce in un semplice vantaggio competitivo di natura stati-ca. Il fatto è che, nel mondo reale, la competitività delle impresa, e più in generale dell’intera economia, non può essere limitata ad un confronto sta-tico del costo dei fattori. Rilevano, piuttosto, i fattori di competitività dinamica, fra cui sono inclusi esplicitamente i flussi di innovazione tecno-logica. Ciò sta a significare che alle forze che sono alla base del processo innovativo deve essere riservata un’attenzione almeno pari a quella che viene abitualmente dedicata agli elementi di costo, dal momento che effet-tivi miglioramenti di competieffet-tività passano attraverso la capacità delle imprese di introdurre cambiamenti nei processi produttivi. Fenomeni quali l’emergere dei cosiddetti nuovi paesi industrializzati, la crescente dimen-sione internazionale che hanno assunto gli scambi commerciali e la stessa diffusione all’interno delle moderne economie delle tecnologie legate all’in-formazione, suggeriscono che la capacità competitiva delle imprese, ed in particolare dei maggiori paesi industrializzati, dipende sempre di più dal-l’attitudine ad avviare processi di innovazione. E’ evidente che se si rima-nesse confinati esclusivamente entro un semplice confronto dei costi dei fattori, la concorrenza dei paesi di nuova industrializzazione sarebbe diffi-cilmente sostenibile, a ragione del livello di remunerazione del lavoro esi-stente in quei paesi, inaccettabile nella nostra società.
Nel caso in cui riuscissero ad innescare ed indirizzare l’attività di ricerca ed innovazione delle imprese, le politiche anti-infortunistiche potrebbero dunque contribuire a portare il sistema economico su livelli di competitività superiori a quelli iniziali. Lo stesso aumento iniziale dei costi di produzione andrebbe quindi considerato alla stregua di un inve-stimento, del quale va verificata la capacità di ripagarsi nel tempo. In sostanza, non appena si adotta un approccio dinamico, il punto di cadu-ta dell’attività di regolamencadu-tazione pubblica può risulcadu-tare molto discadu-tante, e molto diverso negli effetti, dal punto di impatto. E’ esattamente questo il punto che intendiamo sviluppare nel corso della ricerca.
Le ricadute innovative dell’attività di regolamentazione hanno ricevuto attenzione crescente negli ultimi anni. Nuovamente, sono state le analisi di argomento ambientale a dare avvio al dibattito. Negli ormai noti contributi di Porter5, si sostiene una tesi tutt’affatto diversa da quella discussa in pre-cedenza. Le politiche ambientali avrebbero infatti stimolato l’attitudine e la capacità innovativa delle imprese, tanto che i risparmi ottenuti grazie alle innovazioni introdotte, di prodotto o di processo, avrebbero spesso
compen-Capitolo 1 21
5La tesi è inizialmente sviluppata in M. E. Porter, America’s Green Strategy, Scientific American, Aprile, 1991; un ulteriore approfondimento è contenuto in M. E. Porter C. van der Linde, “Toward a New Conception of the Environmental Competitiviness Relationship”, Journal of Economic Perspectives, 9, 4, 1995. La stessa tesi era stata precedentemente avanzata in N. A. Ashford, C. Ayers Christine e R.F. Stone, Using Regulation to Change the Market for Innovation, Harvard Environmental Law Review, 9(2), 1985.
sato, o addirittura più che compensato, i costi di adeguamento6. La norma-tiva ambientale avrebbe cioè suggerito alle imprese interessate la necessità di un ripensamento dell’intera organizzazione, non solo tecnica, del processo produttivo, con la possibilità di introdurre redditizi cambiamenti.
Tutto ciò evidenzia come, in un contesto di analisi economica dinami-ca, le politiche di prevenzione degli infortuni non dovrebbero essere valuta-te con esclusivo riferimento a quello che è il loro obiettivo diretto, ossia la riduzione dell’evento. Se da una parte, infatti, resta la necessità di misurare i minori costi sociali a cui si giunge riducendo il numero degli infortuni, dal-l’altra parte l’efficacia della politica dovrebbe essere valutata in relazione al miglioramento di efficienza e di competitività a cui può essere spinto il siste-ma economico. In tal modo, viene a ricomporsi la conflittualità fra obietti-vi sociali e di efficienza economica, a cui si è fatto cenno in precedenza. Lo schema della pagina successiva offre una possibile rappresentazione con-cettuale indicando i criteri di valutazione ex-post che dovrebbero essere applicati alla politica antinfortunistica. E’ chiaro, che all’interno di questo schema di riferimento, la scelta fra strumenti alternativi dovrebbe poi riflet-tere la capacità degli stessi di conseguire tanto l’obiettivo sociale della ridu-zione degli infortuni, che quello più strettamente economico, di aumento dell’efficienza produttiva attraverso la diffusione dell’innovazione.
Occorre, da questo punto di vista, sottolineare che non necessaria-mente la politica di tutela dagli infortuni innesca un processo di innova-zione e di miglioramento della competitività internazionale. Questi risul-tati possono essere attesi solo se le politiche vengono opportunamente definite, anche esplicitando gli obiettivi di natura economica che si inten-de perseguire7. Torneremo oltre sul disegno delle politiche di regolamen-tazione. Per il momento, è invece necessario soffermarsi sulle critiche che vengono avanzate alla possibilità stessa di innescare un circuito virtuoso regolamentazione - innovazione. Solo superando tali critiche, infatti, è possibile impostare un’analisi economica che dia conto dei potenziali benefici delle politiche anti-infortunistiche sul processo innovativo.
Le determinanti dell’innovazione: scelte private o incentivi pubblici?
Affermare che una politica di regolamentazione dell’attività produttiva 22 Modernizzazione dei processi produttivi ed emersione dei costi sociali
6Alcune recenti esperienze industriali forniscono sostegno empirico a questa argomentazione, anche se si tratta di un’evidenza comunque aneddotica e non di una vera e propria dimostrazione della tesi. Esisterebbero comunque numerosi casi di imprese che successivamente all’emanazione di più rigidi standard ambientali, hanno modificato la tecnica utilizzata, ottenendo risparmi finali supe-riori ai costi di adeguamento. Vedi ad esempio i casi citati in Porter-van der Lind, 1995, cit. Per un riferimento alle norme di sicurezza sul luogo di lavoro, si può consultare Gauging Control Technology and Regulatory Impacts in Occupational Safety and Health: an Appraisal of Osha’s Analytic Approach, cap. 3 September, 1995. Tale volume è edito dall’Office of Tecnology Assesment (OTA), l’ente pub-blico statunitense che si occupa della valutazione degli standard tecnologici che caratterizzano il siste-ma produttivo degli Stati Uniti.
7Vedi per esempio, A.B. Jaffe, R. N. Stavins, “Dynamic Incentives of Enviromental Regulations:
The Effects of Alternative Policy Instruments on Technology Diffusion“, Journal of Enviromental Economics and Management, 29, 1995.
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OBIETTIVIDIRETTIEINDIRETTIDELLAPOLITICAANTINFORTUNISTICA: UNPOSSIBILESCHEMADIRIFERIMENTO Obiettivi diretti •Riduzione degli infortuni •Riduzione della spesa sociale per infortuni Indicatore di efficacia •Riduzione degli oneri contributivi a carico delle imprese Indicatore di efficacia •Contributo all’aumento della produttività media del sistema produttivo Obiettivo indiretto •Introduzione e diffusione di tecniche più efficienti
Strumento •Incentivi finanziari alla modernizzazione degli impianti Valutazione finale d’impatto •Miglioramento competitività internazionale
possa risolversi in un vantaggio competitivo di medio periodo implica assu-mere una posizione piuttosto netta sulle determinanti del processo innova-tivo. Le ipotesi di razionalità che sottendono gran parte della teoria econo-mica porterebbero infatti a ritenere che le scelte più efficienti siano quelle compiute autonomamente dalle imprese, le uniche a disporre di un sistema informativo adeguato a cogliere le opportunità offerte dai processi innova-tivi. In altre parole, laddove le imprese non innovano, se ne dovrebbe desu-mere che non vi siano convenienze a spostare la frontiera dell’efficienza.
Questa visione esclude, chiaramente, l’utilità di un intervento dell’operato-re pubblico e tende a riportadell’operato-re all’interno del solo sistema delle impdell’operato-rese le opzioni in tema di innovazione e competitività. Vi sono però validi motivi per adottare una posizione meno radicale sulle determinanti del progresso tecnico e per ritagliare uno spazio non trascurabile all’intervento pubblico.
In primo luogo, gli infortuni dei lavoratori costituiscono un costo sociale, che è comunque opportuno ridurre ma che, soprattutto, deno-tano la presenza di esternalità negative legate all’attività produttiva.
Poiché, per definizione, le esternalità non entrano nei bilanci delle imprese, è ovvio che le scelte produttive vengono effettuate sulla base di un sistema di prezzi relativo distorto, o quantomeno incompleto. Di fronte a questa situazione, l’operatore pubblico ha due opzioni: limitar-si ad introdurre provvedimenti che riducano l’incidenza del fenomeno infortunistico, senza preoccuparsi delle conseguenze sulla competitività delle imprese; oppure tentare di utilizzare la normativa anti-infortuni-stica come veicolo di diffusione dell’innovazione tecnologica, spingendo
Poiché, per definizione, le esternalità non entrano nei bilanci delle imprese, è ovvio che le scelte produttive vengono effettuate sulla base di un sistema di prezzi relativo distorto, o quantomeno incompleto. Di fronte a questa situazione, l’operatore pubblico ha due opzioni: limitar-si ad introdurre provvedimenti che riducano l’incidenza del fenomeno infortunistico, senza preoccuparsi delle conseguenze sulla competitività delle imprese; oppure tentare di utilizzare la normativa anti-infortuni-stica come veicolo di diffusione dell’innovazione tecnologica, spingendo