delle smisurate intromissioni che Servilia riversava verso il figlio
652. In questo caso dunque il mantenimento
di un certo stato di diplomazia da parte di Cicerone è sicuramente dovuto allo stretto rapporto di amicizia
che intercorreva tra questi e Bruto.
Analizzati i passi ciceroniani in questione, si può a buon diritto affermare che Servilia seppe imporre
il proprio parere e la propria opinione, partecipando a contiones popolate soprattutto da uomini, facendo
sentire, in tale contesto, la propria voce. L’immagine di Servilia ricostruibile dalle testimonianze ciceroniane
stride con quello che nella Roma antica e arcaica era l’ideale femminile per eccellenza, incarnato dalla donna
silenziosa
653, secondo il presupposto che la parola era prerogativa del genere maschile
654. Se dall’epistola
dell’agosto 59 a.C. poteva sembrare che Servilia agisse solo per mezzo del proprio corpo, della propria
femminilità, secondo un altro tópos ben rodato nell’antichità
655, i passi del 44-43 a.C. dimostrano la sua
capacità di riflessione, ragionamento ed esplicitazione attraverso la parola e il discorso
656. Si proverebbe
così che dinanzi ai modelli pensati per la donna ideale, veicolati perlopiù dalle fonti epigrafiche, coesistono
le descrizioni di donne che agiscono, in carne ed ossa, differentemente da come auspicato
657. Allo stesso
tempo verrebbe meno anche la classica associazione dicotomica uomo-cultura; donna-natura: la donna non
ha solo il compito biologico di generare, partorire e allevare, ma riesce anche ad esprimere, in contesti più
propriamente sociali, la propria conoscenza, la propria ragionata opinione
658. Tuttavia, come ben rileva
Francesca Cenerini, difficilmente si conoscono le dirette parole pronunciano dalle donne romane, ma
652 Diversamente, a proposito di questa espressione Borrello 2016, p. 180 afferma: «Cicerone sottolinea ancor più
l’intraprendenza che contraddistingueva questa matrona, unitamente al forte affetto materno, mediante il messaggio affidato alla proposizione relativa – cuius omnes curae ad te referuntur et in te consumuntur – che qualifica positivamente l’interesse di una madre appartenente al ceto aristocratico per il proprio figlio».
653 I Romani ereditano tale modello dalla cultura greca: vd. Cantarella 1985, p. 12.
654 Significativo a tal proposito risulta il culto di Tacita Muta, divinità romana dei morti. Questa, prima di divenire
dèa, era stata una ninfa, di nome Lara, che aveva parlato troppo in quanto aveva rivelato a Giuturna l’amore che Giove provava per lei, così la divinità, per punirla, le aveva tolto la parola. Inoltre, la ninfa venne violentata da Mecurio, nel viaggio in cui egli la conduceva al regno dei morti. Ogni anno Tacita veniva venerata perché fosse chiusa la bocca alle maldicenze, perché vi fosse silenzio. Su questo culto vd. in particolar modo Bologna 1978, pp. 336-340; Cantarella 1985, pp. 9-18: «[…] Lara usò a sproposito la parola in quanto donna: inevitabilmente, vale a dire, per una caratteristica e un difetto tipicamente femminili» (p. 11), con riprese dell’argomento anche in Cantarella 1996 a, pp. 13-15; Borca 2001, pp. 867-868. Sul fatto che nel mondo antica la donna fosse associata al silenzio vd. Petrocelli 1989, p. 49; Crippa 1995, pp. 290-291 e Borca 2001, p. 873 il quale ricorda la distinzione tra l’uomo Romano che parla, gestisce la res publica e l’’altro’ incarnato da donne, bambini, morti, uomini ‘primitivi’ e bestie, che tacciono. Per riflessioni sulle coppie dicotomiche “uomo-parola” in contrapposizione a “donna-silenzio” nel mondo antico e romano vd. Rohr Vio 2014, pp. 95-116 dove sono elencati significativi casi attestanti matrone tardo-repubblicane che hanno proferito «parola strutturata in un discorso» (p. 105), discostandosi così dal modello di donna silenziosa.
655 Sulla centralità del corpo e del suo adornamento per le donne, e sul fatto che questo costituisse un marchio di
genere vd. Wyke 1994, pp. 134-151.
656 Come mette a punto Rhor Vio 2016 a, pp. 1-21 nella tarda repubblica, «le rinnovate forme dell’azione
matronale […] si riconoscono anche nelle modalità dell’agire femminile, poiché decisivi nella dialettica politica risultano i mezzi della comunicazione. Le matrone si esprimono attraverso la gestualità, ovvero per imagines; mediante la voce, per verba; con la scrittura, per scripta» (p. 14). Il caso di Servilia, fortunato perché ben attestato, va dunque iscritto a una precisa tendenza del tempo.
657 Sul contrasto tra donne “modello” e donne “realtà” vd. in particolar modo Cenerini 2009 a.
658 Sull’argomento cfr. le interessanti riflessioni di Ortner 1996, pp. 27-37, sebbene senza riferimento al mondo
antico. Sulla connessione tra parola, relazioni sociali, e inserimento in una comunità vd. Borca 2001, p. 865: «[…] nella cultura romana un fattore decisivo per la costruzione dell’identità individuale e collettiva è rappresentato dalla parola: il Romano è inserito in una rete di relazioni e di scambi fondati sulla comunicazione e l'interazione con il proprio simile - il civis, il con-cittadino».
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piuttosto solo quelle loro attribuite, secondo la figura retorica della sermocinatio
659. A ben vedere, la
promessa di far sopprimere il senatus consultum di Servilia, è riportata in entrambe le lettere da Cicerone
in discorso indiretto
660. Ancora una volta, è la mancanza di lettere scritte da mano femminile a decretare
l’impossibilità di conoscere direttamente la voce di una donna
661.
Oltre a ciò, sembra interessante porre l’attenzione anche sullo spazio in cui Servilia agisce, lo spazio
della domus. Nella mentalità antica l’azione femminile è sempre stata associata al contesto domestico,
mentre quella maschile al contesto pubblico, al foro
662. Secondo Lien Foubert tuttavia si tratta di
un’associazione ormai automatica e stereotipata
663, in quanto in realtà la corrispondenza tra il binomio
pubblico/privato in correlazione a maschile/femminile è molto più complessa di quello che possa
sembrare
664. Va infatti rilevato che, per certi versi, a Roma non si ha una netta divisione fra ambiente
pubblico e privato
665: proprio la domus è il luogo che funge da link per connettere le due sfere in quanto
all’interno di questa nella tarda repubblica molte donne intrattennero relazioni con esponenti maschili
politici per conto degli uomini della loro famiglia
666. Come mette in luce Jean-Pierre Guilhembet in particolar
modo negli ultimi decenni della tarda repubblica «la domus s’inscrit pleinement parmi les scènes du théâtre
659 Cenerini 2014, p. 15: le maggiori difficoltà nel conoscere la voce femminile si hanno nel campo della produzione
letteraria, in quanto qualcosa in più si riesce a evincere dall’epigrafia (p. 29). Per una definizione ciceroniana della sermocinatio vd. rhet. ad Her. 4, 52, 65: sermocinatio est, cum alicui personae sermo adtribuitur et is exponitur cum ratione dignitatis, hoc pacto […]. Per una felice espressione sul tema, strettamente pertinente alle madri, cfr. Suleiman 1985, p. 356: «mothers don’t write: they are written»
660 CIC. Att. 15, 11, 2: etenim Servilia pollicebatur se curaturam ut illa frumenti curatio de senatus consulto
tolleretur; Att. 15, 12, 1: eam Servilia sublaturam ex senatus consulto se esse dicebat. Nella prima di queste due epistole, invece, l’arpinate riporta anche un discorso diretto, quando scrive: exclamat tua familiaris (scil. Servilia): «hoc vero neminem umquam audivi!».
661 A questo si è già avuto modo di alludere nel par. 1.5.
662 Sull’associazione della donna alla domus e dunque al contesto privato vd. LIV. 34, 1, 5; 34, 2, 9-11.
663 Foubert 2016, p. 129. Secondo Laurence 1997, pp. 137-138 l’idea che la donna debba essere collocata nella
sfera privata è troppo radicata e si spiega pensando che gli storici moderni hanno concepito il potere sulla base di definizioni costituzionali: «the coincidence of formal action in both republic and principate might suggest that the location of the female role in the private sphere has been overemphasised, simply because modern historians conception of power has been based upon constitutional definitions. The only areas of informal power given adequate recognition have been those of arranged marriage and kin relations, and patronage, and even these
664 Foubert 2016, pp. 132-133.
665 Hales 2000, p. 51; pp. 52-53; Gherchanoc 2006, p. 12.
666 Questa duplice connotazione della domus troverebbe riscontro anche a livello architettonco: è stato infatti
rilevato che la casa romana, rispetto a quella greca, non conosceva una rigida distinzione tra ambienti maschili e femminili, come si avrà modo di vedere meglio nel par. 4.4. Sull’argomento vd. Wallace-Hadrill 1988, 50-52: «in the Greek house the most important single contrast was that between male and female space; in the Roman it is virtually undetectable». L’autore inoltre mette in rilievo che anche Cornelio Nepote rileva questa differenza tra mentalità greca e romana e che lo stesso contrasto è implicito in Vitruvio; Wallace-Hadrill 1996, pp. 105-106 dove la domus romana è definita «an interprenetation of areas and activities»; Fredrick 2002, p. 253: «a genderbased distribution of space and goods in the (scil. roman) house is not clear from the evidence, but a distribution based on social rank is beyond doubt»; Foxhall 2013, pp. 121-122. Di nuovo Wallace-Hadrill 2015, p. 183 fa cenno alla speranza di alcuni archeologici di reperire dagli scavi prove di un eventuale spazio della casa romana destinato alle donne: a suo avviso si tratta di sperenze del tutto vane. Vd. anche Russell 2015, pp. 49-61 che evidenzia la presenza di alcuni elementi dell’architettura pubblica all’interno delle domus romane. Secondo McAuley 2016, p. 3 proprio la maternità si trova a cavallo fra pubblico e privato, nonostante nel tempo fosse stata esclusa dal pubblico o dalla sfera politica, per venire confinata al campo del domestico, del privato, del corpo intimo.
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politique [...]»
667. Servilia dunque, come le altre donne del suo tempo, non appare attiva in contesto
pubblico, tuttavia la sua azione è finalizzata a incidere su ciò che è di dominio pubblico, come dimostra la
promessa della sopressione del senatus consultum
668. Il fatto che la donna agisca all’interno della domus
richiama il motivo stesso per cui agisce, ossia tutelare un membro della sua famiglia: indispensabile infatti
risulta considerare che ciò che Servilia fa, lo fa in quanto membra di una famiglia importante politicamente
e in particolar modo perché madre di Bruto. D’altra parte tutte le donne della tarda repubblica che parlano
e agiscono, lo fanno perché appartenenti a una famiglia dell’élite, a una famiglia che conta, e con l’obiettivo
di fare gli interessi dei propri congiunti di sesso maschile
669. Come ha notato Charlotte Wikander le donne,
nelle varie epoche e culture, quando escluse dalla vita politica, seguono tre piste principali per provare a
influenzarla: «to fight for and obtain places in the outer hierarchy»; «to form ‘subcultures’ with their own
internal hierarchies»; «to choose influence in the easiest way accessible, throught the men with which one
is associated by family ties or other means»
670. Proprio dalla famiglia trae forza e legittimazione l’influsso e
l’autorità che Servilia esercita, fatto che sembra trovare conferma in un’esressione di Quinto Asconio
Pediano che, nel suo commento alla Pro Scauro, orazione pronunciata nel 54 a.C. da Cicerone in difesa di
Marco Emilio Scauro, scrive: (scil. Servilia) apud Catonem maternam obtinebat auctoritatem
671. Nel mondo
romano il termine auctoritas indica l’esercizio di un potere, ed è strettamente connesso alla sfera del
politico e del maschile in quanto è una delle doti principali che gli uomini politici devono possedere
672. Che
il termine auctoritas sia accostato all’aggettivo femminile materna, diviene spia del fatto che anche la donna
può decidere, esercitando un certo influsso sui propri parenti maschili. Non è noto a che azione di Servilia
Asconio si riferisse, tuttavia è evidente che auctoritas può essere inteso anche nel contesto delle pressioni
che la donna esercitò su Cesare attraverso la nocturna deprecatio e sul figlio Bruto, per persuaderlo a non
partire, oltre che in relazione alla promessa di far sopprimere il senatus consultum. L’appartenenza di
Servilia al genere femminile dunque non le avrebbe impedito di esercitare una certa influenza; anzi, proprio
nel suo essere madre di Bruto, si ritrova la più forte chiave di lettura del personaggio
673. Come si è già avuto
modo di accennare, l’influenza che le madri romane riuscivano ad avere sui loro figli nasceva dal fatto che
667 Guilhembet 2016, p. 180. Si pensi anche al fatto che all’interno della domus avveniva il rito delle salutationes:
anche questo momento può essere considerato una prova della fusione fra pubblico e privato, come messo in rilievo da Speksnijder 2015, pp. 87-99.
668 Vd. Rohr Vio 2014, p. 105: «Servila, dunque, si avvaleva di una parola strutturata in discorso per concorrere alla
gestione di una decisione inerente alla politica romana. Per quanto il contesto di tale suo intervento fosse privato, la matrona interloquiva, attraverso un’azione individuale, con magistrati in carica, infine imponendo il suo punto di vista anche su quello del consolare Cicerone e garantendo, tra l’altro, di poter interferire nei lavori della curia».
669 Wikander 1991; Hillard 1992; Glenn 1997, pp. 65-66.
670 Wikander 1991, p. 69.
671 ASCON. Scaur. p. 19. Vd. Hillard 1983, pp. 10-13 che ha riflettuto su tale espressione e l’ha fatta divenire
emblematica per tutte le madri che hanno esercitato un certo influsso nella tarda repubblica. Secondo lo studioso, Asconio utilizza quest’espressione in riferimento alle pressioni che Servilia dovette esercitare sul fratello Catone per il suo ruolo nel tribunale in cui ebbe luogo il processo a Scauro.
672 Hellegouarc’h 1963, pp. 295-314; Stockton 1971, p. 6; Jacotot 2013, p. 77 secondo cui l’auctoritas è un potere
non istituzionale. Auctoritas e honos indicano «ascendant d’une personne sur ses sembables» dove tuttavia auctoritas implica che qualcuno imponga il proprio prestigio sugli altri senza che gli venga riconosciuto un giudizio favorevole; mentre honos implica che c’è riconoscimento di prestigio (p. 78). Per riflessioni sull’etimologia del termine vd. Bettini 2000, pp. VII-XXXIV.
673 Vd. Collier 1974, p. 92 per la peculiarità del rapporto madre-figlio nella prospettiva del raggiungimento del
potere femminile: «the most available male for the role of political front man is a woman’s son. […] Husbands are much more difficult to control: by the time a man marries, he is already tied to his mother and has been taught to put the interests of his natal family before those of his stranger-bride» e Hillard 1983, p. 12 il quale riconduce tutta l’azione di Servilia al perseguire il bene del figlio Bruto: pertanto l’espressione materna auctoritas è utilizzata dallo studioso per identificare tutto il percorso di azione della donna.