chiaramente che tra le lettere perdute vi sono quelle che Cicerone si scambiò con i più eminenti politici del
tempo: lo stesso Nicholson si è interrogato su questo dato, mettendo in luce l’apparente contraddizione
per cui gli scritti che più dovevano interessare, sembrano essere invece stati ignorati. In base a quanto si è
già accennato, anche le supposte raccolte qui elencate dovettero costituire all’origine raggruppamenti di
libri a sé stanti: di conseguenza avrebbero circolato uno indipendentemente dall’altro. Poiché inizialmente
la corrispondenza dell’arpinate si diffuse in maniera informale, e addirittura nell’epoca medioevale fu del
tutto dimenticata, «the extant letters have survived by the merest thread while the rest – perhaps the
better half – perished by chance through neglect»
108. Inoltre e soprattutto, va supposto che Augusto non
abbia incoraggiato la diffusione delle epistole ciceroniane, veicolo per la propaganda dell’ideologia
repubblicana: anche questo potrebbe aver decretato la perdita delle lettere a più alto contenuto politico
109.
Risulta in questa sede particolarmente interessante notare che tra le lettere ciceroniane pervenute
mancano epistole scritte da donne o indirizzate a donne: in quest’ultimo caso costituisce ovviamente
un’eccezione il libro XIV delle ad Familiares. Lo stesso Epistolario, in più punti, informa del fatto che
l’arpinate intrattenne corrispondenze con donne: non solo con la moglie e la figlia, in particolar modo
quando si trovava lontano da loro, ma anche con la moglie e la figlia di Attico; e probabilmente con Servilia,
madre di Bruto
110. Due sono a questo punto gli aspetti sui quali ci si dovrà interrogare: in primo luogo ci si
chiede perché non siano pervenute lettere di Cicerone a donne, fatta eccezione per quelle a Terenzia. Si
potrebbe pensare a una difficoltà di reperimento da parte degli editori di queste stesse lettere: tuttavia,
presso la dimora di Attico, dovevano essere conservate sia le lettere di Cicerone a Pilia sia quelle ad Attica.
A meno che le stesse donne non le avessero fatte sparire, si dovrà pensare a una mancanza di interesse nei
confronti di queste: evidentemente gli argomenti di cui trattavano e che racchiudevano, riguardavano
tematiche davvero poco incisive. Diversamente, come si ha modo di vedere, particolarmente interessanti
risultano quelle indirizzate a Terenzia sopravvissute: sulla scia di questo però appare strano che non siano
state pubblicate quelle a Tullia. Possibile che l’editore ciceroniano, chiunque esso sia stato, abbia trovato
interessanti le lettere a Terenzia e non quelle a Tullia? Possibile che le lettere a Terenzia siano andate
conservate mentre neppure una di quelle a Tullia? È pensabile che circolasse una singola raccolta di lettere
a Tullia, alla stessa stregua di quelle a Terenzia, e per uno sfortunato caso del destino sia andata perduta,
fatto che non implica che non avesse suscitato interesse. In secondo luogo si dovrà esaminare la circostanza
per cui non sono giunte lettere scritte da donne a Cicerone
111. Nonostante ciò, a partire dall’epoca di
Cornelia e per tutto il I sec a.C., vi è notizia di donne che scrissero epistole, e tale produzione può vantare
108 Nicholson 1998, p. 80.
109 Ibidem, pp. 84-85.
110 Per quel che riguarda le epistole scambiate con Pilia e Attica cfr. Att. 12, 37, 1; 12, 40, 5; 12, 48, 1; 13, 27, 1.
Con grande probabilità possono essere supposti anche contatti epistolari con Servilia: cfr. Att. 15, 13, 4. Vd. Quintillà Zanuy 2005, n. 11, p. 52 che classifica un gruppo di donne del mondo antico tra cui Servilia, Clodia, Pilia, Cecilia Attica, Terenzia, Tullia, Publilia, Fulvia (per quel che riguarda quelle desumibili dall’Epistolario ciceroniano) come coloro che «cultivaron génoros como […] la epistolografía». L’espressione appare in realtà un po’ esagerata ed è forse più cauto affermare che diverse donne dell’epoca ciceroniana, come lo stesso Epistolario prova, intrattennero scambi epistolari con i loro congiunti e amici.
111 Per un elenco delle donne attestate dall’Epistolario ciceroniano, annoverabili tra gli «Epistolographi latini
minores» vd. Cugusi 1979 a: Terenzia (pp. 68-71; da Att. 3, 5; fam. 14, 4; 14, 2; 14, 1; 14, 3; 14, 5; 14, 6; 14, 12; 14, 8; Att. 11, 24; 11, 21 si capisce che scrive al marito Cicerone; da Att. 7, 26 ad Attico); Pilia (pp. 190-191; da Att. 5, 11 si evince che scrisse una lettera a Quinto); Tullia (p. 229; da Att. 10, 2; 10, 8 si evince che scrisse lettere al padre); Publilia (pp. 316-317; da Att. 12, 32 si evince che scrisse un’epistola a Cicerone); Attica (pp. 321-322; da Att. 12, 37 si evince che scrisse lettere a Cicerone e da Att. 13, 27; 13, 29 al padre Attico). Vd. anche Cugusi 1979 b, p. 248: Clodia suocera del tribuno della plebe del 49 Lucio Metello inviò a questi un’epistola sulla traversata di Pompeo.
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precise caratteristiche, come ha rilevato Aurora López
112. Sebbene nulla sia giunto, riferimenti vari
consentono di evincere che si tratta di epistole che dovevano avere carattere familiare, a cui si può applicare
la stessa prospettiva di analisi applicata alle lettere scritte dagli uomini del tempo quale lo stesso Cicerone;
che non c’è in nessun caso prova del fatto che queste lettere siano state pubblicate, e neppure che le
“autrici” si interessarono alla pubblicazione; infine si tratterebbe della prova del livello culturale che le
donne nel I secolo a.C. avevano raggiunto. Per quel che riguarda il fatto specifico che nella corrispondenza
ciceroniana non appaia alcuna lettera femminile, si potrebbe pensare che proprio l’arpinate le abbia fatte
sparire o perché le giudicava poco interessanti o perché, al contrario, gli sembravano troppo personali e
compromettenti. Per quel che riguarda quest’ultimo aspetto si dovrà pensare al contenuto delle sue lettere
a Terenzia: è evidente che la controparte trattasse di dettagli finanziari e gestionali scomodi per l’arpinate.
E ancora, alla sua supposta corrispondenza con Cerellia, che secondo la tradizione a lui posteriore avrebbe
testimoniato un certo legame con la donna. Tale ragionamento, evidentemente, implica una selezione da
parte di Cicerone in vista di una possibile pubblicazione o divulgazione, sulla quale tuttavia, come si è visto,
non si dovrebbe puntare troppo. Secondo un’altra ipotesi si potrebbe credere che siano stati gli editori a
selezionare, escludendo tutte le epistole scritte da mano femminile, utilizzando dunque un criterio di
genere
113. D’altra parte, generalmente, poche voci femminili giungono dall’antichità
114, motivo per cui
sembra opportuno pensare a una selezione dovuta a una mentalità androcentrica. Credere infatti che tutte
le lettere dal contenuto insignificante o compromettente fossero state eliminate dall’arpinate o dall’editore
non si sposa bene con l’evidenza per cui anche lettere a mittenti uomini conservate mostrano aspetti
sconvenienti del carattere dell’arpinate, o trattano di argomenti futili piuttosto che delicati. Come si è avuto
modo di vedere nel caso delle epistole scambiate con gli uomini politici del tempo e non conservate non vi
sono realtà indiscutibili, o regole rigide per cui l’epistola viene conservata se l’argomento è interessate o
eliminata se poco interessante. Secondo Emily Hemelrjik, che indaga come non resti traccia della scrittura
femminile (indipendentemente dalla fonte ciceroniana)
115, le motivazioni principali andrebbero cercate nel
carattere fortemente personale e privato delle epistole scritte dalle donne, fatto che avrebbe causato uno
scarso interesse nei confronti delle informazioni veicolate. Ancora, si potrebbe pensare che gli uomini
tendessero a selezionare e conservare soprattutto le lettere che ricevevano dai loro corrispondenti
uomini
116. Proprio per l’indubbia difficoltà di snodare questa matassa ci si dovrà piuttosto interrogare su ciò
che questa evidenza comporta, ossia il fatto che non è facile per i tempi passati disporre di alcuna voce
112 López 1994, pp. 48-49. L’autrice elenca le donne dell’epoca ciceroniana di cui si ha notizia che scrissero
lettere, purtroppo perdute: si tratta di Servilia, Clodia (suocera di Lucio Metello tribuno della plebe del 49), Pilia, Attica, Terenzia, Tullia, Publilia (pp. 50-54).
113 Secondo Cid López 2015, pp. 190-191: la mancanza di epistole femminili non deve per nessun motivo essere
ricondotta «a una scarsa preparación intelectual de las mujeres, […] es el fruto de las convenciones sociales más que de la ignorancia femenina».
114 Così Cenerini 2012 c, pp. 63-71. Come mette in luce Richlin 2013, p. 93 scrissero lettere a donne anche Plinio
(alla moglie Calpurnia, alla zia Calpurnia Hispulla e ad altre quattro donne); Frontone (alla madre di Marco Aurelio Domitia Lucilla); Simmaco (alla figlia) e soprattutto Agostino e Girolamo: il dato costante è costituito dal silenzio sulle lettere scritte dalle stesse donne.
115 Hemelrjik 1999, pp. 204-205. Sule donne scrittrici nell’antica Grecia e a Roma, per il periodo compreso fra il
VII sec. a.C. e il V sec d.C. vd. Plant 2004, e in particolar modo pp. 1-9. Si ha attestazione di circa un centinaio di donne che hanno scritto in questo periodo, nei vari generi letterari, cimentandosi in particolar modo nella poesia. Per un elenco delle donne vd. ibidem, pp. 243-249.
116 Come mette in luce Hemelrjik 1999, n. 86, p. 356 grazie a APUL. apol. 70; 78; 83; 84 è noto che Pontianus
conservava tutte le lettere della madre Prudentilla, caso più unico che raro. Stando al racconto di Apuleio si tratta di lettere preziose, contenenti informazioni di rilievo: questa sarà la motivazione per cui le lettere andarono conservate, indipendentemente dal genere di chi le scrisse.
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femminile
117. Le opinioni e i pensieri femminili di cui dunque è giunta nel tempo notizia devono essere
interpretati come mediati e filtrati dalla mente maschile: lo stesso Cicerone, come si avrà modo di vedere,
riporta discorsi o posizioni di donne
118. Il fenomeno per cui si attribuiscono a qualcuno parole che non ha
direttamente pronunciato, corrisponde alla figura retorica della sermocinatio
119.
117 Sull’argomento vd. Cenerini 2012 c, pp. 63-71, che ricorda che è giunto ben poco anche delle rare opere
letterarie scritte per mano femminile. L’unica eccezione, in questo panorama, com’è noto, è costituita dalla poetessa di età augustea Sulpicia. Sull’argomento vd. anche Hallett 2002 a, pp. 13-24.
118 Si tornerà sull’argomento in 3.2.3. Qualche esempio di voce femminile diretta in più proviene invece
dall’epigrafia: vd. Cenerini 2014, p. 29.
119 Per una precisa definizione vd. CIC. rhet. ad Her. 4, 52, 65: sermocinatio est, cum alicui personae sermo
adtribuitur et is exponitur cum ratione dignitatis, hoc pacto […]. Vd. Bettini-Guastella 1995, p. 348 (e più in generale pp. 343-368 con riferimento al genere poetico); Cenerini 2012 c, p. 65; 2014, p. 15.