Nel latte di capra (grafico 11) si può mettere in evidenza una sostanziale stabilità delle cariche di S. aureus da TØ al 6° giorno, mentre gli altri microrganismi hanno riportato un trend crescente.
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Grafici 12, 13, 14, 15. Andamento delle cariche dei microrganismi impiegati nelle miscele con latte d’asina termizzato.
Grafici 16, 17, 18, 19. Andamento delle cariche dei microrganismi impiegati nelle miscele con latte d’asina crudo.
6 RISULTATI E DISCUSSIONE
Nelle miscele di latte di capra addizionato a quote parti di latte d’asina termizzato e crudo (grafici 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19) si osserva una sostanziale omogeneità nella crescita dei singoli microrganismi.
I nostri risultati suggeriscono che, sebbene il latte d’asina abbia un’attività antimicrobica nei confronti di alcuni microrganismi Gram-positivi (S. aureus ed E.
fecalis), anche la percentuale più elevata di latte d’asina (10%) addizionata al latte di
capra da noi testata non è stata sufficiente ad inibire lo sviluppo di questi stessi microrganismi nelle miscele.
Per quanto riguarda i microrganismi Gram-negativi testati (E. coli e P.
aeruginosa), i dati ottenuti relativamente alle miscele di latte d’asina/latte di capra
sono risultati essere coerenti con quelli osservati per i campioni di latte d’asina tal quale: non avendo rilevato un’attività antimicrobica del latte d’asina nei confronti di questi stessi microrganismi, sarebbe stato improbabile osservare un effetto antimicrobico nelle miscele.
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Secondo quanto riportato in letteratura, il latte d’asina è caratterizzato generalmente da cariche batteriche moderate e da un buon contenuto in lisozima con spiccata attività antibatterica. Questo latte potrebbe quindi essere utilizzato come fonte naturale di lisozima per il settore lattiero-caseario.
Sarebbe tuttavia opportuno approfondire alcuni aspetti relativi all’attività antibatterica del lisozima presente nel latte d’asina, con studi mirati a definire con maggiore accuratezza i livelli fisiologici di tale enzima, che da quanto riportato in letteratura sembrano essere soggetti a notevoli variazioni di concentrazione. Inoltre, bisognerebbe andare a valutare oltre che il contenuto in lisozima, anche quello relativo ad altre componenti con azione antibatterica presenti nel latte d'asina e nei vari tipi di latte.
In secondo luogo, sarebbe necessario avere una maggiore cautela nell'esprimere un giudizio incondizionato sulla relazione tra gli elevati livelli del lisozima nel latte d'asina e le ridotte cariche batteriche del prodotto stesso.
Infatti, è da sottolineare come le basse cariche batteriche normalmente riscontrabili nel latte d’asina non siano attribuibili esclusivamente alla presenza di lisozima, ma anche ad alcuni aspetti che impediscono al latte d’asina di avere dei livelli di contaminazione elevati. Tra questi aspetti è utile ricordare l'applicazione delle corrette pratiche igieniche di mungitura, le quali costituiscono un fattore fondamentale per la riduzione della carica batterica del latte crudo. Un ulteriore aspetto è costituito dalla particolare posizione anatomica delle mammelle nelle asine che ne rende piuttosto difficoltoso l'insudiciamento.
Sulla base dei dati ottenuti nel presente lavoro di tesi, il latte d’asina è risultato essere una matrice idonea per il potenziale sviluppo di alcuni microrganismi (patogeni/alteranti) e quindi al momento, non sarebbe prudente attribuirgli un'incontrovertibile attività antibatterica. Quest'idea ha invece favorito, fino ad oggi, un utilizzo abbastanza "sereno" del latte d’asina crudo, o appena riscaldato (Conte et
7 CONCLUSIONI
La commercializzazione del latte crudo di asina si configura come la cessione di “piccoli quantitativi di prodotti primari ceduti direttamente dal produttore al consumatore finale” e, di conseguenza, esula dal Reg. CE n. 853/2004. Più precisamente, tale commercializzazione è soggetta alla sola registrazione delle aziende ai sensi del Reg. CE n. 852/2004, e la vendita è limitata al territorio della Provincia dove risiede l’azienda produttrice e delle Province adiacenti.
In questi anni, gli Stati Membri della Comunità Europea hanno introdotto norme nazionali e regionali che regolamentano la vendita del latte crudo in azienda o nei punti vendita come negozi, distributori automatici e distributori mobili. In Italia si fa riferimento all’Intesa Stato-Regioni del 25 gennaio 2007, che detta le linee guida per la produzione e la commercializzazione di latte crudo bovino per il consumo diretto, ma che non fa alcun riferimento specifico al latte di altre specie animali, tra cui quello di asina. Finora, solo alcune Regioni, evidentemente sollecitate dalla presenza di aziende produttrici di latte di asina, prevedono indicazioni in merito.
L’Emilia Romagna ha esteso anche al latte di asina alcuni dei requisiti igienico- sanitari previsti per il latte crudo bovino nel Reg. CE n. 853/2004, specificando l’obbligo di predisporre un piano aziendale di controllo per la Brucellosi, imponendo gli stessi limiti in merito a S. aureus, L. monocytogenes, Salmonella spp., E. coli O157,
Campylobacter termotolleranti e fissando invece uno specifico limite relativo alla
carica batterica mesofila totale a 30 °C 500.000 UFC/ml (media geometrica) (Deter.n. 004418/08). Anche per quanto riguarda il tenore in cellule somatiche si fa sempre riferimento al Reg. CE n. 853/2004, nel quale non è previsto un limite specifico per il latte di “altre specie”.
La regione Marche prevede invece per il latte crudo di qualsiasi specie animale, diversa da quella bovina, quindi anche per il latte d’asina, un tenore in germi a 30 °C
300.000 UFC/ml (D. Dir. 123/VSA 04/08).
I pochi dati a disposizione finora non permettono al legislatore comunitario di stabilire dei criteri specifici per il latte di asina, ma gli strumenti normativi a disposizione consentono di avere un prodotto con un livello di sicurezza accettabile (Colavita et al., 2010).
Il potenziamento dei controlli, sia lungo la filiera di produzione del latte d'asina, sia in fase di utilizzazione, è da ritenersi un obiettivo importante a cui puntare.
7 CONCLUSIONI
La principale motivazione di tale approccio, come ha sottolineato Conte et al. (2012), è individuabile nella particolare destinazione del prodotto, quasi esclusivamente rivolta a fasce di consumatori più a rischio, quali bambini, soggetti allergici ed anziani. Questo impone una particolare attenzione nei confronti della gestione igienico-sanitaria del prodotto, e di conseguenza di requisiti igienici ancora migliori, o quanto meno assimilabili a quelli relativi al latte crudo bovino.
Nell’ottica dell’individuazione di specifici requisiti igienico-sanitari per il latte d’asina, sarebbe importante realizzare un maggior numero di studi che valutino l’effettivo andamento nel tempo delle cariche batteriche sia mesofile che psicrofile, in modo da poter definire con maggiore precisione l’effettiva conservabilità (shelf-life) di questo prodotto.
Inoltre, sarebbero necessari ulteriori studi per accrescere il bagaglio di conoscenze relative all’attività antibatterica del latte d’asina nei confronti di specifici microrganismi alteranti e patogeni presenti nel latte, in vista di un suo possibile impiego come additivo naturale da utilizzare in caseificazione come potenziale alternativa al lisozima estratto dall’albume di uovo.
Dallo studio da noi condotto, è stato possibile evidenziare che aggiunte percentuali di latte d’asina (1%, 2,5%, 5%, 10%), contenente mediamente tra 1 e 3 µg/ml di lisozima, al latte di capra sembrano essere irrilevanti per quanto riguarda l’influenza sullo sviluppo dei microrganismi testati ed inoculati in concentrazioni pari a 105-106 UFC/ml.
Una prospettiva futura di indagine potrebbe riguardare la ripetizione della prova condotta nel presente lavoro di tesi, addizionando le stesse percentuali o percentuali maggiori di latte d’asina, a parità di concentrazioni di lisozima, in un latte contaminato con cariche batteriche inferiori a 105-106 UFC/ml. Tuttavia, l’unica problematica concreta che rappresenta un limite per l’addizione di percentuali elevate di latte d’asina ad un latte destinato alla trasformazione è lo scarso contenuto in caseine. Questa peculiarità potrebbe infatti andare ad ostacolare il normale processo produttivo. Ciononostante, già nel 2012 Salimei e Fantuz, hanno proposto alcune soluzioni per il superamento di tale problematica, come la fortificazione con caseinato di sodio, pectine o treonina, che apporterebbero un miglioramento alla consistenza dei prodotti realizzati a partire da miscele di latte d’asina ed altro latte.
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