grado di diffondere in tutto il corpo. Inoltre Fleming fu scoraggiato dal fatto che non riuscì ad evidenziare alcun effetto del lisozima su ceppi batterici patogeni.
La struttura della molecola è stata successivamente descritta da David Chilton Phillips nel 1965, che riuscì ad ottenerne un'immagine con una risoluzione di 2 Å. Il suo lavoro lo portò successivamente a spiegare come l'attività catalitica degli enzimi sia correlata con la loro stessa struttura (Callewaert e Michiels, 2010).
Noto anche come muramidasi, il lisozima è un peptide bioattivo che esercita una funzione battericida in quanto scinde i legami glucosidici (1-4) fra l’acido N-acetil- muramico e l’acido N-acetil-glicosamina, propri dei polisaccaridi (Figura 5).
Presenta quindi la capacità di attaccare e demolire i polisaccaridi azotati che costituiscono gli strati periferici delle strutture cellulari di numerosi batteri.
Figura 5. Rappresentazione del punto di rottura del legame in cui agisce il lisozima (www.lattediasina.it).
Il lisozima è un polipeptide lineare costituito da 129 aminoacidi e classificato nel gruppo delle idrolasi. Questi enzimi agiscono a livello dei legami C-O, C-N, C-C, nel caso specifico il lisozima è un’idrolasi O-glicosidasica, cioè catalizza una reazione idrolitica a carico dei composti O-glicosilici. Il lisozima scinde il legame glicosidico tra il carbonio 1 della glucosamina e il carbonio 4 dell’acido muramico con fissazione di una molecola d’acqua, determinando la dissoluzione della parete cellulare dei batteri. Si avrà quindi la lisi cellulare per un fenomeno di osmosi, con assorbimento di acqua fino allo scoppio della cellula, non più protetta dalla struttura rigida della parete.
Data l'ampia variabilità di questo enzima, per quanto riguarda l’origine, la struttura chimica ed antigenica, esso è stato classificato in diversi tipi. Il più studiato e il più noto è il tipo C, presente nell’albume di uovo di gallina (Prager e Wilson, 1974;
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Kuroki et al.,1999) ed anche ritrovato in vari tessuti e secrezioni di mammiferi, tra cui latte, saliva, lacrime, urina, e secrezione delle vie respiratorie e cervicali (Jolles et al., 1990; El Agamy, 2000; Maroni e Cuccuri, 2001; Masschalck e Michiels, 2003; Parisien et al., 2007). Altri tipi di lisozima sono il tipo G, estratto dall’albume di uovo di oca domestica, il tipo H presente nelle piante, il tipo I trovato negli invertebrati, il tipo B presente nei batteri del genere Bacillus ed il tipo V estratto dai virus (Heinz et
al., 1992; Bachali et al., 2004; Xue, 2004).
L’attività antibatterica del lisozima è essenzialmente rivolta ai batteri Gram- positivi, in quanto la loro parete cellulare è liberamente accessibile a tale enzima, contrariamente a quella dei batteri Gram-negativi, che è schermata dallo strato di membrana esterna costituita da lipopolisaccaridi (LPS).
Tuttavia, studi recenti hanno suggerito che la resistenza dei batteri al lisozima non è esclusivamente legata alla presenza dello strato lipopolisaccaridico. Infatti la presenza di batteri Gram-positivi resistenti al lisozima indica che la mancanza dello strato LPS non è sufficiente ad esporre di fatto il batterio all’attività idrolitica del lisozima (Hayashi et al., 1973; Kihm et al., 1994; Vollmer e Tomasz, 2000; Masschalck et al., 2002; Bera et al., 2007; Veiga et al., 2007). Viceversa, la presenza della pseudocapsula nei batteri Gram-negativi non fornisce loro un’assoluta protezione contro l'azione idrolitica del lisozima (Vakil et al., 1969; Ellison e Giehl, 1991; Pellegrini et al., 1992). Infatti, il meccanismo esatto di resistenza al lisozima non è stato ancora pienamente compreso e può variare a seconda della specie o del ceppo batterico.
Sono stati ipotizzati vari meccanismi di resistenza al lisozima nei batteri Gram- positivi:
Ostacolo all’azione del lisozima da parte di polimeri di fissaggio di superficie (come polisaccaridi capsulari e acidi teicoici);
O-acetilazione di esosammine residue del peptidoglicano;
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Incorporazione di acido D-aspartico nel peptidoglicano batterico (come è stato dimostrato per Lactococcus lactis (Veiga et al., 2006);
Produzione di proteine inibitrici, specifiche verso il lisozima (Bera et al., 2007).
Dal confronto del contenuto di acidi teicoici nella parete cellulare dei batteri non sono state rilevate differenze significative tra Gram-positivi sensibili e resistenti. I ceppi ad alto contenuto di acidi teicoici hanno mostrato di avere simile o maggiore suscettibilità al lisozima rispetto a quelli privi o con basso contenuto di questa componente nella parete cellulare (Hayashi et al., 1973; Bera et al., 2007). Inoltre, è stato osservato che la rimozione in vitro degli acidi teicoici e/o dei polisaccaridi capsulari non ha sensibilizzato i ceppi di Staphylococcus aureus resistenti al lisozima (Araki et al., 1972; Hayashi et al., 1973). Mentre per i polisaccaridi capsulari è stato dimostrato che vengono degradati dal lisozima, in quanto hanno delle somiglianze strutturali con il peptidoglicano della parete cellulare, compresa la presenza di legami glicosidici suscettibili all’interazione con il lisozima (Salton, 1957; O' Riordan e Lee, 2004).
Altri studi hanno dimostrato che la modificazione dei residui di esosammine tramite O-acetilazione o N-deacetilazione, risulta essere il meccanismo principale di resistenza al lisozima nei batteri Gram-positivi.
Un altro meccanismo di resistenza al lisozima è stato recentemente descritto negli streptococchi del gruppo A e consiste nella produzione di una proteina inibitrice che lega specificamente il lisozima agendo con un effetto inibitore (Fernie-King et al.,
2002). Questa proteina è stata la prima ad essere designata come
Streptococcal Inhibitor of Complement (SIC) ed era già nota in quanto in grado di
agire come inibitore del sistema del Complemento. Tuttavia il SIC non è altamente specifico per il lisozima e si lega ad altri componenti del sistema immunitario, verso i quali mostra una maggiore affinità (Fernie-King et al., 2007).
Pertanto è chiaro che non esiste solo un singolo meccanismo di resistenza al lisozima valido per tutti i batteri Gram-positivi, ma uno o più meccanismi possono essere utilizzati da specie o ceppi diversi.
I batteri Gram-negativi sono invece generalmente resistenti al lisozima grazie al loro strato lipopolisaccaridico che funziona da barriera fisica impedendo al lisozima di attaccare il peptidoglicano. Questo meccanismo di resistenza è stato ampiamente
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dimostrato (Vaara, 1992; Masschalck e Michiels, 2003). Tuttavia, la presenza di batteri Gram-negativi naturalmente sensibili al lisozima (Repaske, 1956; Wolin, 1966; Ellison e Giehl, 1991;. Pellegrini et al., 1992) fa ipotizzare che lo strato lipopolisaccaridico non possa essere l'unico mezzo di protezione contro l’azione del lisozima e che, quindi, altri meccanismi di resistenza possano esistere nei batteri Gram-negativi. Recentemente è stato dimostrato che questi batteri impiegano una diversa strategia che prevede l’intervento di proteine inibitrici specifiche con alta affinità verso il lisozima (Monchois et al., 2001).
Oltre alla produzione di proteine inibitorie specifiche verso il lisozima, la presenza di batteri Gram-negativi sensibili al lisozima suggerisce che tale caratteristica possa essere determinata da altri mezzi, oltre all’attività idrolitica. In effetti, un numero crescente di evidenze supportano l'esistenza di una modalità non-enzimatica di azione del lisozima. E’ stato dimostrato che il lisozima parzialmente o completamente denaturato tramite trattamento con il calore, e quindi avente una ridotta o nessuna attività enzimatica, mantiene un’attività battericida contro i Gram-positivi e perfino la estende verso i Gram-negativi, i quali normalmente sono resistenti al lisozima nativo (Pellegrini et al., 1992; Ibrahim et al., 1996; Düring et al., 1999; Touch et al., 2004). Vaara (1992), Hancock e Chapple (1999), Stark et al. (2002) e Jenssen et al. (2006) sostengono che la spiegazione alla base della modalità di azione non enzimatica del lisozima è la sua natura cationica, lipofila ed idrofoba che gli permette di andare ad interferire con la selettività della membrana plasmatica, come avviene per altri peptidi cationici antimicrobici. Secondo questi Autori, i trattamenti chimici o termici inducono un aumento di idrofobicità del lisozima senza disattivarlo completamente. Tale aumento, insieme alla sua forma cationica, lo aiuta a penetrare nello strato lipopolisaccaridico e successivamente ad idrolizzare il peptidoglicano.
Viceversa, altri Autori hanno dimostrato che l'azione idrolitica non è richiesta per l’attività battericida del lisozima. La maggiore idrofobicità del lisozima trattato con il calore incrementa la sua capacità legante la membrana interna dei batteri Gram- negativi, causando la dispersione cellulare ed infine la morte delle cellule senza la necessità di degradarne la parete cellulare (Ibrahim et al., 1996; Touch et al., 2004).
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Infine Paolicelli (2005) ha sottolineato che l'azione litica espressa dal lisozima risulta massima nei confronti di Micrococcus lysodeickticus, ma risulta essere efficace anche su altri germi patogeni come stafilococchi e pneumococchi.
Il latte di quasi tutti i mammiferi contiene lisozima, presente sia come proteina solubile libera che all'interno di leucociti e lisosomi (Ralph et al., 1976; Gupta et al., 1985; Lemansky e Hasilik, 2001). Anche se il lisozima contenuto nel latte appartiene al tipo C, varia molto in termini di struttura e proprietà fisico-chimiche. Inoltre, la concentrazione di lisozima nel latte può variare considerevolmente da un specie all'altra e all'interno della stessa specie a seconda di diversi fattori quali la razza, la fase di lattazione, lo stato nutrizionale, la salute della mammella e la stagione (Blanc, 1982; Maroni e Cuccuri, 2001; Priyadarshini e Kansal, 2003).
In base al contenuto di lisozima possiamo distinguere due principali categorie di latte, una composta da latte con elevati livelli di lisozima, da 200 a 1330 mg/l, e un’altra da latte con un basso livello di lisozima (3000-6000 volte meno rispetto al latte caratteristico della prima categoria). Il latte umano, equino e canino sono i principali rappresentanti del primo gruppo, mentre il latte di bovini, ovini e caprini (Tabella 5) rientra nel secondo gruppo.
Indipendentemente dalle specie, è stato osservato che il livello di lisozima è più alto nel colostro e diminuisce durante la lattazione in seguito ad una tipica down-
regulation dell'espressione dei geni codificanti per il lisozima (Schultze e Müller,
1980; Barbour et al., 1984; Montagne, 2001; Kappeler et al., 2003). Gli elevati livelli di lisozima nel colostro sono un meccanismo naturale per fornire la massima protezione ai lattanti contro le infezioni microbiche durante i primi giorni di vita, quando le loro difese immunitarie sono ancora immature. Tuttavia, sono state registrate delle eccezioni a questa tendenza. Infatti, nel latte umano l’evoluzione del contenuto di lisozima segue un andamento diverso, caratterizzato da una diminuzione iniziale durante i primi giorni dopo la nascita, una stabilizzazione che può durare diverse settimane, e poi un costante aumento fino a raggiungere il livello più alto nell’ultimo periodo di lattazione (Montagne et al., 1998).
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Specie animale Concentrazione media
(mg/l) Riferimenti
Donna
400 Mathur et al. (1990)
320 Montagne et al. (1998)
270-890 Montagne et al. (2001) Chandan et
al. (1968)
224-426 Hennart et al. (1991)
Asina 1428 Salimei et al. (2004)
Cavalla 790 Jauregui-Mare Adell (1975)
1330 Sarwar et al. (2001)
Bovina
0,13 Chandan et al. (1968)
0,07 El Agamy et al. (1996)
0,05-0,21 Piccinini et al. (2005)
Bufala 0,0012 Priyadarshini e Kansal (2003)
Pecora 0,1 Chandan et al. (1968)
Capra 0,25 Chandan et al. (1968)
Scrofa 6,8 Schultze e Müller (1980)
Tabella 5. Concentrazione di lisozima nel latte di diversi mammiferi (Benkerroum, 2008).
Priyadarshini e Kansal (2003) hanno dimostrato che il contenuto di lisozima nel latte di bufala non è influenzato dallo stadio di lattazione, infatti non hanno rilevato differenze significative tra il colostro e il latte a fine lattazione.
Da uno studio condotto da Maroni e Cuccuri (2001) è stato osservato che la concentrazione di lisozima può raggiungere livelli elevati, più della norma, nel latte mastitico, in risposta alle infezioni della ghiandola mammaria indipendentemente dallo stadio di lattazione.
Bisogna inoltre ricordarsi che il latte è una miscela complessa contenente vari sali ed altri componenti che influenzano l'attività finale del lisozima. La presenza di altre proteine antimicrobiche nel latte (lattoperossidasi, lattoferrina, immunoglobuline, ecc.) può influenzare positivamente o negativamente l'attività del lisozima. Infatti, gli effetti delle diverse componenti antimicrobiche del latte sembrano addizionarsi in modo sinergico, dando un effetto antimicrobico totale superiore alla somma dei singoli contributi ad attività antimicrobica (Clare e Swaisgood, 2000).
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Oltretutto, l’attività del lisozima è stata dimostrata essere fortemente influenzata dalla forza ionica e dalla concentrazione di ioni metallici nel latte (Priyadarshini e Kansal, 2003). Dal medesimo studio condotto da Priyadarshini e Kansal (2003) è stato osservato che l'attività del lisozima viene ridotta in presenza di metalli pesanti come Ni, Co, Mn, Zn, Fe, Cu e Hg. In considerazione di questi dati e tenendo presente le moderate quantità di questi componenti nel latte dei mammiferi, sarebbe ragionevole attendersi che la composizione minerale del latte vada a stimolare l’attività antimicrobica del lisozima, permettendogli di svolgere un ruolo importante nell’attività antimicrobica globale del latte.
I dati finora disponibili in letteratura evidenziano che il lisozima conferisce al latte di asina la peculiarità di conservare a lungo inalterate le proprie caratteristiche organolettiche e microbiologiche. È stato osservato infatti che latte d’asina mantenuto a temperatura di refrigerazione per oltre 10 giorni, manteneva i caratteri organolettici, il pH e la flora microbica totale inalterate (Salerno, 2011).
È probabile che questo fenomeno sia riconducibile anche alla elevata quantità di lisozima, che comunque influenza relativamente poco la crescita dei batteri lattici e dei Gram-negativi in genere, tanto che il latte di asina rappresenta un buon substrato per la crescita di fermenti lattici ad attività probiotica (Coppola et al., 2002; Chiavari et al., 2005; Chiofalo et al., 2006), ma anche di enterobatteri, coliformi ed eumiceti (Sorrentino et al., 2005; Conte et al., 2007; Zhang et al., 2008). Nella figura 6 sono riportati in un grafico ad istogramma i valori di carica microbica di latte d’asina (CBT) riscontrati da vari Autori.
È importante sottolineare come il titolo di lisozima nel latte di asina, valutato mediante metodo elettroforetico ed analisi quantitativa, tramite analizzatore di immagini su gel, è risultato mediamente pari a 1,5 g/l. (Salimei et al., 2004). Secondo altri Autori, impieganti metodiche diverse di ricerca, tuttavia è risultato pari a 4 g/l (Coppola et al., 2002).
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Figura 6. Valori di carica batterica (CBT) riscontrati nel latte d’asina da vari Autori (Colavita, 2010).
Va quindi segnalato che il tenore in lisozima misurato nel latte di asina può essere fortemente influenzato dal metodo analitico impiegato (Fantuz et al., 2001; Coppola et
al., 2002; Chiavari et al., 2005; Vincenzetti et al., 2008) e che tale naturale
componente antimicrobica è attiva anche dopo trattamento termico (Sorrentino et al., 2006). Infatti da studi effettuati da Coppola et al. nel 2002, è emerso che il lisozima risulta essere assente solo dopo un trattamento termico applicato al latte d’asina di 121 °C per 10 minuti.
Nel settore lattiero-caseario, l'attività antibatterica del lisozima è ancora oggetto di controversie. È segnalata ad esempio la mancanza di efficacia nei riguardi dei batteri propionici, dei batteri lattici etero-fermentanti e dei coliformi, con riferimento ai microrganismi responsabili di alcuni difetti dei prodotti e per i quali è noto il suo impiego nella tecnologia casearia. Per quanto riguarda i batteri lattici, la maggior parte di essi manifesta una naturale resistenza al lisozima; mentre i ceppi sensibili potrebbero essere in grado di acquisirla, pur mantenendo le proprietà acidificanti. Infatti, è possibile selezionare ceppi più resistenti al lisozima anche all'interno di specie che sembrano presentare minore resistenza (il tipico esempio è Lactobacillus
delbrueckii subsp. helveticus) (Conte et al., 2012).
Inoltre, è stato dimostrato come il grado di sensibilità al lisozima possa variare da specie a specie e da ceppo a ceppo, per diverse specie di batteri lattici (Neviani et al., 1996; Turchi et al., 2013).
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Zhang et al. (2008) hanno condotto uno studio con lo scopo di valutare la protezione naturale del latte d'asina contro ceppi batterici addizionati durante la conservazione a 4 e 20 °C. Tale studio è stato condotto su campioni di latte massale ottenuto dalla mungitura di diverse asine in varie fasi di lattazione.
L'attività antimicrobica del latte d'asina è stata valutata nei confronti di 7 batteri e 2 funghi, ed è stata testata mediante l’Agar Diffusion Assay (Tabella 6).
Il latte d’asina ha mostrato una diversa capacità inibitoria sui ceppi testati e ha dato l’inibizione più evidente nei confronti di Salmonella choleraesuis (CGMCC 1.1859) e
Salmonella dysenteriae (CGMCC 1.1869). Al contrario, il latte bovino, utilizzato come
controllo negativo, non ha mostrato inibizione nei confronti di nessuno dei ceppi di prova.
I risultati ottenuti da Zhang et al. (2008) dimostrano che l'attività antimicrobica del latte d'asina varia in funzione dei microrganismi e della temperatura di conservazione del latte stesso. Inoltre gli Autori hanno osservato che le sostanze con attività antimicrobica presenti nel latte d’asina sono più attive a 20 °C piuttosto che a 4 °C. La notevole riduzione della popolazione di S. dysenteriae nel latte d’asina a 20 °C può principalmente essere attribuita all'attività del lisozima (Guo et al., 2007; Salimei et
al., 2004). Tuttavia, in un mezzo così complesso come il latte, tutte le sostanze con
potere inibente come la lattoperossidasi, la lattoferrina, le immunoglobuline e vari acidi grassi possono contribuire agli effetti antimicrobici del latte stesso.
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CEPPI TESTATI ZONA DI INIBIZIONEb