Dipartimento di Scienze Veterinarie
Corso di Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie delle Produzioni Animali
Tesi di Laurea
Valutazione dell’attività antimicrobica del
latte d’asina
Candidato
Relatore
Dott.ssa Federica Pizzurro
Prof. Domenico Cerri
Correlatore
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RIASSUNTO
Titolo della tesi: Valutazione dell’attività antimicrobica del latte d’asina.
Scopo: Lo scopo del presente lavoro di tesi è stato quello di verificare, attraverso indagini
microbiologiche, l’attività antimicrobica del latte d’asina su alcuni microrganismi patogeni ed alteranti frequentemente riscontrati nel latte, al fine di descriverne eventuali azioni inibenti e/o favorenti la crescita.
Materiali e metodi: Per le indagini microbiologiche sono stati utilizzati ceppi di referenza appartenenti
alla ceppoteca del Dipartimento di Scienze Veterinarie dell'Università di Pisa, latte d’asina proveniente della Provincia di Arezzo (San Sepolcro) e latte di capra UHT. È stata testata l’attività antimicrobica del latte d’asina, sia crudo che termizzato, sui microrganismi dopo diversi tempi di stoccaggio dei campioni di latte a temperatura di refrigerazione (1, 3, 6 giorni). Inoltre, è stata testata la sopravvivenza degli stessi microrganismi in latte di capra addizionato di diverse percentuali di latte d’asina (1%, 2,5%, 5%, 10%), in previsione di un possibile impiego del latte d’asina stesso come additivo naturale ad attività battericida. Il contenuto di lisozima è stato determinato secondo la metodica del Lysoplate Assay.
Risultati e discussione: I risultati ottenuti hanno evidenziato come l’attività antibatterica del latte
d’asina (crudo e termizzato) si manifesti principalmente nei confronti dei batteri Gram-positivi (S.
aureus ed E. faecalis). Le diverse percentuali di latte d’asina addizionate a latte caprino non hanno
determinato variazioni nello sviluppo dei microrganismi testati. La concentrazione di lisozima riscontrata nei campioni di latte d’asina, sia crudo che termizzato, è stata mediamente pari a quella riscontrata in letteratura.
Ad oggi quindi non sarebbe prudente riconoscere al latte d'asina un'incontrovertibile attività antibatterica, soprattutto in considerazione della notevole variabilità della concentrazione del lisozima riscontrabile nel latte stesso e attestata in letteratura.
Parole chiave: lisozima, latte d’asina, latte di capra, microrganismi patogeni, microrganismi alteranti.
ABSTRACT
Title of thesis: Evaluation of antimicrobial activity of donkey milk
Purpose: The aim of the present thesis was to assess, by means of microbiological analysis, the
antimicrobial activity of donkey milk against some pathogenic and spoilage microorganisms frequently detected in milk, in order to highlight a potential antibacterial and/or growth-promoting activity.
Materials and methods: Reference strains belonging to the Department of Veterinary Science (Pisa
University) collection were used for the trials. Donkey milk from Arezzo Province (San Sepolcro) and goat's milk UHT were employed. Antimicrobial activity of donkey milk (raw and thermized) against different microorganisms was evaluated after different times of storage at refrigeration conditions (1, 3, 6 days). Moreover, the survival growth rate of microorganisms in goat's milk supplemented with different percentages of donkey milk (1%, 2.5%, 5%, 10%) was evaluated for a possible employement of donkey milk as a natural additive with antimicrobial activity. The content of lysozyme was also determined according to Lysoplate Assay method.
Results and discussion: Our results showed that antibacterial activity of donkey milk (raw and
thermized) is mainly directed against Gram-positive bacteria (S. aureus and E. faecalis). The different percentages of donkey milk added to goat's milk did not affected the survival growth rate of tested microorganisms. The detected lysozyme concentration, both in raw and thermized milk, was in accordance with the present literature.
To date, it would not be prudent to attribute to donkey milk an incontrovertible antibacterial activity, especially taking into account the considerable variability of lysozyme concentration in milk.
Key words: lysozyme, donkey's milk, goat's milk, pathogenic microorganisms, spoilage
Il latte di asina è un alimento di storica memoria utilizzato da sempre e fortemente ancorato agli usi e alle tradizioni culturali dei popoli. Le più antiche testimonianze storiche atte a documentare la presenza di allevamenti asinini sono rappresentate da raffigurazioni su bassorilievo, risalenti al 2500 a.C. ritrovate in Egitto.
Le ambizioni di bellezza di Cleopatra, così come quelle di Poppea, le quali solevano immergersi nel latte d'asina per mantenere intatta la loro avvenenza e conservare lo splendore della propria pelle, hanno messo in risalto tale latte producendo un’ “eco” ancora viva ai giorni nostri.
Plinio il Vecchio, sia a Roma che ad Atene, diffuse ricette per preparare pozioni e unguenti a base di latte di asina, cipolla e piante palustri, considerandolo un liquido particolarmente curativo (Barboncini, 2001). I Greci lo consideravano un eccellente farmaco, i Romani lo consumavano come bevanda prelibata ed Ippocrate lo raccomandava come medicinale capace di risolvere ogni affezione (Milonis e Polidori, 2011).
Bisognerà attendere il Rinascimento per avere una prima vera considerazione scientifica del latte d’asina da parte dei saggi del tempo. Ci sono riscontri epistolari in cui si racconta che lo stesso Francesco I, su consiglio dei suoi medici, abbia utilizzato il latte di asina per guarire da una lunga malattia. Sull’esperienza di Francesco I si iniziò ad allevare asine in prossimità degli ospedali. Sempre in Francia nel XIX secolo ad opera del Dottor Parrot dell’ "Hôpital des Enfants Assistés" si diffuse la pratica di avvicinare i neonati orfani di madri direttamente al capezzolo dell’asina al fine di favorirne la suzione del latte stesso (Paolicelli, 2005).
D’Arval (1912) riporta che “in accordo con le ricerche effettuate negli orfanotrofi francesi, i bambini alimentati con il latte di asina sono cresciuti meglio ed hanno mostrato una mortalità più bassa rispetto ai bambini alimentati con latte vaccino”.
INTRODUZIONE
A partire dagli anni ‘50, l’avvento della meccanizzazione rese pressoché inutilizzati gli animali da lavoro, tra i quali l’asino. Con il declino della popolazione asinina si perse di conseguenza anche la memoria dell’utilità del suo prezioso latte.
Al contrario in Russia e Mongolia fu preservata la tradizione di consumare il latte d’asina e di giumenta, in quanto, grazie all’abbondante presenza di vitamina A, B ed in particolare C, il suo utilizzo compensava lo scarso consumo di frutta, verdura e legumi. Stessa cosa accadeva alle popolazioni nomadi che usavano avere al seguito asini e cavalli. Leone Tolstoj affermava: “Il latte di giumenta dà vigore al mio corpo e ali al mio spirito”.
In conclusione, l’elenco delle proprietà e dei benefici derivanti dall’uso di latte d’asina che giungono dalla tradizione sono innumerevoli: rafforza il sistema immunitario; rigenera la flora intestinale attraverso l’azione dei suoi fermenti; disintossica il fegato; favorisce la cicatrizzazione di ferite; calma l’irritazione della laringe e la tosse ostinata (è stato usato anche per combattere la pertosse, non a caso chiamata anche tosse asinina); contrasta l’anemia; è un rimedio per innumerevoli disturbi, dalla carenza vitaminica alla regolazione della flora gastroenterica; combatte i problemi della pelle quali psoriasi, acne, eczema, avendo delle proprietà dermo-cosmetiche; agisce sui disturbi di origine nervosa della pelle.
Negli ultimi anni si sta riscoprendo questo eccezionale alimento “collaudato” oramai da migliaia di anni di sperimentazione con positive ripercussioni pratiche ed economiche non solo in campo medico, ma anche in alimentazione umana e nell’industria farmaceutica.
Per di più il latte d’asina è ricco di lisozima, un enzima con funzione antibatterica; è quello che più si avvicina al latte di donna per contenuto proteico e per l’alta percentuale di calcio; ha un alto contenuto di vitamina C e un basso tenore di lipidi, in compenso quelli che contiene sono polinsaturi ricchi di -3 e -6; inoltre nella sua composizione il lattosio è presente in abbondanza e questo gli conferisce un sapore dolce ed un alto valore energetico (Milonis e Polidori, 2011).
Oggi la possibilità di utilizzare il latte d’asina non può più essere lasciata alla tradizione. La comunità scientifica si sta impegnando a qualificare il latte d’asina e a studiarne le potenzialità, non solo come sostituto del latte materno per il nutrimento
INTRODUZIONE
della prima infanzia, ma anche per altri usi, quali quello para-farmacologico e cosmetico.
Il latte d’asina non si configura semplicemente come un alimento, ma dovrebbe essere qualificato come “nutraceutico”, ad indicare un nutrimento che per le sue proprietà funzionali si colloca appunto al confine tra l’alimento e il farmaco, senza peraltro dare controindicazioni ed effetti collaterali.
Inoltre la sempre più crescente attenzione nei confronti di tale latte può portare come conseguenza diretta ad uno sviluppo degli allevamenti asinini già esistenti ed alla nascita di nuovi, con vantaggi quali la possibilità di un concreto rilancio socio-economico delle aree rurali, la creazione di nuovi posti di lavoro ed un incremento della popolazione asinina, che ad oggi, risulta di poco al di sopra della soglia di estinzione (Milonis e Polidori, 2011).
Diversi studi hanno evidenziato la stretta analogia tra il latte d’asina e quello di donna (Tabella 1) (Salimei et al., 2001; Conte et al., 2003; Salimei e Chiofalo, 2006) e quindi la possibilità di impiego del latte d’asina stesso nei lattanti affetti da allergie alle proteine del latte vaccino (Iacono et al., 1992; Carroccio et al., 2000; Iacono et al., 2006).
Il latte di donna, come negli altri mammiferi, è l’alimento che risponde al meglio alle esigenze nutrizionali del neonato; è un fluido bioattivo che evolve con i bisogni alimentari dell’infante, da colostro a latte maturo, e modifica nel corso della lattazione la sua composizione (Wagner et al., 2004).
Nell’asina le variazioni del latte durante la lattazione riguardano sia gli aspetti qualitativi che quantitativi e la definizione di tali andamenti risulta importante per la caratterizzazione nutrizionale del latte stesso, oltre che per gli aspetti più strettamente concernenti il processo produttivo.
Nello scenario dell’attuale vasta disponibilità di alimenti commerciali, il latte di asina può trovare un’adeguata collocazione soltanto se si caratterizza come “alimento naturale”, ovvero derivante da un processo produttivo che non altera i meccanismi fisiologici dell’animale, e nel contempo sia in grado di garantire le sue peculiari caratteristiche nutrizionali (D’Alessandro, 2007).
Tipo di latte SS % Grasso % Proteine % Lattosio % Ceneri % Valore energetico Kj/Kg Donna 12,43 3,38 1,64 6,69 0,22 2855,6 Asina 9,61 1,21 1,74 6,23 0,43 1939,4 Cavalla 9,52 0,85 2,06 6,26 0,35 1877,8 Bovina 12,38 3,46 3,43 4,71 0,78 2983,0 Capra 13,23 4,62 3,41 4,47 0,73 3399,5 Pecora 19,52 7,54 6,17 4,89 0,92 5289,4
1 IL LATTE DI ASINA
La produzione quantitativa e qualitativa del latte di asina si discosta notevolmente da quella delle specie lattifere tradizionali per differenze anatomiche e fisiologiche. Per cominciare, la ghiandola mammaria negli equini è caratterizzata da una limitata capacità: ciò implica la necessità di svuotamento della mammella più volte al giorno. Per tali motivi fisiologici è dunque necessario che i puledri vengano allevati con le madri, dalle quali vengono separati 3 ore prima di ogni mungitura, sulla base dell’esperienza maturata nel settore equino (Drogoul et al., 1992; Salimei et al., 2004).
Normalmente, il latte prodotto nel primo mese dopo il parto è destinato esclusivamente al puledro; successivamente, la produzione di latte si presenta assai variabile nei dati di letteratura (Figura 1).
Figura 1. Produzioni di latte per mungitura secondo quanto riportato nella letteratura consultata.
In analogia con quanto osservato nella cavalla (Doreau e Martin Rosset, 2002), l’ampia variabilità osservata può essere ricondotta allo stadio di lattazione delle fattrici, alle caratteristiche della dieta e alla condizione corporea delle fattrici, al sistema di mungitura adottato (manuale o meccanico) e a numerosi altri fattori ambientali, oltre che genetici.
È necessario sottolineare che, secondo studi di genomica, le più diffuse popolazioni asinine italiane sono risultate, ad esclusione dell’asino Bianco
1 IL LATTE DI ASINA
dell’Asinara, geneticamente simili nonostante le differenze morfologiche anche notevoli (Cosseddu et al., 2001; Blasi et al., 2005).
Nell’asina, la produzione di latte presenta un graduale declino nei primi 4-5 mesi di lattazione (Salimei et al., 2005; Giosuè et al., 2008; Ivankovic et al., 2009) e, allo stato attuale delle conoscenze, appare ragionevole in termini economici e di benessere dell’animale che la lattazione non sia protratta oltre i 270 giorni. Considerato che la durata media della gestazione è 372-374 giorni e che l’efficienza riproduttiva nell’asina non è costante nell’arco dell’anno (Carluccio et al., 1995), per assicurare la disponibilità di latte d’asina, appare essenziale una competente gestione riproduttiva delle fattrici.
Sebbene la mammella si presenti alla mungitura assai più pulita rispetto a quella della vacca, per ovvie ragioni anatomiche e gestionali, l’igiene in pre-mungitura deve essere sempre rigorosa.
Studi recenti dimostrano che la mungitura meccanica consente di avere livelli produttivi più elevati e costanti (600-850 ml/mungitura) rispetto a quella manuale; in quest’ultimo caso, infatti, la quantità di latte rilasciata dall’animale varia da 330 a 700 ml per mungitura (Salimei e Chiofalo, 2006; Giosuè et al., 2008; Ivankovic et al., 2009; Alabiso et al., 2009a; Alabiso et al., 2009b).
L’emissione di latte durante la mungitura risulta incompleta nell’asina (Salimei et
al., 2004) e nella cavalla (Dzidic, 2004), come atteso in specie non ancora sottoposte a
specifici controlli di selezione.
La produzione di latte d’asina, il cui prezzo in ambito comunitario oscilla da 8 a 15 euro/l, avviene in condizioni ambientali e gestionali assai difformi, il che determina ampia variabilità non solo dei livelli produttivi, ma anche nella qualità del latte prodotto, con preoccupante riferimento ad alcuni aspetti igienici.
1 IL LATTE DI ASINA
Il vero punto di forza del latte di asina è il suo profilo biochimico, molto prossimo al latte umano. Tra le caratteristiche più importanti si evidenzia il tasso di lattosio, il contenuto proteico, il contenuto di lisozima, la presenza di acidi grassi della serie -3 e -6.
La concentrazione azotata media del latte d’asina è prossima al tenore proteico del latte di donna, risultando compatibile con le esigenze dietetiche del bambino.
Il latte d’asina è inoltre ricco in aminoacidi essenziali, e ciò ne suggerisce una potenziale applicazione come supplemento nell’alimentazione geriatrica.
Soffermandoci sulla caratterizzazione di tale componente, le frazioni azotate di maggiore importanza sono rappresentate dalle proteine del siero, quali -lattoglobulina ed -lattoalbumina; vi sono poi le caseine ed enzimi quali lisozima e lattoferrina (Tabella 2).
FRAZIONI PROTEICHE
(mg/ml)
Donna
Asina
Bovina
Caseine 2,5-5,8 6,6-7,8 24-28
Proteina del siero 2,1-6,0 5,8-7,5 5,0-7,0
Lisozima 0,5 1,0 < 0,3
-lattoglobulina - 3,75 3,2
–lattoalbumina 1,2-2,6 1,8 1,3
Figura 2. Frazioni proteiche presenti nel latte d’asina (Colavita, 2010).
Le proteine del siero rappresentano il 35-50% della frazione azotata, mentre nel latte bovino arrivano solo al 20% (Herrouin et al., 2000).
1 IL LATTE DI ASINA
La -lattoglobulina è considerata il probabile maggior allergene del latte in neonati e bambini, mentre le caseine del tipo s sono considerate gli allergeni predominanti negli adulti (Carroccio et al.,1999).
Tra i potenziali componenti allergenici del latte, è da sottolineare che la percentuale di -lattoglobulina rilevata nel latte d’asina (29,85%) è considerevolmente più bassa di quella contenuta nel latte bovino, laddove si può trovare in concentrazioni fino al 50% delle proteine totali del siero (Salimei et al., 2004), mentre risulta assente nel latte umano (Alais, 2000; Chatterton et al., 2004).
La percentuale di -lattoalbumina sulle sieroproteine totali è leggermente superiore rispetto a quella riportata per il latte di bovina (20%), ma inferiore rispetto al latte umano (42,4%) (Martuzzi e Doreau, 2006).
Le sieroproteine minori del latte di asina sono rappresentate da sieroalbumina (6,1% SP), lattoferrina (4,2% SP) e immunoglobuline (11,5% SP) (Fantuz et al., 2001).
È importante segnalare che la quantità di sieroproteine nel latte d’asina varia da 44,8 g/100 g N totale nel latte crudo, a 38,5 g/100 g N totale nel latte scaldato a 70 °C per 1 minuto, a 14,5 g/100 g N totale nel latte scaldato a 90 °C per 1 minuto (Sorrentino et al., 2006).
Il contenuto in caseina è risultato più elevato nel latte d’asina (0,62-0,64%) che nel latte di donna, ma decisamente inferiore a quello bovino e caprino. Anche la frazione caseinica del latte di asina presenta importanti peculiarità: è stata infatti osservata la presenza di -caseine e di s1-caseine, mentre non è stata rilevata la presenza di k-caseine e di s2-k-caseine (Vincenzetti et al., 2008; Criscione et al., 2009).
Inoltre, il rapporto tra la percentuale di caseine e quella delle sieroproteine è risultato anch’esso più elevato nel latte di asina rispetto al latte di donna, ma si avvicina a quello dichiarato per i prodotti sostitutivi del latte materno. Al contrario nel latte di ruminanti tale rapporto è quattro volte superiore al latte d’asina e sette volte maggiore di quello umano (Polidori, 2007).
Relativamente al profilo proteico del latte asinino, possiamo affermare che le principali funzioni biologiche derivanti da tale componente sono:
1 IL LATTE DI ASINA
Attività di difesa aspecifica contro infezioni batteriche e virali, esercitata da immunoglobuline, lattoferrina e lisozima. Tali proteine, specialmente il lisozima, esercitano un’importante azione antibatterica, rendendo il latte d’asina naturalmente “sterile”, con una carica batterica ridotta anche senza alcun trattamento preventivo.
Attività di difesa specifica contro le infezioni da Rotavirus, promossa da proteine associate alle membrane dei globuli di grasso, quali la lattoaderina.
Il latte d’asina ha un basso tenore in acidi grassi totali, con valori medi che corrispondono circa allo 0,45%, ciò conferisce a questo alimento molte potenziali applicazioni in ambito dieto-terapico.
Da studi effettuati da Salimei et al. (2003) nel latte d’asina sono stati identificati:
19 acidi grassi saturi a catena lineare da C4 a C22; 7 acidi grassi monoinsaturi da C10 a C20;
10 acidi grassi polinsaturi da C18 a C22, di cui 3 della serie 6 e 7 della serie -3, contenenti da 2 a 6 doppi legami.
La frazione dei saturi è apparsa, mediamente, la più rappresentata tra le classi acidiche del latte d’asina (67,57%), con valori sovrapponibili a quelli del latte di cavalla (61%) e di donna ed inferiori rispetto al latte di pecora (73%) e capra (77%). L’acido grasso saturo presente in maggior quantità è il palmitico, mentre, tra gli acidi grassi di maggior interesse nutrizionale presenti in modeste quantità, le concentrazioni più elevate sono quelle di acido miristico e stearico.
Per ciò che riguarda i monoinsaturi, il più rappresentato è l’oleico (9,65%), mentre l’acido palmitoleico, pur se presente in quantità più ridotta del precedente, mostra più alte concentrazioni rispetto al latte vaccino.
Degni di nota sono i livelli di acidi grassi polinsaturi che raggiungono valori notevolmente superiori rispetto ad altre specie di animali lattiferi. In particolare, nell’ambito degli acidi grassi essenziali (Figura 2), il contenuto in acido linolenico
1 IL LATTE DI ASINA
(6,32%) risulta in assoluto il più alto; il linoleico presenta valori inferiori solo al latte di donna (Chiofalo, 2003).
Figura 2. Contenuto percentuale degli acidi grassi essenziali nel latte di diverse specie animali (Salimei et al., 1996; Chiofalo et al., 1994).
Il rapporto in acidi grassi polinsaturi della serie -3 e -6 nel latte d’asina appare confrontabile con quello della specie equina (Salimei et al., 1996); in entrambe le specie tale rapporto risulta comunque superiore rispetto a quello dei ruminanti ed a quello umano (Chiofalo et al.,1996). Il contenuto della serie -6 è risultato maggiore rispetto a quello degli -3 (Polidori, 2007).
Gli acidi grassi polinsaturi entrano nella composizione delle membrane cellulari, dove svolgono un ruolo dinamico-funzionale sulla fluidità e sulla permeabilità, partecipano alla modulazione dei segnali cellulari, influenzano l’ossidazione e il trasporto del colesterolo, riducendone le concentrazioni, agevolano l’attività enzimatica e la produzione di sostanze biologicamente attive quali eicosanoidi e citochine (Figura 3) che, a loro volta, regolano le interazioni fra le cellule e molte funzioni di importanza vitale (Mussa e Meineri, 1997).
1 IL LATTE DI ASINA
-6 -3
Figura 3. Funzione degli eicosanoidi (Chiofalo, 2003).
Tali acidi grassi evitano l'accumulo sulle pareti arteriose dei grassi più pericolosi, trigliceridi e colesterolo, bloccando l'indurimento dei vasi e proteggendo così il sistema cardiovascolare. Il sangue, reso più fluido dall'assenza dei grassi dannosi, circola meglio, facendo funzionare bene il cuore e allontanando il rischio di malattie coronariche, ipertensione, aterosclerosi e trombosi.
Inoltre sono responsabili di altri numerosi vantaggi: attenuano le reazioni infiammatorie quali asma ed artrite reumatoide; favoriscono la vitalità delle cellule del sistema nervoso centrale, con funzioni antidepressive; aumentano le difese immunitarie e rafforzano le difese della pelle; sono utili nella terapia dell'artrite e di altri disturbi infiammatori; sono ottimi coadiuvanti nella cura della psoriasi e di altre patologie cutanee; sono anticancerogeni, favoriscono la produzione di ormoni, agiscono sul microcircolo (utile per cellulite ed edemi), ed inoltre facilitano nella risposta immunitaria e antinfiammatoria in caso di ferite e infezioni (Paolicelli, 2005).
Il rapporto tra gli acidi grassi insaturi (monoinsaturi e polinsaturi) e quelli saturi appare leggermente inferiore nel latte asinino che in quello umano e di giumenta, ma superiore nei confronti di quello dei ruminanti (Chiofalo et al., 1994; Chiofalo et al., 1996).
Una giustificazione a tale fenomeno può essere attribuita al fatto che nei poli-gastrici si verificano alcuni processi di fermentazione anaerobica a livello del rumine
1 IL LATTE DI ASINA
che comportano un’idrogenazione degli acidi grassi insaturi non protetti con conseguente saturazione e formazione di acidi grassi saturi (Figura 4).
Figura 4. Rapporto Insaturi/Saturi nel latte di diverse specie animali (Chiofalo, 2003).
In conclusione, il latte d’asina appare caratterizzato da un basso contenuto in acidi grassi saturi che, unitamente ad un elevato tenore di insaturi, lo rendono di grande utilità nella prevenzione delle malattie cardiovascolari, autoimmuni ed infiammatorie. Inoltre l’elevata percentuale di acidi grassi a catena media ha influenza sui fenomeni di vasodilatazione e in sinergia con gli acidi grassi a catena corta, contribuisce, in modo indiretto, ad aumentare le difese antiossidanti dell’organismo (Cestaro, 1994).
Tuttavia i bassi livelli di acido arachidonico e di acido docosaesaenoico (DHA), rendono indispensabile un’integrazione alimentare di questi acidi grassi che sono particolarmente rappresentati nelle membrane delle cellule nervose, dei segmenti esterni dei fotorecettori retinici e dell’acrosoma degli spermatozoi, quindi, essenziali durante lo sviluppo e la maturazione cerebrale, per il tessuto retinico e per l’apparato riproduttivo (Cocchi, 2000).
1 IL LATTE DI ASINA
L’elemento più rappresentativo del latte d’asina è il lattosio con una percentuale in contenuto del 6,8%, pressoché sovrapponibile a quello del latte umano.
Il lattosio è un disaccaride noto anche come zucchero del latte. La molecola del lattosio è costituita da glucosio e galattosio, la sua denominazione chimica è 1-galattopiranosil-4 glucopiranosio.
Al lattosio viene attribuito un ruolo fondamentale nel metabolismo del calcio, poiché andrebbe ad aumentare l’assorbimento del minerale in prossimità della mucosa intestinale, influenzando positivamente la mineralizzazione ossea (Iacono et al., 1992). L’elevato contenuto in lattosio, oltre a renderne piacevole il sapore, ha un ruolo prebiotico, in quanto rappresenta il substrato ideale per un corretto sviluppo della flora lattica intestinale e, da un punto di vista tecnologico, rende a sua volta il latte di asina un substrato ideale per la preparazione di bevande probiotiche (Polidori, 2007).
Il latte d'asina contiene diverse vitamine:
Vitamina A: fondamentale per il recupero della membrana cellulare, facilita la
rigenerazione della pelle, riducendo contemporaneamente gli effetti
dell'invecchiamento cutaneo;
Vitamina B2: la presenza di questa vitamina nel latte d’asina migliora l'immunità attraverso la sua attività biologica;
Vitamina E: è ben nota come vitamina essenziale e ad attività antiossidante in quanto rallenta l'invecchiamento della pelle ed assicura la stabilità della struttura cellulare;
Vitamina C: ha un ruolo antiossidante, rallenta il processo di invecchiamento della pelle e ne accelera i meccanismi di recupero (Polidori e Vincenzetti, 2011).
Per quanto riguarda la vitamina C, appartenente al gruppo delle idrosolubili, la sua forma predominante nei tessuti e nei cibi è l’ascorbato, solido cristallino privo di odore, ma con caratteristico sapore acido. La maggior parte degli animali è in grado di sintetizzare ascorbato a partire da D-glucosio, ma tra le specie che non hanno questa
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capacità, si annoverano tutti i primati, incluso l’uomo. La frutta e le verdure fresche sono la principale fonte di vitamina C per l’adulto.
Nel neonato, la definizione dei fabbisogni di vitamine nei primi mesi di vita deriva dalla composizione del latte materno ed un eventuale sostituto del latte materno dovrebbe ricalcarne i contenuti. Nel periodo di vita inferiore ai 6 mesi, l’apporto raccomandato è di 21-28 mg/die di vitamina C; nel periodo compreso tra 6-12 mesi, l’apporto raccomandato è di 35 mg; infine, nei bambini con più di un anno di vita si raccomanda una dose giornaliera di 45 mg di vitamina C.
Ovviamente nelle fasi iniziali della vita di un neonato solo il latte può apportare i nutrienti necessari per la crescita, mentre dopo i 6 mesi l’infante inizia a ricevere anche alimenti diversi dal latte. È interessante notare che nel latte d’asina si riscontrano contenuti di vitamina C compresi tra 35 e 50 mg/l (Tabella 3), nettamente superiori a quelli determinati nel latte di bovina (Polidori e Vincenzetti, 2011).
Tabella 3. Contenuto di vitamina C nel latte di asina e di bovina (Polidori e Vincenzetti, 2011).
La composizione minerale del latte è influenzata da fattori genetici e ambientali quali dieta, stadio della lattazione e stato di salute della mammella; tuttavia è stato dimostrato che la ghiandola mammaria ha una buona capacità di regolare le concentrazioni di alcuni microelementi quali zinco, ferro e rame secreti nel latte, indipendentemente dallo status minerale della madre (Domellof et al., 2004).
La concentrazione media dei minerali nel latte d’asina (0,39 g/100 ml) come in quello di cavalla, è risultata più elevata rispetto a quello di donna, mentre il latte dei ruminanti presenta tenori ben più elevati (Polidori e Vincenzetti, 2007).
I valori della composizione minerale del latte di asina risultano più vicini a quelli del latte umano rispetto ad altri tipi di latte, fatta eccezione per i livelli di calcio e
Latte asina (mg/l)
Latte bovina (mg/l)
Dose (mg) raccomandata giornaliera per adulti
(NRC, 1989)
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Il contenuto medio in calcio, pari a 334,61 mg/kg è 3-4 volte più basso di quello riportato per il latte vaccino o di altri ruminanti, ma simile al latte umano, per il quale viene riportato da Yamawaki et al. (2005) un valore nel range tra 250 e 300 mg/kg. Inoltre risulta anche più basso del contenuto in Ca del latte di cavalla che viene riportato essere in un range tra 500 e 1200 mg/kg, a seconda dello stadio di lattazione (Summer et al., 2004). Il relativamente basso contenuto in Ca del latte d’asina comparato con il latte bovino può essere rilevante per l’assorbimento di Ca stesso (Dorea, 2000).
Il contenuto medio in Mg del latte di asina (58,46 mg/kg) è 2-3 volte più basso che nel latte bovino, più simile invece al latte umano (15-64 mg/kg) (Dorea, 2000).
Il contenuto medio in Zn del latte di asina (1,99 mg/kg) è simile a quello osservato nel latte umano (1-3 mg/kg) e di cavalla (1-3 mg/kg), ma più basso che in quello bovino (3-6 mg/kg) (Csapò-Kiss et al., 1995; Lonnerdal, 2005). Come dimostrato da Lonnerdal (2005), lo Zn nel latte umano è più efficientemente utilizzato di quello nel latte bovino a causa dell’alto contenuto in caseine. È importante quindi ricordare come il latte d’asina abbia un contenuto in caseine (0,8 g/l) più basso di quello bovino (Salimei e Chiofalo, 2006) che renderebbe lo Zn meglio utilizzabile anche se presente in piccole quantità.
Il contenuto medio in Fe del latte di asina (1,15 mg/kg) è più alto di quello osservato da Anderson (1992) per il latte umano (0,26 mg/kg), di cavalla (0,22 mg/kg) e bovino (0,194 mg/kg).
Il contenuto medio in Cu del latte di asina (0,16 mg/kg) è risultato simile ai valori riportati per il latte umano (0,12-0,4 mg/kg), di cavalla 0,25 mg/kg) e bovino (0,1-0,5 mg/kg) (Anderson, 1992).
In conclusione, da quanto si evince da studi condotti da Fantuz et al. (2009), sembra che ad eccezione del Fe, il contenuto medio in Ca, Mg, Zn e Cu nel latte di asina sia molto simile a quello del latte umano.
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Il latte d’asina è impiegato nei settori ALIMENTARE, MEDICO e COSMETICO.
Le caratteristiche merceologiche riscontrate nel latte d’asina, per la somiglianza con il latte umano, ne permettono l’utilizzo nel bambino prima e dopo lo svezzamento in alimentazione normale, ma anche nell’alimentazione terapeutica delle allergie alle
proteine del latte vaccino (APLV), per il suo basso potere allergizzante.
La carenza di lipidi, pur rappresentando un problema nell’alimentazione del lattante a causa dell’insufficiente apporto calorico, è facilmente risolta attraverso l’integrazione di idonei grassi e/o olii, quando necessario, mentre, rappresenta un valore aggiunto quando utilizzato nella dieta ipocalorica e ipocolesterolemica.
L’elevato contenuto in lattosio, pressoché sovrapponibile a quello del latte umano, oltre a renderne piacevole il sapore, ha un ruolo prebiotico rappresentando il substrato ideale per un corretto sviluppo della flora lattica intestinale.
Anche l’elevato contenuto di lisozima, efficace batteriostatico, svolge una benefica funzione regolatrice sulla microflora di tutto l’apparato digerente oltre che sulle delicate fermentazioni intestinali del lattante (Iacono e Scalici, 2011).
Per di più il latte d’asina viene impiegato nel sostituire il comune latte vaccino nella realizzazione di gelati, creme ed altri prodotti dell’industria dolciaria, richiesti da soggetti allergici o sottoposti a diete. Questa applicazione consente ai bambini allergici di poter gustare un buon gelato, un budino ed altri dolci, evitando così difficili privazioni (Paolicelli, 2005).
Come sopra accennato, il latte d’asina è già da tempo riconosciuto come efficace trattamento terapeutico delle allergie e poli-allergie alimentari in età pediatrica. Infatti il latte d’asina è un latte naturale, ipoallergenico e particolarmente indicato per i neonati affetti da APLV, grazie alla scarsa presenza di caseine ed altre proteine con elevato potere immunogeno. L’intolleranza su base immunologica alle proteine del latte vaccino (APLV) rappresenta la più frequente forma di allergia alimentare dell’età
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pediatrica con una incidenza che varia tra lo 0,3% ed il 7% dei lattanti, a seconda delle diverse casistiche elaborate in diversi paesi. È stato osservato che la domanda totale del latte d’asina per l’alimentazione destinata ai neonati ed ai bambini è pari al 63% in confronto al 37% della richiesta destinata a tutti gli altri usi (Iacono e Scalici, 2011).
Tuttavia, i più recenti studi sulla composizione quali-quantitativa del suddetto alimento, con particolare riguardo alla composizione ottimale dei grassi (basso contenuto di acidi grassi saturi ed elevato tenore di insaturi -3) nonché al contenuto calorico limitato, hanno permesso di postulare un suo impiego nell’alimentazione definibile “curativa” dell’anziano. Infatti, assodato che il consumo di latte vaccino e derivati in età adulta si riduce fortemente anche a causa di disturbi gastrointestinali e, sebbene la causa più frequente si ritiene risieda frequentemente in un deficit quantitativo dell’enzima lattasi, deputato alla digestione del lattosio, la presenza di un’allergia alle proteine del latte vaccino in questi soggetti non può essere esclusa (Iacono e Scalici, 2011).
Inoltre, ricordando la qualità degli acidi grassi presenti in questo latte, diventa facile ipotizzare, qualora venisse assunto con una certa regolarità, un’azione preventiva a riguardo dei distretti cardio-circolatori, impedendo la formazione di placche aterosclerotiche; si riducono quindi i rischi di cardiopatie dovute ad aumenti pressori del flusso ematico ed all’insorgenza di infarti (Paolicelli, 2005).
Il latte d’asina sta diventando un importante elemento della dermo-cosmesi. Così come un tempo, le donne, anche oggi, ricercano questo prodotto per ricavarne benefici.
Un buon dermo-cosmetico deve detergere, idratare la cute e per quanto possibile offrire un’azione antiossidante.
Il latte si presenta per la sua composizione (componente grassa + componente acquosa) capace di assolvere a queste funzioni. Il latte d’asina per le componenti fin qui ampiamente citate, deterge e idrata in maniera efficace, rendendo la cute morbida ed elastica, inoltre si dimostra capace di fornire un’azione antiossidante.
Il complesso pool di elementi presenti nel latte d’asina, oltre a favorire un’azione ristrutturante e intensamente idratante della sostanza intercellulare dermica, è dotato di
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ed acido ialuronico endogeno, proteggendoli contemporaneamente dall’azione dannosa dei radicali liberi (Orsingher, 2011). Inoltre la presenza dell’aminoacido lisina fa da supporto nutritivo ai fibroblasti, aumentandone la vitalità e quindi la produzione di collagene.
I preziosi acidi grassi di tale latte riescono a ripristinare e proteggere le membrane delle cellule cutanee. Il complesso multivitaminico (A, B, C, E) blocca e allontana i cataboliti del metabolismo cellulare proprio della cute ed avvia un’azione epitelio-protettrice. Il lisozima si presenta in questo caso come abile attenuatore degli stati flogistici della cute e del cuoio capelluto (Cotte, 1991).
Al fine di esaltarne le capacità detergenti e idratanti, l’industria cosmetica ha realizzato delle formulazioni quali saponi e creme, tuttavia il modo per beneficiare a pieno di queste proprietà è quello di usare il latte d’asina tal quale, poiché alcuni dei processi fisici, meccanici e chimici, propri delle preparazioni cosmetiche, possono alterarlo (Paolicelli, 2005).
La ridotta carica microbica del latte d’asina alla mungitura e l’elevato contenuto in lisozima rendono tale latte un prodotto con una prolungata shelf-life rispetto a quella di altri tipi di latte (Sorrentino et al., 2005). Comunque, l’individuazione di idonei e specifici sistemi di conservazione del latte, oltre a tutelare la salute del consumatore, apporterebbe notevoli vantaggi ai fini della commercializzazione. Di conseguenza l’aumento della shelf-life potrebbe consentire una costante disponibilità commerciale del prodotto, superando la stagionalità dell’offerta legata all’epoca dei parti e quindi della lattazione.
Se correttamente refrigerato a temperature 4 °C, il latte d’asina si conserva bene per tutta la sua vita commerciale che è di 3 giorni, come per il latte crudo bovino; mentre se ha subito il processo di pastorizzazione mantiene inalterate le sue caratteristiche, sempre se tenuto in frigorifero, per almeno 6-7 giorni. In uno studio sulla conservabilità del latte di asina, Sorrentino et al. (2010) hanno osservato un aumento della CBT pari a 1 log10, dopo 3 giorni di conservazione a temperature di
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refrigerazione, mentre dopo 7 giorni l’incremento è stato di 2 log10, senza però la
comparsa di alterazioni organolettiche.
Per favorire la conservabilità per periodi più prolungati si tende in alcune aziende asinine a congelare a temperature di - 20 °C il latte appena munto. Le poche sperimentazioni fino ad oggi effettuate mirate a valutare l’effetto dei trattamenti termici e di trasformazione del latte d’asina sulle qualità nutrizionali dell’alimento, hanno dimostrato che l’eventuale congelamento a - 20 °C, praticato per consentire una conservazione prolungata del prodotto, non altera, in misura significativa i contenuti dei principali nutrienti del latte, ed anche l’attività enzimatica del lisozima risulta essere poco influenzata dalle basse temperature di congelamento (Polidori e Vincenzetti, 2011).
Diverso è il discorso quando il latte di asina subisce delle profonde modificazioni della sua struttura. Una delle modalità più diffuse con le quali viene messo a disposizione dei bambini, è il latte in polvere, ottenuto mediante eliminazione dell’acqua dal latte, il cui contenuto residuo nel prodotto finito non è mai superiore al 5% del peso totale della polvere. L’essiccamento per atomizzazione (spray drying) è il procedimento più adatto per produrre latte in polvere rimuovendo l’acqua. Il principio di tale sistema è quello di trasformare un liquido in gocce piccolissime (50 m di diametro) che vengono poi esposte ad una corrente di aria calda, intorno ai 170 °C. L’acqua evapora quasi istantaneamente dalle goccioline che vengono trasformate in granuli di polvere.
Altro processo tecnologico ampiamente utilizzato per rendere il latte conservabile a lungo è la liofilizzazione. Si basa sul principio per cui, togliendo l’acqua presente in un alimento, esso si conserva senza rischi di degenerazione o contaminazione da germi. Le moderne tecniche di liofilizzazione prevedono l’estrazione dell’acqua tramite sublimazione, ovvero l’acqua contenuta nell’alimento, precedentemente congelato a basse temperature (tra - 30 °C e - 40 °C), passa direttamente dallo stato solido a quello aeriforme (vapore). Al termine del processo di liofilizzazione, il contenuto in acqua di un alimento difficilmente supera il 2%.
A tal proposito sono state effettuate delle sperimentazioni mirate a determinare il contenuto e l’attività enzimatica residua del lisozima nel latte di asina sottoposto a polverizzazione mediante essiccamento per atomizzazione (spray-drying) e in
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alternativa sottoposto a trattamento di liofilizzazione. Si è notato che la polverizzazione oltre a ridurre il contenuto di alcuni nutrienti, inattiva in misura significativa il lisozima, e con esso ovviamente la quasi totalità degli enzimi del latte, a causa delle elevatissime temperature cui arriva il processo di atomizzazione (prossimo ai 200 °C). Nel caso del trattamento di liofilizzazione, invece, la quantità di lisozima residua resta più elevata, e cosa ancora più importante l’enzima non viene inattivato, mantenendo un’attività residua di 0,69 U/ml rispetto alle 0,62 del latte fresco (Polidori e Vincenzetti, 2011).
Tutte le proprietà elencate fino ad ora del latte di asina fanno sì che esso non solo possa fungere da validissimo sostituto del latte materno, ma possa essere considerato a tutti gli effetti un vero e proprio alimento funzionale, in grado cioè di esercitare effetti benefici su una o più funzioni del corpo, migliorare lo stato di salute del consumatore e/o ridurne i rischi di malattie.
La principale e fondamentale caratteristica degli alimenti funzionali è che essi devono rimanere alimenti e non devono sostituirsi ai medicinali, non avendo effetti terapeutici, quindi il loro consumo deve far parte di un normale regime alimentare. Un alimento funzionale può dimostrare effetti positivi generali o essere specifico per particolari categorie di consumatori, che presentano particolari esigenze. Tra gli alimenti funzionali, un ruolo molto importante è rappresentato dal latte e derivati fermentati, tra cui i latti fermentati e lo yogurt (Nazzarro, 2011).
La fermentazione del latte, che dà luogo poi alla formazione del prodotto, avviene tramite la trasformazione microbica del lattosio in composti più semplici, tra cui acido lattico, altri acidi organici e CO2.
La maggior parte dei prodotti fermentati a base di latte sono formulati con latte bovino, ovino, caprino e bufalino. Tali prodotti, ovviamente, anche se di valido supporto nutrizionale per gran parte della popolazione, non possono essere consumati da specifiche categorie, quali i bambini con allergie alle proteine del latte. Per tale motivo, recentemente è stata valutata la possibilità di produrre un prodotto a base di latte d’asina fermentato con diversi ceppi di microrganismi probiotici. Il latte d’asina si
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è dimostrato un ottimo potenziale substrato di crescita per alcuni microrganismi probiotici appartenenti al genere Lactobacillus: L. acidophilus, L. bulgaricus, L.
paraplantarum, L. pentosus, L. plantarum e L. rhamnosus.
La fermentazione ha mostrato ottimi risultati, sia in termini di vitalità cellulare, sia in termini di presenza, nel prodotto fermentato, di metaboliti di interesse salutistico. Da un punto di vista della crescita microbica, il prodotto risponde in maniera soddisfacente ai requisiti minimi di un prodotto probiotico che, per poter esercitare effetti benefici sulla salute del consumatore, deve assicurare un apporto di microrganismi almeno di 106-108 UFC/ml di prodotto (Shah, 2001).
La capacità di tali microrganismi di poter crescere nel latte d’asina e fermentare tale substrato non porta, inoltre, ad un marcato abbassamento dei valori di pH: ciò è da considerarsi un vantaggio, nella formulazione di latti funzionali, in quanto fenomeni di over-acidificazione determinerebbero problemi di sopravvivenza alle stesse cellule microbiche, come è stato dimostrato per altre tipologie di latte fermentato, ad esempio a base di latte di capra (Spuergin et al., 1997; Barrionuevo et al., 2001; Alferez et al., 2002).
Influenzando la composizione e l’attività del microbiota intestinale, l’assunzione di determinati prodotti funzionali quali il latte d’asina fermentato probiotico, determina anche a livello indiretto un effetto benefico sulle funzioni gastrointestinali del consumatore e, in definitiva, sul suo stato di salute globale. L’effetto più rilevante è comunque ascrivibile alla presenza, all’interno del prodotto fermentato con probiotici, di diversi metaboliti intermedi o finali della degradazione del lattosio (Nazzarro, 2011).
Gli acidi organici prodotti dalla fermentazione del latte d’asina possono, nel complesso, contribuire al mantenimento dell’integrità morfologica e funzionale dell’epitelio intestinale. L’acido butirrico promuove l’adesione tra le cellule epiteliali del colon, migliorando lo stato di salute di pazienti affetti da colite ulcerosa, stimolando la sintesi delle proteine dei colonociti (Frankel, 1994) e limitando gli effetti negativi indotti da batteri solfo-riduttori (Christl, 1996). L’acido lattico, presente nel latte d’asina alla fine della fermentazione, agisce sia come antagonista microbico, diminuendo il pH a livello del colon, ma anche come promotore dell’assorbimento di calcio e di altri sali minerali dal latte.
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La presenza di acido acetico può risultare particolarmente importante nell’ipotesi che si voglia utilizzare il latte d’asina fermentato a supporto di trattamenti medici di profilassi del cancro dell’apparato digerente, essendo stato dimostrato il ruolo fondamentale che alcuni probiotici hanno nell’indurre l’apoptosi cellulare mediante i suoi metaboliti acetato e propionato (Lan et al., 2007). Infine, la formazione da parte dei probiotici di acetato e lattato, noti agenti inibitori della crescita di potenziali enteropatogeni (Gibson e Roberfroid, 1995; Salminen et al., 1998; Fooks e Gibson, 2002) può migliorare la già nota attività antimicrobica propria del latte d’asina, dovuta alla presenza del lisozima.
Sulla scia di quanto detto, Chiavari et al. (2005) hanno condotto uno studio con lo scopo di stabilire la metodologia per la produzione di una bevanda fermentata a base di latte d'asina impiegando solo batteri lattici con attività probiotica. Il protocollo fornito prevede quindi una eventuale deodorizzazione e omogeneizzazione, la pastorizzazione a 63 °C per 30 minuti, il raffreddamento a 37 °C e successivamente l'inoculazione della coltura starter probiotica al 10%. La fermentazione viene condotta a 37 °C e la sua progressione viene seguita misurando il pH. Una volta giunti a pH 4,5-4,6, la fermentazione viene arrestata mediante refrigerazione a 4 °C, che può essere seguita da omogeneizzazione, imbottigliamento e conservazione a 4 °C.
I dati ottenuti confermano che il latte d’asina fermentato può essere considerato una base eccellente per le preparazioni di molti prodotti funzionali con proprietà probiotiche e terapeutiche in generale. La possibilità di utilizzare tale latte come substrato per la crescita di diversi microrganismi probiotici, con la conseguente produzione di un’importante quantità di acidi organici a corta catena, può aumentare le possibilità di utilizzo per tutte le categorie di consumatori.
Inoltre la produzione di prodotti fermentati a base di latte d’asina presenta interessanti prospettive anche da un punto di vista economico, e può creare una scelta produttiva innovativa per quelle aziende agricole in cerca di nuove fonti di guadagno (Nazzarro, 2011).
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In Italia quando si parla di lobbying si rischia di richiamare alla mente l’idea di azioni ai confini della legalità. In realtà, nella maggior parte degli altri Paesi tale termine viene più opportunamente associato al concetto di rappresentanza di interessi e di partecipazione democratica alle decisioni politiche.
Per questo motivo è necessario svolgere alcune riflessioni in merito ad una possibile attività lobbystica per la promozione del latte d’asina, nell’ambito di un più ampio progetto di tutela e valorizzazione dell’asino sul nostro territorio.
La letteratura scientifica è concorde nel ritenere che il latte d’asina è utile sia per l’alimentazione geriatrica sia per l’alimentazione pediatrica, in quanto è un’ottima cura per le allergie alle proteine del latte vaccino.
A fronte di un aumento costante dei casi di allergie neonatali, esistono però alcuni fattori che ostacolano l’impiego di questo latte: difficoltà a reperire l’alimento, difficoltà nel garantirne la continuità d’erogazione, riluttanza all’uso da parte dei genitori, potenziale rischio infettivo legato alla dubbia igiene dell’alimento proveniente da animali non controllati per l’alimentazione umana, scarsa conoscenza del prodotto da parte dei pediatri, ma in particolare il limite fondamentale per un utilizzo corrente di tale prodotto è il suo costo troppo elevato per la famiglia media italiana (Milonis e Polidori, 2011).
Il promotore ideale per un’iniziativa di lobbying in questo settore è rappresentato da un ente o associazione senza scopo di lucro, che nel proprio statuto costitutivo abbia, tra i fini principali, quello della salvaguardia e della valorizzazione degli asini in Italia.
Esistono infatti soggetti che svolgono una serie di attività, tutte volte a restituire un ruolo a questo animale nella società moderna, considerato che, con la meccanizzazione dell’agricoltura, è andato disperso un intero patrimonio zootecnico.
Tra le iniziative più importanti in questo senso, si registrano le visite scolastiche in allevamento, il trekking someggiato, l’ono-terapia, e la commercializzazione del latte d’asina per scopo alimentare; a tal fine, sono recentemente nati alcuni consorzi che si propongono di mettere insieme i piccoli allevatori sparsi sul territorio (Milonis e Polidori, 2011).
1 IL LATTE DI ASINA
Promuovere l’utilizzo del latte d’asina significa, in particolare, organizzare la produzione assicurando elevati standards qualitativi e di sicurezza dell’alimento; organizzare la distribuzione garantendone la tempestività, la capillarità ed il mantenimento in ogni momento delle caratteristiche organolettiche del prodotto; e consentire alle famiglie, da un punto di vista economico, di utilizzare il prodotto in caso di effettiva necessità del bambino.
L’obiettivo primario relativo all’attività di lobbying sarebbe quello di ottenere a livello nazionale il rimborso (totale o parziale) da parte del Servizio Sanitario Nazionale, del latte d’asina per uso pediatrico nei casi di bambini affetti da allergie ed intolleranze agli altri tipi di latte. A fianco a tale obiettivo, devono necessariamente essere perseguiti alcuni obiettivi correlati, quali:
il riconoscimento del latte d’asina come alimento pediatrico;
una normativa nazionale che definisca regole specifiche e standards qualitativi del prodotto;
il riconoscimento di un Marchio di qualità del prodotto.
Ovviamente se tale attività di lobbying si concretizzasse, porterebbe altre conseguenze positive, in termini di crescita di un mercato oggi praticamente inesistente, di tutela delle risorse ambientali, di protezione del patrimonio zootecnico del Paese e di promozione delle economie rurali (Milonis e Polidori, 2011).
Fino al 2006 il latte d’asina era inquadrato giuridicamente da un Regio Decreto del 1929 (R.D. n° 994/1929), in base al quale si permetteva di vendere il latte in appositi locali allestiti esclusivamente nel luogo di produzione del latte stesso. Suddetta norma si occupava di tale prodotto agli art. 15 e 43:
art. 15: Per latte alimentare deve intendersi il prodotto ottenuto dalla mungitura regolare, ininterrotta e completa della mammella di animali in buono stato di salute e di nutrizione. Con la sola parola "latte" deve intendersi il latte proveniente dalla vacca. Il latte di altri animali deve portare la denominazione della specie cui appartiene l'animale che lo fornisce, così per esempio "latte di capra", "latte d'asina" ecc.
art. 43: I comuni nei quali viene esercitata la vendita diretta del latte d'asina o di pecora, devono stabilire apposite norme nei regolamenti locali d'igiene per disciplinare la produzione e il commercio di detto latte. Il latte di asina così come quello vaccino può essere venduto direttamente dal produttore al consumatore oppure compravenduto tra produttore ed industria.
Il D.P.R. n° 54 del 1997 relativo alla produzione e commercializzazione di latte considerava esclusivamente il latte vaccino, bufalino e ovi-caprino.
Finalmente con l’entrata in vigore del “Pacchetto Igiene” il vuoto legislativo è stato superato. Il Regolamento CE n. 853/2004, infatti, considera oltre quello vaccino, bufalino e ovi-caprino, il latte di “altre specie animali” (Borrello, 2007).
2 ANALISI DEL RISCHIO MICROBIOLOGICO NEL LATTE DI ASINA
La destinazione del latte d’asina ad una delle categorie di consumatori cosiddette “a rischio” (bambini, anziani) induce a richiedere alcune ulteriori indicazioni, che potrebbero acquisire la connotazione di linee guida, ai fini del controllo igienico-sanitario di questo importante prodotto.
Nel contesto del Regolamento, il capitolo dedicato ai criteri applicabili al latte crudo si apre con la seguente precisazione: “in attesa della fissazione di un normativa più specifica sulla qualità del latte e dei prodotti lattiero caseari, si applicano, per il latte crudo, le seguenti norme”. Quindi, all’indicazione dei criteri per il latte crudo di bovina, segue il riferimento al latte crudo proveniente da “altre specie”, per il quale il tenore in germi a 30 °C è fissato in un valore a 1.500.000 UFC/ml, che deriva dalla media geometrica mobile calcolata su un periodo di due mesi con almeno due prelievi al mese. Fa seguito la disposizione in merito al tenore in germi a 30 °C nel latte crudo proveniente da specie diverse da quella bovina destinato alla realizzazione di prodotti a latte crudo (mediante un processo che non comporta alcun trattamento termico), questo valore deve essere a 500.000 UFC/ml (Conte, 2007).
Pur trattandosi di un Regolamento ispirato a criteri di semplificazione delle direttive precedentemente emanate in materia di alimenti di origine animale, non è affatto trascurabile quanto in esso si sottolinei la necessità di individuare “una normativa più specifica sulla qualità del latte e dei prodotti lattiero caseari”. Tale precisazione ci troverebbe perfettamente concordi qualora fossero definiti, anche per il latte d’asina, specifici criteri utilizzabili quale strumento per una maggiore tutela dell’igiene, della sicurezza e del valore nutrizionale del prodotto, considerata la particolare destinazione che per esso si auspica da tempo.
Per queste stesse ragioni anche il latte d’asina soggiace all’obbligo del consumo “previa bollitura”, come previsto dall’Ordinanza del Ministero della Salute del 10 dicembre 2008 per il latte bovino destinato al consumo diretto. Anche se il rischio alimentare dovuto al consumo di latte crudo di asina è minore rispetto al latte bovino, soprattutto per microrganismi quali E. coli enterotossigeni e Campylobacter termotolleranti.
Alla luce dei risultati ottenuti dallo studio condotto da Conte (2007), si ritiene che il valore medio di carica batterica a 30 °C, pari a 1.500.000 UFC/ml, considerato accettabile dal Regolamento 853/2004 per il latte crudo di “altre specie”, sia
2 ANALISI DEL RISCHIO MICROBIOLOGICO NEL LATTE DI ASINA
estremamente elevato e poco adeguato al latte d’asina, specie se questo è utilizzato per scopi terapeutici. Tale considerazione, dopo ulteriori conferme, non sarebbe da trascurare in fase di applicazione del Regolamento 853/2004 e/o di emanazione di ulteriori norme specifiche sulla qualità del latte.
Difatti, l’eventuale definizione dei criteri normativi correlati anche alla qualità del latte d’asina dovrà essere basata su fondamenti scientifici e su un significativo numero di dati riferiti ai suoi essenziali parametri di composizione ed a quelli correlati alla qualità igienico-sanitaria.
In conclusione, è possibile auspicare che l’attuale interesse per il latte d’asina giovi all’ottimizzazione delle condizioni del management aziendale del settore asinino. Ciò consentirà di ottenere buoni standard produttivi e, conseguentemente, una più uniforme qualità chimico-fisica del latte, sebbene suddetto settore dovrebbe essere considerato come comparto a sé stante a motivo delle peculiarità che contraddistinguono la specie animale ed il latte da essa prodotto (Conte, 2007).
Considerata la carenza e la frammentarietà dei dati, allo stato attuale è praticamente impossibile approcciare in modo adeguato la valutazione dei rischi microbiologici connessi al consumo di latte di asina. Per questo motivo, in questo capitolo ci limiteremo ad un’analisi descrittiva dei possibili pericoli microbiologici derivanti dal consumo di latte d’asina, tramite un confronto con quanto è presente in letteratura sul latte bovino e di cavalla. Di seguito sono riportati i principali microrganismi patogeni che si riscontrano o potrebbero riscontrarsi nel latte di asina (Tabella 4) (Colavita et al., 2010)
2 ANALISI DEL RISCHIO MICROBIOLOGICO NEL LATTE DI ASINA
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Tabella 4. Possibili pericoli microbiologici nel latte di asina (Colavita et al., 2010).
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Salmonella spp., come altri patogeni intestinali, può contaminare il latte a partire
dal materiale fecale durante e dopo la mungitura, anche se fino ad oggi non si hanno segnalazioni di casi di salmonellosi da consumo di latte crudo equino (De Jager, 2009). Nel corso di una ricerca eseguita su campioni di feci di cavalli regolarmente macellati e provenienti da diversi Paesi europei, Salmonella spp. è stata isolata solo nell’1,43% dei casi. Questa osservazione porta a considerare un rischio relativamente basso di contaminazione degli alimenti, anche se il dato può essere in qualche modo condizionato dal fatto che l’eliminazione del germe è intermittente (Colavita et al., 2010).
2 ANALISI DEL RISCHIO MICROBIOLOGICO NEL LATTE DI ASINA
Inoltre ci sarebbe da considerare un rischio più elevato nei soggetti in produzione, in quanto essendo sottoposti ad una situazione di maggiore stress, si potrebbe verificare un aumento dell’eliminazione nel latte di questi microrganismi.
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Per quanto riguarda i microrganismi del gruppo E. coli O157, il bovino è considerato il principale serbatoio, mentre altre specie animali possono ricoprire il ruolo di serbatoi secondari per l’uomo, soprattutto dopo contatto con i ruminanti (Chalmers et al., 1997; Hancock et al.,1998)
Dai pochi dati disponibili in letteratura risulta che la prevalenza di E. coli O157 negli equini è piuttosto bassa, ma come dimostra un’indagine condotta in Inghilterra e in Galles, l’allevamento promiscuo può rappresentare un fattore di rischio. Durante tale studio E. coli O157 è stato ricercato nelle feci degli animali presenti in alcune open
farm. Su 365 bovini il microrganismo è stato riscontrato nel 29% dei campioni, su 426
ovini nel 24% e, da 26 asini e 85 cavalli è stato isolato rispettivamente nel 14,6% e nel 12,3% dei casi (Pritchard et al., 2009).
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Listeria monocytogenes è stata spesso isolata dagli animali, sia domestici (pecore,
bovini, polli), che selvatici. Si tratta di un germe ubiquitario, rilevato spesso a livello di acqua, alimenti vegetali e terreno. L. monocytogenes può svilupparsi alle temperature di refrigerazione ed è molto resistente agli agenti fisico-chimici e nell’ambiente, dove può permanere a lungo (Ryser e Marth, 1991).
È stata isolata da molti alimenti di origine animale (latte, formaggi, gelati, carne, prodotti carnei, prodotti della pesca) ed anche dagli ambienti di lavorazione (Buchanan
et al., 1989; Farber e Peterkin, 1991; Ryser e Marth, 1999).
Nel latte crudo il rischio di contaminazione da Listeria spp. non è stato più di tanto approfondito in quanto è emerso che nel mondo sono molti più i casi di Listeriosi legati al consumo di latte pastorizzato che quelli legati all’utilizzo di latte crudo. La spiegazione a tutto ciò è data dal fatto che la Listeria spp. cresce bene anche a basse
2 ANALISI DEL RISCHIO MICROBIOLOGICO NEL LATTE DI ASINA
temperature e trova condizioni favorevoli nel latte pastorizzato, essendo quest’ultimo privo di una flora microbica “positiva” in grado di contrastarne la crescita.
Per quanto riguarda il latte d’asina, studi eseguiti da Amadoro et al. (2011) hanno evidenziato l’isolamento di Listeria spp. in 20 campioni di latte massale d’asina su 39, denotando quindi la frequente contaminazione ambientale del latte.
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In Europa la brucellosi equina è evenienza piuttosto rara. Sono stati riportati casi di infezioni da B. suis e da B. abortus con rarissimi episodi di aborto nella cavalla. Qualche anno fa in Croazia sono stati segnalati due casi di brucellosi equina da B. suis biovariante 3 (Cvetnic et al., 2005).
In Egitto la brucellosi negli equini ha una prevalenza del 5,88%, in India del 12,88% e in Pakistan del 5,78% (Gul et al., 2007). Nel corso di un’indagine condotta nel Gaderef, una regione dell’est del Sudan, su 412 asini esaminati è stata rilevata una sieropositività del 2,12% per B. abortus (Elsalam Abdalla et al., 2010), mentre in Giordania, nell’ambito di un’altra indagine siero-epidemiologica è stata accertata una siero-prevalenza per Brucella spp. dell’1% nei cavalli e dell’8,5% negli asini (Abo-Shehada, 2009).
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Enterobacter sakazakii è un batterio patogeno opportunista responsabile di forme
di infezione neonatale (soprattutto meningite ed enterocolite necrotizzante) in molti casi mortali. In base a recenti studi il microrganismo ha dimostrato un’ampia diffusione, essendo stato isolato da svariate categorie di alimenti oltre che da campioni ambientali provenienti da industrie alimentari di vario tipo, da ambiente domestico ed ospedaliero e da insetti, anche se un’associazione diretta tra l’infezione ed il consumo di un alimento è stata più volte dimostrata soltanto nel caso di utilizzo di formulazioni a base di latte in polvere per la prima infanzia. A questo riguardo la presenza di una carica anche modesta del germe in tale tipologia di alimenti è sufficiente a determinare il rischio di infezione in bambini nei primi mesi di vita, soprattutto se nati sotto peso o immunodepressi (Pedonese et al., 2004).
2 ANALISI DEL RISCHIO MICROBIOLOGICO NEL LATTE DI ASINA
I serbatoi dell’infezione e le modalità di trasmissione necessitano di essere pienamente chiariti, tuttavia rimane innegabile il coinvolgimento delle formulazioni a base di latte in polvere per la prima infanzia, a livello delle quali la presenza di E.
sakazakii può essere dovuta sia a contaminazioni post-pastorizzazione a livello di
industria produttrice, che a contaminazioni sopraggiunte al momento della preparazione per il consumo finale del prodotto, anche in considerazione delle caratteristiche di elevata resistenza del germe all’essiccamento e di capacità di produrre biofilm in grado di aderire tenacemente ad utensili e contenitori di uso abituale (Pedonese et al., 2004).
Gli studi condotti da Conte e Passantino (2008) hanno portato all’isolamento in Sicilia di due ceppi di E. sakazakii da 50 campioni di latte d’asina. Gli Autori sottolineano l'importanza di tale indagine in quanto il latte d’asina è considerato uno delle soluzioni per l’alimentazione di neonati che soffrono di ipersensibilità alle proteine del latte.
In conclusione, la scarsa conoscenza dell’ecologia e delle fonti d’infezione di questo microrganismo nei bambini e negli adulti, preoccupa il mondo scientifico in quanto il latte d’asina potrebbe essere un alimento ad alto rischio.
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Tale microrganismo, isolato per la prima volta nel 1923 è causa di polmonite ed enterite con un alto tasso di mortalità nei puledri di 1-3 mesi di età. Di difficile eradicazione, si trasmette per via inalatoria, attraverso lesioni della cute e dei tessuti, ma anche per via alimentare (Kedlaya, 2001).
Si tratta di un microrganismo che trova condizioni ottimali di crescita nei suoli ricchi di deiezioni animali ed è stato isolato anche dalle feci di bovini, ovini, caprini, suini ed uccelli selvatici (Takai et al., 1991).
Gli equini sono i principali eliminatori di R. equi con le feci, nelle quali si possono riscontrare cariche di 3-4 log/g nei puledri, a causa della scarsa maturazione dell’ambiente gastro-enterico; mentre negli adulti le cariche sono molto più basse, per la minore possibilità del germe di moltiplicarsi nell’intestino, per cui i puledri sono i veri responsabili del mantenimento della contaminazione nell’allevamento.