• Non ci sono risultati.

Andare “al di là del bene e del male”: Una religione senza orizzonte

3. D IALOGO

3.1 Andare “al di là del bene e del male”: Una religione senza orizzonte

Gli aspetti che ho voluto sottolineare della critica nietzscheana alla religione sono stati stimolo per la riflessione degli autori presi in esame; in che modo, tuttavia? Ciò che accomuna questi autori è l'aver raccolto la parola di Nietzsche “Dio è morto” nel suo senso metaforico più profondo. Dio e le “ombre di Dio” incarnano, in Nietzsche, l'illusione oltremondana del rassicurante senso già-dato, il limite dell'uomo e la “scusa” alla sua finitezza. Heidegger è colui che pone sul piano fenomenologico la figura del Dio cristiano in Nietzsche:

Il «Dio cristiano» è al tempo stesso la rappresentazione-guida che sta per il «soprasensibile» in generale e per le sue diverse interpretazioni, per gli «ideali» e le «norme», per i «princìpi» e le «regole», per i «fini» e i «valori» instaurati «sopra» l'ente per dare all'ente nel suo insieme uno scopo, un ordine e – come in breve si dice – per «dargli un senso»123

Dopo Heidegger, questo sarà il terreno di partenza per il confronto con con la critica al soprasensibile in Nietzsche per i filosofi del Novecento.

Il pensiero nietzscheano, nel voler colpire al cuore ciò che vi è di malato nel sentimento di ressentiment che muove la morale (in Nietzsche: degli schiavi, 123 M. Heidegger, Il nichilismo europeo, in Nietzsche, op. cit., p. 564, 565.

dell'ebraismo, del cristianesimo ma anche di tutte le “ombre di Dio” incarnate nelle ideologie romantiche a lui contemporanee), punta il dito contro il più grande peccato dell'uomo verso Dio: l'averlo ucciso, rendendolo “umano, troppo umano”. L'antropomorfizzazione di Dio rende il cosmo piccolo, a misura d'uomo, e di un uomo piccolo: rende l'essere a misura di quei “piccoli esseri bramosi di vendetta”124. Allora comincia l' “esecranda ermeneutica del concetto di castigo”,

allora l'esistenza diventa una colpa. Gli autori di cui abbiamo preso in esame il pensiero, si trovano a dover fare i conti con questa critica prima di tutto: il Dio del cristianesimo è davvero così piccolo? L'idea che abbiamo di Dio, rende lui giustizia?

Si manifesta dunque la necessità di ripensare quale sia il rapporto dell'uomo con la divinità; l'alternativa paradossale è: o ammettere un errore nel modo di pensare Dio prima di Nietzsche, o negare Dio tout-court. Come abbiamo letto negli autori trattati, appare triviale interpretare l'ateismo di Nietzsche come una forma di negazione acritica della divinità125. Dietro vi si nasconde molto di più. Poiché

l'uccisione di Dio rappresenta la fine del fine soprasensibile, Heidegger pone Nietzsche alla fine della strada della metafisica dell'occidente: egli segna la fine e la contro-posizione di quel pensiero che ha seguito la domanda-guida della filosofia da Platone in poi, e al contempo, rappresenta la possibilità dello slancio ulteriore oltre il nichilismo:

Poiché la posizione metafisica di fondo di Nietzsche è, nel senso illustrato, la fine della metafisica, vi si attua per questo il massimo e più

124 Cfr. M. Heidegger, L'eterno ritorno dell'uguale, in Nietzsche, op. cit., p. 271.

125 Cfr. ad esempio M. Heidegger, La volontà di potenza come arte, in Nietzsche, op. cit., p. 159; M. Heidegger, L'eterno ritorno dell'uguale, in Nietzsche, op. cit., p. 272.

profondo raccoglimento, cioè il compimento di tutte le posizioni di fondo essenziali della filosofia occidentale da Platone in poi, e alla luce del platonismo, in una posizione di fondo che ne è determinata, ma che è a sua volta creativa. Essa rimane tuttavia una posizione metafisica di fondo realmente operante soltanto se viene dispiegata in tutte le sue forze e i suoi domini essenziali come controposizione. La filosofia di Nietzsche – rivolta in sé all'indietro – deve diventare, anche per un pensiero che guarda al di là di essa, la controposizione in avanti.126

La metafisica di Nietzsche è la metafisica della soggettività127: individuare la

mancanza di senso come “senso” dell'ente nel suo insieme è il compimento “della trama metafisica dell'età moderna”, che si può comprendere solo “congiuntamente a quel cambiamento dell'uomo in subjecto e alla determinazione dell'ente come rappresentatezza e fabbricatezza di ciò che è 'oggetto'”. Si è già detto allora come la metafisica di Nietzsche, quando è ancora nel momento del “nichilismo classico”, rappresenta il scomparire del “posto” dei valori finora validi128. Non si

possono più sostituire semplicemente i valori “caduti”: Nietzsche, come compimento ultimo della metafisica, ne elimina la possibilità stessa. Allora ciò consente ad Heidegger di vedere nella trasvalutazione il primo pensiero dell'essere come valore:

Leggendo il titolo «trasvalutazione dei valori» noi pensiamo che al posto dei valori finora validi vengano messi valori mutati. Ma «trasvalutazione» significa per Nietzsche che proprio «il posto» dei

126 Ivi, p. 389.

127 M. Heidegger, Il nichilismo europeo, in Nietzsche, op. cit., p. 697.

128 M. Heidegger, L'eterno ritorno dell'uguale e la volontà di potenza, in Nietzsche, op. cit., pp. 554-559.

valori finora validi scompare, e non solo che questi ultimi cadano. Ciò implica che il carattere e la direzione della posizione di valori e la determinazione dell'essenza dei valori mutano. La trasvalutazione pensa per la prima volta l'essere come valore. Con essa la metafisica incomincia a essere pensiero dei valori. Fa parte di questo mutamento il fatto che non soltanto i valori finora validi soggiaciano a una svalutazione, ma che soprattutto il bisogno di valori del tipo e nel posto che si sono avuti finora – cioè nel soprasensibile – venga sradicato.129

Dopo la scomparsa del “posto” dei valori già dati, l'annichilimento del soprasensibile in quanto morale, dopo la “morte del Dio morale”, l'interrogativo successivo che muove i pensatori è allora la possibilità che si dia ancora uno “spazio” aperto all'elaborazione della risposta di senso. Se per Heidegger il “posto” dell'elaborazione di un senso posto nella trascendenza metafisica è definitivamente scomparso, Jaspers parte dall'elaborazione di un recupero della trascendenza in Nietzsche stesso. Si è visto nel capitolo precedente come Nietzsche, secondo Jaspers, non possa rinunciare alla trascendenza ma viva al contrario nella tensione tra immanenza e trascendenza, nel tentativo al contempo di eliminare quell'incombere della morale trascendente ma di creare la possibilità della trasvalutazione di tutti i valori, ad opera del superuomo. Il nichilismo completo di Nietzsche ha portato allo scomparire del posto dei valori in nome della possibilità di darsi della libertà umana oltre il nichilismo passivo della “morale degli schiavi”. L'atteggiamento nietzscheano per eccellenza è per Jaspers l'atteggiamento del “creare”. La creazione di nuovi valori si può dare solo nello

spazio creato dall'abbattimento del Dio morale, è chiaro: preliminare è l'apertura dell'orizzonte infinito delle possibilità prospettiche dell'essere. Il passo successivo, preliminare a sua volta per la riflessione di Welte e Valadier, e a loro di ispirazione, è la riflessione sul pensiero-limite di Nietzsche dell'atteggiamento creativo auspicato da Nietzsche come realizzazione esistenziale dell'uomo130. La

nuova morale che Nietzsche indica, secondo Jaspers, è una “morale sperimentatrice” che conduce all'uomo alla creazione di sé stesso, al darsi un fine. Ma, allora, sembra non esserci più spazio per il divino-trascendente: la nuova morale può essere conseguita “soltanto senza Dio”131. Lo spazio di Dio, della

trascendenza, viene a trovarsi allora oltre il confine della morale. Lo spazio dove si rivela l'Assoluto è il luogo verso il quale si dirige la tensione dell'uomo verso il superuomo creatore di valori, e di sé stesso. A questo proposito, Jaspers più volte si sofferma a sottolineare l'espressione di Nietzsche “Dio come l'al di là del bene e del male”132. Lo spazio di Dio è oltre la morale: il pensiero paradossale, che

consente a Welte di affermare l'ispirazione “divina”133 di Nietzsche, è la possibilità

di un rapporto sempre presente con un oltre-l'umano che non venga identificato con un Dio personale, morale, il quale disegni il limite dell'umana azione. La sfida è un'orizzonte infinito delle possibilità nelle quali l'uomo possa realizzarsi nel super-uomo. Il sì all'esistenza si articola a partire da questo rapporto con la possibilità dell'oltre-umano anche all'interno della logica di Nietzsche: è la tensione tra il sostituto della trascendenza e il suo fallimento individuata da 130 K. Jaspers, Nietzsche. Introduzione alla comprensione del suo filosofare., op. cit., pp. 146-152. 131 Ivi, p. 152.

132 Ivi, p. 124.; e anche in K. Jaspers, Nietzsche e il Cristianesimo, op. cit., p. 124.

133 B. Welte, L'ateismo di Nietzsche e il cristianesimo, op. cit., p. 68: “L'ateismo di Nietzsche

diviene, se inteso correttamente, un qualcosa che indica la grande grazia che unisce il Divino e l'umano e in questo modo salva l'uomo, che da solo non si può salvare”.

Jaspers.134

La ricerca di una trascendenza, in realtà, arriva a riversare sull'uomo la responsabilità dell'esistenza e della creazione dei nuovi valori. Il pensiero per valori ha ucciso definitivamente Dio135 come era inteso da “credenti e teologi”; la

sfida che si presenta è dunque ritrovare nella tensione verso la trascendenza dell'oltre-umano la fondazione della posizione-creazione di nuovi valori, i quali si pongano positivamente al di sopra dei valori del ressentiment.

Bernhard Welte raccoglie la sfida del tentativo di superamento del nichilismo, come si è detto, con un pensiero al limite del pensiero stesso, che tenta di pensare una trascendenza non oltre l'essere, ma addirittura oltre ciò che si configura come l'altro dell'essere: il nulla. Ciò che rimane nella tensione nietzscheana delineata da Jaspers, tra la radicale immanenza e il fallimento del sostituto della trascendenza, è la forza nientificante dell'esperienza del Nulla che viene incontro all'uomo. E dunque, il mistero assoluto dell'esistenza. Per Welte, “cambiare domanda” è la chiave per poter interpretare positivamente il nulla come “nascondimento 134 Jaspers individua come il pensiero dell'eterno ritorno rappresenti il pensiero all'interno del mondo di quello che prima era il salto verso la trascendenza: in K. Jaspers, Nietzsche.

Introduzione alla comprensione del suo filosofare, op. cit., pp. 387, 388: “L'essere come divenire infinito nel ciclo dell'eterno ritorno, come vita e volontà di potenza, viene raggiunto in una serie di salti: dalla prossimità e realtà dell'accadere, di cui si ha esperienza, alla lontananza e possibilità dell'accadere in generale e al divenire dell'essere mondano e naturale nel suo insieme. Questi salti, sempre all'interno del mondo, avvengono in luogo del salto verso

la trascendenza. Essi stessi costituiscono già un modo di trascendere, poiché non conoscono

più le cose del mondo né empiricamente, né con necessità. Ma essi danno luogo a un trascendere verso un oggetto totale dell'esserci immanente al di là di tutte le cose particolari e non a un trascendere dall'essere-sé dell'esistenza verso la trascendenza”.

135 M. Heidegger, La parola di Nietzsche «Dio è morto» in Holzwege. Sentieri erranti nella

selva., Bompiani, Milano, 2014, p. 605: “Il colpo più duro contro Dio non consiste nel ritenerlo inconoscibile, né nel dimostrare come indimostrabile la sua esistenza, ma nell'elevare il Dio ritenuto reale al rango di valore supremo. Infatti questo colpo non viene inferto dai vagabondi che stanno attorno al folle, i quali non credono in Dio, ma dai credenti e dai loro teologi: costoro parlano del più Essente di tutti gli essenti senza mai farsi venire in mente di pensare all'Essere stesso, senza quindi rendersi conto che, dal punto di vista della fede, questo pensare e quel parlare, nel caso si mescolino alla teologia della fede, sono la pura e semplice bestemmia di Dio.”.

assoluto”; la domanda chiave (Seguendo Leibniz, Schelling e Heidegger) diventa “perché si dà qualcosa e non nulla?”. Il mistero assoluto che si nasconde dietro al Nulla, è chiaramente la divinità come fondazione della possibilità di senso dell'essere; e tuttavia, in questo luogo è importante concentrare il discorso su quali siano, nella riflessione di Welte, le caratteristiche di questo mistero fondante l'essere. In particolare, dopo la “morte di Dio”, si mostra il problema di capire quali caratteristiche della risposta unica religiosa sul senso dell'essere siano cadute, e quali invece siano ineliminabili dalla risposta costruttiva che vuole superare il nichilismo. Il rischio è cadere nella definizione di un Dio dei filosofi, che abbia perso le caratteristiche capaci di produrre la risposta di senso: Welte accoglie la critica di Heidegger su questo versante: è necessario annotare la “differenza fenomenologica” tra il Dio razionale dei filosofi e il Dio divino136. Ciò

che è irrinunciabile nel mistero assoluto che può produrre senso è la “struttura personale [che] non appartiene perciò soltanto alla domanda sul senso, bensì anche alla risposta”137.

L'elemento personale della risposta rimane un fattore inalterabile della risposta di senso: la modalità tramite la quale il mistero assoluto “crea” la possibilità di darsi di tale risposta di senso è dialogica. Modellata sulla struttura dialogica interpersonale dei finiti all'interno dell'orizzonte mondano, il mistero incondizionato e infinito deve essere pensato come aperto alle infinite possibilità dell'essere condizionato e finito. Ciò consente a Welte di pensare un Mistero infinito nascosto al di là del nulla e che tuttavia rappresenti ancora un partner per

136 B. Welte, Dal nulla al mistero assoluto, op. cit., p. 61, 62. 137 Ivi, p. 109.

l'individuo vivente nell'ente: può affermare che

“la dimensione dialogica, insieme con la struttura di relazione al mondo che l'accompagna, appartiene al mistero incondizionato”138

Il mistero assoluto che Welte descrive è una rinuncia a tutte le caratteristiche del Dio cristiano che Nietzsche criticava: ogni aspetto della morale “degli schiavi”, ma che potremmo chiamare “del castigo”, è eliminata rimanendo all'interno della logica stessa del cristianesimo da cui parte il filosofo. Ciò che caratterizza il tentativo di Welte sul piano filosofico è tentare quella sfida per il pensiero che rappresenta il pensiero dell'assoluto che fonda l'essere, partendo dall'esserci cristiano, ma rinunciando agli elementi nichilistici che hanno condotto, secondo la logica nietzscheana, alla “morte di Dio”:

In questi processi di purificazione e di apprendimento Dio si fa sempre più grande, e su questa strada potremmo forse anche superare quegli elementi troppo umani che in maniera diversa contaminano l'immagine di Dio.139

L'esperienza religiosa che Welte vuole dunque recuperare è quella che trova più affine all'esperienza religiosa del tempo moderno: l'esperienza del nulla, dell'assenza e del nascondersi del divino. In particolare dunque recupera l'esperienza dei mistici140, tra cui Meister Eckhart e Teresa di Lisieux, della quale

sottolinea l'esperienza del nascondimento “oscuro” del divino proprio nel momento dell'esperienza religiosa. Welte avvicina questa esperienza all'esperienza dell'assenza nichilistica di senso e di esperienza religiosa dell'uomo moderno. 138 Ivi, p. 110.

139 Ivi, p. 133

140 B. Welte, La luce del nulla. Sulla possibilità di una nuova esperienza religiosa, op. cit., pp. 17-21.

Dunque il ripensamento del divino nell'ottica della filosofia di Bernhard Welte si apre alla comprensione delle possibilità dell'esserci particolare di ogni uomo vivente nel contemporaneo; è una filosofia della religione che vuole aprire il suo spazio di relazione all'esperienza della vita che esperisce il nascondersi del senso dietro all'avanzare del nichilismo, ripensando le sue categorie alla luce della trasformazione operata da Nietzsche e in risposta alla sua sfida per il pensiero filosofico: la creazione di nuovi valori che possano affermarsi al di là delle categorie di bene e male, appartenenti ormai soltanto agli “idoli” abbattuti che generavano nichilismo e negazione della vita.

Paul Valadier nella sua riflessione percorre binari paralleli a quelli di Welte: ad esempio, un punto di contatto è il trovare nell'esperienza mistica una caratteristica dell'esperienza religiosa che sfugge alla critica nietzscheana. Valadier sostiene che Nietzsche non affronta in maniera corretta l'esperienza mistica; e proprio nell'esperienza del misticismo il filosofo francese trova un aspetto della religione che può oltrepassare il nichilismo e la critica del cristianesimo operata da Nietzsche:

anche se Nietzsche si cura poco di fare riferimento alla pluralità delle tradizioni che hanno in effetti creato l'immagine del cristianesimo in Occidente, e ciò a causa di alcune lacune nella sua informazione, la sua critica si rivolge alla volontà di fede. Ma se questa critica globale ha qualche fondamento (ci ritorneremo), avremmo anche preferito che questa si fosse fondata e precisata in un serio confronto con coloro che maggiormente sembrano sfuggire a detta critica: i grandi mistici cristiani.

Ora, su questo punto, non solo Nietzsche non sembra assolutamente sospettare della loro esistenza (tranne questa o quella allusione a maestro Eckhart, che gli proviene dalla lettura di Schopenhauer), ma non sembra neanche vedere sino a che punto costoro si siano essi stessi introdotti in un tipo di esistenza essenzialmente strutturata sullo spossessamento di sé e sull'accettazione di ciò che è, senza pregiudiziali. L'identificazione, giusta a un certo livello, postulata tra morale e religione, acceca Nietzsche su tutto ciò che, nella religione, non si lascia identificare con la morale.141

La critica di Nietzsche alla religione cristiana si rivolge anche secondo Valadier prevalentemente al “Dio morale”: e dunque diventa necessario esplorare in tutte le sue caratteristiche il rapporto morale-religione. All'interno della logica moderna del relativismo dei valori causato dal compimento del nichilismo, l'istanza religiosa deve coniugarsi differentemente con la morale, accogliendo la pluralità dei punti di vista, o emanciparvisi totalmente. Confrontandosi con Nietzsche, Valadier perviene alla conclusione che la riflessione del filosofo di Röcken sia volta a “liberare la religione dalla morale”142. Secondo la logica stessa di Nietzsche, non è qualsiasi morale e qualsiasi religione che vengono rifiutati, ma la morale reattiva e il cristianesimo reattivo, i quali sono destinati a tramontare e lasciare lo spazio alle forme della creazione dei valori nella ritrovata libertà:

Il sì sarà proferito solo in seguito a una lunga educazione: ciò definisce il ruolo di colui che Nietzsche chiama «filosofo», benché la novità dell'accezione si dissolva nel termine troppo noto. Tra l'altro, egli dovrà

141 Paul Valadier, Nietzsche e la critica radicale del cristianesimo, op. cit., pp. 519, 520. 142 Ivi, p. 246.

servirsi della religione in modo positivo per plasmare la razza dei forti capaci di vivere il sì incondizionato. Se questa affermazione può sorprendere, se può apparire contraddittoria in rapporto alle critiche ben note contro le religioni (reattive), tuttavia bisogna, per comprenderla, innanzitutto capire che, per Nietzsche, non si vincerà il cristianesimo se non con «qualcosa di super-cristiano», cioè mediante una dottrina capace di controbilanciare con la sua forza l'ideale critico; poi accettare di ammettere che la dottrina dell'Eterno Ritorno è molte volte presentata con le caratteristiche di una nuova «fede» o di una «religione» diversa; quindi, intuire che la religione, che è stata contaminata dalla morale nel cristianesimo, in sé non ha nulla a che vedere con la morale, e dunque che nuovi tipi di religione sono ancora possibili.143

La possibilità di una nuova religione è ricercata da Valadier nell'esistenza in Nietzsche di “religioni del sì”: ancora una volta troviamo come la vera critica di Nietzsche sia verso la conseguenza dell' “ermeneutica del castigo” che colpevolizza l'esistenza; il vero obiettivo polemico non è lo slancio verso la trascendenza, ma il giudizio sull'esistenza che inevitabilmente ricade in un giudizio negativo e reattivo sull'esistenza stessa, e in un nichilistico porre il senso del mondo in un al di là del mondo. Le religioni del sì rinunciano all'idea del “bene e del male”:

Di conseguenza, la morte del Dio morale può essere solo una di quelle morti frequenti tra gli dèi, ma legata alla loro reviviscenza sotto forme nuove: Tod ist bei Göttern immer nur ein Vorurteil. Infatti, «fondamentalmente è solo il dio morale a essere stato superato».

Religione non morale, in quanto non legata a un giudizio sull'esistenza, alla valutazione mediante le vie della finalità che pone l'uomo al di sopra del mondo, al rifiuto conseguente di questa «faccia dell'esistenza» rifiutata dalle religioni nichiliste, la sofferenza, il male, l'errore, ecc.

Documenti correlati