• Non ci sono risultati.

3. D IALOGO

3.3 Volere l'alterità

Tuttavia il pensiero filosofico che si rivolge a Nietzsche come ispirazione problematica per il confronto positivo con il nichilismo deve trovare un modo per oltrepassare la semplice accettazione dell'Amor fati come senso dell'essere; in quest'ottica la risposta di senso vuole trovare un modo per uscire dal solipsismo nietzscheano della metafora del super-uomo. Se rimane vero che il risultato ottenuto con l'accettazione della morte del “Dio morale” e l'affermarsi del prospettivismo non inficia la possibilità dell'affermazione positiva dell'essere, trovando il valore non più nel realizzarsi dell'istanza etica unica proveniente dall'al di là dell'uomo, ma bensì dal suo proprio realizzarsi come possibilità e nelle possibilità molteplici dell'esistenza, i problemi che si pongono di fronte al pensiero sono quelli sottolineati già nel precedente capitolo. Un primo problema è rappresentato dal solipsismo del superuomo nietzscheano, che, se interpretato scorrettamente, fa ricadere il pensiero della volontà di potenza in una banale affermazione del sé, che può essere poi strumentalizzata in un senso che va in direzione opposta al pensiero dello stesso Nietzsche, nel postulare un principio della sopraffazione per fini individualistici, molto al di sotto dell'ideale di superamento dell'umano auspicato dal filosofo di Röcken. Allora, un secondo problema rappresa l'interpretazione triviale dell'ateismo nietzscheano, di cui si è già parlato, come negazione tout-court del pensiero divino: l'analisi della critica al cristianesimo di Nietzsche è la svolta problematica per i filosofi che sono stati scelti in questo lavoro, proprio perché la pars destruens del pensiero nietzscheano

si rivolge contro costruzioni immensamente più grandi del semplice apparire della forma religiosa cristiana. Il problema è il rapporto con il senso assoluto e il confronto con la sua scomparsa: in questo orizzonte di comprensione, la volontà di potenza, affermatrice, del superuomo nietzscheano si mostra essere la volontà di posizione di valori, creatrice, che, in Welte, abbiamo visto identificarsi in radice nella volontà di essere. Il superamento del nichilismo è possibile solamente per l'uomo e attraverso l'uomo: andando oltre l'uomo. Trasformarsi in qualcosa di altro da sé: la trascendenza in Nietzsche, abbiamo visto con Jaspers, si colloca in tensione all'interno dell'immanenza umana. Bernhard Welte può trovare in un pensiero molto simile la giustificazione della sua soluzione al problema del nichilismo. Come si è visto precedentemente, Welte assegna un primato al postulato del senso rispetto al nichilismo. Il postulato del senso che assumiamo preventivamente in ogni nostra azione e ogni nostro muoverci nel mondo, o in ogni progetto che elaboriamo, è la via d'uscita dalla forza nientificante dell'esperienza del nulla che deriva dall'assenza dell'esperienza religiosa- trascendente: dalla caduta cioè, del Dio morale, dell'unica istanza rassicurante che donava senso ed eterodirezionava l'esistenza umana. Il postulato di senso urta tuttavia contro l'esperienza dell'assurdo, dell'esistenza assurda, priva di senso. Nonostante ogni progetto, si può pensare che seppure l'esistenza dovrebbe avere un senso, essa non ne ha alcuno. Il postulato di senso diviene problematico urtando contro questo tipo di esperienza. Ma, per Welte, il caso per cui il postulato di senso può rappresentare la risposta alla domanda di senso, è il caso particolare della relazione interumana. Nel rapporto tra gli uni e gli altri, è possibile esperire

che il bene ha un senso. E lo si sperimenta con un'evidenza tale che fonda le sue basi sull'esperienza stessa:

E non in tutti i casi la questione sul senso rimane un problema aperto. Ciò diventa evidente specialmente nel nesso della vita in comume, ad es. nell'amore verso il prossimo, nella fedeltà e nella disponibilità verso gli altri, nell'impegno per assicurare la giustizia e la libertà ai nostri simili ecc. A ragione Jürgen Habermas ha indicato nel citato saggio la comunicazione e l'interazione tra gli uomini come alternative al razionalismo finalistico moderno che sembra essere ormai onnipotente. Ma questa indicazione può essere ancora approfondita. Infatti, dove nel contesto della comunicazione e dell'interazione tra gli uomini ci immergiamo seriamente nell'esperienza dell'amore personale, della fedeltà o disponibilità, là è anche possibile sperimentare che simili cose

hanno un senso. Allora il postulato diventa indicativo, almeno per simili

casi, e anche ciò avviene grazie a una semplice esperienza. Perché in simili casi sperimentiamo che il bene ha un senso. Sperimentiamo che il bene ha un senso, particolarmente nella sua opposizione al male. Anzi, soltanto nella comunicazione e nell'interazione con l'altro sorge lo spazio del bene e del male, lo spazio di ciò che in ogni caso ha senso e di ciò che in ogni caso non ha senso.162

La possibilità che Welte sottolinea esce dai confini del pensiero concettuale163, e

tuttavia, non potrebbe essere enunciato senza ciò che è espresso nell'ultima frase. 162 B. Welte, La luce del nulla. Sulla possibilità di una nuova esperienza religiosa, op. cit., p. 43. 163 Ivi, p. 48: Welte fa proprio il pensiero del nulla come di ciò che trascende appunto il concetto,

citando, tra altri, Jaspers: “In tal contesto vorrei ricordare anche Karl Jaspers che ha saputo

evocare in modo così vigoroso l'esperienza della trascendenza, e quindi di Dio, per l'esistenza in divenire, e precisamente come l'esperienza sconvolgente e trasformatrice del mistero che non può mai diventare oggetto di un conoscere concettuale e che in tal senso è quindi come nulla.”.

L'apparire di bene e male soltanto nello spazio dell'interazione umana esprime come la soluzione, il primato del postulato di senso, possa essere esperito solamente all'interno dell'immanenza propriamente umana della relazione. E tuttavia, è uno spazio “trascendente” il singolo, entro il quale l'evidenza, per Welte, del bene come avente-senso si manifesta e consente il primato del postulato di senso rispetto al nichilismo. Ciò che tuttavia rimane, è che è necessaria una scelta per questo “bene”. Non è possibile supporre un “bene assoluto” metafisico à-là Platone, proprio perché in Welte il bene si dà soltanto nello spazio inter-umano di relazione. La nuova esperienza religiosa del nulla di cui parla Welte, è in fondo basata proprio sul fatto che questo tensione non sia risolta se non nella “viva coscienza”: i rapporti, il senso, il bene, cadono vittime del nulla e tuttavia rimane possibile affermare nuovamente il senso di tali rapporti e di tale bene pur “guardando senza illusione il nulla abissale che si erge dietro a tutte le cose e che inesorabilmente ci viene incontro”164. L'esperienza religiosa si

tramuta quindi nella pura trascendenza: mentre la possibilità dell'esistenza affermativa, coerente con la volontà di essere – volontà di potenza, è solamente dell'uomo, responsabilità dell'uomo – in maniera affine a quanto avrebbe detto Nietzsche.

Paul Valadier sviluppa un discorso che su questo punto coincide con il presupposto di Welte; nell'elaborare una filosofia dei valori, Valadier si chiede quale sia la possibilità per il soggetto di porre un valore, di volere un valore. Nel capitolo precedente ho già sottolineato come la possibilità di questa posizione dei valori sia subordinata alle due condizioni del volere sé come valore e volere 164 Ivi, p. 46.

l'altro come valore. In Valadier in più momenti si sottolinea come l'unica possibilità del crearsi dello spazio di posizione dei valori è il riconoscimento del valore degli altri, partendo dal riconoscimento di sé, come valori stessi165.

Nel confronto che opera con Nietzsche, vi sono in Valadier le radici di questo pensiero. Valadier perviene, su Nietzsche, a conclusioni opposte a quelle che furono di Heidegger. Se per Heidegger il pensiero nietzscheano porta all' “oblio dell'essere”, ponendosi alla fine della metafisica ma portandola a compimento, per Valadier il nichilismo nietzscheano già porta al di là della malattia nichilistica. Valadier vede nello Zarathustra l'insegnamento della volontà creatrice dell'uomo, che al contrario dell'interpretazione immediata che si può dare della volontà di potenza, lo porta a riconoscere l'alterità come limite che consente la vera affermazione, in quanto possibilità di raggiungere la propria “vera misura”. L'immagine suggerita è quella del lago che deve prima raggiungere il suo livello, per poter sovrabbondare166. Seguendo questa interpretazione, il superuomo non è

il manifestarsi della volontà di sopraffazione dell'uomo attraverso la dinamica della volontà di potenza, ma anzi rappresenta la tensione verso la sovrabbondanza, 165 P. Valadier, L'anarchie des valeurs. Le relativisme es-il fatal?, op. cit., p. 166; e p. 215: “Une

philosophie de la valeur serait dans l'illusion si elle ignorait cette constitution du sujet, et si elle donnait à penser qu'elle présuppose tout à l'inverse un sujet parfaitement équipé, sûr de lui-même, en acte permanent, d'autotranscendance, armé d'une indéfectibible volonté de dépassement de soi. Elle doit assumer cette division interne du sujet, mais aussi s'interroger: quelles instances peuvent conforter un tel sujet, l'aider à ne pas désespérer de lui-même, à ne pas se laisser subvertir par le nihilisme? Autant de questions qui dirigent le regard hors d'une autarcie subjective illusoire: aucun sujet ne peut se structurer sans un contexte affectif et sans l'appui d'autres volontés qui le portent à se vouloir soi plûtot que rien. Aucun sujet ne se structure s'il ne découvre aussi l'attente des autres à son endroit; il n'est certes pas qu'un objet de sollicitude de la part de son entourage, mais il doit aussi assumer ses responsabilités à l'égard d'autrui (ses propres enfants, son conjoint, ses collaborateurs, ses amis), et il peut trouvers dans ces attentes multiples autant d'appuis effectifs pour se vouloir soi. Savoir qu'autrui attend de moi, n'est-ce pas un mobile fort pour me vouloir à la hauteur des requêtes, et donc apprendre à tenir ma place?

Le sujet doit donc faire son deuil de la toute-puissance, faute de quoi il ne saura pas être «affirmateur» ni «artiste».”

verso il “di più”, della volontà-di-essere che, per compiersi, ha bisogno di riconoscere l'alterità proprio nel superuomo in quanto non ancora realizzato. Allora diventa per Valadier comprensibile la critica alla volontà reattiva:

Reinserito nell'evoluzione che la consente, l'atteggiamento descritto in «Sulle isole Beate» è tutt'uno con l'insegnamento centrale della prima parte di Zarathustra: la volontà reattiva è incapace di volere l'alterità, cioè ciò che si manifesta con il nome di Superuomo. Condurre la volontà a volersi per volere il superuomo, questo è il cammino della prima parte, che cu,mina nel canto «Della virtù che dona», che si conclude con la frase: «Morti sono tutti gli dèi: ora noi vogliamo che il superuomo viva». Ma questo proclama, lungi dal rinchiudere l'uomo in un'affermazione smisurata di sé, implica quella dell'altro sul presupposto dell'affermazione di sé. La prima parte di Zarathustra, strutturata intorno al tema del superuomo, lo evoca sempre in un contesto di alterità167

La volontà creativa è capace, secondo Valadier, di volersi e di volere l'alterità come colei che partorisce con il bambino, o come lo scultore e la statua: “identità e differenza”168. Diviene chiaro allora per il pensatore anche il motivo per cui il

Dio cristiano è decadente:

Il Dio cristiano è a tal punto decadente solo perché in lui non può essere affermata l'inalterabile alterità: forgiato troppo a immagine dell'uomo, egli vieta una sana affermazione.169

L'interpretazione di Valadier consente di pacificare il solipsismo apparente della volontà di potenza e della figura del superuomo con la critica alla decadenza, in 167 Ivi, p. 440, 441.

168 Ivi, p. 436: “L'atto di generare deve produrre una realtà così indipendente dal volere quanto

lo è la statua in rapporto allo scultore: identità e differenza, volontà unica dell'alterità”.

Nietzsche: il punto centrale diviene la critica alla decadenza, assimilata nella critica alla volontà antropocentrica, di rendere tutto “piccolo”, a misura d'uomo: è la tendenza originaria nichilistica presente nel cristianesimo, e che lo ha portato, secondo Nietzsche, alla sua stessa distruzione, all'assassinio di Dio. Ciò che viene valorizzato allora in Nietzsche è soprattutto la volontà di far cessare la volontà antropocentrica e utilitaristica, per affermare qualcosa che sia altro rispetto all'uomo, auspicando una trasformazione in qualcosa di più dell'uomo: nel superuomo; in Valadier, il superuomo è la figura dell'alterità valorizzata attraverso la volontà di sé:

Al contrario, Nietzsche mira a guarire l'uomo da questa malattia che egli rappresenta, cioè dalla tendenza a farsi centro e a rifiutare ciò che non è lui. La volontà di potenza autenticamente affermata non è quella che dimentica la realtà, chiudendola in un universo a misura d'uomo, ma quella che benedice il sole sovrabbondante della realtà che l'uomo non è.170

Conclusione

Come abbiamo visto, l'argomentazione nietzscheana mira a decostruire la morale per individuare quale sia la vera genesi del nichilismo; abbiamo sottolineato in particolare il sillogismo che porta dalla compassione (1.1.1) all' “esecranda ermeneutica del concetto di castigo” (1.1.4). L'illusione dell'ordinamento etico del mondo, coniugata con il porre, di conseguenza, ogni significato e senso in un al di là della vita, toglie ogni importanza all'essere in quanto tale. Il rifiuto evangelico dell'azione, nella figura di Gesù, significa l'abolizione del concetto di colpa. E tuttavia, in Nietzsche, il pervertimento della morale evangelica porta a compimento il processo nichilistico: il ressentiment e la morale della vendetta (1.1.5) portano all'odio verso la vita stessa (1.1.6). La critica della decadénce, in Nietzsche, significa soprattutto il rifiuto, come abbiamo detto, di questo nichilismo passivo, tipizzato nella sua filosofia della figura del “prete” e dell'“asceta”. L'affermazione dell'innocenza del divenire, nel pensiero dell'Amor fati, si basa sull'accettazione del prospettivismo dell'esistenza. E precisamente questo è il punto di partenza dal quale le riflessioni di Heidegger e di Jaspers pongono le basi per la filosofia alla ricerca del senso morale e ontologico dell'Essere in quanto tale. Il pensiero della filosofia nietzscheana enucleato da Heidegger, che abbiamo approfondito nel secondo capitolo, è precisamente il pensiero dell'ente che ha come condizione di potenziamento il porre-valori (2.1.1). Allora il nichilismo nietzscheano può essere pensato come un tentativo, già, di superamento del nichilismo. Il nichilismo attivo è quindi approfondito da Heidegger (2.1.3) e da Jaspers (2.2.1) come quell'atteggiamento creativo, che accettando l'essere e i suoi abissi per come si presenta, vuole creare nuovi valori attraverso la dinamica della volontà di potenza. Il superuomo nietzscheano è individuato da Jaspers essere un sostituto della trascendenza: un movimento di auto-superamento dell'umano che proietta oltre le categorie pervertite di “bene” e di “male” della morale decadente, verso la nuova innocenza creatrice: il fanciullo

della terza metamorfosi dello Zarathustra. Abbiamo visto, insieme a Jaspers, come questo slancio di Nietzsche verso la creazione di nuovi valori sia il tentativo di creare una oltre-morale, non più ristretta e che risponda all'essenza del prospettivismo dell'essere: uno slancio verso una trascendenza che non significhi più un annichilimento dell'immanenza, ma anzi renda giustizia dell'importanza assoluta del “sì” a tutte le cose, al divenire, e all'essere (2.2.4). La genealogia nietzscheana ha abbattuto gli “idoli”, ha distrutto “il posto” stesso del senso precostituito: è questo il significato della “morte di Dio” (2.1.3). È impossibile dunque la sostituzione dei valori precedenti: la trascendenza verso la quale Jaspers ha individuato volgersi lo slancio paradossale di Nietzsche è sconosciuta. Allora interviene il confronto con il Nulla: il quale rappresenta l' “l'altro dell'esistenza”, come Welte ha espresso nella sua analisi dell'esperienza dell'assenza di Dio e del senso nell'esserci dell'uomo (2.3.2). L'argomentazione di Welte, volta al recupero di una risposta di senso che possa rispondere all'irrompere dell'esperienza annichilente del Nulla, ha portato a individuare un rapporto preliminare che ogni esserci ha con un senso che opera da movente delle sue azioni. Assumere come vero il postulato di senso porta immediatamente Welte ad affermarne anche il suo primato: la “vita in cerca di senso totale” trova il suo senso immediatamente esperibile nonostante l'aporia tra l'esperienza del Nulla e l'esperienza del nostro agire motivato. Ciò è possibile grazie alle relazioni produttrici di bene, nelle quali è evidente la sensatezza dell'agire: esse per Welte rappresentano la controistanza decisiva all'esperienza del Nulla e all'indifferenza dei valori che ne deriverebbe (2.3.3). Con Valadier, partendo dal prospettivismo nietzscheano, abbiamo affrontato la sfida della possibilità di un orientamento sensato all'interno appunto del relativismo dei valori derivante dal nichilismo. Il prospettivismo e il tentativo nietzscheano di scindere religione e morale portano il filosofo a pensare un Dio che non sia più il Dio del ressentiment, incapace di volere l'alterità, ma che sia il riferimento trascendente che rappresenta il senso positivo del rapporto con l'altro (2.4.1): lo spazio di libertà che ne consegue lascia la responsabilità delle sue scelte e della sua esistenza all'uomo: il giudizio di valori che muove l'azione morale, e che può porre nuovamente in gerarchia i valori, dev'essere appartenente all'uomo

soltanto. E dunque Valadier teorizza l'alterità come valore in sé: è necessario per l'uomo volere l'altro, per sfuggire alla dinamica del nichilismo che vuole l'indifferenza di ogni valore, ma che finisce per ritorcersi su sé stessa in un solipsismo insolubile (2.4.2).

Nel terzo capitolo si è cercato di tirare le fila dei tre piani sui quali ci siamo mossi nell'analisi del problema del senso: filosofia delle religioni, ontologia e morale. Il pensiero dei quattro filosofi si dirige, sia in polemica sia in parallelo con la critica nietzscheana del cristianesimo, verso una concezione del divino che sia radicalmente differente dal “Dio che è morto” nell'aforisma §125 della Gaia Scienza. Dunque un Dio non morale: il posto della trascendenza, simboleggiata in Nietzsche nel divino, è ormai oltre la morale, oltre il bene e il male. Sia Welte che Valadier riportano alla luce appunto l'esperienza mistica come radicalmente diversa dall'esperienza religiosa che è trattata da Nietzsche: il puro rapporto con l'altro da sé, l'altro dell'uomo, cioè l'assoluto. Assoluto, che in Welte viene ad assumere le caratteristiche del Nulla, l'altro dell'essere. Il pensiero di Dio quindi, nel pensiero filosofico degli autori, abbandona ogni caratteristica antropomorfa per conservare la caratteristica di pura alterità, nei confronti della quale ci si sente responsabili degli altri (Valadier), o che conserva eternamente il senso dell'esistenza nella possibilità del rapporto (Welte) (3.1). Il pensiero del “sì” è il secondo luogo nietzscheano valorizzato dagli autori presi in esame che rappresenta un parziale punto di arrivo della tesi: l'accettazione del carattere prospettico dell'essere porta all'accettazione, simile all'Amor Fati, che in Jaspers rappresenta l'affermarsi dell'essere stesso oltre la stessa risposta di senso. Per Welte, l' “incondizionato Sì all'incondizionato” rappresenta il riscattarsi dell'uomo in senso superumano che consente la conciliazione tra divino e umano, assoluto e finito: è l'elemento cristiano del discorso di Nietzsche (3.2). Infine, il pensiero dell'alterità come unico valore originario che consente di orientarsi all'interno del relativismo dei valori: Welte e Valadier concordano nel vedere in Nietzsche un superamento del solipsismo nichilistico e della decadenza del Dio del ressentiment proprio quando parla di alterità. Il superuomo, per Valadier, è la figura dell'affermazione di sé attraverso il riconoscimento dell'altro come valore:

la tensione a superare ogni limite può realizzarsi soltanto nel raggiungere la propria “vera misura” nel confronto con l'altro. Allora è possibile la vera volontà creatrice e il porsi di nuovi valori (3.3).

L'analisi di Heidegger, Jaspers, Welte, Valadier della filosofia nietzscheana ha posto le basi per un'analisi fenomenologica della morale: non si è ottenuta una risposta di senso, proprio perché è impossibile e inadeguato voler dare una risposta univoca a tale problema. Ciò che si è ottenuto è che è necessario guardare

Documenti correlati