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Oltre il nichilismo. Heidegger, Jaspers, Welte e Valadier a confronto con Nietzsche

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Academic year: 2021

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Indice

INTRODUZIONE... 3

1. NIETZSCHE...9

1.1 L'avvento del nichilismo...11

1.1.1 La compassione... 12

1.1.2 La pietà ...12

1.1.3 La colpa...14

1.1.4 Il castigo...17

1.1.5 Il ressentiment e la vendetta ...21

1.1.6 L'odio verso la vita ...22

1.2 L'innocenza del divenire...24

1.2.1 Critica della decadenza ...25

1.2.2 Il rifiuto di ogni riduzionismo... 27

1.2.3 Il prospettivismo... 30

1.2.4 Amor Fati... 31

1.2.5 Il sì a tutto... 33

1.3 La sfida di Nietzsche... 35

2. HEIDEGGER, JASPERS, WELTE, VALADIER... 39

2.1 Heidegger... 40

2.1.1 L'ente prospettico... 41

2.1.2 L'ateismo di Nietzsche...43

2.1.3 Il nichilismo completo... 45

2.2 Jaspers... 47

2.2.1 Il recupero della trascendenza... 48

2.2.2 Nulla è vero tutto è permesso... 50

2.2.3 Costruire un senso che non sia oggetto...53

2.2.4 Qualcosa di più della morale... 55

2.2.5 Al di là del nulla ... 57

2.3 Welte...59

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2.3.2 L'esperienza dell'infinito nulla... 63

2.3.3 Problema del senso: il postulato di senso e il suo primato...65

2.4 Valadier...70

2.4.1 Il problema Nietzsche e la religione...71

2.4.2 Volere e valore... 74

3. DIALOGO...77

3.1 Andare “al di là del bene e del male”: Una religione senza orizzonte...78

3.2 Il sì nel no... 91

3.3 Volere l'alterità...98

CONCLUSIONE... 105

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Introduzione

Produrre una tesi che possa rappresentare la conclusione di un percorso di studio filosofico è una sfida. È necessario, certamente, porsi delle domande. La sfida più grande risulta tuttavia capire quali domande porsi. Nel voler presentare un lavoro che rappresenti quale sia stata la “domanda guida” che ha ispirato lo studio, l'apprendimento, l'acquisizione di un metodo di lavoro filosofico, è necessario ripartire dall'inizio. Quale domanda-guida, come avrebbe detto Heidegger, ha ispirato il lavoro di chi presenta questa tesi? Nel mio caso, la domanda è forse la più banale: “perché”? Ritornare alla base significa ritrovare il fondamento a partire dal quale chi aspira allo studio della filosofia muove i suoi primi passi; significa capire secondo quali sentieri, o attraverso quali categorie, interroghiamo la realtà. Significa doversi infine porre domande radicali: trasformare dunque una domanda scontata in una domanda che possa avere un significato: indicare un significato anzi, verso il quale dirigere il proprio lavoro.

Osservando il mondo nel quale ci muoviamo, cercare di comprenderlo significa comprenderne e guardare in faccia quali siano i conflitti che lo attraversano. Secolarizzazione e globalizzazione hanno portato ad un momento in cui una pluralità di grandi spiegazioni si presentano allo stesso momento, contemporaneamente, sul palco del mondo: e si trovano a competere. Lo spazio di orientamento si viene a trovare tra la tensione egemonica particolare di alcune spiegazioni, e lo scetticismo generato dall'affermarsi di ogni posizione particolare, con le sue ragioni, con i suoi presupposti, con le sue pretese. Se da un lato la spiegazione scientifica è sempre più efficiente nel definire il cosa il mondo è, le sue interazioni, le sue possibilità, dall'altro multipli sistemi di orientamento cercano di direzionare l'azione dell'uomo. Se tuttavia ci si pone di fronte a quale sia l'esperienza vissuta dall'essere umano nel suo presente vivo, queste grandi narrazioni risultano insufficienti. La spiegazione scientifica è sì efficace nel raccontare il complesso delle leggi universali del cosmo, e tuttavia rimane distante

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dalla vita dell'essere umano. Nel movimento di secolarizzazione inevitabile che deriva dalla scoperta scientifica, anche la spiegazione di senso, la direzione deontologica della morale religiosa o dell'ethos viene messa in discussione. E ne esce annientata: il progressivo distaccarsi del razionale dalla logica che appare guidare il particolare ha distrutto ogni possibilità di vedere un “ordinamento etico del mondo”, come avrebbe detto Nietzsche. Questo è perché il cosmo, nel suo insieme, ha una ratio completamente diversa da quella che l'uomo ha creduto a lungo fosse la sua. Il distaccarsi, l'allontanarsi di ciò che è “razionale” da ciò che è “buono” ha eliminato la possibilità del realizzarsi dell'etica platonica: l'illusione metafisica per cui il bene è l'ordinamento del cosmo non corrisponde più alla risposta dell'indagare umano, oggi nella forma della scoperta scientifica.

Il contromovimento a questo avvenimento, tuttavia, è l'assolutizzarsi e l'ipostatizzarsi delle spiegazioni insufficienti che l'uomo ha a disposizione. E dunque, ad esempio, le religioni corrono il rischio di doversi trasformare in fondamentalismi per poter continuare a “competere” tra loro, essendo ormai la “battaglia” una battaglia ideologica tra posizioni di fedeli che vivono, probabilmente, su tutto il globo terracqueo, e non più, non sempre, un conflitto politico-religioso localizzato geograficamente. Dall'altro lato, la risposta scientifico-razionale rimane l'unica grande spiegazione del mondo che l'uomo ha a sua disposizione: e allora rimane possibile anche ipostatizzare l'idea di progresso e farne un sostituto a quell'idea del bene che non trova più spazio nel nostro ethos.

Tema di questa tesi saranno le possibili risposte al nichilismo, come si sono articolate in confronto con Nietzsche nella filosofia di Martin Heidegger, Karl Jaspers, Bernhard Welte e Paul Valadier. Questi autori, partendo dalla necessità di superare la frattura soggetto-oggetto che risiede inevitabilmente nell'ipostatizzazione del progresso razionale-scientifico come risposta alla domanda di senso, impostano la ricerca di una descrizione efficace della situazione dell'esperienza dell'assenza di una risposta di senso. Il punto di partenza comune è dunque l'esperienza del nichilismo, come è descritto dalle parole di Friederich Nietzsche. In particolare, l'aforisma §125 della Gaia Scienza

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è simbolo della situazione in cui l'uomo si viene a trovare quando esperisce il cadere di ogni possibilità di una risposta univoca alla domanda di senso, di una morale condivisa e assoluta che possa direzionare l'uomo verso un fine teleologicamente universalmente dato:

Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di possente il mondo possedeva fino a oggi si è dissanguato sotto i nostri coltelli – chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremo lavarci? Quali riti espiatòri, quali sacre rappresentazioni dovremo inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo anche noi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa?1

L'intento di questo lavoro è dunque di tematizzare come il confronto con il nichilismo e l'esperienza dell'assenza del senso, lungo il percorso della filosofia degli autori trattati, siano diventati la possibilità proficua dell'elaborazione di una risposta, o di multiple modalità di risposta alla domanda radicale sul senso dell'essere nella sua totalità. Tale risposta è elaborata appunto a partire dall'esperienza umana. Il confronto con la critica al cristianesimo di Nietzsche apre l'analisi dell'esperienza religiosa nel mondo moderno: Dio è la figura della risposta di senso che è venuta a cadere con l'avvento del nichilismo, e dunque, per i filosofi che saranno presi in esame, l'esperienza religiosa contemporanea si articola sull'asse di confronto religione – morale. La religione, in Nietzsche, è contaminata e contamina la morale, rendendola “morale degli schiavi”. E dunque, in entrambe le aree di influenza rispettivamente della religione e della morale, si esperisce lo smarrimento derivante dal presentarsi del nichilismo come realtà. L'assenza di senso distrugge la possibilità di orientamento ontologico e morale. Tematizzeremo come per i quattro filosofi si possa trovare una direzione diversa, per l'uomo, all'interno dello spazio aperto dalla caduta della morale deontologica della religione, una morale che possa farsi strada attraverso lo smarrimento del 1 F. Nietzsche, La Gaia Scienza, Adelphi, Milano, 2013, §125, p. 163.

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relativismo dei valori, che si afferma nel momento in cui tutti i valori diventano equivalenti, e quindi nessuno risulta pregno di senso. D'altro canto, l'indagine, prevalentemente in Heidegger e Jaspers, su quale sia il senso dell'essere nel suo complesso, la risposta insomma alla Grund-frage, è preliminare

al darsi della risposta di senso morale all'azione umana.

Procederemo gradualmente, addentrandoci in via preliminare nella filosofia di Nietzsche. Delineando un percorso scelto nell'opera del filosofo, si vuole mostrare ed evidenziare gli aspetti fondamentali della decostruzione morale nietzscheana, attraverso i quali verrà alla luce come si arrivi al movimento nichilistico e alla sua affermazione egemonica. In particolare, si descriverà come il vivere nichilistico sia una conseguenza diretta del vivere l'esistenza come una colpa: del trasporre la propria infelicità in una colpa infinita, e dunque secondo un meccanismo di quantificazione valoriale riconducibile alla coincidenza etimologica descritta da Nietzsche di prezzo-valore, a un debito infinito, nei confronti della divinità. L'analisi del sillogismo perverso che porta dalla compassione all'odio verso l'esistenza consentirà di individuare gli aspetti della critica nietzscheana che saranno poi recuperati nel confronto di Heidegger, Jaspers, Welte e Valadier con la filosofia di Nietzsche. In secondo luogo, ci soffermeremo sulla filosofia dei quattro autori, definendo come si articoli la loro analisi e il confronto con Nietzsche, vedendone la loro particolare interpretazione alla luce dell'attenzione fenomenologica all'essere. I temi scelti all'interno del percorso in Nietzsche ritornano, nella prospettiva di un superamento del nichilismo tematizzato dal filosofo come destino dell'uomo. In Heidegger, Nietzsche conclude il percorso della filosofia occidentale. E tuttavia si prospetta già in lui uno slancio verso il superamento, possibile dopo la fine della strada della metafisica occidentale. In Jaspers sarà importante il confronto con il pensiero della trascendenza, e la possibilità o meno di un suo recupero, in forme mutate, all'interno e coerentemente con la filosofia nietzscheana. Welte, affrontando “di petto” il problema del Nulla, presentato dall'insorgere del nichilismo, elabora una filosofia capace di concepire nuovamente l'assoluto partendo dall'esperienza principe

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dell'uomo, così come l'ha descritta Nietzsche: l'esperienza dell'assenza di senso. Valadier è scelto in questo lavoro come colui che, interpretando la filosofia nietzscheana, e confrontandone i vari aspetti con la filosofia del cristianesimo, cerca di orientare la morale nello spazio del relativismo dei valori dell'epoca in cui il nichilismo è realtà effettiva. In terzo luogo, si vuole tentare un'analisi differente: presentando un discorso per nuclei tematici, e non più solamente diviso per autore, si confronteranno le diverse posizioni dei filosofi secondo tre nuclei che possono offrire una risposta al problema del senso affrontando e superando il nichilismo: il distacco dell'esperienza religiosa dalle ristrettezze della morale deontologica, il nichilismo attivo come atteggiamento che sconfigge “l'ermeneutica del castigo”, e il principio del valore dell'alterità come possibile via d'uscita dall'universo del relativismo dei valori.

La tesi che intendo sostenere ruota intorno all'esito morale della filosofia nietzscheana. Il principio per il quale si rende possibile il superamento del nichilismo è ricercato, attraverso le interpretazioni di Heidegger, Jaspers, Welte, Valadier, all'interno della dialettica di superamento della morale “umana, troppo umana” che è alla radice della stessa “morte di Dio”. Il “superuomo” e le sue determinazioni sono oggetto di analisi e di critica da parte dei filosofi del secolo successivo a Nietzsche, e nell'approfondire il pensiero radicale del filosofo viene ritrovata la possibilità del darsi di una risposta di senso originale. La tesi è che non vi è un'unica possibilità di risposta alla richiesta di senso dell'esperienza umana. E tuttavia, se morale vuole essere, essa deve rispondere davanti ad ogni uomo del senso che risiede nel particolare della sua esperienza. E dunque da un punto di vista formale, una risposta di senso non verrà trovata. Si indicheranno le caratteristiche, nelle filosofie della religione, della morale e dell'ontologia del XX secolo, che la risposta di senso deve necessariamente rispettare se vuole sfuggire all'accusa nietzscheana di nichilismo e di esito contrario all'affermazione della vita. La ricerca di cui questo lavoro è studio, si è orientata nell'individuare quale fosse l'atteggiamento auspicato da Nietzsche per il superuomo: il come e non il che cosa dell'atteggiamento affermativo che consente la creazione di nuovi valori.

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Se ciò che viene eliminato definitivamente dalla decostruzione della morale ad opera di Nietzsche sono le stesse nozioni di bene e male, in quanto strumentalizzazioni di un istinto, la caratteristica propriamente umana della scelta e della determinazione del senso proprio della propria esistenza si deve articolare secondo nuove categorie, che, come avrebbe auspicato forse Nietzsche stesso, superano la ristrettezza del finito, e si rivelano rispettose del carattere multiforme dell'infinità delle prospettive dell'Essere.

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1. Nietzsche

Nietzsche è il punto nevralgico della riflessione sul problema del senso nell'epoca moderna, di cui il presente lavoro vuole essere una trattazione. Nel corso del Novecento Nietzsche si è rivelato essere e rimanere il nervo scoperto della riflessione filosofica. Sia dal lato della morale, sia dal lato della metafisica, sia in confronto con la teologia, gli autori che hanno pensato il problema del senso dell'essere e quello dell'esistenza non hanno potuto esimersi dall'analizzare e dal confrontarsi con Nietzsche. Il pensiero di Nietzsche è immenso, e la tesi qui presentata non ha la presunzione di analizzare in completo il suo pensiero; né ve n'è l'intenzione. Nemmeno il lavoro è un lavoro filologico, nonostante i testi del filosofo siano usati costantemente come riferimento e come supporto per la scalata a quello che appare essere il problema fondamentale del pensiero nell''epoca moderna e contemporanea. Il lavoro prende infatti inizio dalla sfida che Nietzsche lancia al pensiero: come orientarsi in un mondo senza riferimento alcuno? Stabilito il punto di partenza, esplicito ancora una volta la dimensione circoscritta della mia indagine su Nietzsche. Il pensiero multiforme e multidirezionale del filosofo si dirige come un delta, come una ragnatela in ogni spazio in cui ha potuto avventurarsi. Trattando ogni problema, ogni domanda,

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nessuna troppo astratta, nessuna troppo poco importante, il pensiero di Nietzsche si rivolge all'esistenza nella sua totalità, la interroga e la indaga con la freddezza spietata dello scienziato e con la capacità dell'artista che sa che il linguaggio è un muro da scavalcare. La sfida è doppia: concettuale e metodologica. Le interconnessioni sono molte, i problemi investigati, radicali e numerosi. Mi limiterò a seguire i fili e le strade utili a definire il problema del senso dell'essere e dell'esistenza, la sua decostruzione, e quindi gli snodi e i crocevia da cui ha preso le mosse la riflessione dei pensatori novecenteschi, di cui verrà trattato nel secondo capitolo, sullo stesso problema. Nella prima parte di questo capitolo l'intento è dunque tracciare un percorso all'interno dell'immensa opera di Nietzsche, che tratteggi i termini della critica alla morale, alla religione e alla decadenza all'interno di quel movimento nichilistico che il filosofo riconoscerà risolversi nel percepire l'esistenza come una colpa, e come meritevole di pena; e dunque sarà chiaro il profilo della morale passiva, pessimista, decadente stigmatizzata da Nietzsche. L'intento della seconda parte del primo capitolo sarà quindi di mostrare come Nietzsche aspiri all'innocenza del divenire in quanto superamento di questo momento nichilistico–passivo. L'elaborazione della pars costruens nietzscheana rimane spesso in ombra nella trattazione delle sue opere, ma sarà motivo di riflessione per gli autori approfonditi nel secondo capitolo; il “sì a tutte le cose” è fatto oggetto di riflessione e problema nel corso di questo lavoro come Leitmotiv fondante della proposta nietzscheana, come guida alla comprensione del suo pensiero.

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1.1 L'avvento del nichilismo

La critica della religione e della morale in Nietzsche si articola a partire da e in riferimento alla critica della volontà del nulla. La genesi del nichilismo sarà ricercata in quelle passioni in cui si articola il sentimento di odio e rigetto verso la vita e l'esistenza. Il metodo genealogico ha lo scopo di mettere allo scoperto, e di decostruire, il meccanismo per cui nasce e si rende possibile nell'uomo l'atteggiamento di colpevolizzazione della sua esistenza stessa, fino ad arrivare a “volere il nulla piuttosto che non volere”2. Il vero nemico si rivelerà essere non

tanto il cristiano in quanto cristiano ma piuttosto l'asceta, il nemico della vita. Questa figura è importante, perché è complessa, e molto più ampia del ristretto significato religioso che avrebbe la nozione di “cristiano” in Nietzsche; per di più è difficoltoso e, in questo momento, non è nelle intenzioni di questa tesi analizzare la critica del cristianesimo di Nietzsche, anche se sarà un tema al principio della riflessione di alcuni degli autori analizzati nel secondo capitolo. È ora invece importante mettere a fuoco il problema dell'esistenza, e del meccanismo per cui questa viene colpevolizzata da quelle che Nietzsche chiamerà “morale degli schiavi”.

Sarà fatto attraverso le sue articolazioni successive, che seguono una consequenzialità quasi sillogistica: pietà, colpa, ressentiment, peccato.

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1.1.1 La compassione

La critica della pietà e della compassione è uno degli aspetti più problematici e “scandalosi” della filosofia di Nietzsche. Compassione e pietà sono aspetti della religione contro cui spesso si rivolge la sua analisi distruttiva. Tuttavia, il “nemico” a cui il filosofo è tanto avverso nei suoi scritti non è il cristianesimo come manifestazione storica, quanto piuttosto la più generale cornice sacerdotale che è la radice della “morale degli schiavi” che si rivolge, in odio all'esistenza, contro l’esistenza stessa: il nemico ultimo è infine la volontà del nulla:

“volontà che si rivolta contro la vita, l'ultima malattia che dolcemente e melanconicamente si annuncia: vidi nella morale della compassione, che si andava estendendo sempre di più, che aggranfiava e ammaliava persino i filosofi, il sintomo più inquietante della nostra cultura europea, divenuta inquietante, forse il suo tortuoso cammino verso un nuovo buddhismo? Verso un buddhismo europeo? Verso il – nichilismo?”3.

1.1.2 La pietà

“Che cos'è più dannoso di qualsiasi vizio? - Agire pietosamente verso tutti i malriusciti e i deboli – il cristianesimo...”4

“Si è osato chiamare la compassione una virtù (- in ogni morale

aristocratica essa è considerata una debolezza-);”5

3 F. Nietzsche, Genealogia della morale §5, Adelphi, Milano, 2007, p. 8. 4 F. Nietzsche, L'Anticristo ,§ 2, Adelphi, Milano, 2013, p. 5.

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Perché la pietà non è accettabile? Perché Nietzsche ritiene che sia addirittura più dannosa di qualsiasi vizio? Una lettura superficiale di affermazioni di questa portata rischiano di portare decisamente fuori strada nel comprendere il vero significato di quella che sarà poi la trasvalutazione di tutti i valori. Ritengo che la pietà sia, nell'interpretazione genealogica nietzscheana, il primo gradino della costruzione che sarà individuata come la morale della decadenza, del nichilismo: nella pietà si radicano e dalla pietà si diramano i successivi momenti che porteranno a quella che il filosofo definirà “una esecranda ermeneutica del concetto di castigo”6, cioè, il defraudare l'esistenza della sua innocenza. Per

leggere in maniera completa tesi come quelle dell'Anticristo, è necessario ricorrere a scritti precedenti e successivi. In Aurora §135, “L'essere compassionati”, subito dopo § 134 “In che senso ci si deve guardare dalla compassione”, leggiamo una critica alla pietà, la quale pone il suo argomento fondato nel “raccapriccio morale” che i “selvaggi” provano nel pensare alla compassione. La pietà subentra al posto dell'ammirazione per il nemico nel momento in cui lo si risparmia: pietà è sinonimo di disprezzo. Ancora Nietzsche sembra proporre tesi raccapriccianti: auspica una vita selvaggia? È difficilmente credibile. Piuttosto, una lettura efficace si può ottenere con la lettura, in Crepuscolo degli idoli, della “Morale contro natura”7: Nietzsche si ribella contro la castrazione degli istinti, contro la

presunzione morale del voler “migliorare l'uomo”. Ritiene che solo un degenerato possa aver bisogno di sopprimere l'istinto e sublimarlo in un dover-essere. Un brano talmente chiaro che esplicita il significato della critica alla pietà: essa non è

6 F. Nietzsche, Aurora, § 13, Adelphi, Milano, 2013, p. 16.

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altro che castrazione, rovesciamento della natura in un dover-essere che non appartiene all'uomo. All'uomo aristocratico, si intende; sempre nel Crepuscolo, Nietzsche esplicita come l'uomo affermatore non possa che essere virtuoso, in un ripristinato ordine di causa – effetto, ed allora è la virtù che discende dalla felicità dell'essere uomo ben riuscito, non il contrario:

“primo esempio della mia «trasvalutazione di tutti i valori»: un uomo ben riuscito, un «felice», non può che fare certe azioni e si guarda istintivamente da altre azioni”8

Dunque il motivo per cui bisogna guardarsi dalla pietà è perché la pietà è la vittoria della morale dei Ciandala: la morale che nega la vita.

1.1.3 La colpa

La pietà è dunque il disprezzo dell'altro, il suo disconoscimento, il rifiuto di riconoscerlo come alterità ponentesi in contrapposizione a sé (il nemico che chiede pietà non è più nemico, è “come un cane”). Ma dunque questo dis-prezzo del nemico ha le sue radici in quello che è evidentemente una preliminare valutazione dell'altro, un riconoscerlo prima di tutto come qualcosa che ha un valore, e un valore misurabile. L'uomo è per Nietzsche un essere che valuta: i suoi principi morali altro non sono che risemantizzazioni di arcaici istinti che sono espressione della volontà di potenza. La colpa, nella Seconda dissertazione di Genealogia della morale9, è delineata come originantesi dal concetto di debito; in

particolare, in principio, la colpa non è nemmeno qualche cosa da punire in

8 Ivi, p. 56.

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quanto responsabilità, ma è qualunque cosa che susciti ira, e come tale, deve essere ripagata con la moneta di scambio della sofferenza. È evidente dunque come la sofferenza non possa riparare un torto subito, ma soltanto ripagare con un piacere (quello di infliggere una sofferenza, pari o superiore, è indifferente) un dispiacere.

Il concetto di valore è delineato sin nelle sue arcaiche origini dal filosofo come un assegnare un prezzo, ripagabile, e in particolare un debito. Ciò che può essere valutato è leggibile soltanto alla luce di un pagamento; e un pagamento, quando si tratta di azioni, in termini di dolore.

Più tardi nella storia dell'evoluzione della morale, però, il concetto di “colpa” si coniuga con quello di “libertà”: la forma “assolutamente tardiva” della colpa come responsabilità sopraggiunge.

“Non abbiamo oggi più alcuna pietà per il concetto di «libero arbitrio» […] gli uomini vennero ritenuti «liberi» per poter essere giudicati e puniti – per poter essere colpevoli"10

L'uomo ritenuto responsabile e libero, attraverso il “malfamato trucco dei teologi”, è ora, quando agisce “male”, colpevole nei confronti di Dio. Essere colpevoli nei confronti di Dio vuol dire essere debitori, e ciò significa dover ripagare in termini di sofferenza il creditore. Il creditore, in questo caso, è però onnipotente, il debito, è infinito11: qui vi è la radice dell'inimicizia di Nietzsche

10 F. Nietzsche, “I quattro grandi errori”, in Crepuscolo degli idoli, op. cit., pag. 63.

11 Per una lettura efficace dell'esito nel pensiero nietzscheano sulla cultura di questo tema del “debito verso Dio” , si può leggere: G. Campioni, Nietzsche. La morale dell'eroe, ETS, Pisa, 2008. In particolare, pp. 56, 57, in cui Campioni scrive: “Nietzsche, in Ecce Homo afferma: «Un dio che venisse sulla terra non potrebbe fare altro che torti – prendere su di sé la colpa, non la pena, questo sarebbe veramente divino» (EH, Perché sono così saggio 5). Il tema torna

più volte in Nietzsche ed è sviluppato, in antitesi al Cristianesimo, in pagine centrali della

Genealogia della morale. Il Dio redentore cristiano si sacrifica innocente, per la colpa degli

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per i teologi:

“I quali col concetto dell'«ordine etico del mondo» continuano ad appestare l'innocenza del divenire per mezzo della «pena» e della «colpa». Il cristianesimo è una metafisica del boia...”12

Sul concetto di “ordine etico del mondo” Nietzsche si esprime anche in Aurora § 563 – L'illusione dell'ordinamento cosmico secondo eticità:

“Non esiste affatto una eterna giustizia la quale esiga che ogni colpa sia espiata e pagata – è stata un'illusione orribile, in minima parte utile, che una tale necessità esistesse”13

e in Anticristo § 25, in relazione alla casta sacerdotale ebraica che perverte il concetto di Dio (Jahveh), e lo fa diventare

“uno strumento nelle mani di agitatori sacerdotali, che ormai interpretano ogni buona ventura come premio, ogni calamità come castigo per una disubbidienza a Dio, per il «peccato»: quella mendacissima maniera d'interpretare un presunto «ordinamento etico del mondo», con la quale, una volta per tutte è capovolto il concetto naturale di «causa» e «effetto»”14

Vediamo come il filosofo in questo passo individui il vero tema centrale della critica alla religione: l'illusione dell'ordinamento etico del mondo. Il metodo

impossibile ogni risarcimento ed espiazione. «Un debito verso Dio: questo pensiero diventa per

lui [l'uomo dalla cattiva coscienza] strumento di tortura» […] Ogni negazione di sé diventa

affermazione di un contrario, proiettato fuori da sé: la sofferenza e il rimorso, il senso di colpa non trovano vie d'uscita.”

12 F. Nietzsche, “I quattro grandi errori”, in Crepuscolo degli idoli, op. cit., p. 64. 13 F. Nietzsche, Aurora§ 563, op. cit., p. 266, 267.

14 F. Nietzsche, Anticristo § 25, op. cit., p. 31

Al riguardo cfr. anche Anticristo §26 per quanto riguarda l'estrinsecazione della potenza del sacerdote tramite il peccato, e“I quattro grandi errori” §1 , Crepuscolo degli idoli, op. cit. p. 55 per l'inversione di causa – effetto come “errore” da cui discende il pervertimento dell'ethos aristrocratico in una morale nichilista.

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genealogico svela come con l'inversione di causa ed effetto (primo dei quattro grandi errori indicati nel Crepuscolo degli idoli) e l'invenzione del libero arbitrio (per rendere l'uomo responsabile delle sue azioni) l'esistenza tutta diventi una colpa, e qualsiasi azione sia potenzialmente riconducibile a una colpa. Questa situazione è strumentalizzabile dai sacerdoti, dai deboli, per instaurare una morale rovesciata in cui si esprime un odio verso l'esistenza. L'illusione è la colpa, la sfida di Nietzsche è restituire l'innocenza all'esistenza, eliminare ciò che causa il vivere nichilista – l'ordinamento del mondo secondo un'eticità perversa, una morale del dovere sempre inadempibile che conduce a una colpa infinita mai espiabile.

1.1.4 Il castigo

Il meccanismo di compensazione mercantile di colpa-castigo viene trasportato nell'idea di esistenza stessa. Il vivere l'esistenza come una colpa, è ciò che porta al privare dell'innocenza e del suo significato tutto l'accadere.

E quanto è orribile e ripugnante alla ragione già il solo fatto d'intendere causa e effetto come causa e pena! Ma si è fatto di più, e si è defraudata della sua innocenza tutta la pura casualità dell'accadere con questa esecranda ermeneutica del concetto di castigo. Sì, si è spinta tanto lontano codesta pazzia da far sentire l'esistenza stessa come castigo15

È il passaggio successivo: l'esistenza non solo è concepita come colpa, ma è e deve essere vissuta come castigo. Ogni senso e significato è trasferito in un al di là: non è possibile vivere in alcun modo se non in maniera negativa, in attesa. In 15 F. Nietzsche, Aurora §13, op. cit., p. 16.

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questo seme nichilistico riposa già quello che sarà poi identificato in Nietzsche come “l'autosoppressione della morale”, e il tramonto, per quanto riguarda la religione, del cristianesimo. Tuttavia, per ora è importante sottolineare l'errore teleologico di questa concezione individuato dal filosofo: interpretare il senso come scopo, come “fine” nel senso non solo di télos ma di termine, punto d'arrivo, è ciò che di conseguenza priva l'accadere mondano della sua possibilità di esprimere significato. In questo concetto risiede il risultato del pensiero della compassione, individuata essa stessa in Anticristo § 7 come “praxis del nichilismo” e persuasione al nulla, come tendenza ostile alla vita.

Questo primo irrompere del Nulla nell'esistenza è ancora osservato a un livello di ethos, di comportamento e di atteggiamento. Per questo motivo Gesù sarà individuato nella sua singolarità come uomo pratico16. Gesù supera il sentimento

di ressentiment e rifugge la sofferenza volontaria della vita-castigo. Nietzsche ricostruisce la “psicologia del redentore” in contrapposizione all'eroismo ascetico delineato da Renan nella sua Vita di Gesù proprio perché individua nel “santo anarchico” un movimento di ribellione alla casta sacerdotale e alla teologia ebraica che già in sé possedeva il seme del nichilismo17; Gesù è il contrario di un

eroe. Guidato, tuttavia, da un “odio istintivo contro la realtà” (Anticristo §29,30) il redentore è un décadent, un idiota (nel senso dostoevskijano del termine), colui che rifiuta di esprimere la sua volontà di potenza: in contrapposizione alla volontà di potenza sacerdotale che si esprime nel modo capovolto della morale del peccato e del castigo. E tuttavia, Gesù supera il peccato e la pena, poiché possiede 16 F. Nietzsche, Anticristo §35, op cit. p. 46.

17 Nell''interpretazione nietzscheana, gli ebrei non sono puramente dei décadents: ne assumono i costumi per poter dire di sì “a qualsiasi costo” alla vita.

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un'“innocenza fanciullesca” capace di vivere solo nell'“esperienza «vita»” (Anticristo §32). L'innocenza di Gesù ricorda il fanciullo delle Tre Metamorfosi dello Zarathustra, e tuttavia egli non è ancora tale, non è il superuomo. Egli ha un sentimento di rigetto verso la sofferenza, dalla quale deriva la sua prassi del non-agire, del non-fare. Non è creatore di valori: promuove una pratica del rifiuto della vendetta, e in questo Nietzsche riconosce una superiorità sulla morale del ressentiment ebraica:

In tutta quanta la psicologia del «Vangelo» manca la nozione di colpa e di castigo; come pure quella di ricompensa. Il «peccato», qualsiasi rapporto di distanza tra Dio e l'uomo è eliminato – precisamente questa è

la «buona novella». La beatitudine non viene promessa, non è associata a

condizioni: essa è la sola realtà – il resto è segno per poter parlare di essa … 18

E ancora in:

Gesù aveva abolito precisamente la nozione di «colpa» - egli ha negato ogni frattura tra Dio e uomo, ha vissuto questa unità di Dio e uomo come la sua «lieta novella» ...19

Nietzsche esplicita quale sia questa superiorità; e precisamente fa riferimento al superamento della distanza uomo-Dio creata dall'ipostatizzarsi della nozione di colpa e di castigo. Non esiste il castigo perché non esiste una colpa. Non si ha bisogno di un posizionamento metafisico e teleologico, oltre che ultraterreno, della beatitudine perché il “Regno dei cieli” è sulla terra, in atto, nell'“agire diverso” proposto da Gesù con la sua prassi. Egli non crea nuovi valori perché

18 F. Nietzsche, L'Anticristo §33, op. cit., p. 43. 19 Ivi, p. 54.

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rifiuta alla radice la nozione di valore, e per questo la sua morte ha una coerenza con il suo agire e la sua vita20. Il sentimento evangelico è il rifiuto dell'edificio

della vendetta e del ressentiment. E tuttavia ancora Gesù non è in grado di creare nuovi valori, di affermare: soltanto si rifiuta di negare. In ciò è un décadent, un’espressione, forse, di quel “nichilismo attivo” che verrà distinto da Heidegger nella sua interpretazione di Nietzsche dal “nichilismo passivo”.

Nietzsche esplicita l'obiettivo della sua genealogia: preparare il terreno alla trasvalutazione di tutti i valori significa distruggere la morale corrotta, ma come? Precisamente attraverso questo meccanismo di rifiuto della vendetta, attraverso la negazione della negazione.

Come sarebbe reso leggero l'universale sentimento della vita, se ci si affrancasse, con la credenza nella colpa, anche dall'antico istinto della vendetta, e si considerasse una sottile accortezza dei felici anche il fatto di impartire, col cristianesimo, benedizioni ai propri nemici e di far del

bene a quelli che ci hanno offeso! Eliminiamo dal mondo il concetto del peccato – e spediamogli subito appresso il concetto della pena!2122

L'ambiguità di questo passaggio che sembra valorizzare il cristianesimo, dopo averlo smontato, è spiegabile in breve: il cristianesimo di cui parla Nietzsche è ancora una volta solo quello di Gesù: “in fondo è esistito un solo cristiano e questi morì sulla croce. Il «Vangelo» morì sulla croce”23.

20 Ivi, §40, p. 53: “In sé con la sua morte, Gesù non poté volere null'altro, se non dare pubblicamente la prova più forte, la dimostrazione della sua dottrina ...”.

21 F. Nietzsche, Aurora § 202, op. cit., p. 146.

22 Cfr. Anche i già citati Crepuscolo degli Idoli §7, op. cit., “torniamo a togliere dal mondo il concetto di colpa e quello di pena...”; Aurora § 563, op. cit. “Non esiste affatto una eterna

giustizia la quale esiga che ogni colpa sia espiata e pagata -”.

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1.1.5 Il ressentiment e la vendetta

Ma la giovane comunità evangelica si rivela incapace di accogliere il messaggio di superiorità di Gesù. La morte di Gesù anziché essere vista come un superamento della precedente morale ebraica, non viene accettata, assimilata. E dunque si ha un passaggio successivo; il messaggio di Gesù viene rovesciato, lo spirito evangelico si trasforma in un “Dysangelium”, la “buona novella” diviene “cattiva novella”; torna la vendetta, nella sua forma più atroce: Gesù, uomo pratico, viene innalzato a divinità, e distaccato dagli uomini e dall'esistenza. Ancora una volta è importante sottolineare come il sentimento evangelico nell'Anticristo viene visto come l'opposto della vendetta (§40). Con Paolo (“genio dell'odio”, “nichilista e cristiano”) si ha il rovesciamento del Vangelo. Torna a galla quello che Gesù aveva invece rifiutato: l'espressione della volontà di potenza: ciò che Paolo desidera è la potenza, la tirannide sulle masse. Lo strumento è ancora una volta l'allontanamento del Dio – e quindi, del senso dell'esistenza – dall'uomo stesso:

Se si trasferisce il centro di gravità della vita non nella vita, ma nell'«al di là» - nel nulla – si è tolto il centro di gravità alla vita in generale. La grande menzogna dell'immortalità personale distrugge ogni ragione, ogni natura nell'istinto – tutto quanto negli istinti è benefico, promotore di vita, mallevadore dell'avvenire, desta ormai diffidenza. Vivere in modo che non ha più senso alcuno vivere, questo diventa ora il «senso» della vita …24

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Questo è il momento in cui irrompe il nulla nella morale cristiana, ed è il punto centrale della critica di Nietzsche al cristianesimo.

1.1.6 L'odio verso la vita

Il vero nichilista è tuttavia nichilista a una profondità ben maggiore rispetto a Paolo di Tarso. Nietzsche vede nella figura dell'Asceta colui che incarna il grado maggiore di perversione morale e rovesciamento della natura affermatrice dell'uomo. Nella Terza Dissertazione della Genealogia della morale Nietzsche sottolinea l'ambiguità dell'ideale ascetico: è stato coltivato e cercato dai filosofi, quasi come “atteggiamento filosofico” in particolare; eppure una vita ascetica non può soddisfare, non è capace di osservare veramente le cose:

Una vita ascetica è infatti un'autocontraddizione: domina qui un

ressentiment senza eguali, quello di un insaziato istinto e una volontà di

potenza che vorrebbe signoreggiare non su qualcosa della vita, ma sulla vita stessa, sulle sue più profonde, più forti, più sotterranee condizioni; qui si consuma un tentativo di impiegare la forza per ostruire le sorgenti della forza; qui lo sguardo si rivolge, astioso e perfido, contro la stessa prosperità fisiologica, in particolare contro la sua espressione, la bellezza, la gioia; mentre si avverte e si ricerca un compiacimento dell'insuccesso, della marcescenza, del dolore, della sventura, del brutto, dell'espiazione volontaria, dell'autorinuncia, della flagellazione e dell'olocausto di se stessi.25

L'ideale ascetico, creato dal prete–asceta, indirizza il gregge malato dell'umanità in una nuova direzione del ressentiment: l'odio verso sé stessi. La ragione della

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sofferenza e dell'ingiustizia del mondo viene ricercata e trovata in sé stessi; ritorna dunque nel cristianesimo la vita come colpa e come castigo, la negazione di ogni gioia e di ogni possibilità affermatrice della vita. Ma cosa significa allora che l'ideale ascetico ha dominato la filosofia? Che la filosofia stessa si rivolge al reale con l'atteggiamento tipico dell'asceta? È necessario andare oltre; nemmeno la scienza – nella sua crudele schiettezza di vivisettrice di miti – è lontana dall'ascesi: “riposa sullo stesso suolo” dell'ideale ascetico. È necessario il superamento anche di quella filosofia; si pone dunque il problema della verità. Il cristianesimo crolla per opera di sé stesso, e per i “prossimi due secoli” va crollando la morale.

Ma allora:

Questo significa l'ideale ascetico: che qualche cosa mancava, che

un'enorme lacuna circondava l'uomo – egli non sapeva giustificare, spiegare, affermare se stesso, soffriva del problema del suo significato. Soffriva anche d'altro, era principalmente un animale malaticcio: ma non la sofferenza in se stessa era il suo problema, bensì il fatto che il grido della domanda «a che scopo soffrire?» restasse senza risposta. [...] L'assurdità della sofferenza, non la sofferenza, è stata la maledizione che fino a oggi è dilagata su tutta l'umanità - e l'ideale ascetico offrì a essa

un senso !26

L'ideale ascetico offre un senso perverso, sotto il segno della colpa, nemico di tutto ciò che è umano e della vita: ma salvò l'uomo. Poiché l'uomo “preferisce ancora volere il nulla piuttosto che non volere”.

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Se tuttavia crolla questo ideale, è auto-superato, si pone la possibilità di “trasvalutare tutti i valori”. Ma bisogna, abbiamo visto, porsi ancora il problema del valore della verità: questa assoluta fede nella “verità in sé”, metafisica, come “cosa in sé” è il fondamento dell'atteggiamento ascetico e della negazione dell'esistenza come puro divenire innocente.

1.2 L'innocenza del divenire

L'opera di Nietzsche deve essere letta nell'ottica di una vita di ricerca rigorosa, che prende poi la forma di un tentativo di espressione in più direzioni e più forme, in costante confronto con la cultura a lui contemporanea. La tenace evoluzione e rielaborazione del suo pensiero rende complessa l'interpretazione. Tuttavia è indifendibile una tesi che sostenga che nella filosofia nietzscheana si trovi “tutto e il contrario di tutto”, come troppo spesso il senso comune viene a semplificare il lavoro di interpretazione. È vero che Nietzsche si interessa di ogni campo della filosofia creando nessi e interpolazioni, e quindi che è adeguato leggere la sua opera a seconda delle fasi del suo pensiero. Tenteremo tuttavia un percorso di lettura che si orienti nello specifico al campo della filosofia morale. È infatti ferma opinione del presente lavoro che gli aspetti di critica morale e della religione nei lavori nietzscheani siano un'opera di metaetica di grande portata, volti a uno specifico obiettivo e che abbiano un esito morale. Morale, certamente,

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in un senso completamente rinnovato, il quale tuttavia è già aderente a quella che sarà la riflessione filosofica del Novecento. La sfida di Nietzsche prefigura la sfida del XX e del XXI secolo: una filosofia morale che possa rispondere a un universo di valori polimorfo quale è la realtà in divenire della società contemporanea, che il filosofo prefigura nella forma della crisi nichilistica.

1.2.1 Critica della decadenza

La critica di Nietzsche alla religione si inscrive nella più ampia critica della décadence; nella quale è compresa la critica delle figura dell'eroe, dell'asceta, del genio. La critica della compassione culmina in queste figure, accomunate dal rifiuto della realtà e dal sacrificio della stessa e di sé stessi in favore di una realtà altra o di un “mondo dietro il mondo”. L'eroe è un asceta, poiché si sacrifica per un ideale che lo trascende. Su queste basi si articola la polemica con Renan, il quale individua in Gesù un genio ed un eroe: all'opposto, ciò che interessa a Nietzsche e che vede nella figura di Gesù è il superamento precisamente di quell'ideale ascetico del ressentiment che provoca il sacrificio della propria esistenza. Gesù accetta la propria morte come coronamento della vita vissuta in un rifiuto della reazione: ciò che manca è l'affermare quella stessa vita. La psicologia del redentore è tutta volta a sottolineare come il rifiuto della sofferenza porti a un rifiuto dell'azione stessa. Anche la valorizzazione di Sigfrido contro Parsifal27 è

una valorizzazione dell'aspetto affermatore dell'umano contro l'eroe cristiano – asceta dell'ultimo Wagner. In ogni aspetto della critica alla décadence Nietzsche

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sottolinea sempre l'opposizione di una vita innocente contro una vita eroica che in quanto tale vede l'esistenza come una colpa da negare e superare nell'ottica di una trascendenza che è la “vera vita”. In Ecce Homo Nietzsche ribadisce la presa di posizione contro la morale della décadence ma la coniuga con l'analisi dell'esistenza, la quale si configura come accettazione della stessa nella sua totalità, nelle sue caratteristiche di sofferenza e sfida che ne costituiscono, tuttavia, la grandezza stessa:

In fondo sono due le negazioni che implica la mia parola immoralista. Con la prima io nego un tipo di uomo che era stato giudicato finora il tipo più alto, i buoni, i benevoli, i benefici; dall'altra parte, poi, io nego un tipo di morale che è valsa da morale in sé e come tale ha dominato – la morale della décadence, in termini più concreti, la morale cristiana. Non sarebbe ingiustificato pensare che la negazione propriamente decisiva sia la seconda, in quanto la sopravvalutazione della bontà e della benevolenza, nelle sue grandi linee è per me già una conseguenza della

décadence, un sintomo di debolezza, incompatibile con una vita che

ascende e dice sì: condizione nel dire sì è il negare e il distruggere. […] Nella grande economia del tutto gli aspetti tremendi della realtà (nelle passioni, nei desideri, nella volontà di potenza) sono incommensurabilmente più necessari di quella forma di piccola felicità, la cosiddetta «bontà»; [...]

Per fortuna il mondo non è costruito su istinti tali che proprio in esso il gregge bonario possa trovare la sua angusta felicità; pretendere che tutti diventino «uomini buoni», animali d'armento, occhiazzurrini, benevoli, «anime belle» - o, come desidera il signor Herbert Spencer, altruistici,

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vorrebbe dire togliere all'esistenza quella grandezza che è suo carattere, castrare l'umanità e ridurla a misera cineseria. - E proprio questo si è

tentato di fare! … Proprio questo è stato chiamato morale... In questo

senso Zarathustra chiama i buoni a volte «gli ultimi uomini», a volte «il principio della fine»

[…]

i buoni, infatti, non sono capaci di creare: essi sono sempre il principio della fine; 28

La critica della décadence e della morale cristiana si profila dunque come un rifiuto di qualsiasi concezione dell'esistenza che non la accetti nella sua totalità, sia dal versante ottimistico di questo rifiuto della realtà, sia dal versante pessimistico: entrambi gli atteggiamenti sono indicati come nichilisti, perché dimostrano un'incapacità ad accettare, a “dire di sì”, e quindi a creare valori.

1.2.2 Il rifiuto di ogni riduzionismo

La pars destruens del pensiero nietzscheano si basa su un atteggiamento di rifiuto di ogni ipostatizzazione di una realtà non-vera in funzione di giustificare una debolezza fondamentale che rende incapaci ad agire in maniera affermativa. Questa realtà falsamente trascendente è lo scopo e la/il fine dell'esistenza (nella doppia accezione) che rassicura e insieme comanda l'unico modo di agire. Il rifiuto del riduzionismo in Nietzsche si dirige contro l'esistenza di uno ed un unico scopo, addirittura contro l'esistenza di qualsiasi scopo in generale.

Il primo dei quattro grandi errori nel Crepuscolo degli idoli è l'inversione del 28 F. Nietzsche, Ecce Homo, Adelphi, Milano, 2013, pp. 130, 131.

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rapporto causa-effetto. Ciò che viene dedotto immediatamente dopo da Nietzsche è la falsa conseguenza della felicità dall'agire virtuoso. Abbiamo già sottolineato come al contrario le virtù siano una conseguenza dell'agire “felice” (inteso come “nobile”); in realtà volendo spingere più avanti l'analisi di Nietzsche possiamo vedere come sia obiettivo di critica il fondamento stesso di un'etica della felicità, stigmatizzata come riducente l'uomo a qualcosa che non è:

Sia edonismo che pessimismo, sia utilitarismo che eudemonismo, tutti questi modi di pensare, che misurano il valore delle cose secondo il

piacere e il dolore, cioè secondo stati concomitanti e fatti collaterali,

sono modi esteriori di pensiero, nonché ingenuità, che chiunque sia consapevole delle sue forze plasmatrici e abbia una coscienza di artista guarderà dall'alto in basso, non senza scherno e neppure senza compassione. […] Voi volete, se possibile – e non esiste un «se possibile» più assurdo – eliminare la sofferenza; e noi? Sembra proprio che si preferisca averla questa sofferenza”29

Nietzsche prende di mira il determinare la felicità come fine (ancora nella doppia accezione). E avere un fine, fissato nella morale attraverso l'inversione di causa ed effetto (“Fa' questa e quella cosa, trascura questa e quest'altra – così sarai felice!”30), qualsiasi esso sia riduce la prospettiva dell'esistenza; è l'inizio del

nichilismo, del togliere valore alla vita:

Ogni morale può essere riguardata in questo senso: la «natura» in essa è ciò che insegna a odiare il laisser aller, l'eccessiva libertà, e radica l'esigenza di limitati orizzonti, di compiti immediati – che insegna la

29 F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, op. cit., p. 133.

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riduzione della prospettiva31

Nietzsche invece propone una radicale immanenza che si liberi dalle “ombre di Dio” che costringono a immaginare un universo meccanicistico regolato da leggi inviolabili. Nell'universo è il caos, non esistono leggi nella natura

Non esistono che necessità: e allora non c'è nessuno che comanda, nessuno che presta obbedienza, nessuno che trasgredisce. Se sapete che non esistono scopi, sapete anche che non esiste il caso: perché soltanto accanto ad un mondo di scopi la parola «caso» ha un senso. 32

pregno di significato appare allora il discorso dei Mille e uno scopi nello Zarathustra:

Molti paesi ha visto Zarathustra e molti popoli: al mondo, Zarathustra non ha trovato una potenza maggiore delle opere degli amanti: 'bene' e 'male' è il loro nome.

In verità questa potenza della lode e del biasimo è un mostro. Dite, fratelli, chi sa domarlo? Dite, chi aggiogherà in catene i mille dorsi di questa bestia?

Mille scopi vi furono finora, perché v'erano mille popoli. Solo la catena dei mille dorsi manca ancora, quest'uno scopo manca. Ancora l'umanità non ha uno scopo.

Ma ditemi, fratelli, se all'umanità manca ancora lo scopo, non manca ancora essa stessa?

-Così parlò Zarathustra.33

Lo scopo ultimo dell'esistenza è rifiutato; appare il carattere prospettico della

31 F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, op. cit., p. 87. 32 F. Nietzsche, La Gaia Scienza, Adelphi, Milano, 2013, p. 149. 33 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi, Milano, 2008, p. 66.

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realtà, poiché mille popoli hanno mille scopi. Ma si pensi, ancora, alla Gaia Scienza, nella quale l'uomo nobile è dipinto come “più irrazionale”, mentre è tipico dell'uomo volgare riflettere in base ai fini34. Ma se non vi è nessun fine,

nessuno scopo, il fine ultimo, la catena mancante dello Zarathustra si configura come uno scopo non-scopo, un rifiuto di ogni apriori che direzioni la vita dell'uomo, che si rivelerà essere invece nella formulazione del superuomo l'affermazione stessa dell'innocenza del divenire dell'esistenza.

1.2.3 Il prospettivismo

Il rifiuto di quella morale che costringe alla riduzione della prospettiva si argomenta sulla base dell'essere come essere prospettico. La trascendenza viene rifiutata, in favore di un immanentismo dei valori radicato nella convinzione che non esiste alcun “essere” che non sia un agire35. Questo agire è l'unico fatto

morale esistente; la critica di Nietzsche si rivolge alla fissazione di un criterio morale nella forma del “Tu devi”, che, come il drago nelle Tre Metamorfosi dello Zarathustra, ribadisce l'impossibilità della creazione di ulteriori valori, ribadisce la fissità dei valori già creati, la fine di ogni volontà e di ogni agire creativo che sfugga allo stigma morale. Il mondo che Nietzsche vede è invece un mondo prospettico, in cui il valore della verità è costantemente rimesso in discussione36, e

34 F. Nietzsche, La Gaia scienza, op. cit., §3, pp. 54, 55, “Nobile e Volgare”: “La natura volgare

è qualificata dalla circostanza che essa tiene costantemente sott'occhio il proprio vantaggio e che questo pensare ad uno scopo, ad un vantaggio o ad un utile, è in essa persino più forte di più forti istinti”.

35 F. Nietzsche, Genealogia della morale, op. cit., p. 34 : “Non esiste alcun «essere» al di sotto

del fare, dell'agire, del divenire; «colui che fa» non è che fittiziamente aggiunto al fare – il fare è tutto.”.

36 Al riguardo sono da ricordare i brani della Genealogia della morale, nella Terza dissertazione, § 24 e, sotto indicazione di Nietzsche stesso, Gaia scienza § 344. La fede metafisica e religiosa

(31)

una costante trasvalutazione dei valori è possibile, da parte di un uomo divenuto ormai “creatore”, come il fanciullo dello Zarathustra, o come gli dèi greci.

Il mondo stesso tuttavia appare diventare “infinito” allo sguardo dell'uomo, una volta si sia reso conto della particolare prospettiva e dell'impossibilità di “girare con lo sguardo il nostro angolo”; il “carattere prospettico dell'esistenza” apre all'uomo un mondo non-divino di infinite interpretazioni37. Allora ciò che appare

possibile è creare, in prima persona, queste interpretazioni, e queste interpretazioni sono valori, sono dèi:

Nel politeismo era come preformata la libertà di spirito e la multiforme spiritualità dell'uomo: la forza di crearsi occhi nuovi e personali, sempre più nuovi e personali: cosicché per l'uomo soltanto, in mezzo a tutti gli animali, non esistono orizzonti e prospettive eterne.38

Il prospettivismo nietzscheano è dunque un altro punto fermo da tenere presente nell'interpretazione della sua filosofia, nell'ottica di problematizzare il senso dell'esistenza.

1.2.4 Amor Fati

La formulazione dell'Amor fati interviene nella riflessione del filosofo di Röcken, come una prima formulazione del pensiero affermativo. Nella Gaia scienza è ancora in chiave personale che Nietzsche pensa tale concetto:

nel valore della verità come valore assoluto, come “valore in sé” è il fondamento stesso dell'ideale ascetico. Neppure la scienza è immune a questa fede metafisica. Questo valore della verità è ciò che viene messo in questione e rigettato dalla critica dell'ideale ascetico di Nietzsche. Nessun ideale oltremondano dunque, ma nemmeno una riduzione della verità a valore assoluto che riduca il mondo a una sola grande lettura, pur che fosse anche scientifica. 37 F. Nietzsche, Gaia scienza §374, op. cit., pp.309, 310.

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Amor fati: sia questo d'ora innanzi il mio amore! Non voglio muovere

guerra contro il brutto. Non voglio accusare, non voglio neppure accusa gli accusatori. Guardare altrove sia la mia unica negazione! E, insomma: prima o poi voglio soltanto essere uno che dice sì!39

Il pensiero appare in questa prima formulazione “sentimentale” come rifiuto di un giudizio negativo sull'esistenza. “Rendere bello” giudicando bello: il filosofo rovescia l'errore del cristianesimo, che giudicando il mondo brutto e malvagio lo ha reso tale40. Il rifiuto di esprimere un giudizio è tema ricorrente nella posizione

del filosofo: appare nel citato passo di Aurora §202 come rifiuto del bilanciamento colpa – pena, come rifiuto del tribunale punitivo nei confronti dei delinquenti; appare soprattutto in Gaia scienza §335 come rifiuto ad emettere sentenze morali gli uni sugli altri41. L'Amor fati è la conseguenza del rifiuto del

sentimento del ressentiment e della vendetta: se la “esecranda ermeneutica del concetto di castigo” conduceva nella morale a una condotta da “piccoli esseri bramosi di vendetta”42, che trasposta nell'atteggiamento verso il mondo conduceva

al nichilismo della svalutazione di tutto l'ente mondano, l'Amor fati si configura come il primo passo verso il superuomo, che sarà capace di amore e accettazione addirittura nei confronti della dottrina dell'Eterno Ritorno, e dunque a volere da capo all'infinito tutto quanto è già esistito infinite volte, e sarà, quindi, totalmente redento dal sentimento della vendetta:

39 Ivi, p. 198. 40 Ivi, § 130, p. 167.

41 Ivi, p. 241 : “Limitiamoci, dunque, a epurare le nostre opinioni e valutazioni, e alla creazione di nuove tavole di valori che siano nostre: ma non stiamoci più a lambiccare sul «valore

morale delle nostre azioni»! Sì, amici miei! È giunto il tempo del disgusto per tutto il moralistico chiacchiericcio degli uni sugli altri! Emettere sentenze morali deve ripugnare al nostro gusto!”.

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Giacché: che l'uomo sia redento dalla vendetta – questo è per me il ponte verso la speranza suprema e un arcobaleno dopo lunghe tempeste.43

L'uomo che non desidera più vendicarsi, giudicare, rimane uomo che “valuta” e decide valori, ma è capace ora di crearli. Non è più malvagio perché non si ritiene più tale44: non giudica gli altri, rifiuta lo stigma morale sull'azione e quindi è

pronto ad accettare l'innocenza dell'esistenza stessa.

Certo, l'esito è che non esistono più azioni morali: l'uomo è perso nell'infinito dell'esistenza e nelle sue infinite possibilità prospettiche. E finché non diverrà superuomo, è condannato a vivere senza una eterodirezione preventivamente assegnata.

1.2.5 Il sì a tutto

Interrogando i momenti della riflessione di Nietzsche, vediamo come l'esito della critica genealogica alla morale e alla religione sia diretta in realtà, nonostante il rifiuto di ogni teleologia, a un fine non-fine quale è il superuomo. Ma quale aspetto del superuomo è necessario portare in luce al fine di confrontarsi con il problema del senso e dello smarrimento dello stesso? Vediamo come la caratteristica principale di questa figura mitica sia cercata da Nietzsche nella capacità di dire un sì totale, un'affermazione di sé stesso attraverso un sì all'esistenza, anche nei suoi aspetti più oscuri e dolorosi. La sofferenza, così centrale nell'esperienza nietzscheana e nel suo pensiero, è superata non già in chiave ascetico-eroica dal superuomo, ma accettata con un Amor fati capitale e 43 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, op. cit., p. 111.

44 F. Nietzsche, Aurora §148, op. cit, p. 115: “Quando l'uomo non si ritiene più cattivo, cessa di

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fanciullesca innocenza. Solo in questo modo, e rifiutando di emettere giudizi morali sui fenomeni e sulle azioni altrui, è possibile quella creazione e trasvalutazione di tutti i valori che segna l'inizio di una oltre-morale che rifiuta una preventiva valutazione secondo categorie di bene e male predefinite, e questa è la volontà di potenza. Ma, certamente, la volontà di potenza è espressione della realtà come sopraffazione. In un primo momento l'Amor fati si configura dunque in un primo momento come accettazione tragica dell'esistenza. Tuttavia Nietzsche supera, nella formulazione dei pensieri più profondi, anche questa affermazione tragica: auspica un tempo della commedia, in cui si possa “gioire” ed affermarsi, contro ciò che ha reso veramente l'esistenza qualcosa di insopportabile45. Ciò non

è stato il caso, che è innocente, non è stato l'uomo, che è esso stesso innocente, ma è stata la morale e la religione che hanno defraudato dell'innocenza l'esistente colpevolizzando qualsiasi azione che possa essere compiuta nell'ambito mondano. La realtà deprivata di ogni scopo, abbiamo visto, è il desolato mondo del nichilismo in cui non è più possibile altro che volere il nulla, per non dovere non-volere46.

È invece il tempo di gioire dell'esistenza: a riguardo è importante sottolineare, per chiarire almeno in misura superficiale, che cosa sia e come agisca il superuomo – il quale è ben lontano da essere una “bionda bestia” che gode della sofferenza altrui – tale ideale è ampiamente superato per Nietzsche, nella storia a venire – il passo Dei compassionevoli dello Zarathustra:

45 F. Nietzsche, La Gaia scienza, op. cit. p. 50: “Per il momento le cose stanno ben diversamente,

per il momento la commedia dell'esistenza non è ancora «divenuta cosciente» di se stessa – per il momento continua ad essere il tempo della tragedia, il tempo delle morali e delle religioni.”.

46 Il senso dell'esistenza è certamente posto dunque nel nulla stesso: questo toglie valore alla vita. Cfr. Anticristo § 43, op. cit.

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Davvero, io cercai di aiutare in un modo o nell'altro i sofferenti: ma mi è sempre sembrato di far cosa migliore quando imparavo a meglio gioire. Da quando vi sono uomini, l'uomo ha gioito troppo poco: solo questo, fratelli, è il nostro peccato originale!

Imparare a meglio gioire è per noi il modo migliore di disimparare a far male agli altri e ad escogitare cose che fanno male.47

Arrivando a non negare più, a dire di sì a tutto, accettando la realtà della volontà di potenza e dell'eterno ritorno, il superuomo è capace di accettare l'esistenza prospettica nella sua completezza – dolore, piacere, sopraffazione – e di gioirne. Allora la virtù sarà una conseguenza della sua felicità, e il non fare male agli altri sarà una conseguenza, in un ripristinato rapporto di causa-effetto che rispetta l'innocenza del divenire dell'essere, della sua superiorità su ogni movimento di ressentiment.

1.3 La sfida di Nietzsche

Alla fine di questo capitolo introduttivo, ricapitoliamo cosa si è ottenuto e quali siano i punti del pensiero nietzscheano sui quali si concentrerà l'attenzione degli autori di cui nei prossimi capitoli.

Nietzsche con la critica della morale e della religione, e con la teoria del superuomo ha dipinto un grande mito, il quale vuole porre fine alle grandi 47 F. Nietzsche, Così parlo Zarathustra, op. cit., p. 97.

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narrazioni della storia dell'uomo. Ciò che Nietzsche descrive, a prescindere dalla pregnanza o meno delle sue tesi, rimane tuttavia un percorso di cui si vedono soltanto due punti: l'inizio, e la fine. Poco importa che questo cammino, come i due sentieri dipartentesi dalla porta “Attimo” di cui nello Zarathustra, siano infiniti e coincidenti; la risposta che manca, anche accettando l'eliminazione della domanda “perché?” e “verso dove?” dopo la critica di Nietzsche, e il porsi della domanda “come?”.

L'orizzonte infinito in cui l'uomo si trova nell'epoca contemporanea è davvero quello delle infinite prospettive e delle infinite possibilità. Un primo punto di confronto e di interpretazione negli autori analizzati sarà dunque la possibilità dei valori di porsi ancora in un mondo che sì, è prospettico, ma si articola sempre di più come relativista.

La “liberazione” operata da Nietzsche, egli profetizza, un tempo migliore in cui l'uomo sarà libero da qualsiasi morale, non dovrà essere eterodiretto da niente e nessuno:

“ - è assurdo voler far rotolare la sua [dell'uomo] natura verso un qualsivoglia scopo. Siamo stati noi a inventare il concetto di «scopo»: nella realtà lo scopo è assente... Si è necessari, si è un frammento di fato, si appartiene al tutto si è nel tutto – non c'è nulla che possa giudicare, misurare, verificare, condannare il nostro essere, giacché questo equivarrebbe a giudicare, misurare, verificare, condannare il tutto … Ma

fuori del tutto non c'è nulla! - Che nessuno più sia reso responsabile, che

la natura dell'essere non possa venire ricondotta a una causa prima, che il mondo non sia, né come sensorium, né come «spirito», una unità, tutto

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ciò soltanto è la grande liberazione – con ciò soltanto è nuovamente

ristabilita l'innocenza del divenire … Il concetto di «Dio» è stato fino a oggi la più grande obiezione contro l'esistenza...”48

Può essere che effettivamente il messaggio della morte di Dio non sia ancora giunto agli uomini, come l'uomo folle ribadisce nella Gaia scienza; l'uomo non è ancora, nella situazione contemporanea, libero dall'angoscia dell'esistenza. Un secondo punto di confronto con Nietzsche sarà appunto lo smarrimento di ogni orizzonte, di ogni prospettiva: persi nell'infinito della fine di ogni teologia e teleologia, l'uomo deve trovare qualcosa a cui aggrapparsi: nella riflessione nietzscheana questo sembra mancare. La fede stessa, sarà messa in discussione e in confronto con la critica di Nietzsche. Attraverso il confronto diretto con i testi di critica nietzscheana e le sue fonti, la riflessione filosofica, ad opera ad esempio di Welte e Valadier, sulla possibilità di una fede nell'epoca contemporanea, e in quali forme, vuole confrontarsi con la possibilità di una religione dopo l'annuncio della “morte di Dio”; sarà importante comprendere se queste siano ancora una volta, “ombre di Dio”, o la religione possa ancora ricercare una prospettiva di senso condiviso e comune nell'epoca della crisi di ogni prospettiva precostituita profetizzata da Nietzsche.

L'analisi del nichilismo, da parte di Heidegger e Jaspers, su come questo movimento si sia articolato negli anni successivi alla morte di Nietzsche, su cosa significhi “nichilismo” e quali siano le prospettive di senso dell'uomo negli anni successivi, è un terzo punto di confronto.

Infine a opera di Welte, il confronto forse più radicale: l'incontro con il Nulla, 48 F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, op. cit., p. 64.

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come esperienza metafisica che interviene nell'esperienza di vita dell'uomo, inevitabile e impossibile da ignorare, pone domande fondamentali sulla possibilità di un senso ancora dopo l'incontro con l'esperienza nullificante dell'essenza del nihil stesso.

La riflessione di Nietzsche ha aperto possibilità di sviluppo per la filosofia; rimane aperta la sua sfida: ha ancora senso porre la domanda di senso?

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2. Heidegger, Jaspers, Welte, Valadier

Nel primo capitolo è stato delineato un percorso all'interno del pensiero di Nietzsche che privilegia alcuni aspetti precisi, i quali consentiranno di esplorare nei prossimi due capitoli alcuni dei temi fondamentali della riflessione novecentesca ispirati e sviluppati dal e, in parallelo, al pensiero nietzscheano. Anche in questo caso è stata ovviamente necessaria una scelta: delle numerose interpretazioni del pensiero di Nietzsche ne sono state privilegiate quattro. Il criterio della scelta è stato in particolare lo sviluppo del pensiero intorno al problema dell'assenza del senso, e della morale dopo la scomparsa dell'unico riferimento trascendente. Anche all'interno degli stessi autori, ovviamente, non sarà possibile una trattazione completa del loro pensiero, ma ci atterremo a specifici testi e passi atti a delineare quello che dell'interpretazione è funzionale a descrivere il tema del presente lavoro, e dunque a porre le fondamenta per la successiva trattazione, presentata per nuclei di pensiero, nel terzo capitolo, in cui gli stessi autori saranno messi in dialogo, nel tentativo di descrivere come la filosofia abbia risposto agli interrogativi posti dalla sfida di Nietzsche al pensiero. È dunque rilevante cercare in Heidegger quei temi che sono inevitabile terreno di confronto per la riflessione a lui contemporanea e successiva: l'impianto metafisico-ontologico, l'ateismo di Nietzsche, e la possibilità di oltrepassare il nichilismo nella morale.

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