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Andrea Lassandari 

Grazie molte dell’invito.

Mi fa molto piacere partecipare a questa iniziativa, che è anche celebrativa di un esito per nulla scontato.

Devo dire che analizzando la sentenza – e questo è un punto di vista senz’altro personale – sono incline a vedere più i lati positivi che quelli critici e negativi, pure presenti e consistenti, come è stato da molti sottolineato. Ritengo an- che – ma questa è una valutazione politica, certo opinabile – che l’esito rappresenti probabilmente il massimo ottenibile, nel momento e contesto storico.

Vedo comunque tre profili, nella pronuncia, che a me piac- ciono particolarmente: sono a loro volta già stati indicati e quindi non dico cose nuove. Mi limito a sottolinearne il ri- lievo.

Il primo si lega alle precisazioni ed argomentazioni sul «principio giuslavoristico». Ne parlava innanzitutto Pallante. La sentenza infatti attribuisce rilievo a valori, principi ed ar- ticoli della Costituzione pressoché dimenticati. La ripresa del contatto, del dialogo con i principi fondamentali della Costi- tuzione – oltre che auspicabilmente gravida di effetti sugli indirizzi interpretativi non solo della Corte costituzionale ma anche dei giudici, per quel che verrà – costituisce un fatto

Professore ordinario di Diritto del lavoro presso l’Università di Bo-

nuovo molto rilevante. In questo momento storico e conte- sto politico, si ripete.

Io ritengo che due elementi soprattutto caratterizzino e distinguano la nostra Costituzione, rispetto alle altre dei paesi occidentali che fecero proprio il modello dello Stato sociale: il principio denominato «lavoristico» appunto, rispetto a cui furono ispiratrici le vicende di Weimar e forse più ancora della Costituzione repubblicana pre-franchista spagnola. I- noltre l’antifascismo, che pure vorrei ricordare.

Ci furono dibattiti molto rilevanti sul «principio lavori- stico» negli anni cinquanta. In effetti quella di Mortati non rappresentava la presa di posizione più radicale, come noto: perché Natoli proponeva una interpretazione dell’articolo 1 della Costituzione in collegamento con l’articolo 3. Soste- nendo quindi che la Repubblica fosse fondata sull’apporto dei «lavoratori» più deboli e bisognosi di emancipazione: i prestatori subordinati ma anche tanti altri operanti con con- tratti associativi nel settore primario, allora ancora netta- mente preponderante.

Però ricordo che anche l’impostazione di Mortati è rivolu- zionaria. Perché l’idea che al centro del sistema giuridico e di valori si collochi il lavoro – ed il reddito in tal modo generato – realizza una nettissima soluzione di continuità rispetto al ruolo della rendita e del patrimonio, di fatto dominanti nei secoli (e millenni) precedenti.

Il punto è che oggi proprio la rendita ed il patrimonio sono ritornati al centro del sistema economico: basti leggere al riguardo Piketty. Il che individua in maniera del tutto chiara la distanza nel frattempo creatasi tra Costituzione formale e materiale, potrebbe dirsi: e spiega pure i ripetuti tentativi di adeguare la prima alla seconda, fortunatamente per ora non andati a buon fine.

La Corte però nella pronuncia (ri)propone proprio un col- legamento con il punto di vista apparentemente negletto ed abbandonato: anche se la prospettiva in tal modo individuata deve essere evidentemente rafforzata; il terreno in cui il seme

è stato dalla Corte (di nuovo) gettato deve essere senz’altro reso fertile.

Quest’ultimo è un aspetto su cui la CGIL stessa non può evidentemente esimersi dall’intervenire.

Ricordo peraltro che la sentenza giunge ad esito di un per- corso, articolato e complesso, di reazione (anche) al Jobs Act, preordinato ed organizzato proprio dalla CGIL: il quale pre- vedeva un intervento in sede contrattuale; in sede giurisdi- zionale, attraverso istanze di illegittimità costituzionale; in sede ancora di riforma legislativa, anche mediante ricorso a referendum abrogativi.

C’è stata innanzitutto allora l’elaborazione della «Carta dei diritti universali del lavoro», testo discusso e discutibile nei contenuti: cui tuttavia si deve una dinamica complessiva molto importante ed interessante. A proposito appunto di come provare a rendere fertile un terreno abbandonato.

Parlo della diffusione e discussione di quel testo, indub- biamente portatore di una modalità molto diversa di inten- dere oggi il lavoro e la tutela dei prestatori, attraverso migliaia di assemblee con gli associati alla CGIL ed i lavoratori. Quin- di della raccolta di firme che ha accompagnato la presenta- zione del disegno di legge di iniziativa popolare così come i referendum: su questi emergendo un primo confronto, in tal caso piuttosto traumatico, come noto, con la Corte costitu- zionale, a proposito della ammissibilità del quesito sui licen- ziamenti.

Oggi la Corte accoglie invece una parte non insignificante dei rilievi di illegittimità costituzionale prospettati con ri- corso giurisdizionale patrocinato e sostenuto sempre dalla CGIL. Ma nel fare questo è come se la Corte si affidasse appunto alla società civile ed ai soggetti qui presenti, tra i più importanti dei quali si colloca senz’altro la CGIL, perché il messaggio ed il segnale inviati non restino senza seguito. In un contesto che era e resta nel complesso difficile ed ostile.

confederazione: e questa potrebbe essere la sede giusta pro- prio per provare ad affrontare il grande tema di una nuova prospettiva concernente il lavoro. Della critica e possibil- mente del superamento di una egemonia culturale e politica che ha nel frattempo del tutto ridimensionato il valore ed il rilievo del lavoro.

Poi c’è un altro aspetto della sentenza che a me sembra di notevolissimo significato. Marco Barbieri ha prima escluso che oggi sia stata ripristinata una adeguata «deterrenza» per le grandi imprese. Forse su questo ha ragione: ricordando però come per la grandissima impresa probabilmente la «de- terrenza» non ci sia mai stata. Neanche in presenza dell’or- dine di reintegrazione nel posto di lavoro, considerata la prassi storica di adempiere all’obbligo di corrispondere la re- tribuzione ma non di reintegrare. Fiat docet.

Per le altre imprese però io penso che la sentenza della Corte faccia invece riemergere un sistema accettabile di de- terrenza, a fronte di licenziamenti contra legem. Perché la som- ma da versare per le imprese non è più prevedibile e non è neanche modestissima.

Con effetti non solo sul rispetto delle norme concernenti il licenziamento ma dell’insieme delle previsioni costituenti il diritto del lavoro. Perché quest’ultimo dopo il Jobs Act se- condo me aveva perso corpo, non c’era più. Una serie vasta o vastissima di disposizioni, che non erano però più concre- tamente applicate: o rischiavano sempre più seriamente di non esserlo. Considerato che il timore di perdere il lavoro, in questo momento storico ma non solo, la fa da padrone.

Oggi invece secondo me la situazione cambia in termini significativi.

Infine il terzo elemento della pronuncia che mi piace va- lorizzare è quello della apertura rispetto alla dimensione in- ternazionale. Altro profilo potenzialmente molto significa- tivo, perché davvero sono molte le norme che potrebbero essere considerate in un ragionamento che guardi in modo sistematico ed attento in questa direzione. Quelle contenute

nella Carta sociale ed in precedenza già ricordate. Ma si pensi anche alle Convenzioni OIL ratificate – che spesso non sono conosciute nel dettaglio: ben oltre i famosi «core labour stan- dards» quindi – e che potrebbero risultare utili in tante dire- zioni, una vera e propria miniera di disposizioni fino ad oggi per lo più trascurate.

Si pensi al ragionamento sulla reintegrazione: che potreb- be essere reimpostato, rafforzando quanto già oggi forse in- dividuabile nelle pronunce della stessa Corte costituzionale, come hanno spiegato prima di me. Anche se si tratta in tal caso di un percorso non certo semplice. Ma anche ad es. alla Convenzione OIL sulla discriminazione, dove si fa riferi- mento a fattori ulteriori rispetto a quelli individuati dalla legge nel nostro ordinamento.

Ebbene se tutta la normativa internazionale assume rilievo di norma interposta, sui presupposti precisati ora dalla Corte costituzionale (con il tema fondamentale, secondo me al mo- mento «chiuso» in modo sin troppo frettoloso ed apodittico innanzitutto dalla Corte di Giustizia, di cosa significhi hard

law per il diritto dell’Unione europea), possono emergere svi-

luppi tanto fecondi quanto interessanti. Ciò rendendo l’ap- porto di Giovanni Orlandini, tra i massimi conoscitori in Ita- lia di tali aspetti, importantissimo per la CGIL.

I punti deboli della sentenza, sull’altro versante, sono stati indicati con molta puntualità: su tali critiche non potendosi non convenire. Si tratta – badate bene – di aspetti tutt’altro che marginali ed irrilevanti: perché anche quelle affermazioni possono essere gravide di significati, questa volta negativi.

Dal ragionamento sulla legittimità di norme che seguono una all’altra nel tempo: quando nel caso che ci interessa le previsioni differenti invece convivono nel tempo. Alla stessa ragionevolezza autodimostrata della regolamentazione con- siderata.

Segnalo anche le osservazioni molto curiose a proposito dei dirigenti, su cui pure si soffermava stamattina Pallante: perché è vero che per i dirigenti ci sono sempre state norme

diverse; queste però erano disposizioni che sfavorivano – e non, come nel caso sempre analizzato, favoriscono – i diri- genti.

Qui abbiamo punti sicuramente molto discutibili della pronuncia.

Formulo due osservazioni finali su altre rilevanti questioni pure affrontate.

Il danno provocato al lavoratore dal licenziamento illegit- timo, secondo il punto di vista accolto sempre dalla Corte, come si quantifica?

Non sono così convinto di quanto sostenuto, per esempio, da Valerio Speziale, sul fatto che corrispondere il minimo di sei mensilità costituisca ipotesi residuale: comunque forse ciò potrà avvenire di fatto; non credo necessariamente in diritto. Allo stesso modo vedo alcuni limiti nella tesi sostenuta da Stefano Giubboni: per cui le somme già risultanti secondo la regolamentazione oggi dichiarata illegittima, emergenti gra- zie al meccanismo prefigurato di connessione esclusiva con l’anzianità di servizio, debbano essere mantenute nel minimo anche oggi. Anche perché, impostando in tal modo la que- stione, potrebbe restare ferma per il datore la convenienza a licenziare sempre e comunque il lavoratore più giovane: cosa che personalmente giudico in termini negativi.

Invece forse il ragionamento da sviluppare, in linea con quanto sostenuto da Marco Barbieri, concerne la funzione che il risarcimento svolge, anche alla luce delle norme indi- cate. C’è una funzione ripristinatoria, satisfattoria del risarci- mento. Accanto ad essa potrebbe però assumere rilievo pure la funzione sanzionatoria – si tratta di una problematica complessa, dal punto di vista civilistico. Anche perché le norme di riferimento spesso non hanno a che fare solo con il primo aspetto: si pensi ad es. alla considerazione, tra i cri- teri ritenuti rilevanti, del «comportamento delle parti».

Un ultimo rilievo. Tra le tante norme che restano forte- mente sospette di illegittimità costituzionale, nel d.lgs. n.

23/2015, c’è quella (art. 4) che continua a stabilire una san- zione davvero risibile, in caso di licenziamento, a fronte di violazioni formali. Mi chiedo se ciò non possa oggi – in par- ticolare dopo la sentenza della Corte – rendere forte e con- creta, per il datore, quella tentazione di cui si parla per la ve- rità dal 2012, in relazione alle modificazioni già introdotte dalla Riforma Fornero. La tentazione cioè di non motivare affatto (o il meno possibile) al momento del licenziamento, nell’obiettivo di corrispondere appunto i soli irrisori importi stabiliti per violazioni formali.

Certo in tal modo il datore assume anche dei rischi, con- siderata la spregiudicatezza della strategia. Però è talmente grande la differenza tra regimi sanzionatori che mi chiedo se non ci sia un pericolo del genere.

A dimostrazione del fatto che la via per rendere comples- sivamente ragionevole ed adeguata, sul piano della legittimità costituzionale ma anche della semplice opportunità, la nor- mativa sui licenziamenti sia comunque ancora molto lunga.