2) Adam: polvere assetata d’anima
2.3. a) L’anima nel mito adamitico: alcune immagini e questioni
L’espressione nefesh hajjah è solitamente resa con ‘anima vivente’. Avevamo letto:
“E (Adonai) Elohim formò l’Adam, polvere del terreno, e soffiò nel le sue narici un respiro di vita (hajjim) e Adam divenne anima (nefesh) vivente (hajjah)”.Impossibile e inadatto a queste pa-
gine un trattat o sul concetto di anima
nel mondo ebraico. Ci limitiamo a
qualche sottolineatura, potendo facil-
mente rimandare ad una bibliografia re-
cente e accurata.
Abbiamo visto come il mosaico di
Monreale renda in immagine questa ad-
ora-tio, questo bocca-a-bocca, infusio-
ne del respiro, respiro nel respiro:
(ri)animazione.
Ascoltiamo ora il senso nascosto nei
termini ebraici. Torna due volte l’espres -
sione ‘vivente’, il termine vita,
, haj.
Un termine denso, come la maggior par-
te dei sostantivi ebraici, che ha innanzi-
tutto un significato, potremmo dire, in-
sieme di esclamazione e impegno, offer-
ta e giuramento. Compare infatti in
espressioni del tipo: ‘per la mia vita!’
‘com’è vero che vivo!’, ‘com’è vero che
Dio vive’, ecc. La vita, dunque, come
prezioso dono/promessa di se stessi.
Poi, haj ha il significato di albero del-
la vita, insieme delle relazioni e dei lega-
mi di parentela; esistenza come intreccio
di rapporti. E, infine, significa l’essere in
vita, il vivere; e dunque anche la lun-
ghezza, la durata, l’estensione della vita.
Tra i testi segnalati nella bibliografiaa fine capitolo,ci siamo avvalsi in particolare di M. Nicolaci, Per-
corsi biblici dell’anima e G. Ravasi, Breve storia dell’anima [a loro volta debitori di D. Lys, autore di
tre monografie fondamentali sull’antropologia della Scrittura (di cui una proprio sulla nefesh, un’altra sulla ruah e una sul basar); cfr. in particolare
Nephèsh. Histoire de l’âme dans la révelation d’I- srael au sein des religions proche-orientales]. Per
un approfondimento cfr. anche J.Y. Lacoste, Dizio-
nario critico di teologia (voce: Anima/cuore);
H.W.Wolff, Antropologia dell’Antico Testamento; C. Frevel - O.Wishmeyer, Che cos’è l’uomo. Pro-
spettive dell’Antico e del Nuovo Testamento; C. We-
stermann, Nefesh/anima, in E. Jenni - C. Wester- mann, Dizionario teologico dell’Antico testamento
(II); E. Jacob, Psyche, in Grande lessico del Nuovo Testamento; H. Seebass, Nefesh, in Grande lessico dell’Antico Testamento.
Nel passo che stiamo analizzan-
do, questa vita è prima il respiro (ni-
shmat) di Adonai Elohim, là dove
questo termine molto ‘corporeo’ ri-
manda non solo al respirare o al sof-
fiare, ma persino all’ansimare. In se-
conda battuta, poi, questo ‘ansimare
della Vita’ anima Adam, rendendolo
nefesh hajjah: anima vivente. Diffici-
le per noi, figli del dualismo platoni-
co e poi del dualismo cartesiano,
comprendere questa espressione. Il
linguaggio ‘sintetico’ ebraico pare
divertirsi, condensando nel termine
nefesh (
) un prisma, “un arco-
baleno” di significati [M. Nicolaci pp.
173 sgg.; G. Ravasi pp. 77 sgg. ], non
tutti percepibili nel greco psyche e nel
latino anima.
1) Un significato quasi fisico: la
gola. Torna in mente di nuovo la
‘bocca’ dell’Adam di Monreale; per-
ché l’uomo/terroso è innanzitutto un
uomo fragile e bisognoso. In Gere-
mia 31, 25 leggiamo: “poiché risto-
rerò chi è stanco (l’anima/bocca stan-
ca) e sazierò coloro che languono
(ogni anima/bocca languente)”. I no-
stri primi bisogni, i bisogni del bam-
bino sono quelli che passano per la
bocca/gola: la fame, la sete, il seno
di una madre. E, prima ancora, il re-
spirare: non a caso un solo organo
per tutte le necessità primordiali.
Nell’esperienza originariamente
poetica (stereometrica, prismatica)
del linguaggio semitico, qui nefesh è
Per pensiero o linguaggio stereometrico(da ‘stereos’ = solido; metron = misura) si intende l’idea di fondo di un’unità ‘solida’, geometrico-sintetica del tutto e della parte. H.W. Wolff, Antropologia dell'Antico Testamento, pp. 16 sgg. ha diffuso l’espressione “pensiero sintetico- stereometrico” per indicare il pensiero ebraico, contrap- ponendolo al modo di ragionare analitico, tipico dell’oc- cidente. Si tratta di una caratteristica generale del pensiero dei popoli “cosiddetti primitivi”, che consiste nel perce- pire e pensare le cose come un ‘tutto’, un insieme rela- zionale inscindibile: visione concreta ma non necessaria- mente fisiologico/materialistica, anzi, paradossalmente decisamente simbolica (da sym-ballo: tenere insieme). Così “nella descrizione di una cosa o di una fattispecie, il giudeo ama accostare parole affini, non del tutto iden- tiche nel loro significato” [A. Deissler, L’uomo secondo
la Bibbia, p. 17]. Ma così può accadere anche che una
parte del corpo vada a significare immediatamente tutto l’uomo.
Da qui quella che per noi è una visione ‘strana’ della com- posizione del corpo, una visione che, in parte, ritroveremo anche quando parleremo dell’uomo omerico. Come fa no- tare H.W. Wolff, cuore, anima, carne, spirito, orecchio, bocca, mano e braccio, spesso sono elementi interscam- biabili tra loro. L’uomo è un tutto e questa stereometria considera come spazio di vita unitario il suo corpo e le sue azioni. Quindi l’uomo è il cuore che pensa; è l’orec- chio che ascolta; è il piede che cammina. Pensiamo a Pr 18,15: “Un cuore ragionevole acquista conoscenza e l' orecchio dei saggi cerca conoscenza” e, ancora più chia- ramente a Is 52,7: “Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di gioia!”. Evidentemente non sono belli i piedi, ma il messaggero, e anzi il messaggio...
Ora: questo vale in generale per la visione dell’uomo ebraico e per il linguaggio della Bibbia. Come vedremo, riguarda quindi anche la nefesh.
(ci sia concesso il paragone con la poesia) una sineddoche, parte per il tutto. Ma, fa-
cilmente, in metonimia, ‘gola’ va a significare anche ‘collo’: interno/ esterno senza
dualità.
E qui l’esperienza dei bisogni diventa anche esperienza di paura, possibilità di per-
dere la vita. Pensiamo a Giona 2, 6: “l’acqua mi saliva fino al collo”; ma pensiamo fa-
cilmente a chi taglia la gola, per tagliare la vita.
2) Dunque questa nefesh dai/dei bisogni vitali, oltre che un luogo fisico/biologico,
va ad indicare il luogo del desiderio: desiderare acqua e cibo, abbiamo visto. Cercare
soddisfazione dei bisogni. Aspirare al possesso. Bramare. Un desiderare mai pago: per
l’insaziabilità del desiderante, ma anche per l’eccedenza del desiderato. Il titolo di questo
paragrafo è non a caso: “un desiderio che tira l’anima come un lenzuolo, all’infinito”. È
una citazione dal film Nostalghia di Tarkovskij su cui torneremo. Notiamo sin da ora co-
me questa espressione possa esprimere molto bene la nefesh. Non è un caso se la Sacra
Scrittura ebraica collega la nefesh al desiderio/sete di Dio: il divino come acqua che sazia
la nefesh (Sal 42). E, ancora, nell’esplicazione delle Dieci Parole (Dt, 6, 5): “amerai il
Signore, tuo Dio, (...) con tutta la tua nefesh”. E il desiderare/sentire, qui, ha già i contorni
dell’amare, la sfumatura della brama d’amore. Ecco allora l’allargarsi del cerchio.
3) La nefesh come ‘animo’, come mood (direbbero gli inglesi), come Stimmung (di-
rebbero i tedeschi). Come il luogo del sentire e insieme tutte le sfumature di questi sen-
timenti. La nefesh può provare amore (cfr. anche Ct 1,7; 3,1-4), ma anche odio (1Sam 5,
8); può provare sofferenza (Gb 19, 2; Ger 13,17) e gioia (Sal 35,9). Prova, perché sente
e conosce. Sperimenta: nel senso dell’experior, del
passare attraverso. Il sentire non è altro dalla vita
ma è l’esperienza ‘vissuta’. Molto chiaro, questo, in
Es 23, 9: “non opprimerai il forestiero: anche voi
conoscete la nefesh del forestiero, perché siete stati
forestieri in terra d’Egitto”. Com’è noto, conosce-
re/sentire/amare sono un unico evento nel linguag-
gio semitico. Decisivo, in questo senso, ricordare
che anche Adonai Elohim è/ha nefesh (amante).
4) In qualche maniera, dunque, anche il termi-
ne nefesh indica la ‘vita’, con una serie di sfuma-
ture di significato stereometrico, ancora in sined-
doche. Innanzitutto (in collegamento con il primo
elemento ‘fisico’ già visto) nefesh è il ‘fiato’. E
qui di nuovo ci torna in mente il mosaico di Mon-
reale (ma anche M. Chagall). Perché in questo li-
vello fisico/vitale non c’è alcuna differenza tra uomo e animale: entrambi sono ‘essere
viventi’, hanno un’anima/nefesh che li rende vivi; hanno dei bisogni vitali che devono
soddisfare, altrimenti muoiono. Su questo potremmo trovare una certa somiglianza an-
che con il De anima di Aristotele; ci torneremo. Ma c’è anche altro che accomuna i vi-
venti, oltre la terra, il fiato, i bisogni biologici: è il sangue. Dunque nefesh come san-
gue [Dt 12, 23]; e sangue come vita (versare sangue, versare l’anima, versare la vita).
Da qui il divieto di mangiare la carne con il sangue [Gn 9, 4], perché “la nefesh della
carne è nel sangue” [Lv 17, 11].
5) Ma in numerosi contesti nefesh non è accomunante (uomo/animale), bensì indi-
vidualizzante. Va ad essere sinonimo di ‘uomo’, ‘uomini’, persone in diversi stati,
schiavitù, bisogno, ecc. [per es. Gn 12,5; 36,6; 46,15; Lv, 22, 11; 24,17-18; Nu 31,19];
oppure è sinonomo di singolarità, individualità, anche con valore pronominale e/o ri-
flessivo [per es. Gn 27,4; Es 12,16; Lv, 7, 18; 20; 27; Nu 30,14]. In questi e altri casi
diventa evidente che l’uomo non solo ha nefesh, ma è nefesh; e, nell’uso plurale, che
gli uomini non solo hanno nefashot, ma sono nefashot [Gn 12,5; Lv 18, 29; Ger 43,6;];
questo, come fanno notare molti esegeti, rende comprensibili contesti in cui nefesh si-
gnifica ‘cadavere’, ‘corpo morto’: non vita, dunque, ma uomo (morto) [cfr. Nm 5,2;
6,6; 6,11]. Perciò è importante che la nefesh di Adam sia e diventi ‘vivente’ (hajjah).
Che cos’è, allora la nefesh e, soprattutto, per quello che ci interessa in questo con-
testo, che rapporto ha con Adam e con l’adamah?
Come anticipato, il pensiero semitico è sintetico, stereometrico e non dualistico.
Possiamo rendere nefesh con ‘anima’ se vogliamo; ma sempre avendo la consapevo-
lezza che non stiamo parlando di un secondo elemento (essere, principio), che si ag-
giunge all’Adam/terroso, alla corporeità. Come era stato fatto notare già da D. Lys, è
una caratteristica non solo dell’antropologia (e della lingua) ebraica, ma anche degli
altri popoli del vicino oriente, avere una concezione unitaria, monistica, psico-fisica
dell’uomo. Tutto il corpo (e ogni suo organo) è ciò che fa: quindi le funzioni vitali, de-
siderative, volitive, cognitive, spirituali non sono separabili, perché partono dall’unità
che è ‘adam’: un’unità di forze vitali. Per dirla con W. Mork [Linee di antropologia
biblica, pp. 28 sgg.]: l’anima/nefesh non è in una singola parte del corpo (organo de-
putato alla conservazione della vita); né si serve delle varie parti del corpo umano (ma-
ni, occhi, bocca, ecc.) per saziarsi, difendersi, desiderare, provare sentimenti, ...per vi-
vere. Ma la nefesh è ‘in quel momento’ la mano, l’occhio, la bocca; è il prendere, il
vedere, il mangiare, il desiderare, l’amare. È istante per istante il vivere. È esperienza
vissuta (Erlebnis), direbbe la fenomenologia. È l’intera natura umana, spiega E. Jacob
[Psyche, p. 1223]; non ciò che l’uomo ha, ma ciò che l’uomo è. Perché, quando parlo,
la mia bocca è atto di tutto l’essere. Quando mangio, è tutto il mio essere che mangia.
Quando soffro, quando gioisco, quando amo, quando penso: è tutto il mio essere che
agisce e vive. E perciò l’uomo, in ogni sua parte e arte, è nefesh. Come un “lenzuolo”
unico, di cui, di volta in volta mi trovo a ‘tirare’
un lembo, tirando per ciò stesso, anche senza ac-
corgermene, il tutto della mia vita.
E perciò... Adam è un corpo animato. Non si
dà nefesh che nella terrestrità del corpo. La nefesh
è la potenza vitaledel corpo. E il corpo è il luogo
della realizzazione concreta della nefesh.
Il che non significa, come è stato fatto acuta-
mente notare, che tra il corpo (basar) e la nefesh
non si dia dualità (dualità e non dualismo).
La terra non è anima e viceversa. Esse sono
due fuochi di un’ellisse, che si ‘dicono’ “non in funzione antitetica, ma sintetica: per
dire la totalità e, insieme, una forma di dualità antropologica” [M. Nicolaci, p. 177].
Sottolineare questo è importante per lo meno per due ragioni:
1) perché consente di ricordare contemporaneamente la vicinanza del pensiero antro-
pologico ebraico alle culture coeve pre-filosofiche, pre-dualistiche, pre-concettuali;
2) ma contemporaneamente consente di indicare la distanza del mito adamitico rispet-
to a quelli delle altre culture orientali, una distanza data dalla ‘differenza’ radicale
che l’unità psico-fisica chiamata ‘uomo’ assume
sia rispetto alla dimensione orizzontale (rapporto
con gli altri esseri viventi e con il mondo) sia ri-
spetto alla dimensione verticale (rapporto con il
Principio creatore).
Se ci fermassimo all’espressione nefesh
hajjah in sé, la conclusione sarebbe che non vi è
alcuna differenza tra Adam e gli animali. E, infat-
ti, dal punto di vista della mera vita, la differenza
non c’è. Anche gli animali sono nefesh hajjah
[cfr. Gn 1, 20]. La differenza non è nell’anima
(come voleva una certa interpretazione e tradizio-
ne platonico/patristica), ma è nel modo di darsi e
porsi di questa nefesh.
Qui la teologia del mosaico di Monreale ci
viene in aiuto, facendoci incrociare la tradizione
sacerdotale con quella jahvista e costringendoci a
M. Chagall, Creazione dell’uomo, 1956-’58
Cfr. M. Nicolaci, pp. 171 sgg.: si tratta di una ‘potenza vitale’ che è presente in tutto l’essere; e proprio per questo può trovarsi, di volta in volta, nella gola, nel- la bocca, nel collo, ecc.: ma in realtà è sempre, tutta, ovunque. Le differenze e le antitesi, nella stereometria, non si scompongono, ma si tengono in unità, pur rimanendo distinte. Cfr. D. Lys, p. 122: “al punto di partenza, la radice e l’e- timologia orientano nefesh in una dire- zione che è l’opposto di ogni dualismo: si tratta della vita del corpo”.
mettere insieme Gn 2, 7 [“allora Adonai
Elohim plasmò l’uomo con polvere del suolo
e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uo-
mo divenne un essere vivente”] con Gn 1, 26-
27 [“Elohim disse: ‘Facciamo l’uomo a nostra
immagine, secondo la nostra somiglianza’
(...). Ed Elohim creò l’uomo a sua immagine;
a immagine di Elohim lo creò: maschio e fem-
mina li creò”].
Già il mosaico di San Marco a Venezia ci
aveva offerto (attraverso le immagini) un’in-
dicazione: tutti gli altri esseri sono creati a di-
stanza da Dio, solo per l’uomo il Creatore si
sporca le mani: e crea il pupazzo di fango con
le proprie dita. E poi gli regala la vita/anima
offrendogliela, Lui, in persona.
Nel mosaico di Monreale, poi, notavamo
come solo per Adamo Dio scenda nel fango, si
tolga i sandali, si sporchi i piedi, si spogli
dell’altezza regale, per donare a questa creatu-
ra il suo volto (immagine e somiglianza), il suo
essere.
E donandogli il ‘suo’ volto, gli dona l’esse-
re persona (prosopon/volto). Ma è chiaro che
qui non si tratta del dono di un elemento in più
rispetto agli animali, di una psyché disincarna-
ta che si aggiunge alla basar/adamah (corpo/
terra) come un corpo estraneo, come una ‘fun-
zione in più’, che differenzia l’uomo dagli altri
esseri viventi. La nefesh non è la psyche né
tanto meno il logos greco. E non è per questa
‘vita’ che l’uomo è uomo. Adam assume la sua
posizione di ‘altro’ rispetto alla terrada cui pur
è stato tratto e di ‘altro’ rispetto agli animali
con cui pur è stato creato (e con cui pur condi-
vide terrestrità, sangue e nefesh), solo perché
viene creato come l’altro-di-Elohim. Come
Un midrash riprende l’essere-terradi Adam collegandolo all’idea di un altare di terra: se Adam ‘resta’ terra/altare vivrà. “L’uomo fu creato dal luogo della sua espiazione, come sta scritto: “Mi farai un altare di terra” (Es 20,24). Disse il Santo, benedetto egli sia: ‘Ec- co, io lo creo dal luogo della sua espiazione, così forse sussisterà’” (Gen. Rabbah XIV,8), cit. in E. Bianchi, Adamo, dove sei?, p. 163. Un’altra interpretazione rabbinica (cfr. ivi, pp. 164-65) si base invece sulle due versioni di jatzar in Gn 2, 7 (in cui il verbo jatzar è scritto con due jod: wajjitser) e Gn 2, 19 (con una sola jod). “Questo ha dato origine presso i rabbini alla teoria della duplice inclinazione (in ebr. jetser) presente nell’uomo: inclina- zione al bene e al male; ma soprattutto è stato interpretato nel senso di una maggiore inti- mità fra Dio e l’uomo, intimità espressa dal gesto di comunicazione vitale, letto come un bacio. Dio trasmette il soffio vitale che è in lui baciando l’uomo e ormai ogni giusto muore, ridà il proprio soffio vitale a Dio, con un bacio, come sta scritto di Mosè che morì ‘sulla bocca del Signore’ (Dt 34,5)”
specchio del suo volto. Come relazione della Relazio-
ne. Come possibilità di libertà e creazione: immagine
della Libertà del Creatore. Come vita (nefesh) della
Vita (Nefesh).
Qui, la differenza antropologica (che caratterizza
Adam nell’universo ebraico) è incomprensibile senza
la differenza teologica; ed è vero, allora, come sotto-
lineano gli esegeti, che non esiste nel mondo biblico
un’antropologia filosofica, ma solo un’antropologia
teologica. Questo perché per gli Ebrei, come abbiamo
già detto, lo stesso Adonai Elohim è nefesh.
La Patristica e la Scolastica, poi, diranno: l’uomo/persona è immagine di Dio/ perso-
na. L’Antico Testamento diceva: Dio è nefesh che si prende cura di ogni nefesh adam.
Elohim, ogni volta, si toglie i sandali, scende nel fango e pone il suo “respiro di vita”
(Gn 2, 7) nella bocca di ogni Adam (adamah/nefesh). È un dato di fatto biologico che
senza respiro si muore, ma ciò che caratterizza la vita dell’uomo è il soffio di una Vita
altra. Perciò Giobbe (27, 3) potrà dire: non verrò meno “finché ci sarà in me un soffio-
nishmat di vita e l’alito di Dio nelle mie narici”; e ancora: “lo spirito di Dio mi ha creato
e il soffio dell’Onnipotente mi fa vivere” (33,4); “se egli (Dio) richiamasse il suo spirito
a sé e a sé ritraesse il suo soffio, ogni carne morirebbe all’istante e l’uomo ritornerebbe
in polvere” (34,14-15).
Interessante, perché ci ricorda come, nell’antropologia ebraica, l’uomo non sia mai
primo, ma sempre secondo. La vita gli viene data e (come mostra il gesto di Adamo,
in tutte le raffigurazioni che abbiamo visto) a lui spet-
ta innanzitutto (ac)coglierla. Rispondereal dono.
In questo caso è evidente che Adamo risponde al
nome di uomo (rispondenti al nome di uomini): ri-
sponde al suo essere. Risponde innanzitutto perché
‘può’ rispondervi. Non è un caso che due dei più
grandi filosofi che hanno tematizzato la ‘responsabilità’ nel Novecento siano di origini
ebraiche (E. Levinas, H. Jonas).
Adam è il rispondente per eccellenza. Il suo volto è immagine per eccellenza. Im-
magine terrosa, però, mai del tutto preservata dalla distruzione, dalla lacerazione, dal
dissolvimento. “Se nascondi il tuo volto, vengono meno; togli loro il respiro, muoiono
e ritornano nella polvere. Mandi il tuo spirito, sono creati e rinnovi la faccia della ter-
ra”, recita il Salmo 104 (103), vv. 29-30. Anche in questo caso è facile interpretare
questi versetti attraverso l’Adamo di Monreale. Lì è evidente che il “respiro” del Volto
Tappezzeria della creazione, Cattedrale di Gérone
In quest’ottica si possono considera- re i Salmi in cui l’orante dialogacon la propria nefesh: cfr., per es., Sal 116 (114-115), 7: “Ritorna, anima mia, al tuo riposo (alla tua quiete), perché il Signore ti ha beneficato”.