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L’anima nelle piante e negli animali

4. L’approccio alle scienze dello spirito: spirito e anima nell’essere vivente

4.1. L’anima nelle piante e negli animali

Conrad Martius ritiene, come abbiamo visto, che caratteristica essenziale di tutti gli esseri viventi sia il possesso di un’anima entelechiale, una “fonte” dell’essere secondo gradualità e caratteristiche ontologiche differenti: “[…] ogni ente naturale – scrive Conrad Martius – racchiude in sé stesso la fonte del suo essere. […] Dio pone ogni cosa nella sua fonte sostanziale e quindi nella sua fonte nutritiva, costitutiva, nella fonte che la conserva in sé stessa. Egli la crea e la conserva nella sua sostanzialità; ma il creare e il

conservare sono ormai retti in se stessi su fondamenta proprie.”351 La nostra autrice

tuttavia si chiede che cosa contraddistingua l’anima floreale352 delle piante da quella

posseduta dagli animali, da quella infine propria dell’uomo: se tutto ciò che è vivente

possiede un’anima, essa deve avere infinite sfumature353.

L’anima floreale della pianta è quel “centro immanente” alla pianta stessa che le permette di essere quello che è, che la spinge a realizzare nella fenomenicità dei suoi rami e delle sue foglie il proprio essere unico, è il “logos che tira in su, che guida verso la

luce”354: risulta chiaro che l’anima floreale è come una “forza e potenza genuine [che]

350 Ivi, pp. 77-78 351 Ivi, p. 123 352 Ivi, p. 68

353 «PSILANDRO: Avevamo a che fare con la fonte e con la sua essenza. Montano: E con la possibilità della sua differenziazione, con la possibilità di un’ultima differenza qualitativa che si è resa presente in carne ed ossa e che si è resa vivente nella totalità di ciò che è formato. Contro la mescolanza di qualità originarie sempre nuove e in se stesse conchiuse che, in una certa misura, portano in sé e predelineano a priori le corrispondenti messe in forma, sembra parlare qualcosa di essenziale nella natura, ossia le infinite sfumature, ciò che è casuale per la forma di tutte queste apparizioni che si spingono l’un l’altra innanzi e in su con tutte le loro infinite modificazioni. E, d’altra parte, ogni messa in forma porta certo il suo particolare stampo di qualità e fin dentro la sua fonte.» Ivi, p. 122

95 devono già essere in essa, nella pianta, per permetterle di ascendere secondo questa

modalità e per permetterle di manifestarsi alla luce”355. Precisa Conrad Martius:

Il narciso sembra che la guardi “come dal punto di vista di chi ha un’anima”; esso, cioè, le si presenta, per così dire, innanzi a partire da questa sua anima, non è vero? In quel caso il suo intero e peculiare essere si offre a Lei in purezza ed eleganza, sembra essere il “rispecchiamento” o la “proiezione” immediata di un caratteristico centro immanente, per così dire “spirituale”, da cui dunque esso s’

“irradia verso l’esterno”356.

La pianta tuttavia non riesce ad entrare nella profondità della sua anima, del suo essere, non riesce ad entrare nella sua interiorità, nella sua fonte, ma ne rimane sulla superficie: “La fonte è immanente alla pianta, ma essa, la pianta, rimane esteriore rispetto alla fonte; essa viene trasmessa alla pianta e al suo sforzo di messa in forma in modo

passivo.”357 E ancora: “La pianta non ha in sé alcun luogo in cui riesca a possedere in

forma concentrata la sua essenza propria; non ha un centro di interiorizzazione.”358

L’anima entelechiale costituisce il centro e il fondamento della pianta, ma essa ne è del tutto inconsapevole: si limita ad esprimere la propria natura specifica nella corporeità fisica in modo passivo, nell’impossibilità di dominio su di essa, in una sorta di “sonno cadutogli addosso, in questa inconsapevolezza di se stesso, in questo incatenamento

interiore (poiché vi è incapacità di ridestarsi), in questo non essere libero”359. Infatti la

fenomenologa precisa:

Se forziamo la pianta a ricevere un’anima per osservare poi cosa vi sia in essa, la pianta, fondamentalmente, resiste alla ricezione di una vera anima. Non possiamo ancorare autenticamente l’anima all’interno della pianta e giungere così solo a un certo aspetto dell’essere animato, a una pura “anima superficiale”. La

355 Ivi, p. 181 356 Ivi, p. 68 357 Ivi, p. 128 358 Ivi, p. 185 359 Ivi, p. 60

96 pianta, fondamentalmente, oppone resistenza a un’autentica animazione, assai più

del prestarsi a ricevere sensibilità.360

L’animale, al contrario, “vive” immerso nella fonte, vi “abita”, e per questo non solo ne manifesta nella sua corporeità fenomenica le caratteristiche essenziali, ma la vive attivamente, ne è padrone ed è in grado di gestirla e di muoverla autonomamente. Il possesso del proprio corpo è possibile grazie ad un fenomeno che Conrad Martius definisce “retroscendenza”, per la quale l’animale è come “spostato indietro” nel centro della propria anima, collocato nel “essere-Sé”. “L’animale – scrive Conrad Martius nel Das Sein – che muove il proprio corpo, possiede, per la sua natura ontica, una retroscendenza verso il suo corpo”.361 L’animale, per questo motivo, è totalmente immerso e vive incentrato sulla propria natura, ne prende possesso e realizza attivamente la propria fonte. “Nell’animale – scrive ancora Conrad Martius – la fonte non è soltanto immanente, ma alla fonte l’animale è immanente all’animale. […] La fonte ‘abita’ in maniera propria e autonoma nell’animale non solo al modo in cui abita nella pianta, ma è

l’animale in quanto tale ad abitare nella fonte.”362 La differenza tra l’anima floreale della

pianta e quella dell’animale riguarda l’“avere un posto personale” all’interno della fisicità

dell’organismo animale, un luogo e una presenza interiore363: l’anima floreale abita nella

pianta, conducendone teleologicamente le strutture e gli scopi ma, come abbiamo visto, la pianta non “abita” nella sua propria fonte, “l’essere-pianta è la dimensione della

superficialità dell’anima.”364. L’animale al contrario non solo è abitato dalla propria

anima, la cui essenza si manifesta nella corporeità dell’animale, ma esso stesso la abita ed è immanente ad essa: l’anima dell’animale è presente nell’animale e, viceversa, l’animale abita presso, la propria fonte.

360 Ivi, p. 68-69

361 H. Conrad Martius, Das Sein, cit., p. 121. La fenomenologa sottolinea: «Io uso questo termine ‘Retroscendenza’ con il quale indico il retrocedere (lo spostamento indietro) avvenuto dietro la stessa singolarità [Einheit].» Ibidem

362 H. Conrad Martius, Dialoghi metafisici, cit., p. 128

363 «La costituzione della pianta è, per così dire, una costituzione in tutto e assolutamente a strato unico? Poiché essa rappresenta soltanto questa ‘forma’ [Gebilde] vivente che è cresciuta esteriormente? Qui la corporeità non si separa da un’ ‘interiorità’, da un centro personale.» Ivi, p. 61

364 A. Caputo, Fenomenologia dello spirituale in Hedwig Conrad Martius, in Edith Stein Hedwig Conrad Martius, Fenomenologia metafisica scienze, cit., p. 331

97 L’animale si possiede, spadroneggia su di sé e in conseguenza di ciò può compiere azioni proprie; la pianta no. […] Nella pianta la fonte ha di certo un luogo personale, ma non, di converso, che la pianta possa avere un posto personale nella sua fonte; nell’animale, invece, ha avuto luogo quella peculiare apertura che lo lascia “profondare giù” nella profondità propria della sua vita qualificante, facendolo vivere, consentendogli di avere esperienze vissute e di agire al di fuori di essa. […] In ogni caso, mi è ora chiaro che da questa apertura dipendono entrambe queste cose: da una parte, che l’animale può spadroneggiare sul suo corpo e che esso, quindi, supera di gran lunga l’essere formale della pianta, ma che, seconda cosa, proprio da questo aspetto dipende anche la peculiarità dell’essere sprofondato in sé.365

La pianta, “essere-forma”, e l’animale, “essere-azione”366, non differiscono nella

loro tendenza a realizzare la propria natura, ma nella modalità in cui essa viene resa esteriore: nella passività da parte della pianta poiché le manca “la possibilità ontica di dominare l’essere corporeo a partire dall’interiorità”, e nel pieno possesso di sé da parte

dell’animale “autentico soggetto del movimento”367. Malgrado ciò, anche l’animale non

si può dire dotato di un “centro di interiorizzazione”368 tale che esso sia consapevole della

propria anima, comprendendone la sua funzione fondamentale e la sua finalità intrinseca: l’animale vive nella propria natura non per un atto di volontà, ma assecondando l’istinto, come se ne fosse totalmente imprigionato. Il suo essere presso la fonte, lo lega indissolubilmente ad essa, lo “sprofonda” e lo “sommerge” nella sua interiorità, è “una curvatura che esprime un contemporaneo inizio nel possesso di Sé, sebbene incompleto: è quella curvatura che si origina catastroficamente dall’incontro tra forze che spingono

in alto e forze ctoniche che spingono verso il basso.”369

365 Ivi, p. 163 366 Ivi, p. 119 367 Ivi, p. 56-57 368 Ivi, p. 185

369 A. Caputo, Fenomenologia dello spirituale in Hedwig Conrad Martius, in Edith Stein Hedwig Conrad Martius, Fenomenologia metafisica scienze, cit., p. 332 «PSILANDRO: […] L’animale si ‘possiede’,

divenendo in sé libero da sé? Montano: Sì. La pianta si solleva in una certa misura, e noncurante di sé, alla luce e all’automanifestazione. Così vuole il suo logos-guida. L’animale, invece, deve penetrare sempre di più in se stesso, fino alla più remota profondità e abisso, prima che possa esserne tentata una nuova ascesa. Ma un’ascesa, ora, completamente diversa, non più puramente conforme alla messa in forma. […] La discesa nella profondità pone eo ipso un sempre più ampio liberarsi dall’appesantimento e dall’incatenamento al proprio Sé che si è reso corpo vivente, che non viene certo perso o sacrificato; e così

98 PSILANDRO: L’animale attinge nelle sue reazioni e nel suo agire spontaneo dalla fonte che in esso opera, si può dire anche così?

MONTANO: Sicuramente. Ma altrettanto importante, ora, è sottolineare che l’animale, attraverso la sua fonte, è spinto e costretto immediatamente ad azioni determinate. L’animale è come sommerso in questa vita che si estrinseca

attivamente attraverso di esso.370

L’animale, dunque, a differenza della pianta, agisce liberamente e manifesta i propri desideri; la libertà dell’animale nei confronti della propria fonte, testimonianza della sua superiorità nella gradazione ontologica rispetto al mondo vegetale, secondo Conrad Martius, è resa evidente proprio dal movimento: la libertà di movimento di un polipo è radicalmente differente da quella della pianta rampicante, così come il ritrarsi

della mimosa da quello dell’animale che si sente toccato371. Esiste cioè nell’animale una

libertà di agire e di muoversi che la pianta non possiede, poiché il suo muoversi è totalmente passivo, non autonomo, vincolato. Tuttavia l’animale non possiede ancora la coscienza della sua fonte, di questa anima che lo rende ciò che è: “L’animale possiede la sua sensazione puramente corporea [leiblich] e la vita affettiva di tipo psichico [seelich],

ma non possiede questo possesso”372. Esso è “ancora assolutamente alla mercé di quella

fonte”373.

anche un possibile, libero allontanamento da questo Sé. L’animale superiore che sembra abitare nello stesso abisso messo an nudo della vita originaria, ha occhi che non sono più soltanto passivi organi per la luce, ma organi che desiderano immediatamente il sole. Occhi che, propriamente, desiderano soltanto questo sole.» Ivi, p. 186

370 Ivi, p. 129

371 «Paragoniamo realmente il movimento che cerca e tasta intorno del polipo dal movimento che ‘per così dire’ cerca intorno della pianta rampicante, e il movimento che ‘per così dire’ trasalisce della mimosa col movimento che trasalisce di un animale che viene toccato violentemente. Non le sembra evidente, […] quanto noi sentiamo diversamente questi movimenti – per così dire a partire dall’interiorità dell’essere vivente?» Ivi, p. 54

372 H. Conrad Martius, Das Sein, cit., p. 120

373 Ivi, p. 161. «Pensi allo sguardo di un cane. A volte ci sembra come se l’animale che si volge a noi con quello sguardo stesse vicino, considerevolmente vicino, a oltrepassare la soglia che potrebbe rendercelo simile. Che l’oltrepassamento di questa soglia sia nondimeno fondamentalmente impossibile, è cosa che introduce tra esso e noi l’estensione di mondi interi.» Ivi, p. 107

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