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Anna Anni nasce a Marradi, un paese al confine tra la Toscana e la Romagna, il 21 novembre del 1926. Studia presso l’Istututo d’Arte di Porta Romana a Firenze, dove segue i corsi del pittore Giuseppe Lunardi ed entra in contatto con l’incisore Pietro Parigi; tra i suoi compagni di corso ci sono Danilo Donati e Piero Tosi. Nel 1953 esordisce con il regista Orson Welles, disegnando le scene e i costumi della Locandiera di Goldoni e di

Volpone di Johnson, spettacoli andati in scena a Chicago. Dopo questa importante

occasione, l’amico costumista Piero Tosi, le presenta Franco Zeffirelli, che le chiede di disegnare l’attrezzeria per La Cenerentola di Rossini, andata in scena alla Scala nel 1954. Da lì ha inizio un sodalizio artistico che proseguirà per tutta la sua lunga carriera. Successivamente la Anni si trasferisce a Roma ed inizia la convivenza in via Mario dei Fiori con Piero Tosi, Franco Zeffirelli e Mauro Bolognini, in un piccolo appartamento frequentato da personalità quali Paolo Poli, Umberto Tirelli, Walter Chiari, Luicia Bosè, Alfredo Bianchini; seguendo il lavoro di Zeffirelli, ha inoltre modo di conoscere Luchino Visconti. Da questo elenco ben si comprende come gli anni romani siano stati ricchi di stimoli culturali, fondamentali nel percorso di crescita di questa grande artista.234

Nel 1960 firma il suo primo, importante lavoro per il teatro lirico, i costumi per

Alcina di Georg Friedrich Händel, andato in scena al Teatro La Fenice di Venezia con la

regia di Franco Zeffirelli. Dall’intensa collaborazione con il regista fiorentino nascono memorabili produzioni scaligere: Cavalleria rusticana di Mascagni e Pagliacci di Leoncavallo del 1981, Turandot di Puccini del 1983, Don Carlo di Verdi del 1992. All’Arena di Verona partecipa agli allestimenti della Carmen di Bizet nel 1995 e dell’Aida di Verdi nel 2002. Anna Anni ha firmato e contribuito al successo di opere e film dei più grandi registi del Novecento quali Franco Zeffirelli, Mauro Bolognini, Paolo Poli, Beppe Menegatti, Mario Sequi, ottenendo una nomination agli Oscar per i migliori costumi, insieme a Maurizio Millenotti, per il film Otello nel 1987. Le sue creazioni hanno calcato i palcoscenici dei teatri più importanti del mondo, vestendo artisti del calibro di Luciano Pavarotti, Placido Domingo, Maria Callas, Carla Fracci, Rudolf Nurayev, Anna Magnani. Anna Anni muore a Firenze il 2 gennaio 2011.235

234 F. Benedettini, D. Fiorini, Costumi di scena. Anna Anni e l’Officina Cerratelli, Felici Editore, Pisa, 2013,

p. 4.

Nella formazione di Anna Anni, l’amicizia con Piero Tosi costituisce un inizio importante. Come racconta lei stessa, “Piero è stato ben più che un compagno di studi, un vero e proprio maestro nello specifico campo del costume. Seguirlo in biblioteca, durante il suo lavoro di documentazione, per me ha voluto dire apprendere un metodo di lavoro preziosissimo per la mia futura professione di costumista”.236 È così che l’artista capisce la

fondamentale importanza della forma e delle linea e da quel momento i suoi bozzetti non saranno più caratterizzati da solo contorno e assenza di chiaroscuro. 237

La forma è fondamentale per Anna Anni: sbagliare una forma vuol dire creare un costume non corretto, travisare un’epoca, falsarla; è quindi importantissima la fase iniziale dello studio delle fonti, quale la letteratura ma anche le opere d’arte più celebri, le stampe, i ritratti, etc.238 Nella creazione di un figurino l’artista non pone solo attenzione all’insieme,

ma anche ai particolari: dal cappello alla scarpa, dal gioiello all’acconciatura. Si fa carico di un grande lavoro di ricerca per ciascun costume; lo studio si fa minuzioso per ciascun componente dell’abito di scena. Forma e materia sono elementi indissolubili nelle sue creazioni; la scelta del materiale dev’essere adatta alla configurazione del costume. Inoltre, un elemento di primaria importanza per Anna Anni è il colore:239 ciò che distingue il suo

lavoro è la capacità di mettere in scena e modulare l’elemento cromatico del costume sempre in funzione della luce dello spettacolo. Al talento dell’artista si aggiunge la componente pittorica: la costumista, che da giovane avrebbe voluto fare la pittrice, fa tesoro di questa sua vocazione selezionando le tinte e combinandole in modo spettacolare.240 L’attenzione al colore ed al suo rapporto con la luce è massima: dopo aver

realizzato il figurino vengono effettuate numerose prove cromatiche, che poi saranno confrontate tra loro e con il contesto fino a trovare la tonalità migliore. Lo studio condotto su questo elemento è importantissimo; è infatti grazie al colore che l’abito di scena si confronta con la scenografia e può indirizzare la scelta migliore dell’illuminazione. Il

236 P. Fondi, Una conversazione con Anna Anni, in Anna Anni dal segno alla scena, a cura di S. Barlacchi, P.

Fondi, Sillabe, Livorno, 2006, p. 20.

237 Ibidem. 238 Ivi, pp. 34-35. 239 Ivi, p. 35. 240 Ivi, p. 37.

colore e la forma sono per Anna Anni elementi strutturali del costume teatrale, ne costituiscono la presenza scenica.241

Creatività e rigore storico convivono in lei, anche se l’artista non ha “mai pensato, neanche nei lavori più rigorosi, di ricostruire un quadro”. Nella fase di elaborazione di un abito di scena, le fonti iconografiche di partenza subiscono significative variazioni, per cui il costume non si può definire mai veramente filologico.242

Per Anna Anni ogni costume è una scenografia. Realizzare un costume è come lavorare ad un elemento scenografico, anzi ancora più impegnativo secondo la stessa Anni, che può dire di conoscere da vicino le sfaccettature di entrambi gli aspetti, avendo lavorato sia come scenografa che come costumista.243

Anna Anni percorre la sua lunga carriera misurandosi con le più svariate forme di spettacolo: dal palcoscenico, al grande schermo, dalla macchina dell’opera lirica, al balletto, al film in costume. I suoi figurini sono l’atto ideativo di costumi tridimensionali e materici, sapientemente pensati per il corpo dell’interprete.

Nel 1960 Anna Anni disegna i costumi per l’Alcina di Händel, spettacolo realizzato con la regia di Franco Zeffirelli e andato in scena al Teatro La Fenice di Venezia.

Dai figurini (figg. 52-59) e dalle foto di scena emergono chiaramente i riferimenti al costume teatrale dell’epoca barocca. Il costume di Alcina è un manteau, foggia molto utilizzata nel corso del XVII secolo, costituito da un corpetto e da una sopragonna dello stesso tessuto, uniti in un corpo unico, e da una sottogonna prolungata in uno strascico, resa ampia da una struttura sottostante com’era uso nel Seicento e rimboccata talvolta sul retro a creare un effetto drappeggiato che mostra la ricca fodera a contrasto. È realizzato con tessuti dall’effetto cangiante, che riflettono in modo particolare la luce risultando agli occhi dello spettatore molto ricchi e sontuosi (fig. 55). È interamente decorato con nappe e passamanerie applicate in modo da creare motivi decorativi molto eleganti, grandi

paillettes bianche e luminose, come le perle con cui sono realizzati gli orecchini e il

diadema dell’acconciatura. Le braccia sono coperte da una leggera camicia, che trasmette movimento all’insieme (fig. 56) .

241 S. Barlacchi, Appunti di lavoro, in S. Barlacchi, P. Fondi (a cura di), Op. cit., pp. 44-45. 242 P. Fondi, Op. cit., p. 36.

In un figurino in particolare si può osservare un rebato, ovvero un colletto inamidato che nel Seicento veniva cucito al retro dell’abito e sorretto da una struttura in ferro chiamata pickadil, evoluzione delle ampie e strette gorgiere chiuse al collo in uso nel Cinquecento (fig. 57).

La servitù della maga Alcina, tra cui compaiono personaggi con la pelle truccata di scuro con in mano grandi ventagli piumati, è abbigliata con turbanti e costumi che mescolano la foggia orientale ‘alla romana’ (figg. 58-59). Gli stessi attori che indossano elmi con pennacchi, stivali decorati, gonnelli a lambrecchini e mantelli di derivazione classica, presentano anche elementi orientaleggianti quali calzature a punta e ampie braghe strette alla caviglia, o barocchi come parrucche e baffi a punta. Alle corazze dei protagonisti maschili sono applicate passamanerie a rilievo e gioie finte (fig. 60).

La messa in scena riscuote grande successo, anche dal punto di vista costumistico; gli abiti di scena risultano molto ben risolti, grazie ad uno studio approfondito ed accurato sul costume teatrale mitologico del Settecento. Alcina è uno spettacolo ben documentato, ma al contempo anche immaginativo: Franco Zeffirelli realizza delle scenografie stupefacenti e molto chiare, ispirate al Barocco viennese.244