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1983: l’anno del leviatano

Carlos San Juán Victoria

In questo saggio si descrive un anno cruciale, il 1983, quando tutto sembrava procedere senza novità, mentre tutto stava cambiando. Senza gran rumore iniziava il declino del XX secolo messicano governato dalla Rivoluzione e cominciava l’instaurazione di un nuovo ordine globale. Fu un anno diviso tra queste due tensioni, ancora prigioniero del grande fiume aperto dalla Rivoluzione e allo stesso tempo immerso nella riorganizzazione geopolitica delle potenze europee e dell’America del nord, fino ad allora delimitata dal blocco socialista e dall’insalata eterogenea dei paesi decolo- nizzati conosciuti come il “Terzo Mondo”.

Secondo l’interpretazione attualmente dominante si considera che fra il 1970 e il 1983 in Messico entrò in crisi lo stato sorto dalla Rivoluzione, annegato in squilibri economici e negli eccessi populisti, mentre si faceva strada la “società”1. Si trattò, in altre parole, di una trasformazione esclu-

sivamente nazionale. Al contrario, questo saggio pone un ragionevole dubbio: che questo periodo si possa spiegare soltanto tenendo conto delle connessioni molto sottili tra il globale e il nazionale. Proprio lì si verificò una lotta egemonica che non era solo un’“ondata democratica”, ma si trattava anche di dinamiche di potere locale e globale. Così come accadeva in molte nazioni in quello stesso periodo, bussò alla porta messicana una folata di cambiamenti nel potere finanziario e tecnologico su scala globale. Si con- cludeva un lungo periodo neokeynesiano e di differenziazione tra primo, secondo e terzo mondo per far posto a una massiccia riorganizzazione in cui il primo mondo si sarebbe selettivamente inghiottito la differenza. In

1. Questa lettura del passato recente è iniziata nell’economia e a proposito del “populismo” secondo la definizione del teorico globale Rudiger Dornbusch; successivamente passò alla politica, interpretata da un altro teorico globale, Samuel Hungtinton, a partire dalla “terza ondata” democratica contro gli stati “autoritari”. Per il primo caso vedi: Enrique Cárdenas:

La política económica de México, 1950-1994; FCE, Fideicomiso Historia de las Américas-El

Colegio de México, Citttà del Messico, 1996; per il secondo, Daniel Zovatto y J. Jesús Orozco Enríquez: La Reforma Política y Electoral en América Latina, 1978-2007, Instituto de Investigaciones Jurídicas, UNAM-IDEA Internacional, Citttà del Messico, 2008.

questo periodo vi furono in Messico due modalità nazionali di legarsi a questi cambiamenti; una sovrana, l’altra subordinata, una impegnata nella modernizzazione dello stato sorto dalla Rivoluzione messicana e l’altra di- sposta ad accettare esigenze globali e a rompere con lo stato stesso. Come vedremo, entrambe ricorsero, seppur con finalità differenti, a una sorta di leva di Archimede: il legame storico tra lo stato e la società costruito durante il XX secolo, discorsivamente chiamato “l’alleanza con le classi popolari”2.

il codice genetico e le sue difficoltà La Rivoluzione del 1910 favorì trasformazioni sostanziali non solo nei governi ma anche nella comunità statale messicana. La mobilitazione delle classi subalterne e l’espansione delle sue domande modificarono a fondo il profilo dello stato decimononico, costituito dai notabili e dalle loro clientele. Pur mantenendo la tradizione repubblicana, federale e del libera- lismo costituzionale, s’introdusse un forte contenuto popolare nel sistema di comando e di obbedienza, nella costruzione dell’autorità e legittimità, e nella definizione di accordi e coalizioni. Con la Rivoluzione cambiò la forma stato3. Di qui la sua peculiarità maggiore: l’essere sorta da una vasta

mobilitazione popolare ma allo stesso tempo sempre più espropriata dalle nuove élites che non potevano però rompere con essa. Da questo paradosso storico sorse uno stato con molta autonomia ma sostenuto da un’ampia coalizione sociale. Si trattava di un potere sovrano con vaste reti di accordi e di compromessi con numerosi segmenti sociali: alcuni molto visibili di cui lo stato si vantava, come l’alleanza con le classi popolari, altri invisibili ma profondi come le relazioni con i gruppi di potere.

2. Durante questi cambiamenti il Messico fu pioniere di una riorganizzazione mondiale che diede inizio alla crisi dello stato liberale e alla sua riformulazione come stato sociale. Con le modulazioni storiche del caso, non si trattò di un fatto isolato, ma di un cambiamento del mondo.

3. Mi riferisco alla configurazione specifica del “vivere in comune”, vivere nello stato. Non s’intende lo stato come concetto astratto ma come forma storica i cui elementi sostantivi sono la giurisdizione territoriale, l’egemonia, l’immaginario di giustizia e autorità, i patti fra società e potere. In questa comunità statale si inscrivono le regole istituzionali e i governi specifici con le loro differenze. Vedi Rhina Roux, El Príncipe Mexicano: subalternidad, historia

Da questo atto fondante sorsero tre caratteristiche sostanziali dello stato messicano che si logorarono in un susseguirsi di alti e bassi durante tutto il secolo, ma che si mantennero sempre come miti fondatori:

a. la sovranità recuperata sia sul territorio che sulla popolazione e l’in- tegrazione, con margini di autonomia, con il suo grande vicino nel concerto internazionale;

b. un’enorme autonomia nel controllo sociale che portò lo stato a cercare, e a volte raggiungere, una conciliazione tra lo sviluppo capitalista e la ridistribuzione (dalla proprietà della terra, al reddito, ai servizi educa- tivi, alla sanità, fino a canali attivi di promozione sociale) e a dirimere i conflitti senza escludere la repressione selettiva;

c. il monopolio politico basato soprattutto sull’egemonia culturale e la vasta coalizione sociale – senza escludere il dominio puro – dove lo spa- zio pubblico fu regolato da un partito unico e dal presidenzialismo che sottomise gli altri poteri della repubblica, fondato su una visione con- divisa di un presente e di un futuro aperti alla difesa della Rivoluzione.

Il monopolio del potere riposava dunque su una grande coalizione, si trattava di un monopolio egemonico4. Dal suo spazio pubblico, ma non dalla

vasta coalizione di interessi e dalle negoziazioni specifiche, erano esclusi gli imprenditori, la chiesa e le regioni prevalentemente cattoliche, così come le popolazioni indigene che si affacciavano travestite da contadini nella pro- prietà comunale e collettiva (ejidos). Ma negli anni ’60 del secolo XX la barca post-rivoluzionaria cominciò a fare acqua. La sovranità dovette affrontare lo sviluppo di un nuovo ordine mondiale (che si proponeva di affrontare la decolonizzazione vissuta sino ad allora) disposto ad aprire le sovranità e i mercati trincerati nei territori nazionali da “politiche di aggiustamento” per far fronte alla crisi. La seconda caratteristica – l’autonomia del controllo sociale – cominciò a logorarsi a causa di una combinazione esplosiva di conflittualità sociale, sintomo della crisi agraria e degli squilibri causati dal trattamento preferenziale dato ai segmenti più capitalisti e oligarchici nell’era del miracolo messicano. Infine il monopolio politico fu eroso dalla crescente tensione dei principali attori corporativi che sostenevano i governi, dall’influsso di una trasformazione urbana e culturale che aveva ampliato la

4. Mi riferisco agli articoli costituzionali più innovatori, e anche all’azione istituzionale e sociale da essi derivata. Vedi: Nora Hamilton, México, Los límites de la autonomía del Estado

pluralità sociale e politica, e dalla delusione culturale che consumò l’egemo- nia del potere, massificata nel movimento studentesco del ’68, e ripresa poi in diverse forme dagli intellettuali critici, da José Revueltas a Octavio Paz. La barca post-rivoluzionaria faceva acqua e iniziava un periodo di cambiamenti. il gattopardo messicano5

Quando Luis Echeverría y López Portillo, entrambi membri della “ge- nerazione di mezzo secolo” giunsero al potere presidenziale (1970 e 1982), il mondo stava cambiando. Educati nella solidità del potere sovrano dello stato, della stabilità e della crescita, dovettero governare in un mondo dove “todo lo sólido se deshacía en el aire”. Terminava “l’età d’oro del capitalismo”

più o meno territorializzato e iniziava il tempo del capitale fluido globale. Entrambi cercarono di far permanere il regime post-rivoluzionario nel corso agitato delle trasformazioni, cosa che rese i loro governi ancora più contrastanti con Miguel de la Madrid, altro membro, sebbene più giovane, di quella stessa generazione.

Fra il 1970 e il 1982 si tentò di perpetrare il regime rivoluzionario at- traverso una serie di riforme. La stabilità e la crescita di un quarto di secolo (1947-1970) del mondo occidentale si sgretolò con inflazioni, recessioni, abbandono dei cambi fissi di Bretton Woods e in ultimo con la creazione del poderoso cartello terzomondista del petrolio6. All’inizio degli anni ’70

diversi sintomi indicavano che era ormai “imminente una certa equalizza- zione delle relazioni di forza nel sistema mondiale considerato globalmente”, fra il Terzo Mondo detentore di risorse strategiche e di abbondante mano d’opera e il Primo Mondo7. Sembrava terminare una forma di globalizzazio-

ne che aveva conciliato la ricostruzione delle potenze europee, giapponese e l’egemonia nordamericana, e un certo spazio per lo sviluppo economico e sovrano in vari paesi periferici del sistema mondiale.

5. Ovvio riferimento alla saggezza politica riassunta da Lampedusa nella frase “que todo cambie para que todo siga igual”, Giuseppe Tommasi di Lampedusa, El gatopardo, Alianza Editorial, Spagna, 2004.

6. Howsbawn Eric, Historia del Siglo XX, ed. Crítica Grijalbo Mondadori, Buenos Aires, 1998. 7. Arrighi Giovanni, El largo siglo XX, dinero y poder en los orígenes de nuestra época, ed. AKAL, Spagna, 1999, p. 36.

Per una manciata di paesi terzomondisti fu un tempo propizio per consolidare l’industrializzazione e lo stato, fra quelli vi era il Messico. Nei dodici anni di governo, Echeverría e López Portillo cercarono controcorrente di mantenere questo innesto sovrano in una globalità che si trasformava, e si proposero di mantenere la crescita in un mondo ormai in recessione fra il 1977 e il 1981. Vi furono tassi annuali di crescita del 9,2% che dipesero dal petrolio e dal debito estero, invece che da una riforma fiscale capace di rendere sostenibile la crescita8, ma frenata dagli impresari.

L’ampia coalizione sociale formata in questo periodo aveva diversi punti di frizione e di conflitto, ma coincideva nel sostenere lo sviluppo basato sul mercato interno favorendo così la “messicanizzazione” negli investimenti e nelle proprietà delle imprese, nel mantenere l’interlocuzione fra la società organizzata (pluriclassista) e lo stato attraverso il PRI, nel funzionare con regole redistributive e, sebbene con la discrepanza di alcune élites, nel mantenere un amplia promozione sociale, dal basso verso l’alto, per mezzo di un sistema universale di servizi educativi e assistenziali9. Questa è stata

ed è sino a oggi la memoria profonda di “progresso” fra gli abitanti. Le grandi divergenze si ebbero con le esigenze di giustizia sociale e di libertà del movimento studentesco e con i reclami mossi dagli impresari per la libertà del mercato.

Entrambi i governi promossero riforme il cui impatto provocò azio- ni e reazioni diverse all’interno dell’ampia coalizione sociale: a) la gran maggioranza degli impresari e delle classi medie alte erano preoccupate del carattere ridistributivo e terzomondista delle riforme. Si mobilizzaro- no per riorientare l’azione dello stato verso il modello conservatore del

desarrollo estabilizador; b) per le grandi corporazioni subalterne, in primo

luogo quelle operaie, si trattava di un’opportunità, in quanto le riforme si proponevano di ristabilire “l’alleanza con le classi popolari”. Approfittarono per guadagnare in salari, in posizioni in posti di elezione popolare (muni- cipi, governature, congressi locali e federali) e nella crescita di un “settore sociale” con imprese operaie, cooperative e imprese contadine. Fu anche creata una Banca Operaia. Nel 1977, quando si iniziò la riforma politica,

8. Moreno Bird e Ros Bosch, Desarrollo y crecimiento en la economía mexicana, una perspectiva

historíca, FCE, Citttà del Messico, pp. 164-169.

9. Vedi Miguel Basañez, La lucha por la hegemonía en México, 1968-1980, Siglo XXI editores, Messico, 1981.

la principale centrale operaia, la CTM, che diceva di rappresentare più di due milioni di operai, cercò di controllare il PRI esigendo un ritorno ai settori come attori centrali nelle decisioni del partito. Così il settore operaio priísta radicalizzava la “forma stato” per accomodarsi meglio al suo interno; c) molti movimenti operai, contadini e popolari, estesero le loro basi sociali nel Paese per conquistare i diritti consacrati degli esclusi, con una variante fondamentale: proponevano la democrazia sociale nelle loro organizzazioni, di uscire dal controllo corporativo e contrastavano il lato più autoritario e repressivo dello stato e delle corporazioni operaie10.

Queste tensioni interne ed esterne alla coalizione, non si propone- vano di rompere la forma stato ma cercavano di regolarla in loro favore. Si trattava di contraddizioni permesse dentro la stessa barca. Allo stesso tempo sorgevano anche altri attori e conflitti portatori di una mutazione che alla lunga li avrebbe danneggiati: a) la coincidenza fra gli impren- ditori del nord, del centro occidente, poblani e yucatechi, e la Camera di Commercio Americana, preoccupata per una legge che regolava gli investimenti stranieri, proposero la ricerca di una diversa “forma di stato”; b) l’allontanamento con il mondo della cultura dopo il ’68, nonostante i momenti di riavvicinamento con l’apertura democratica di Echeverría, plasmò una rottura con questo mondo egemonico della post-rivoluzione sino a ridurlo a puro autoritarismo lontano dalla democrazia liberale pura emergente nelle potenze anglosassoni; c) il consolidamento di una burocrazia di stato, formata nei suoi apparati finanziari, contro la redi- stribuzione e affine al nuovo cammino globalizzante dettato dalle potenze anglosassoni: aggiustamenti, aperture, accettazione del predominio del capitale trasformato in flusso speculativo; d) le vaste trasformazioni sociali nelle classi medie dove fu imposto il modello di vita e di video politica elettorale nordamericana come unica realtà possibile; e) il consolidamento di un sistema di partiti competitivo che lentamente modificò lo scenario storico “della politica” circoscritto a una classe politica e ai grandi attori corporativi con i loro dissapori e alleanze; la formazione di uno spazio pubblico mediatico dove confluirono idee di sinistra e di destra che “disin-

10. De la Peña, Guillermo: “Sociedad civil y resistencia popular en el México del final del siglo XX”, in Leticia Reyna y Elisa Servín (a cura di), Crisis, Reforma y Revolución-Mèxico

cantarono” il regime post-rivoluzionario e dettero avvio a molte divergenze e allontanamenti dal sistema.

In un’intensa sinergia fra l’“esterno” globale e l’“interno” nazionale, ciò che accadde nel mondo fu tuttavia decisivo. La visione evolutiva che afferma la caduta del regime post-rivoluzionario per morte naturale è fragile, così come l’interpretazione che sostiene che il regime fu leso dalla malattia del “populismo”. In realtà ricevette un colpo decisivo con l’ascesa di Reagan alla presidenza nordamericana nel 1981 e con la nascita del G7 per far fronte a un Terzo Mondo rivale. L’aumento dei tassi d’interesse mondiali, che triplicarono il debito messicano, e la razionalizzazione della domanda petrolifera delle potenze, che fece cadere i prezzi del petrolio, interruppero il corso controcorrente durato 12 anni e avviarono il Paese a una crisi intensa, con fuga di capitali, assenza di crediti, instabilità sociale e politica fino a costringerlo a un cambio di direzione.

All’interno si creò un clima propizio per il prosperare di cambiamenti sociali, politici e culturali, molto diversi nel loro sviluppo. Le trasformazioni più mature, industriali e burocratiche, approfittarono per ottenere posizioni decisive. Alla fine il gruppo del nord guidò tutta la classe imprenditoriale ancora convinta che la rotta giusta fosse uno stato promotore dello sviluppo “verso dentro”. La frazione del ministero delle Finanze della burocrazia sta- tale vinse la successione presidenziale. In ambito culturale, dopo una breve rinascita del nazionalismo rivoluzionario (con la nazionalizzazione bancaria) s’impose una visione liberale a oltranza, estranea al liberalismo storico mes- sicano, che ritornava alla vecchia abitudine di esigere un volto cosmopolita, più esattamente nordamericano, per la repubblica. Nel sistema di partiti e nello spazio pubblico mediatico iniziarono a competere seriamente le idee forti di statalismo con il liberalismo e con una sinistra vacillante fra la sua fede statale e la rottura con essa. Ma in più, e per la prima volta, il sistema di partiti coincideva con un fatto storico: la coalizione sociale che sosteneva il governo non solo iniziava a essere inquieta ma molti dei suoi membri mutavano e cambiavano cammino.

Questa generazione di “mezzo secolo”, nei suoi primi 12 anni, applicò tutte le conoscenze gattopardiste per cercare di conservare la forma stato at- traverso intense riforme. Tuttavia, prima dello scoppiare di un vero tsunami di trasformazioni, finì per accettare che, in certe occasioni, le riforme non garantivano che tutto continuasse uguale. La forma di stato iniziava un cambio sostanziale.

il secondo tentativo, “il cambio di pelle” Il presidente Miguel de la Madrid (1982-1988), politico formato nella facoltà di Giurisprudenza e nell’amministrazione pubblica, credeva nella continuità post-rivoluzionaria. Sembrava un ortodosso, scrisse persino un libro sul diritto costituzionale. Apparteneva alla cosiddetta generazione di “mezzo secolo”, educata nella forza e nell’autonomia giuridica dello stato costituzionale, è stato compagno di banco di Porfirio Muñoz Ledo e di Victor Flores Olea nella facoltà di Giurisprudenza dell’UNAM. Anche il più grande ideologo di quel periodo, Jesús Reyes Heroles – autore della Riforma Politica del 1977 – era di quella stessa generazione, convinta del potere sovrano dello stato sorto dalla Rivoluzione e della sua continuità attraverso un cammino riformista. Una cucciolata di Gattopardi11. Tuttavia

don Miguel de la Madrid era qualcosa di più. Insieme alla sua ortodossia costituzionale, aveva già maturato una buona esperienza nell’area finanziaria dello stato, conosceva e faceva parte delle élites del Banco de Mexico e del ministero delle finanze, e conosceva un po’ il nuovo esperanto, la lingua universale dei monetaristi che attraverso le università nordamericane e le reti delle agenzie internazionali, come la Banca Mondiale e il FMI, attraevano i funzionari dei ministeri delle finanze e delle banche centrali di molti paesi12.

Pertanto, questo statista ortodosso era in realtà un ibrido, uno statalista e allo stesso tempo un sostenitore del mercato. Come direbbe Alessandro Baricco a proposito del tipo umano della globalizzazione: era già adattato a un altro habitat, respirava attraverso le branchie13. Proprio la caratteristi-

ca di un personaggio statalista e al tempo stesso globale, membro di una generazione che riformava per continuare, segnò profondamente il modo in cui finalmente la porta messicana si aprì alla ristrutturazione globale.

Di qui il suo peculiare insediamento presidenziale. Le sue prime parole alla repubblica messicana allo stesso tempo furono un atto di fede nella Rivoluzione e smantellamento della sua politica popolare; affermazione del

11. Riferimento a Reyes Heroles, Jesús, Pólitica, Obras Completas, Asociación de Estudios Históricos y Políticos Jesús Reyes Heroles-SEP-FCE, Citttà del Messico, 1995, vol. 1. 12. La storia messicana di questo processo globale si può consultare in Sarah Babb, Proyecto

México, los economistas del nacionalismo al neoliberalismo, FCE, Citttà del Messico, 2003,

in particolare il capitolo VII, “El neoliberalismo y el ascenso de los nuevos tecnócratas”, pp. 239-277.

13. Alessandro Baricco, Los bárbaros, ensayo sobre las mutaciones, Editorial Anagrama, España, 2006, p. 13.

nazionalismo e priorità del pagamento del debito. Insisteva nella rettoria dello stato nell’economia ma fomentava solo imprese private. Annunciò un programma di governo in dieci punti, il primo dei quali annullava di fatto, come poi si dimostrò, ogni compromesso con la sovranità, il benessere e la crescita14:

Riduzione dell’aumento della spesa pubblica. Proporrò un bilancio austero con misure adeguate alle risorse finanziarie disponibili, che preservi i servizi pubblici al livello indispensabile, mantenga la priorità necessaria ai programmi di funzionamento e di investimento prioritari, compia i pagamenti dei debiti contratti e contenga la spesa corrente per aumentare il risparmio pubblico15.

Tutto sembrava lo stesso ma tutto cominciava a cambiare. Don Miguel, il Gattopardo alla rovescia.

La dichiarazione di intenzioni con il FMI fu resa pubblica il 10 novem- bre 1982 dal presidente Lopez Portillo, ma in realtà era stata negoziata in precedenza tra il FMI e i due uomini forti introdotti dal candidato eletto Miguel de la Madrid (Silva Herzog delle Finanze e Miguel Mancera del Banco de México, entrambi studenti di Yale). La dichiarazione imponeva