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l’annullamento, la riforma o la conferma del provvedimento cautelare

C) IL RIESAME DELLE MISURE CAUTELARI PERSONALI

2) l’annullamento, la riforma o la conferma del provvedimento cautelare

Si annulla il provvedimento quando si ravvisano vizi di legittimità (manca la motivazione – nullità relativa –, manca la richiesta del PM – nullità assoluta –, applica una misura più grave di quella che ha chiesto il PM – nullità assoluta –, ).

Nel merito, invece, si valutano gli atti per verificare se quella misura va tenuta ferma (conferma) o meno (riforma).

Si riforma il provvedimento cautelare o revocando (revocatoria) la misura o sostituendola (sostitutiva) con un’altra meno afflittiva (non ammettendosi però la riforma sostitutiva in peius).

Si ha invece una pronuncia di conferma del provvedimento applicativo di una misura coercitiva quando il tribunale del riesame conclude il giudizio giungendo alla conclusione che il giudice a quo ha deciso correttamente sotto tutti i profili (gravi indizi, esigenze cautelari, titolo di reato e criteri di scelta della misura).

Il tribunale può anche riformare o annullare il provvedimento cautelare per motivi diversi da quelli indicati nella richiesta di riesame. Il riesame è infatti un mezzo di impugnazione totalmente devolutivo, che non limita quindi la cognizione del giudice dell’impugnazione ai soli motivi della richiesta.

Il tribunale del riesame può altresì confermare l’applicazione della misura per ragioni diverse da quelle indicate nell’ordinanza cautelare.

Se la motivazione dell’ordinanza cautelare manca, allora il tribunale del riesame deve annullare il provvedimento; non può infatti motivare ex novo. Può, tuttavia, integrare la motivazione o confermare l’applicazione della misura coercitiva per ragioni diverse da quelle poste alla base dell’ordinanza dal giudice a quo, nel caso in cui dovesse ritenere che l’ordinanza è stata motivata male.

“Il tribunale può annullare il provvedimento impugnato o riformarlo in senso favorevole all’imputato anche per motivi diversi da quelli enunciati ovvero confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso” (art. 309, comma 9, secondo periodo c.p.p.): questa norma va letta nel senso che il tribunale del riesame può annullare o riformare il provvedimento facendo riferimento a punti dell’ordinanza diversi da quelli a cui si riferiscono i motivi indicati nella richiesta di riesame. Se la norma fosse infatti interpretata letteralmente (annullare o riformare per motivi diversi) non aggiungerebbe nulla di nuovo a ciò che è consentito dalla disciplina posta per le impugnazioni parzialmente devolutive (per intenderci: anche l’appello consente una cognizione svincolata dai motivi, ma limitata dai punti e dai capi della sentenza indicati dall’appellante nell’atto di appello (ad esempio: «se io impugno il capo relativo alla rapina e non impugno quello relativo al furto dell’arma, sul furto dell’arma si forma il giudicato; quel furto dell’arma non

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potrà più essere messo in discussione in sede di appello perché quel titolo di reato io non l’ho impugnato con l’atto di appello, ma nell’ambito del capo che io impugno e dei punti che io impugno, i motivi di impugnazione da me indicati nell’atto non vincolano il giudice d’appello»). Quindi, i motivi non vincolano il giudice né nelle impugnazioni parzialmente devolutive né in quelle totalmente devolutive come il riesame: i motivi servono, infatti, solo per perimetrare il capo e il punto su cui si estende la cognizione.

Ciò che invece distingue il riesame come impugnazione totalmente devolutiva rispetto alle impugnazioni a devoluzione parziale sta nel fatto che non solo i motivi ma anche i punti e i capi indicati nella motivazione dell’ordinanza cautelare non sono vincolanti per il giudice ed è in questo senso che va interpretato l’art. 309, comma 9 c.p.p. . Riprendendo l’esempio fatto in precedenza: «se io impugno per la rapina, il tribunale può riformarmi anche per il furto o se io impugno per la rapina deducendo la mancanza dei gravi indizi di colpevolezza dimenticandomi delle esigenze cautelari il tribunale può dirmi che i gravi indizi di colpevolezza esistono ma accoglie comunque la mia richiesta perché mancano le esigenze cautelari; cioè può andare al di là dei punti oggetto dei motivi».

Occorre a questo punto passare ad analizzare le molteplici e rilevanti innovazioni apportate al procedimento davanti al tribunale del riesame dalla citata legge 16 aprile 2015, n. 47.

Si è già visto che tale novella ha introdotto l’espressa previsione legislativa del diritto del ricorrente alla partecipazione all’udienza camerale di trattazione del riesame – seppur limitato ad una esplicita richiesta in tal senso (art. 309, commi 6 e 8 bis c.p.p.).

La predetta riforma ha innovato, tuttavia, altri fondamentali aspetti del procedimento in esame. In particolare:

- ha modificato i poteri decisori del tribunale investito della richiesta di riesame (art. 309, comma 9, terzo periodo c.p.p.);

- ha introdotto la possibilità per l’imputato di richiedere il differimento dell’udienza (art. 309, comma 9 bis c.p.p.);

- ha ampliato il novero dei termini perentori che scandiscono il procedimento in esame (art.

309, comma 10 c.p.p.);

- ha introdotto nuove conseguenze alla violazione dei suddetti termini (riducendo i casi di rinnovabilità dell’ordinanza applicativa della misura) (art. 309, comma 10 c.p.p.).

Innanzitutto, la legge n. 47/2015 ha modificato l’art. 309, comma 9 c.p.p. relativo ai poteri decisori del tribunale del riesame, introducendo delle ipotesi di obbligo di annullamento dell’ordinanza applicativa della misura (art. 309, comma 9, ultimo periodo, aggiunto dalla l.

47/2015).

In particolare, il legislatore ha scelto di escludere espressamente che il tribunale del riesame, cui l’art. 309, comma 9, secondo periodo c.p.p. attribuisce – in virtù dell’effetto interamente devolutivo del mezzo impugnatorio in questione – il potere di confermare il provvedimento applicativo della misura anche per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione dello stesso, possa altresì, in

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ragione di tale potere, sanare con la propria motivazione le carenze argomentative del provvedimento impugnato anche quando esse siano tali da dar luogo alle nullità, rilevabili d’ufficio, previste dall’art. 292, comma 2, lett. c) e c-bis) c.p.p., superando così definitivamente il contrario orientamento affermatosi in giurisprudenza (si veda, ad esempio: Cass., Sez. VI, 16 gennaio 2006, n. 8590, Pupuleku).

Il neointrodotto terzo periodo dell’art. 309, comma 9 c.p.p. prevede, infatti, che “Il tribunale annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene l’autonoma valutazione, a norma dell’art. 292, delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa”.

In deroga al principio (desumibile dal secondo periodo della norma in esame) di generale modificabilità ed integrabilità della motivazione dell’ordinanza impugnata da parte del tribunale del riesame, quindi, il terzo periodo del comma 9 vieta al giudice procedente qualsivoglia integrazione o modifica dell’ordinanza stessa (obbligandolo, piuttosto, ad annullarla) nei casi di totale mancanza della motivazione o di motivazione viziata perché non contenente l’autonoma valutazione delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa, a norma dell’art. 292, comma 2, lett. c) e c-bis) c.p.p. come modificate dalla stessa l. n. 47/2015.

La legge n. 47/2015 ha, poi, innovato il procedimento dinanzi al tribunale del riesame introducendo nell’art. 309 c.p.p. il comma 9-bis, ai sensi del quale “Su richiesta formulata personalmente dall’imputato entro due giorni dalla notificazione dell’avviso, il tribunale differisce la data dell’udienza da un minimo di cinque ad un massimo di dieci giorni se vi siano giustificati motivi. In tal caso il termine per la decisione e quello per il deposito dell’ordinanza sono prorogati nella stessa misura.”.

La ratio della norma è evidentemente quella di fornire più tempo alla difesa per prepararsi, sempreché l’imputato faccia richiesta di differimento dell’udienza nei termini e che vi siano giustificati motivi.

La scelta, poi, di far conseguire alla concessione del differimento dell’udienza anche una proroga nella stessa misura dei termini per la decisione e per il deposito dell’ordinanza risponde, senza dubbio, all’esigenza di evitare di attribuire all’imputato uno strumento con cui incidere sulla decorrenza di termini previsti a pena di inefficacia della misura, ai sensi del comma decimo dell’art.

309 c.p.p..

Le innovazioni di maggior rilievo al procedimento in esame derivano, tuttavia, dalla riscrittura – ad opera della più volte citata l. 47/2015 – del comma 10 dell’art. 309 c.p.p..

Esso prevede ora che:

“Se la trasmissione degli atti non avviene nei termini di cui al comma 5 o se la decisione sulla richiesta di riesame o il deposito dell’ordinanza del tribunale in cancelleria non intervengono nei termini prescritti, l’ordinanza che dispone la misura coercitiva perde efficacia e, salve eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate, non può essere rinnovata. L’ordinanza del tribunale deve essere depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione, salvi i casi in cui la stesura della

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motivazione sia particolarmente complessa per il numero degli arrestati o la gravità delle imputazioni. In tali casi, il giudice può disporre per il deposito un termine più lungo, comunque non eccedente il quarantacinquesimo giorno da quello della decisione.”.

La legge n. 47/2015, quindi:

- da un lato, ha introdotto un termine perentorio anche per il deposito dell’ordinanza (quantificato in trenta giorni dalla decisione, con la possibilità per il giudice di disporre un termine più lungo – ma comunque non eccedente i quarantacinque giorni – nei casi di particolare complessità per numero di arrestati o gravità delle imputazioni).

Ai sensi del nuovo comma 10 dell’art. 309 c.p.p., dunque, l’ordinanza applicativa della misura coercitiva perde efficacia in tre casi:

1. qualora gli atti non siano trasmessi entro il termine di cinque giorni dalla richiesta, ai sensi del quinto comma dello stesso articolo;

2. qualora la decisione sulla richiesta di riesame non intervenga entro il termine di dieci giorni dalla ricezione degli atti, ai sensi del nono comma;

3. qualora l’ordinanza del tribunale del riesame non sia depositata entro il termine di trenta giorni dalla decisione (salvi i casi in cui la stesura della motivazione sia particolarmente complessa per il numero degli arrestati o la gravità delle imputazioni, nei quali casi il giudice può disporre per il deposito un termine più lungo, comunque non eccedente i quaranticinque giorni), ai sensi del comma dieci.

- dall’altro lato, ha notevolmente ridotto la possibilità (finora illimitata ed indiscussa) di emettere un nuovo titolo cautelare in caso di perdita di efficacia del precedente per violazione dei termini perentori imposti.

Ai sensi del nuovo testo del comma 10 dell’art. 309 c.p.p., infatti, l’ordinanza applicativa della misura coercitiva che abbia perso la propria efficacia per il mancato rispetto dei termini perentori potrà essere rinnovata solo in presenza di eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate.

36 D) SCHEMA ISTANZA DI RIESAME

TRIBUNALE DI ROMA

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