• Non ci sono risultati.

Il sottoscritto avv. _______, difensore di fiducia di Tizio, nato a ______, il _________ ed ivi residente alla via ________, n. __, indagato nell’ambito dell’epigrafato procedimento penale, attualmente sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere presso la Casa Circondariale di ____, dichiara di proporre istanza di riesame avverso l’ordinanza del GIP presso il Tribunale di _____ con la quale in data __/___/____ veniva disposta la suddetta misura cautelare.

La predetta ordinanza è censurabile per i seguenti motivi:

1) INUTILIZZABILITA’ DELLE INTERCETTAZIONI.

Nell'ambito del procedimento de quo, fondato su intercettazioni telefoniche ed ambientali all'interno delle autovetture, i decreti autorizzativi hanno previsto che le operazioni stesse fossero compiute per mezzo degli impianti installati negli uffici della Procura della Repubblica presso il Tribunale di ___, ma tuttavia disposte con modalità tecniche tali da addivenire alla remotizzazione del segnale audio dalla sala intercettazione della Procura a quella del Commissariato di polizia di _______, con utilizzo di apparecchiature elettroniche gestite a cura della ditta Gamma di ____.

Tuttavia, mentre i decreti parlano di captazione da intercettazione che avvengono nella apposita sala allestita negli uffici della procura, in tutti verbali di trascrizione redatti dal Commissariato di _____

si dice testualmente che "in data ____ alle ore ____ presso la sala intercettazione del commissariato di polizia di ______, veniva registrata ed ascoltata la conversazione effettuata nell'abitacolo dell’autovettura_____ targata ______ in uso a Caio", così come per le intercettazioni relative ad altri soggetti.

Dunque, sembra che la registrazione non venga compiuta sul c.d. “server” installato presso la procura di______ bensì presso il Commissariato di ______, a differenza di quanto disposto con i decreti autorizzativi.

Inoltre, nei verbali di chiusura delle operazioni di ascolto redatti dagli stessi ufficiali di P.G. si dà atto che "le operazioni di ascolto sono state effettuate dai verbalizzanti coadiuvati da agenti ed ufficiali di P.G. comandati secondo turni di servizio predisposti dall'ufficio. Le conversazioni sono state registrate a mezzo di apposita strumentazione, etc.‖.

Orbene, a fronte di tale dato documentale risulta chiaro come le conversazioni siano state registrate presso il commissariato di polizia di _____ e con apparecchiature in dotazione allo stesso organo di polizia giudiziaria, e non con impianti in dotazione all’ufficio del magistrato inquirente. Tutto ciò in evidente violazione delle specifiche disposizioni di legge dettate dall'art. 268 c.p.p..

A tal proposito la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 20058 del 20 maggio 2008 ha fornito la corretta interpretazione dell'articolo 268 del codice di procedura penale, statuendo che.

con riferimento al comma 3 del citato articolo:

1. Le conversazioni intercettate sono registrate e delle operazioni è redatto verbale;

2. Nel verbale è trascritto, anche sommariamente, il contenuto delle comunicazioni intercettate;

3. Le operazioni possono essere compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati nella

38

procura della Repubblica. Tuttavia, quando tali impianti risultano insufficienti o inidonei ed esistono eccezionali ragioni di urgenza, il pubblico ministero può disporre, con provvedimento motivato, il compimento delle operazioni mediante impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria.

4. L'ascolto "remotizzato" delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni presso gli uffici di polizia giudiziaria in assenza di espressa autorizzazione del pubblico ministero ai sensi dell'art. 268, comma terzo, cod. proc. pen., non determina l'inutilizzabilità degli esiti dell'intercettazione, purché tutte le operazioni di captazione e di registrazione delle conversazioni, comprese quelle che consistono nel trasferimento dei dati contenuti nell'apparecchio di registrazione in un supporto magnetico, siano eseguite nei locali della Procura della Repubblica.

Ne consegue che non è necessario il decreto motivato del P.M. quando è disposto l’ascolto in

“roaming” perché in questo caso l'intercettazione avviene tecnicamente presso la procura ma il segnale viene solo fatto rimbalzare, con una differenza temporale di pochi secondi, presso gli uffici della PG., dove l'addetto utilizza l'apparecchio per ascoltare; in questo modo l’intercettazione è attestata in procura e il rimbalzo del segnale viene fatto esclusivamente per ragioni di semplificazione organizzativa, per consentire all'ufficiale di P.G. addetto al controllo delle conversazioni intercettate di lavorare alla sua postazione abituale, di procedere all'ascolto e alla stesura del c.d. brogliaccio.

Infatti, l'ufficiale addetto riceve tutti i dati del traffico che emergono dalle intercettazioni.

Se il “roaming” viene attuato con le modalità che si sono sopra descritte deve escludersi che vi possa essere una violazione del disposto di cui all'articolo 268 comma 3 c.p.p., non essendo quindi necessaria l'autorizzazione del P.M., in quanto, come si è visto, l’intercettazione non può essere considerata come eseguita presso impianti esterni alla procura.

Nel caso in esame risulta evidente come le operazioni di registrazione, ascolto e trasposizione delle conversazioni intercettate non siano avvenute con il sistema “roaming” disposto dal P.M., ma siano state compiute tutte presso il Commissariato di P.S. di ____, sicché ai fini della utilizzabilità dei risultati di dette intercettazioni sarebbe stata necessaria l’adozione da parte del P.M. di un decreto motivato in cui, a norma dell’art. 268 c.p.p., avrebbe dovuto spiegare i motivi di insufficienza o inidoneità degli impianti in dotazione alla procura e le eccezionali ragioni di urgenza che, ai sensi dell’art. 268, comma 3, c.p.p. giustificavano il compimento delle operazioni mediante impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria.

Inoltre, i decreti autorizzativi delle operazioni di intercettazione sono assolutamente generici e carenti di motivazione, anche e soprattutto in relazione alla assoluta indispensabilità di dar luogo alle intercettazioni stesse.

Al riguardo va premesso che la motivazione del decreto con cui si autorizza l'intercettazione, per essere idonea, deve avere un contenuto minimo tale da dar conto, da un lato della sussistenza dei gravi indizi di reato, dall'altro dell'assoluta indispensabilità delle intercettazioni stesse al fine della proficua prosecuzione delle indagini.

Quanto al primo requisito, è ormai opinione consolidata che essa riguarda l'esistenza del reato e non certo la colpevolezza di un determinato soggetto; si richiede, dunque, una valutazione meno stringente rispetto a quella che deve fondare l'affermazione di responsabilità.

Il requisito dell'assoluta indispensabilità, invece, che dev'essere valutato cumulativamente a quello

39

dei gravi indizi, presuppone che le indagini preliminari siano già state avviate, ed esclude che l'intercettazione possa essere autorizzata quale primo atto di indagine: le intercettazioni non possono essere il punto di partenza delle indagini, ma devono essere disposte solo in funzione della prosecuzione delle stesse, qualora vi sia fondato motivo di ritenere che possano essere acquisiti elementi probatori, non acquisibili con altri, meno aggressivi, mezzi di ricerca della prova. Pertanto al giudice è preclusa l'autorizzazione ad intercettare una determinata utenza telefonica "quando vi siano risorse investigative altrettanto promettenti".

Nella sentenza n. 12722 del 23 marzo 2009, la Corte di Cassazione ha affermato che nei decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche è necessario indicare le ragioni per le quali appare indispensabile attivare le stesse nei confronti di una determinata persona, non potendo il giudice omettere di indicare il collegamento tra l’indagine in corso e l’intercettando. Inoltre, relativamente all’interesse ad impugnare, la Corte, ha chiarito, in relazione ad un ricorso del P.M., che non basta invocare l’esatta applicazione della legge penale o la corretta osservanza delle norme processuali per legittimare l’impugnazione, se non è denunciata l’illegittimità della decisione finale del giudice per l’omessa valutazione di elementi indiziari determinata dall’indicato errore di diritto o dall’asserita violazione di legge. La sussistenza di tale errore o violazione non abilita infatti di per sè l'impugnazione di un provvedimento giurisdizionale in mancanza dell'allegazione della concretezza e dell'attualità dell'interesse ad impugnare.

La Suprema Corte supera così l'assunto del P.M., ad avviso del quale (trattandosi di indagini relative alla fattispecie associativa di cui all'articolo 416 c.p.) non era necessario fornire una specifica motivazione per ogni singolo indagato, poiché sussisteva uno stretto legame tra le posizioni dei vari indagati e le argomentazioni poste a base della richiesta di intercettazione potevano essere lette unitariamente. In realtà, precisa la Cassazione, è vero che i gravi indizi di reato possono riferirsi anche a soggetti non originariamente intercettati ma, per poter autorizzare la captazione delle comunicazioni riservate, riferibile ad una determinata persona, occorre anche motivare, seppur in maniera sintetica, sulle ragioni per cui l’intercettazione, con riferimento ad un soggetto specifico, è ritenuta assolutamente indispensabile. L'originaria ipotesi di reato dell'associazione per delinquere non può costituire la sola ragione sulla base della quale giustificare una serie indiscriminata di intercettazioni; occorre, infatti, anche con riferimento a tale ipotesi delittuosa, dar conto della sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge, essendo l'intercettazione una extrema ratio dell'indagine e dovendosi tutelare l'inviolabilità della segretezza delle conversazioni.

In tale sentenza, inoltre, il supremo collegio sembra aver tacitamente avallato un'interpretazione più ristretta di criminalità organizzata, in linea con le prospettazioni di parte della dottrina. In effetti l'avere esteso il concetto di criminalità organizzata ad ogni tipo di attività delittuose, purché realizzate da più persone in collegamento tra loro, ha determinato un ulteriore abuso delle intercettazioni, essendosi diffusa la prassi di adottare più blandi requisiti richiesti per le ipotesi delittuose di criminalità organizzata, anche con riferimento ai reati che non rientrano propriamente in tale categoria.

Pertanto, conclude la Corte, l'ipotesi di reato di associazione per delinquere, di cui all'articolo 416 c.p., non può fungere da "contenitore", legittimando "la proliferazione di intercettazioni a catena", ma occorre, anche in questa ipotesi, dar conto della ragione per cui l'intercettazione è assolutamente indispensabile ed è, dunque, legittimo sacrificare il diritto inviolabile alla segretezza delle

40 comunicazioni.

Di contro, nel caso di specie non si è osservato quanto prescritto dal legislatore.

Pertanto per i motivi sopra esposti, questo difensore chiede che l'onorevole tribunale adito voglia annullare l'ordinanza de qua poiché inutilizzabili le intercettazioni poste a fondamento della stessa.

2) ASSENZA DI GRAVI INDIZI DI COLPEVOLEZZA.VIOLAZIONE ART. 273 C.P.P.

Nell’ambito del procedimento de quo, il sig. Tizio è sottoposto alla misura cautelare in carcere poiché il gip procedente ha ravvisato a carico dello stesso gravi indizi di colpevolezza in relazione alla fattispecie di cui all'articolo 416 c.p., nonché per il delitto di cui all'articolo 75, comma 2, D.L.vo n. 159 del 2011 annotato al capo 3 dell'imputazione.

A suffragio di tale tesi, che vedrebbe l’odierno indagato quale partecipe della paventata associazione, vengono valorizzati alcune intercettazioni ambientali all'interno dell'autovettura del Sempronio, ossia una del XX/XX/XXXX e una del XX/XX/XXXX.

Già tale valorizzazione di tre intercettazioni, all'interno di un'auto che nulla dicono, fa ben comprendere come l'imputazione ex articolo 416 c.p. nei confronti del proprio assistito sia una palese forzatura.

Non vi è nessun elemento di riscontro dell'ipotesi accusatoria, nemmeno è possibile conoscere con certezza se il ―Tizio‖ di cui si parla sia in effetti l'odierno indagato, in assenza di indagini anche foniche in tal senso.

Ma volendo pur credere che il Tizio in questione sia l'indagato, non prova nulla l’essersi trovato in macchina del Sempronio per quattro volte alla luce di un rapporto di amicizia e conoscenza. Non si vede da cosa si desuma la sua partecipazione ad un’associazione criminale.

E del resto, non appare strano che un associato non abbia contatti con altri sodali, che nel corso di un’indagine di tale portata venga intercettato in ambientale solo tre volte per di più nell'arco di cinque giorni di agosto del 2011, e che non abbia alcuna utenza telefonica dalla quale emergano conversazioni interessanti ai fini investigativi?

Ebbene, appare ictu oculi, già solo alla luce di quanto sin qui esposto, che il Tizio non possa considerarsi sodale di qualsivoglia associazione.

A conferma di ciò si evidenzia che, oltre a mancare dalle indagini qualsivoglia carattere di stabilità temporale rispetto alla fattispecie associativa, è palesemente impossibile che un sodale, che oltretutto il gip ritiene di grande importanza, non partecipi ad alcuno degli innumerevoli reati fine.

Né dagli atti di indagine risulta che il medesimo abbia preso parte a qualsivoglia azione delittuosa.

Dunque, con riferimento alla contestazione del vincolo associativo da parte del gip, è palese come gli elementi dallo stesso valorizzati non possano considerarsi idonei a dimostrare, nemmeno a livello indiziario, la sussistenza della fattispecie prevista dall'articolo 416 c.p..

Inoltre, non vi è un passaggio dal quale emerga la consapevolezza della comune appartenenza al gruppo, requisiti indefettibili quando si parla dell'ipotesi associativa, che il gip ritiene si evince dall'attività di intercettazione telefonica ed ambientale.

Del resto, secondo la difesa, manca del tutto l'elemento indispensabile per la costituzione di un vero e proprio vincolo associativo, poiché nemmeno a livello indiziario è possibile scorgere la sussistenza di quell'accordo associativo idoneo a creare il vincolo permanente a causa della consapevolezza di ciascun associato di far parte del sodalizio, partecipare, con un contributo

41

causale, alla realizzazione di un duraturo programma criminale.

Palese dunque è l'insussistenza della fattispecie prevista dall'articolo 416 comma 1 c.p., non essendo ravvisabile nemmeno un concorso ex articolo 110 c.p. nella commissione di qualsivoglia reato fine da parte dell'indagato.

Se pertanto si considerano in maniera scevra da pregiudizi gli episodi contestati, è evidente come non esista alcun vincolo tendenzialmente stabile nel tempo, non è possibile desumere, dalle conversazioni intercettate, una collaborazione stabile e continuativa che, anzi, rimane esclusa dalla stessa autonomia dimostrata dai presunti affiliati all'associazione, così com'è possibile evincere dalle conversazioni telefoniche ed ambientali intercettate.

Medesime considerazioni sono da farsi in relazione alla contestazione sub capo 3 dell’imputazione, poiché tizio non ha commesso alcuna violazione della sorveglianza speciale, non essendovi elementi, nemmeno indiziari, che possano dimostrare come egli abbia frequentato pregiudicati e violato la prescrizione di vivere onestamente e non violare le leggi.

Alla luce di quanto esposto, si chiede l'annullamento della predetta ordinanza e l'immediata scarcerazione del proprio assistito.

3) SULLA INSUSSISTENZA DELLE ESIGENZE CAUTELATI. VIOLAZIONE DELL’ART. 274 C.P.P.

In relazione ai fatti contestati all'indagato, il gip ha ritenuto sussistenti le esigenze cautelari di cui alle lettere a), b) e c) dell’art. 274 c.p.p. per l’applicazione della misura in atto.

Questo difensore, tuttavia, non comprende il motivo per il quale si ritengano sussistenti tali esigenze, dal momento che allo stato, anche alla luce del fatto che trattasi di procedimento prettamente indiziario e basato solo ed esclusivamente sulle risultanze delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, e dunque non pare sussistere alcun pericolo di inquinamento probatorio o addirittura di fuga, così come ipotizzati dal gip.

Medesime considerazioni sono da farsi in relazione al paventato pericolo di reiterazione criminosa, anche perché il pericolo di reiterazione di reati della stessa indole non può desumersi dal carattere stesso dei reati contestati, ed in particolare dalla protrazione nel tempo di condotte professionalmente dedite alla perpetrazione dei fatti per cui è indagine, in quanto in tal modo ogni reato a struttura permanente comporterebbe un pericolo di reiterazione.

Certamente tizio ha in passato posto in essere condotte contra legem, ma le stesse sono risalenti nel tempo e dunque non attuali dal punto di vista cautelare.

Inoltre, alla luce di quanto esposto da questo difensore in relazione ai gravi indizi di colpevolezza, continuare a tenere sottoposto il proprio assistito ad una misura cautelare tanto afflittiva non sembra rispondere ai criteri di proporzionalità ed adeguatezza previsti dal legislatore per l'applicazione delle misure cautelari.

Inoltre, le esigenze cautelari dovrebbero essere basate su elementi che possano giustificare l'applicazione della misura cautelare: difatti, il giudice non può basare l'esecuzione di una qualsivoglia misura cautelare, senza motivare esaustivamente ed essere preciso sulle circostanze che non solo la giustifichino, ma che escludano anche l'applicazione di una misura meno afflittiva.

Ora, nel caso di specie, di contro, il giudice ricorre a semplici presunzioni al fine di giustificare la sussistenza delle richiamate esigenze cautelari, e ritiene quella in atto l'unica misura idonea a

42

tutelare le esigenze cautelari, mentre, stante anche gli ulteriori elementi valorizzati nella presente memoria da questo difensore, più congruo sarebbe non applicare alcuna misura, o quantomeno applicarne una meno afflittiva, quale quella degli arresti domiciliari, che senza dubbio andrebbe salvaguardare ampiamente le esigenze cautelari meritevoli di tutela.

Dunque, alla luce di quanto sin qui esposto, appare chiaro come siano insussistenti le esigenze valorizzate dal gip al fine di ritenere quale unica misura idonea quella in carcere.

Tutto ciò premesso e con riserva di proporre altri motivi, il sottoscritto difensore CHIEDE

che l’adito Tribunale, ai sensi dell’art. 309 del c.p.p., nell’esercizio degli ampi poteri di ricognizione riconosciuti dalla legge, voglia:

- in via preliminare, dichiarare l'inutilizzabilità delle intercettazioni e per l'effetto annullare l'ordinanza cautelare;

- in subordine, annullare ex art. 292 comma 2 lett. c) c.p.p. l'ordinanza che si impugna, per mancanza di gravi indizi di colpevolezza.

- in via ulteriormente gradata, revocare o quantomeno sostituire la misura attualmente in atto con altra meno afflittiva, quale quella degli arresti domiciliari da eseguirsi presso la propria abitazione.

Roma, lì ________

Avv.__________________

NOMINA

Il sottoscritto Tizio, nato a _______, il _____, e residente a ___, in _____, indagato nel procedimento penale n.____ R.G.N.R. e n. R.G.G.I.P., nomina proprio difensore di fiducia l’Avvocato___, del Foro di _____, conferendo allo stesso ogni più ampia facoltà prevista dalla legge.

Luogo, data __/__/______

__________

Firma Tizio

______________

Vera e autentica è la firma Firma Avvocato

Documenti correlati