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C) IL RIESAME DELLE MISURE CAUTELARI PERSONALI

2. La richiesta di riesame

La richiesta di riesame, anche nel merito, dell’ordinanza dispositiva di una misura coercitiva può essere presentata dall’imputato entro il termine perentorio di 10 giorni dall’esecuzione o notificazione del provvedimento cautelare. Il difensore dell’imputato, invece, può proporre la richiesta di riesame entro 10 giorni che decorrono però dalla notificazione dell’avviso di deposito dell’ordinanza che dispone la misura (art. 309, commi 1 e 3).

La legittimazione a richiedere il riesame di una misura coercitiva è quindi riconosciuta dalla legge solo all’imputato o al suo difensore.

Quanto alla competenza a decidere del riesame, essa è affidata dal comma 7 dell’art. 309 c.p.p. al tribunale “in composizione collegiale” del luogo nel quale ha sede la corte d’appello o la sezione distaccata della corte d’appello nella cui circoscrizione è compreso l’ufficio del giudice che ha emesso l’ordinanza (c.d. tribunale delle libertà o tribunale del riesame). Ed è nella cancelleria del tribunale così individuato che deve essere presentata la richiesta di riesame, nell’osservanza delle forme previste per l’impugnazione dagli artt. 582 e 583 (art. 309, comma 4).

Tale richiamo alle regole previste per la presentazione delle impugnazioni comporta che:

- di regola, la richiesta di riesame deve essere presentata “personalmente ovvero a mezzo di incaricato nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. Il pubblico ufficiale addetto vi appone l’indicazione del giorno in cui riceve l’atto e della persona che lo presenta, lo sottoscrive,lo unisce agli atti del procedimento e rilascia, se richiesto, attestazione della ricezione.” (art. 582, comma 1, c.p.p.);

- se la parte che intende richiedere il riesame di un provvedimento dispositivo di una misura coercitiva non si trovano nel luogo indicato dal comma 1 dell’art. 582 c.p.p., la richiesta del riesame può essere presentata anche alla cancelleria del tribunale o del giudice di pace del luogo in cui la

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parte si trova o, nel caso in cui questa si trovi all’estero, ad un agente consolare. In questi casi

“l’atto viene immediatamente trasmesso alla cancelleria del giudice che emise il provvedimento impugnato” (art. 582, comma 2, c.p.p.);

- le parti e i difensori possono però presentare la richiesta di riesame anche con telegramma o con atto da trasmettersi a mezzo di raccomandata alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento cautelare. Il pubblico ufficiale addetto allega agli atti la busta contenente la richiesta di riesame e appone su quest’ultimo l’indicazione del giorno della ricezione e la propria sottoscrizione. La richiesta si considera proposta nella data di spedizione della raccomandata o del telegramma.” (cfr. art. 583 c.p.p.).

Una volta presentata la richiesta di riesame, l’autorità giudiziaria procedente (quindi il PM nel corso delle indagini preliminari; il giudice nel corso del processo), avvisata dal presidente, deve entro il giorno successivo e comunque non oltre il quinto giorno successivo – termine perentorio che decorre dal “giorno in cui la richiesta perviene alla cancelleria del tribunale del riesame” (Corte costituzionale, sentenza 22 giugno 1998, n. 232, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 5 dell’art. 309 nella parte in cui “fa decorrere il termine di 5 giorni dal momento in cui l’autorità procedente riceve quell’avviso anziché dal momento in cui la richiesta perviene nella cancelleria; ciò che conta è quando la richiesta arriva nella cancelleria, poco importa se vi sono ritardi che possono influire nelle comunicazioni tra cancelleria e autorità procedente”. Ciò comporta che nel caso in cui la richiesta di riesame sia stata presentata nelle forme previste dagli artt. 582, comma 2 e 583 c.p.p., il dies a quo per il computo dei cinque giorni deve sempre individuarsi nel giorno in cui la richiesta è trasmessa dal diverso tribunale o dagli agenti consiliari al tribunale del riesame competente, o dal giorno in cui la raccomandata o il telegramma arrivano in detta cancelleria) – trasmettere al tribunale del riesame, a norma del comma 5 dell’art. 309 c.p.p.,

“gli atti presentati a norma dell’art. 291, comma 1, nonché tutti gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini.”.

L’autorità procedente sarà quindi tenuta a trasmettere:

- elementi a carico dell’indagato che aveva scelto liberamente di porre alla base della richiesta del provvedimento cautelare;

- elementi favorevoli all’indagato (preesistenti, cioè quelli che il PM aveva già a sua disposizione quando ha formulato la richiesta di applicazione della misura) e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate ( già presentati al GIP, cioè quelli che il PM già conosceva);

- elementi favorevoli all’indagato sopravvenuti alla richiesta cautelare (anche se c’è chi ritiene che siano quelli sopravvenuti alla ordinanza).

Se tale trasmissione non avviene nel termine di cinque giorni dal giorno in cui la richiesta di riesame è pervenuta al tribunale [o se la decisione sulla richiesta del riesame non interviene entro dieci giorni dalla ricezione degli atti o il deposito dell’ordinanza in cancelleria non avviene entro trenta giorni dalla decisione (salvi i casi in cui la stesura della motivazione sia particolarmente complessa per il numero degli arrestati o la gravità delle imputazioni, nei quali casi il giudice può disporre per il deposito un termine più lungo, comunque non eccedente i quaranticinque giorni)],

“l’ordinanza che dispone la misura coercitiva perde efficacia e, salve eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate, non può essere rinnovata.” (art. 309, comma 10 c.p.p., come modificato dalla legge 16 aprile 2015, n. 47).

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PROBLEMA: il termine di cinque giorni per la trasmissione degli atti ed elementi da parte dell’autorità giudiziaria procedente al tribunale del riesame può ritenersi rispettato quando entro tale termine gli atti sono stati inviati ma non sono ancora arrivati al tribunale o è rispettato solo quando entro tale termine arrivano al tribunale?

La questione è stata affrontata dalle Sezioni Unite della Cassazione nella celebre sentenza Schillaci (Cass., Sez. Un., 29 ottobre 1997, n. 13). In tale sentenza, i giudici hanno evidenziato che il termine “trasmettere”, sul piano terminologico e lessicale, ha una valenza polisemantica: può significare, infatti, sia “inviare” che “far pervenire”.

La soluzione propugnata dai giudici in detta sentenza è stata, tuttavia, che nel dubbio si deve privilegiare l’interpretazione del termine più favorevole all’imputato/indagato, e cioè quella per cui il termine può ritenersi soddisfatto solo nel caso in cui entro i cinque giorni tutti gli atti siano pervenuti al tribunale del riesame.

Dal primo periodo del comma 6 dello stesso art. 309, secondo cui “con la richiesta di riesame possono essere enunciati anche i motivi.” si evince che tale richiesta può essere sia motivata che immotivata. L’indicazione dei motivi rappresenta, quindi,una facoltà dell’indagato/imputato o del difensore), con la conseguenza che la mancanza di motivi nella richiesta non costituisce causa di inammissibilità della stessa. Ciò non toglie l’importanza rivestita dai motivi, soprattutto in ragione del fatto che una omessa motivazione da parte del tribunale su punti essenziali dedotti nei motivi determina un vizio di motivazione deducibile in Cassazione ai sensi dell’art. 311 c.p.p. (cioè, con il ricorso per Cassazione).

D'altronde, che i motivi siano facoltativi lo si evince anche dalla previsione per cui il tribunale può annullare o riformare il provvedimento impugnato anche per motivi diversi da quelli indicati: gli eventuali motivi indicati nella richiesta di riesame non sono vincolano quindi il tribunale, chedeve rivalutare tutti i presupposti applicativi della misura e la corretta applicazione dei criteri di scelta di cui all’art. 275 c.p.p.. La cognizione del tribunale si estende in sostanza all’intero provvedimento cautelare.

A seguito della modifica operata con legge 16 aprile 2015, n. 47, il primo periodo del comma 6 dell’art. 309 c.p.p. prevede altresì che con la richiesta di riesame l’imputato possa chiedere di comparire personalmente. Tale disposizione, insieme a quella inserita dalla stessa l. 47/2015 all’ultimo periodo del comma 8 bis dello stesso art. 309 c.p.p. (secondo cui “L’imputato che ne abbia fatta richiesta ai sensi del comma 6 ha diritto di comparire personalmente.”), risolve la dibattuta questione relativa alla sussistenza o meno di un diritto del ricorrente di presenziare all’udienza camerale di cui al comma 8, affermando in modo inequivoco tale diritto in capo al ricorrente, anche se detenuto fuori distretto. Tanto dal primo periodo del comma 6 quanto dall’ultimo periodo del comma 8 bis dell’art. 309 c.p.p. si evince, tuttavia, che il diritto del ricorrente di presenziare all’udienza camerale fissata per la trattazione della richiesta del riesame è strettamente correlato alla formulazione di una richiesta in tal senso da parte dell’imputato.

Lo stesso comma 6 prosegue poi disponendo che “Chi ha proposto la richiesta ha inoltre facoltà di enunciare nuovi motivi davanti al giudice del riesame facendone dare atto a verbale prima dell’inizio della discussione. ”.

30 2.1. Termini per la presentazione della richiesta.

10 giorni, a pena si inammissibilità, che decorrono

-- per l’imputato, dall’esecuzione o notificazione del provvedimento;

-- per l’imputato latitante, dalla data di notificazione eseguita a norma dell’art. 165. “Tuttavia, se sopravviene l’esecuzione della misura, il termine decorre da tale momento quando l’imputato prova di non aver avuto tempestiva conoscenza del provvedimento.” (art. 309, comma 2 c.p.p.).

--per il difensore dell’imputato, dalla notificazione dell’avviso di deposito dell’ordinanza che dispone la misura.

2.2. Provvedimenti impugnabili.

Come già anticipato, la norma è chiara nel disporre che si possono impugnare con la richiesta di riesame soltanto le ordinanze che dispongono una misura coercitiva.

Il che significa che tutto il settore delle misure interdittive (es. sospensione dall’esercizio dalla patria potestà, interdizione dai pubblici uffici) rimane fuori dal riesame: esse sono soltanto appellabili, sempre dinanzi al tribunale della libertà.

Le ordinanze che sono riesaminabili sono, inoltre, soltanto quelle dispositive (e, quindi, applicative) della misura coercitiva; perciò tutte quelle ordinanze che, pur riguardando le misure coercitive, non sono applicative della misura non sono riesaminabili, ma sono, a loro volta, appellabili.

Se l’imputato chiede la revoca della misura e il giudice procedente rigetta tale richiesta, quella ordinanza di rigetto è allora appellabile, non riesaminabile, perché è un’ordinanza che non applica la misura ma semplicemente si limita a rigettare una richiesta di revoca o di sostituzione della misura.

L’appello ha un carattere residuale ma molto ampio, forse più ampio del riesame in quanto legittimato a richiederlo è anche il PM, che non invece legittimato a chiedere il riesame.

Molteplici sono le situazioni di dubbia risoluzione: per esempio, l’ordinanza emessa ex art. 27 c.p.p. dal giudice competente è riesaminabile o solo appellabile? Si tratta, infatti, di un’ordinanza che rinnova la misura. Tale rinnovazione, a detta della giurisprudenza, costituisce una forma di applicazione della misura, con la conseguenza che la relativa ordinanza è ritenuta riesaminabile.

Altro caso: omesso interrogatorio della persona che è stata sottoposta a misura cautelare coercitiva (e che, ai sensi dell’art. 294 c.p.p. deve essere interrogata entro 5 o 10 giorni dal momento in cui viene eseguita o notificata l’ordinanza, a seconda che si tratti della custodia cautelare in carcere o di altre misure cautelari personali coercitive) che comporta, quindi, l’inefficacia dell’ordinanza. L’ordinanza adottata successivamente che reitera la misura cautelare coercitiva, è riesaminabile perché anche questa è ritenuta applicativa della misura.

2.3. Legittimazione.

Imputato/indagato e difensore.

31 2.4. Luogo di presentazione della richiesta.

Come già visto, competente a giudicare è il tribunale distrettuale, cioè il tribunale che ha sede nel capoluogo di distretto di Corte d’Appello in cui si trova il giudice che ha emesso il provvedimento (es. se il GIP che lo emette è di Latina, comunque a giudicare sarà il tribunale del riesame di Roma;

non esiste un tribunale del riesame di Latina per le misure cautelari personali perché, invece, per quelle reali la competenza è circondariale); se vi è una sezione distaccata di Corte d’Appello allora vi sarà anche il tribunale del riesame presso la sede della sezione distaccata (quindi Sassari ce l’ha perché è sezione distaccata di Corte d’Appello di Cagliari).

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